LA COGNIZIONE SUL CREDