In diritto non tutto si trasforma: note critiche in tema di novazione del contratto di donazione.

Sommario: 1. Premessa 2. Il problema della causa della donazione 3. La questione della ammissibilità della novazione della donazione 4. Novazione dell’obbligazione o novazione del contratto? 5. La “re adhuc integra” nel pensiero di Deiana e l’attualità della sua tesi. 6. Inconfigurabilità della cd. novazione causale priva di effetti estintivo-costitutivi. 7. Necessità del ricorso all’istituto del mutuo dissenso per l’eliminazione degli effetti prodotti irreversibilmente dalla donazione.

Di Enrico Damiani -
  1. Premessa

In un caso relativamente recente[1] un notaio è stato sottoposto a giudizio tra l’altro accusato dal Capo dell’Archivio competente di aver violato norme imperative per aver inserito in due donazioni la seguente clausola: «Al fine di superare dette eventuali difficoltà ed inconvenienti» – difficoltà connesse al fatto che il contratto stipulato fosse una donazione – «fin d’ora le parti si obbligano ad addivenire, a richiesta di ciascuna di esse o loro eredi o aventi causa, alla stipula di un contratto che, fermi gli odierni effetti traslativi dell’odierno atto, ne muti il titolo e la causa, allo scopo ed effetto di sostituire il presente titolo e causa donativi con un titolo e causa di vendita o di donazione indiretta …..». La clausola conteneva inoltre il rinvio alla decisione di un terzo arbitratore relativamente alla determinazione del prezzo.

La CO.RE.DI. competente non ha affrontato la problematica della ammissibilità della novazione del contratto di donazione in un contratto di compravendita, ma ha irrogato al notaio una sanzione pecuniaria, in considerazione del riconoscimento delle circostanze attenuanti, essenzialmente sulla base di due rilievi:

a) che non ha senso il riferimento al concetto di novazione di una donazione in una «donazione indiretta»[2], non trattandosi evidentemente di un diverso tipo contrattuale;

b) che sia inconcepibile che le parti vogliano ad un tempo donare un cespite assumendo contestualmente l’obbligazione di novare la donazione stessa in compravendita trattandosi di cause negoziali tra loro incompatibili.

In questa sede la decisione sopra succintamente richiamata non sarà oggetto di una ulteriore analisi ma verrà utilizzata quale pretesto per riprendere un’indagine, già in parte svolta in dottrina, al fine di evidenziare alcuni seri dubbi circa la possibilità di fare ricorso al concetto di «novazione del contratto di donazione»[3] od anche come autorevolmente sostenuto di «riqualificazione causale del contratto»[4].

  1. Il problema della causa della donazione

Preliminarmente pare opportuno indagare, seppur sinteticamente, la questione della causa del contratto di donazione in quanto appare evidente quanto sia marcato il divario tra la causa della compravendita e quella della donazione al punto da risultare assolutamente incompatibili tra loro.

La problematica della individuazione dei caratteri salienti della causa donativa costituisce uno dei temi più discussi e nel contempo più difficili da dipanare, stante anche l’eterogeneità delle opinioni degli autori[5] espresse in tema di causa del negozio giuridico. La donazione, poi, evidenzia in modo particolare le criticità delle varie ricostruzioni elaborate nel corso degli anni riguardo al concetto di causa.

Ciò per due ordini di ragioni: la non specificità delle prestazioni che possono formarne oggetto e il riferimento allo spirito di liberalità.

Quanto alla prima, si ricorda come autorevole dottrina[6], in tema di contratti a prestazioni corrispettive, abbia individuato contratti «a schemi ristretti», nei quali la controprestazione è individuata in maniera specifica, e contratti «a schemi più o meno ampi», nei quali le prestazioni possono essere della natura più varia.

Traslando identico ragionamento nell’ambito della donazione, questa potrebbe essere annoverata tra i contratti a schema ampio. In questo senso sembra, infatti, porsi la stessa lettera dell’art. 769 c.c., la quale apre ad una molteplicità di prestazioni quali possibili contenuti di una donazione.

Quanto alla seconda, poi, sembra che il riferimento allo spirito di liberalità sia scarsamente significativo con riguardo al problema della individuazione dei caratteri salienti della funzione del contratto di donazione.

In una accezione soggettiva lo stesso concetto di causa del contratto in generale sembra perdere la sua specificità, in linea con la tesi di chi[7], pur nella vigenza del c.c. del 1865, riteneva pleonastico il riferimento alla stessa, ritenuta una sorta di «quarto lato» di un triangolo già formato.

Più di recente, altra autorevole dottrina[8] ha evidenziato che la stessa patrimonialità dell’assetto di interessi programmato dal contratto è sufficiente ad esprimere una «causa lieve» del negozio stesso; causa lieve che, nei contratti sinallagmatici, si attinge dalla controprestazione e si spiega con l’interesse del creditore, mentre, nei contratti gratuiti, si ricava dalla copertura formale o da altri elementi dell’operazione nei quali l’attribuzione gratuita si inserisce.

Secondo altra posizione dottrinale, con specifico riferimento alla donazione, la forma solenne prescritta dall’art. 782 c.c. assorbirebbe la causa del contratto stesso[9].

Risulta, quindi, di preminente importanza, con specifico riferimento alla donazione, individuare le specifiche caratteristiche di quell’«oggetto vago e misterioso» che è la causa, la cui assenza determina, ai sensi dell’art. 1418, secondo comma, c.c. la nullità del contratto[10].

A tal riguardo, non sembra condivisibile quell’orientamento secondo cui un contratto che esprima chiaramente gli interessi condivisi, in senso sostanziale, dalle parti consentirebbe all’interprete di conoscere la causa dell’attribuzione patrimoniale, rendendo perfettamente inutile il ricorso alla forma solenne nella donazione – in presenza di esplicitazione dei motivi nell’atto – o alla traditio rei nei contratti di comodato e mutuo[11]. Secondo la stessa dottrina, inoltre, la condivisione, da parte dei contraenti, di un interesse non patrimoniale darebbe luogo alla «causa liberale» o alla «causa gratuita», a seconda che il contratto sia o meno preordinato alla produzione di effetti duraturi e rilevanti, volti a anche a realizzare finalità successorie. Il contratto di donazione, infatti, secondo tale opinione sarebbe un negozio successorio anticipatorio, che si realizza attraverso un’attribuzione patrimoniale «definitiva» e duratura, mentre i contratti gratuiti sarebbero caratterizzati da precarietà e temporaneità e, quindi, dall’inidoneità a produrre effetti successori anticipatori[12].

Un tale criterio discretivo non appare, tuttavia, decisivo al fine di tracciare una netta distinzione tra il fenomeno della gratuità e quello della liberalità. Infatti, non si potrebbe dubitare della natura liberale del contratto di donazione di un usufrutto a termine, nonostante l’effetto sia temporaneo e non si realizzi un’anticipazione successoria. Peraltro non si ritiene condivisibile neanche l’ulteriore argomento addotto dalla ricostruzione dottrinale in esame, secondo cui il discrimen tra contratti gratuiti e contratti liberali sarebbe da rinvenire non nella causa, ma nel tipo[13].

Non potendo affrontare in questa sede in maniera approfondita una disamina attenta dei vari contributi in tema di individuazione dei caratteri che connotano la causa della donazione[14] si ritiene sufficiente in questa sede porre in evidenza alcuni brevi rilievi.

Il criterio discretivo tra causa gratuita e causa liberale[15] non sembra plausibile che possa rintracciarsi nella verifica della soddisfazione di un interesse patrimoniale o non patrimoniale della parte, ben potendo il donante perseguire anche interessi patrimoniali, purché gli stessi non costituiscano il tantundem dell’operazione. Si pensi al caso in cui un padre doni alla propria figlia un immobile al fine di godere di una lecita agevolazione fiscale in caso di riacquisto di una prima casa oppure per godere di agevolazioni IMU. In tal caso il donante con l’atto liberale persegue comunque un interesse patrimoniale che si sostanzia nel risparmio o nell’agevolazione fiscale; difetta, tuttavia, la prestazione corrispettiva da parte di chi riceve la donazione.

In verità nella realtà risulta difficile rinvenire donazioni assolutamente pure e disinteressate. Si può, infatti, anche donare per fini egoistici, ad esempio nella speranza di un futuro vantaggio o favore personale o per acquisire prestigio sociale.

Pertanto, una donazione può anche sottintendere un interesse economico, purché tale interesse non configuri un vero e proprio rapporto di sinallagmaticità e corrispettività. Sembra preferibile, in effetti, che proprio dal dato della mancanza di sinallagmaticità e della corrispettività occorra far riferimento al fine di tracciare il perimetro della donazione all’interno dell’insieme dei negozi gratuiti[16].

Se si condivide quanto sopra evidenziato risulta manifestamente inconcepibile l’accostamento della donazione alla compravendita posto che è indubitabile che le parti possano manifestare di fronte al notaio rogante, addirittura al momento del perfezionamento dell’atto di liberalità, una volontà alternativa, ancorché sospensivamente condizionata, di volersi obbligare contestualmente a trasformare tale atto in una compravendita.

  1. La questione della ammissibilità della novazione della donazione

L’inconcepibilità della idea di trasformazione del contratto liberale in contratto a prestazioni corrispettive, non esaurisce il campo delle possibili critiche alla tesi[17] che sostiene l’ammissibilità di una novazione contrattuale della donazione con sostituzione della originaria causa liberale con la causa della vendita.

Secondo tale opinione nonostante il codice civile disciplini espressamente la novazione dell’obbligazione[18] sarebbe da ritenere sicuramente valida anche la novazione del contratto, pur se esso abbia prodotto effetti reali.

A tale affermazione l’autorevole dottrina già citata[19] replica che le ipotesi di novazione possono solo in senso improprio riferirsi al contratto dovendosi invece propriamente riferire alle obbligazioni nascenti dal contratto e, aggiungerei, alle obbligazioni tuttora pendenti.

Nella sua replica il fautore della teoria della ammissibilità della donazione traslativa in compravendita fa riferimento ad alcune sentenze di Cassazione che sembrerebbero corroborare le sue asserzioni.

Nella sentenza n. 11513 del 25 maggio 2011 la S.C. affronta il caso riguardante la stipulazione di tre contratti di cessione di azienda “sostanzialmente identici” in data 12, 16 e 19 novembre 1992, tutti riguardanti le stesse parti e con un identico corrispettivo ma con una modifica della ubicazione dell’esercizio commerciale oggetto di vendita. A latere del primo contratto era stata redatta una controdichiarazione nella quale si dava atto che il corrispettivo integralmente quietanzato nella scrittura di cessione era da intendersi parzialmente ancora dovuto. Di tale circostanza non era stata fatta alcuna menzione nei due contratti successivi essendo peraltro stata acquisita una testimonianza relativa all’avvenuto pagamento del saldo del prezzo tra il primo e il secondo contratto di cessione di azienda.

In realtà tale sentenza non sembra essere di aiuto a chi intende sostenere la possibilità di novazione di un contratto ad effetti reali integralmente eseguito; anzi la stessa Corte testualmente afferma che l’«atto con il quale le parti convengono la modificazione quantitativa di una precedente obbligazione ed il differimento della scadenza per il suo adempimento non costituisce novazione e non comporta, dunque, l’estinzione dell’obbligazione originaria…».

Il secondo caso citato, Cass. 18 luglio 1997 n. 6618, concerne un contratto in base al quale le parti si erano impegnate a costituire una società per la realizzazione di un film. Una parte si era impegnata a realizzare il film quale regista e sceneggiatore, l’altra si era obbligata a finanziarla con un determinato importo. Il socio di capitali apportava una rilevante somma in contanti e la restante parte in effetti cambiari ma l’idea di realizzazione del film fu abbandonata. Morto il socio che aveva apportato il capitale si costituiva innanzi al Tribunale competente l’unica erede la quale otteneva una sentenza di annullamento del contratto preliminare per incapacità naturale di intendere e volere del de cuius con conseguente condanna alla restituzione dell’apporto in denaro del convenuto. La Corte di Appello in parziale riforma della sentenza di primo grado dichiarava risolto per inadempimento il contratto stesso e condannava comunque la parte inadempiente a risarcire il danno.

La parte condannata al risarcimento del danno ricorreva in Cassazione sostenendo, tra l’altro, che a seguito della costituzione della s.r.l. gli impegni assunti dalle parti si erano estinti mediante sostituzione con quelli, di contenuto identico, assunti nei confronti della società, realizzando così una novazione delle obbligazioni originarie. La S.C. in realtà respinge tale ricostruzione del ricorrente sostenendo che il contratto iniziale concluso tra le parti non avesse la natura di mero preliminare di società, ma fosse munito di una sua autonoma funzione.

Anche questo precedente quindi non aiuta la tesi di ammissibilità della novazione di un contratto ad effetti reali integralmente adempiuto.

L’ultima sentenza citata dal fautore della tesi della possibilità di novazione della donazione in compravendita è la Cass. 4 maggio 1994, n. 4274[20] la quale in realtà concerne l’individuazione del contenuto minimo che un documento contrattuale deve avere per produrre modifiche ad un precedente accordo relativo ad un contratto di appalto siglato tra le parti. Ad una lettura attenta della sentenza però sembra evidente che anche tale precedente non sia idoneo a corroborare la tesi che si intende qui sottoporre ad attento vaglio da un lato perché concerne un contratto nella fattispecie de qua produttivo di soli effetti obbligatori e peraltro non ancora eseguito, dall’altro per l’evidente riferibilità del caso alla materia degli accordi modificativi di un precedente negozio più che alla materia della novazione.

La S.C. testualmente fa presente che «Incongrua e priva di logica giustificazione, d’altronde, si rivela la declaratoria con la quale il giudice del merito ha ritenuto che nel caso in esame una accettazione incontestatamente accompagnata da richiesta di novazione del contratto per la cui revisione le parti trattavano anche su profili diversi da quelli considerati nella proposta non sia stata idonea a determinare un incontro  od una fusione delle volontà …» aggiungendo poi fosse necessario accertare l’esistenza e la validità «di quell’accordo contrattuale revisionistico della convenzione».

La questione della ammissibilità della cd. “novazione del contratto” è stata peraltro abilmente affrontata[21] con l’utilizzo anche degli strumenti offerti dalla comparazione giuridica diacronica, facendo riferimento ai corrispondenti istituti del diritto romano, per il quale la novazione oggettiva poteva aver luogo solo mediante una stipulatio, cioè un contratto unilaterale.

Secondo la ricostruzione in questione, nel nostro ordinamento la novazione è ancora un modo di estinzione di una obbligazione isolata per cui se si vuole novare una delle obbligazioni nascenti da un contratto sinallagmatico, si interrompe conseguentemente il rapporto tra le stesse obbligazioni corrispettive: la nuova obbligazione ha pertanto un regime autonomo e non costituisce più il tantundem dell’obbligazione della controparte. Secondo tale condivisibile opinione la conseguenza sarà che non sarà possibile risolvere la novazione per inadempimento della precedente obbligazione corrispettiva, così come il rapporto originario non sarà risolubile per inadempimento della nuova obbligazione[22].

Se si vuole, invece, sostituire l’intero regolamento contrattuale con uno nuovo[23], non si può far riferimento al concetto di novazione, se non impropriamente[24].

Non è raro però che si trovi in dottrina e in giurisprudenza, un riferimento al concetto di novazione del contratto.

Spesso le sentenze che fanno riferimento alla novazione del contratto di compravendita o di locazione, riguardano casi nei quali c’è un successiva modifica del prezzo di vendita o del canone di locazione. Nella maggior parte dei casi viene esclusa[25] la presenza di una novazione vera e propria del contratto, ma solo il fatto che si ponga la questione implica l’utilizzo di una accezione dell’istituto lontana da quella tradizionale.

Con riferimento al contratto di lavoro[26] il riferimento alla novazione è quasi sempre inesatto. L’improprietà del riferimento alla novazione con riguardo ai rapporti di lavoro si evidenza per il fatto che in essi il cosiddetto “accordo novativo” può portare soltanto ad uno scioglimento con effetti ex nunc del rapporto lavorativo, mentre l’effetto estintivo della novazione riguarda sia il rapporto che il contratto.

In presenza di un patto che aumentava o diminuiva il prezzo di una compravendita, nella vigenza del diritto romano il giurista Paolo riteneva che si doveva considerare risolto il primo contratto e conclusa una nuova compravendita, sempre che non vi fosse ancora stato un inizio di esecuzione. Evidenzia la Lambrini[27] che non si poteva ammettere che il patto riferito ad un elemento essenziale si limitasse a modificare il contratto, per cui la fattispecie veniva interpretata nel senso di attribuire efficacia alla concreta intenzione delle parti, nel presupposto che esse intendessero estinguere il primocontratto, ineseguito, sostituendolo con quello nuovo. Tra le motivazioni che potevano indurre le parti a concludere un nuovo contratto di compravendita per lo stesso bene a un prezzo diverso si può immaginare un patto in diem addictio, ossia una condizione risolutiva per la ipotesi in cui entro un certo termine fosse stata proposta al venditore una proposta migliorativa rispetto a quella presentata dal primo potenziale acquirente, il venditore aveva diritto di recedere dal contratto con il primo acquirente, per stipularne un nuovo con il nuovo acquirente.

  1. Contratto modificativo e contratto rinnovativo.

Le fonti romane dimostrano come sul finire dell’età classica fosse nota e utilizzata con una certa frequenza, la possibilità di sostituire un contratto con un nuovo contratto (contractus renovatus) che presentasse elementi essenziali differenti.

Il tratto comune alle due figure del contratto rinnovativo e del contratto novativo era rappresentato dal fatto che entrambe agivano su un preesistente rapporto contrattuale ma il contractus renovatus si colloca all’interno dei negozi aventi la funzione di «regolare» un preesistente rapporto giuridico patrimoniale ex novo, modificandolo o adattandolo alle nuove sopraggiunte esigenze, di guisa che il primo viene assorbito e sostituito dal secondo[28].

Se l’entità del prezzo o del canone di locazione non sono considerati elementi essenziali dei rispettivi contratti, l’accordo successivo volto a modificarli andrebbe inserito nell’ambito dei contratti modificativi, che operano su di un precedentenegozio giuridico, in modo da non far perdere né ad esso né al rapporto che ne è derivato  l’originaria struttura e il relativo tipo.

Il contratto modificativo incide pertanto sul precedente negozio mediante la inerente sostituzione delle nuove clausole alle vecchie, solitamente in riferimento ad elementi accessori, e quindi tali da non incidere sulla originaria consistenza dell’assetto di interessi, di guisa che l’originario rapporto giuridico non si estingue, ma viene solo ampliato o limitato.

Le sentenze che talvolta fanno riferimento, il più delle volte escludendone la configurabilità, al concetto di «novazione del contratto» avrebbero dovuto invece verificare se i patti che modificano il prezzo di una compravendita ovvero il canone di una locazione costituiscano un patto modificativo ovvero un accordo rinnovativo, stabilendo conseguentemente il momento da cui decorrono gli effetti del contratto: la data del primo contratto, se si tratta di atto modificativo, il momento del perfezionamento del nuovo contratto se si tratta di contratto rinnovativo[29].

Nei casi di presunta «novazione» del contratto di lavoro[30] secondo l’opinione che si sta analizzando[31], sarebbe auspicabile fare riferimento alla categoria del contratto rinnovativo, in quanto solitamente è richiesta la prova di un accordo che ponga in essere un rapporto di lavoro affatto diverso da quello preesistente che pertanto si sostituisce completamente a quello precedente nel regolamentare il rapporto.

  1. Novazione dell’obbligazione o novazione del contratto?

A questo punto sembra evidente che sia improprio riferire il concetto di “novazione” al contratto piuttosto che all’obbligazione.

Se anche si ritiene possibile immaginare che quando siano novate le obbligazioni nascenti da un contratto sinallagmatico ad effetti obbligatori non ancora definitivamente adempiuto ne risulti novato, in senso lato, anche il relativo negozio[32], e si volesse descrivere la fattispecie come novazione del “contratto” tale affermazione potrebbe soltanto significare che il contratto fino al momento in cui le parti hanno inteso stipulare il contratto novativo ha prodotto i suoi effetti secondo il programma negoziale originario, e che per effetto del successivo accordo che ha estinto le obbligazioni inizialmente convenute ne ha create di nuove, da tale momento produrrà i suoi nuovi effetti retti voluti dalle parti.

Se ad esempio un contratto di vendita con patto di riservato dominio di una fotocopiatrice, a causa di difficoltà economiche sopravvenute della parte acquirente, prima del pagamento dell’ultima rata di prezzo, ovviamente, venisse novato in contratto di locazione con conseguente riduzione dell’impegno economico mensile dell’utilizzatore, non si potrebbe invero dubitare che una volta novate le obbligazioni dell’ex venditore e dell’ex acquirente ne risulterebbe consequenzialmente novato il contratto con l’evidente constatazione che il contratto originario di vendita a rate ha prodotto i suoi effetti fino al momento dell’accordo novativo che lo ha estinto, e che i nuovi effetti retti dal nuovo accordo novativo inizieranno a decorrere dal momento del perfezionamento della relativa fattispecie.

Il carattere saliente della novazione è pertanto la discontinuità degli effetti retti dal contratto originario e dal successivo accordo novativo.

Ma una volta ammesso che la novazione delle obbligazioni possa determinare di conseguenza il mutamento della causa del contratto, nel senso che avremo due distinti contratti: quello iniziale che viene estinto e quello successivo che viene creato con tale fine, non sembra però giustificata la configurabilità della novazione di un contratto di donazione ad effetti reali, integralmente eseguito, in un contratto di compravendita nel presupposto che possa aversi novazione di un contratto senza estinzione degli effetti dallo stesso già a suo tempo prodotti posto che tale effetto estintivo costituisce l’effetto saliente della novazione.

  1. La “re adhuc integra” nel pensiero di Deiana e l’attualità della sua tesi.

 

Esiste un momento oltre il quale non è più possibile novare alcunché e tale è l’istante nel quale il contratto, a seguito del completamento del programma obbligatorio mediante gli adempimenti di ambo le parti, ha definitivamente prodotto i propri effetti. Oltre tale momento il contratto diventa un fatto storico che ha cessato la propria funzione[33].

Giommaria Deiana nel 1939[34] con riferimento alla fattispecie del “contrarius consensus” rispetto ad un precedente contratto bilaterale non ancora adempito, scriveva “Orbene per quale ragione si dovrebbe in questi casi concedere alle parti l’eccezionale potere di influire sul passato?”. Egli riteneva, e riterrei anche io ancora oggi, necessario tale presupposto per ammettere una novazione: che sia possibile modificare o trasformare un contratto fintantoché ci si trovi di fronte ad una “re adhuc integra[35] o, come anche sostenuto da altra autorevole dottrina, fino a che sia possibile interagire con un contratto i cui effetti non siano completamente esauriti[36].

Un contratto ad effetti reali integralmente eseguito non può quindi né essere ceduto, né essere novato, né essere modificato salvo che con riguardo agli obblighi e alle obbligazioni che siano ancora pendenti (ad esempio riterrei possibile che il venditore prolunghi dopo la conclusione del contratto i termini di prescrizione dell’azione per i vizi della cosa venduta ovvero che un terzo si accolli le garanzie per i vizi e l’evizione nelle ipotesi in cui i termini di decadenza e prescrizione siano ancora pendenti).

Riterrei pertanto inconfigurabile un potere delle parti di procedere alla novazione causale della donazione in compravendita[37] anche perché non si comprende come sia possibile evocare in senso proprio l’istituto della novazione con riferimento ad una ipotesi nella quale si pretenderebbe di lasciare ferma la «titolarità dei diritti a suo tempo donati» mutando la causa dell’originario contratto[38].

  1. Inconfigurabilità della cd. novazione causale priva di effetti estintivo-costitutivi.

La novazione è collocata nell’ambito dei modi di estinzione dell’obbligazione diversi dall’adempimento ed è quindi caratterizzata in maniera ineludibile dal suo necessario carattere estintivo[39].

La dottrina quasi unanimemente[40] individua nella novazione un duplice effetto: quello estintivo della vecchia obbligazione e quello costitutivo della nuova[41].

Non si comprende quindi come possa essere proprio il riferimento a tale istituto in presenza della tesi che vorrebbe far rimanere inalterato l’effetto traslativo che si è già prodotto. In realtà nulla si estinguerebbe né si creerebbe ma, secondo l’opinione avversata, si modificherebbe solamente la giustificazione causale della originaria attribuzione.

Il che non corrisponde affatto al concetto di novazione.

I fautori della tesi qui avversata sono costretti a configurare, accanto alla “novazione reale” caratterizzata da un effetto estintivo-risolutivo seguito da un effetto costitutivo, un “fenomeno” “novativo-trasformativo”[42] che lascerebbe inalterato l’effetto prodotto mutandone solo il profilo causale. E con una siffatta invenzione che snatura completamente i caratteri della «novazione» si realizzerebbe una sorta di miracolo giuridico, non di minor rilevanza rispetto al miracolo della trasformazione dell’acqua in vino alle nozze di Cana.

In realtà se anche si volesse ammettere la possibilità di estendere la novazione anche ai contratti ad effetti reali[43]resterebbe impregiudicata la questione di individuare comunque la presenza dei caratteri ineludibili di tale fattispecie: l’effetto estintivo seguito dall’effetto costitutivo. Ove si escluda in maniera categorica la produzione del primo effetto si deve giocoforza ritenere improprio il richiamo alla disciplina di cui agli art. 1230 e ss. c.c.

  1. Necessità del ricorso all’istituto del mutuo dissenso per l’eliminazione degli effetti prodotti irreversibilmente dalla donazione.

 

Se il famigerato «fenomeno» «novativo-trasformativo» in realtà non ha nulla a che fare con l’istituto della novazione e se si condivide l’idea che un contratto di donazione che abbia prodotto definitivamente i propri effetti non ha obbligazioni pendenti, in quanto gli obblighi alimentari nascenti ex art. 437 c.c. sarebbero oltre che eventuali peraltro indisponibili, si deve necessariamente ammettere che ogni riferimento all’istituto della novazione sia del tutto improprio. Esso è caratterizzato inevitabilmente dall’effetto estintivo[44].

In mancanza di tale effetto è possibile ipotizzare solo una modifica del rapporto obbligatorio non la sua estinzione. E’ stato peraltro osservato[45] che anche in assenza di animus novandi il semplice fatto della oggettiva incompatibilità della nuova obbligazione con quella originaria non dovrebbe determinare necessariamente l’effetto estintivo potendo comportare una semplice modificazione del rapporto.

In questa sede è però necessario ribadire che il risultato di eliminare la precedente donazione può essere conseguito solo utilizzando il contratto di mutuo dissenso[46] il quale potrà eventualmente essere seguito da un contratto di compravendita avente per oggetto lo stesso bene immobile ma non facendo ricorso ad una fantasiosa «novazione trasformativa» che non presenterebbe i caratteri essenziali della novazione e che consentirebbe di modificare la causa di una attribuzione patrimoniale già compiutamente realizzata e che oramai rappresenta un mero fatto storico.

[1] Commissione Amministrativa Regionale di Disciplina (CO.RE.DI.) Marche e Umbria del 9 novembre 2016, inedita. I procedimenti disciplinari connessi alle violazioni di norme deontologiche professionali assumono sempre più rilevanza anche relativamente alle decisioni che da essi promanano, e ad essi si ritengono applicabili tutti i principi in materia di giusto processo di cui all’art-.111 Cost. come statuito dalle Sezioni Unite sezioni unite civili; sentenza 1° luglio 2008, n. 17938 in Foto it., 2009, I, 1548, con nota di SCARSELLI, L’avvocato e il giusto processo disciplinare.

[2] FRIEDMANN, Il notaio e le donazioni/liberalità indirette, in Federnotizie, 2018,  p. 1 ss. e di recente anche per le implicazioni di natura fiscale v. anche GHINASSI, Liberalità indirette e collegamento negoziale, in Consiglio Nazionale del Notariato,  Studio n. 29-2017/T, con particolare riguardo a quanto statuito dalle Sezioni Unite della Cass. Il 27 luglio 2017 n. 18275.

[3] Angeloni, Nuove cautele per rendere sicura la circolazione dei beni di provenienza donativa nel terzo millennio, in Contr. Impr., 2007, p. 933 ss. alle cui tesi ha acutamente replicato Amadio, Attribuzioni liberali e « Riqualificazione della causa » in Riv. dir. civ., 2013, p. 491 ss., successivamente fatto oggetto di critiche dallo stesso Angeloni, Ancora sulla novazione della donazione in vendita: optima repetita iuvant?, in Dir. Giust., 2013. Sul tema si sono anche espressi favorevolmente Santarcangelo, La novazione di donazione, in Notariato, 2011 p. 646 ss. e G. Petrelli, Novazione causale, pubblicità immobiliare, presunta tassatività delle ipotesi di trascrizione, in Riv. not., 2012, p. 968 ss.

[4] Amadio, op. cit., p. 491.

[5] Evidenzia la difficoltà dell’opera dell’interprete con riguardo alla individuazione della causa donativa P. GALLO, La causa e la forma della donazione, in Scritti in memoria di Giovanni Cattaneo, Tomo II, Milano, 2002, 1119 ss. e Id., La causa della donazione, in G. Bonilini (diretto da), Trattato di diritto delle successioni e donazioni, vol. VI, Le donazioni, Milano, 2009, p.  369 ss.; sottolinea quanto l’indeterminatezza e in alcuni casi la contraddittorietà delle formule utilizzate dal legislatore rendano difficile l’opera dell’interprete Amadio, op. cit., p. 492.

[6] CATAUDELLA, I contratti, Parte generale, 4ª ed. Torino, 2014, p. 199.

[7] GIORGI, Teoria delle obbligazioni nel diritto moderno italiano esposta con la scorta della dottrina e della giurisprudenza, III, Firenze, 1885, p. 43 ss.

[8] DEL PRATO, Requisiti del contratto, Art. 1325, in P. Schlesinger (fondato da) – F.D. Busnelli (diretto da), Comm. Cod. Civ.,, Milano, 2013, p. 34 e 35.

[9] Sulla connessione tra causa e forma, v. in particolare Gorla, Il contratto, I, Milano, 1954, p. 80 ss.

[10] Sulla prima espressione cfr. FERRARA F. Jr, Teoria dei contratti, Napoli, 1940, p. 127. Sulla nullità per difetto di causa della donazione, in tema di donazione di bene altrui, si sono espresse recentemente le Sezioni Unite con sentenza n. 5068 del 15 marzo 2016, (in Foro it., 2016, 6, 1, 2074; Contratti, 2016, 10, 877 con nota di Depetris; Corr. Giur., 2016, 5, 610, con nota di Carnevali; Giur. it., 2016, 5, 1081, con nota di Cicero; Notariato 2016, 3, 242, con nota di Pirone; Fam. e dir., 2016, 11, 1050, con nota di Ambanelli). La Corte, in contrasto con l’orientamento precedente, secondo cui la nullità della donazione di beni altrui si fondava sull’applicazione analogica del divieto di donare beni futuri di cui all’art. 771, ha affermato che la donazione di bene altrui è nulla per difetto di causa ai sensi del combinato disposto degli artt. 769, 1325 e 1418, secondo comma, c.c; causa che consisterebbe nell’incremento del patrimonio altrui con depauperamento del proprio. Secondo le Sezioni Unite, peraltro, una piana lettura dell’art. 769 c.c. dovrebbe indurre a ritenere che, escluso il caso della donazione obbligatoria, «l’appartenenza del bene oggetto di donazione al donante costituisca elemento essenziale del contratto di donazione, in mancanza del quale la causa tipica del contratto non può realizzarsi».

[11] Così v. SCAGLIONE, Il comodato, Artt. 1803 – 1812, in P. Schlesinger (fondato da) – F.D. Busnelli (diretto da), Comm. Cod. Civ., Milano, 2011, p. 26 ss., secondo cui «forma solenne donativa e dogma della realità sono relitti storici superati tutte le volte in cui gli interessi delle parti emergono con sufficiente chiarezza».

[12] SCAGLIONE, op. cit., p. 56 ss.

[13] In tal caso v. SCAGLIONE, op.cit., p. 67

[14] Una analisi attenta è condotta da Amadio, op. cit., p. 493 ss.

[15] Damiani, Comm. all’art. 769 c.c., in del Prato, Delle donazioni, in Comm. cod. civ. Scialoja-Branca continuato da De Nova, 2019, p. 43 ss.

[16] Biscontini, Onerosità, corrispettività e qualificazione dei contratti. Il problema della donazione mista, Napoli, 1984, p. 60 ss.

[17] Sostenuta da Angeloni, op.cit. p. 949 ss.

[18] Sulla novazione si vedano: BUCCISANO, Novazione, in Enc. giur., XXI, Roma, 1990; DORIA, La novazione dell’obbligazione, Milano, 2012, in particolare sui rapporti tra n. e renovatio contractus pag. 153 ss.; ROMEO, La novazione, in Tratt. dir. civ. diretto da Sacco, IV, Torino, 2012, pag. 51 ss.; BUCCISANO, La novazione oggettiva e i contratti estintivi onerosi, Milano, 1968, p. 85 ss.; MAGAZZÙ, voce Novazione (diritto civile), in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, p. 821 ss.; DI PRISCO, Novazione, in Trattato di diritto privato a cura di Rescigno, IX, Obbligazioni e contratti, Torino, 1984, p. 266 ss.; C.B. PUGLIESE, La novazione, in “L’estinzione dell’obbligazione senza adempimento”, Torino, 2010, pag. 74; LAMBRINI, La novazione, in Trattato delle obbligazioni a cura di Garofalo e Talamanca, III, I modi di estinzione a cura di A. Burdese e E. Moscati, Padova, 2008, 453 ss.

[19] Amadio, op. cit., p. 510 ss.

[20] In Foro it., 1995, I, 2963 ss. con nota di D’AQUINO.

[21] P. LAMBRINI, Novazione del contratto o contratto rinnovativo?, in Modelli teorici e metodologici nella storia del diritto privato a cura di R. Fiori, Napoli, 2008, p. 261 ss.

[22] Fa presente la LAMBRINI, op. ult. cit., p. 261, che in entrambi i casi non sarà neppure opponibile l’eccezione di inadempimento: cfr. ENRIETTI, Della risoluzione del contratto, in Commentario. Libro delle obbligazioni a cura di D’AMELIO – FINZI, I, Firenze, 1948, 851; PERSICO, L’eccezione di inadempimento, Milano, 1955, 222; REALMONTE, voce Eccezione di inadempimento, in Enc. dir., XIV, Milano, 1965, 237.

[23] Sul contratto modificativo ad effetti non novativi si vedano: GORLA, La rinuncia e il contratto modificativo, l’offerta irrevocabile nella civil law e nella common law, in Riv. dir. comm., 1952, p. 341; ZACCARIA, La prestazione in luogo dell’adempimento fra novazione e negozio modificativo del rapporto, Milano, 1987, p. 179 ss.; MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, p. 361 ss. e più di recente STEFANELLI, Note in tema di negozio modificativo, in Persona e mercato, 2011, p. 223 ss.. Fa presente . GORLA, Quid dei pacta adiecta ex intervallo. Spunti per una ricerca comparatistica, in Riv. dir. comm., 1966, I, 262, che il negozio modificativo corrisponde parzialmente ai «patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento» di cui all’art. 2723 c.c., i quali corrispondono grossomodo ai pacta adiecta ex intervallo dei testi giustinianei.

Sul tema della rinnovazione del negozio si vedano anche: NICOLÒ, Il riconoscimento e la transazione nel problema della rinnovazione del negozio e della novazione dell’obbligazione, in Raccolta di scritti, Milano, 1980, I, p. 398 ss.; IRTI, La ripetizione del negozio giuridico, Milano, 1968; GRANELLI, Riproduzione e innovazione del contratto, Milano, 1988; ID., Riproduzione (e rinnovazione) del negozio giuridico, voce di Enc. dir., XL, Milano, 1989, p. 1048.

[24] Fa presente giustamente che in tal caso si ha un contratto sostitutivo di precedente contratto LAMBRINI, La novazione,op. cit., p. 472 e 473.

[25] «Le sole variazioni di misura del canone e la modificazione del termine di scadenza non sono di per sé indice della novazione di un rapporto di locazione, trattandosi di modificazioni accessorie della correlativa obbligazione o di modalità non rilevanti»: così Cass. 19 novembre 1999, n. 12838, in «Arch. locaz.», 2000, 249; cfr. Cass. 21 maggio 2007, n. 11672, in «Foro it. Mass.», 2007, 887. Più di recente si veda Cass. 9 marzo 2010, n. 5665 in Persona e mercato, 2011, p. 220 ss., con nota di STEFANELLI, Note in tema di negozio modificativo.

[26] Cass. 27 novembre 2002, n. 16805, in «Giust. civ. Mass.», 2002, 2065; Cass. 19 aprile 2003, n. 6369, in «Mass. giur. lav.», 2003, 774; Cass. 20 maggio 2002, n. 7310, in « Orientamenti della giurisprudenza del lavoro», 2002, I, 486.

Ritiene che il rapporto di lavoro non esaurendosi nel sinallagma intercorrente tra le prestazioni delle parti ma essendo qualcosa di più complesso, in quanto ricomprende una serie di situazioni giuridiche, che alle prestazioni fondamentali si accompagnano e che sono considerate insieme con esse sotto un profilo unitario, non tolleri che la sua vicenda estintivo-costitutiva possa essere ricondotta alla figura della novazione, P. TOSI, Considerazioni in tema di novazione oggettiva del rapporto di lavoro, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1969, p. 195. Più di recente vedasi F. PALADINO, Novazione: orizzonti e prospettive negoziali e giuslavoristiche, in Orientamenti della giurisprudenza del lavoro, 2007, p. 131 ss.

[27] LAMBRINI, op. ult. cit., p. 265 ss.

[28] CRISCUOLI, Contributo alla specificazione del negozio modificativo, in Giust. civ., 1957, I, p. 847 ss.

[29] Sembrano particolarmente interessanti le conclusioni cui autorevolmente giunge DEL PRATO, La transazione, da ultimo in Fuori dal processo. Studi sulle risoluzioni negoziali delle controversie, Torino, 2016, p. 46, là dove preso atto della generale funzione innovativa della transazione rispetto alla res controversa si sostiene che la cd. transazione «novativa» vada piuttosto definita come transazione appieno novativa.

[30] Nel caso di trasformazione di un rapporto di lavoro subordinato in lavoro autonomo si richiede oltre all’accertamento della volontà espressa delle parti diretta a mutare il nomen iuris e il regime del rapporto, anche un effettivo mutamento dello svolgimento delle prestazioni lavorative come conseguenza del venir meno dell’assoggettamento del lavoratore al datore di lavoro, anche se dovesse rimanere identico il contenuto della prestazione: cfr. Cass. 13 luglio 2000, n. 9292, in «Riv. it. di dir. del lav.», 2001, 220 ss., con nota di M. TIRABOSCHI; Cass. 17 agosto 2004, n. 10938, in «Giur. it. Mass.», 2004, 1262. In presenza invece di una mera modifica secondaria del rapporto, come la sostituzione dell’orario di lavoro a tempo parziale con quello a tempo pieno, si ha solo un negozio modificativo e non certo una novazione. Sulla riconduzione del rapporto di lavoro a progetto (collaborazione coordinata e continuativa) in contratto di lavoro subordinato in base a taciti accordi modificativi consistenti nell’effettiva sottoposizione del lavoratore agli ordini impartiti dal datore e con riguardo alle modalità e alla ricorrenza della somministrazione del compenso vedasi Cass. 26 settembre 2019, n. 24100, in https://www.eius.it/giurisprudenza/2019/551.

[31] LAMBRINI, op. ult. cit., p. 272 ss.

[32] In tal senso BIANCA, Diritto civile, 3, Il contratto in genere, Milano, 2000, p. 295 ss.

[33] A tal riguardo è utile la lettura della suggestiva visione di IRTI, Il negozio giuridico come categoria storiografica, in Quaderni fiorentini, 19, Milano, 1990, pag. 561 ss.

[34] DEIANA, «CONTRARIUS CONSENSUS», in Riv. dir. priv., 1939, p. 105.

[35] DEIANA, op. cit., p. 112.

[36] Amadio, op. cit., p. 507 e p. 510.

[37] Non sembra peraltro plausibile che si possa descrivere la soluzione qui avversata come “l’uovo di colombo”, «una soluzione semplice e lineare che risolve in modo efficiente il problema della circolazione giuridica successiva in presenza di titolo di provenienza donativo senza pregiudicare alcun interesse meritevole di tutela» come scrive G. SANTARCANGELO, op. cit., p. 970.

[38] Così ANGELONI, Nuove cautele …., cit., p. 20. Nello stesso senso è orientato VALENZA, Novazione oggettiva e donazione, in Federnotizie, 2011, p. 248 ss. il quale peraltro inizialmente sembra affrontare il tema della relazione tra novazione oggettiva e donazione nel senso di sostituire l’oggetto della donazione con altro immobile o con una somma di denaro, il tutto mediante un meccanismo estintivo (della prima donazione) e costitutivo (della nuova donazione con oggetto diverso) il che sembrerebbe richiamare un istituto del tutto diverso rispetto alla novazione in senso proprio quale quello del mutuo dissenso seguito da una nuova donazione, ma poi finisce per aderire alla tesi di Angeloni, con ciò snaturando completamente qualsiasi riferimento alla disciplina della novazione.

[39] Per tutti si veda DI PRISCO, Novazione, in Tratt. Dir. priv. diretto da Rescigno, 9, Obbligazioni e contratti, Tomo 1, Torino, 1984, p. 262; più di recente cfr. LAMBRINI, La novazione, in Trattato delle obbligazioni, diretto da Garofalo e Talamanca, III, I modi di estinzione, a cura di Burdese e Moscati, Padova, 2008, p. 453 ss. e DORIA, La novazione dell’obbligazione, in Tratt. dir. civ. e comm. già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, 2012, spec. P. 29 e ss. ove il concetto di novazione è posto in relazione a quello di modificazione dell’obbligazione.

Nota BRECCIA, Le obbligazioni, Milano, 1991, pag. 697 che la novazione è «quel complesso meccanismo estintivo e al tempo stesso costitutivo» concernente le obbligazioni.

[40] BIANCA, Diritto Civile, Vol. III, Le obbligazioni, Milano, 2015, p. 443-460; SCHLESINGER, Mancanza dell’effetto estintivo della novazione oggettiva, in Riv. Dir. Civ., 1958, I, p. 353. Diverso è il profilo autorevolmente indagato da P.  PERLINGIERI, Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, in Comm. cod. civ. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1975, pag. 142 ss. il quale ipotizza la novazione aleatoria, attraverso cui le parti potrebbero spezzare il nesso sinallagmatico tra effetto estintivo ed effetto costitutivo, ad esempio quando si sostituisce una obbligazione pura ad una obbligazione condizionata sospensivamente.

[41] In giurisprudenza, ex multis, Cass. civ., Sez. III, 9 marzo 2010, n. 5665, in Obbl. e Contr., 2012, p. 2, con nota di STEFANELLI, Note in tema di negozio modificativo; Cass. civ., Sez. II, 20 marzo 2007, n. 6550, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2007, 12, 1, p. 1412 ss. con nota di GELLI, Successione di contratti tra simulazione e novazione.

[42] Così letteralmente VALENZA, op. cit., p. 250.

[43] Diversa è la questione relativa alla applicabilità della donazione anche ai diritti reali oltre che alle obbligazioni. Per tali diritti però la dottrina e la giurisprudenza dominanti ammettono solamente i concetti di surrogazione reale, nell’ipotesi di conversione dell’oggetto del diritto nel suo equivalente, e di successione per mutamento dei soggetti. Cfr. DI PRISCO, op. cit., p. 263, nota 2.

[44] ALLARA, Le fattispecie estintive del rapporto obbligatorio, Torino, 1952, p. 142 ss., ha tentato di costruire una figura generale di contratto estintivo accomunando, nella sua analisi, la novazione, la datio in solutum, la compensazione volontaria, ritenendo comunque sempre necessaria la produzione dell’effetto estintivo quale effetto necessario di tale negozio. Peculiare è la diversa posizione di RESCIGNO, Novazione, in Noviss. Dig. It., XI, Torino, 1965, p. 434, il quale ritiene che la novazione sia un effetto determinato dalla incompatibilità del nuovo rapporto con quello originariamente esistente tra le parti, effetto giuridico peraltro che potrebbe dipendere anche da una fonte non contrattuale.

[45] ZACCARIA, Novazione, in Digesto civ., XII, Torino, 1995, p. 285.

[46] LUMINOSO, Il mutuo dissenso, Milano 1980, p. 256 ss.; CAPOZZI, Il mutuo dissenso nella pratica notarile, in Vita not. 1993, p. 638 ss.; FRANZONI, Il mutuo consenso allo scioglimento del contratto, in Tratt. Dir. priv. diretto da Bessone, XIII, Il contratto in generale, V, Torino 2002, p. 15 ss., 31 ss.; sul tema si rinvia a CEOLIN, Sul mutuo dissenso in generale e, in specie, parziale del contratto di donazione, Studio n. 52-2014/C approvato dall’Area Scientifica – Studi Civilistici il 21 marzo 2014 e ALCARO, Il mutuo dissenso, Studio n. 434-2012/C, approvato dalla Commissione Studi Civilistici del 17 gennaio 2013.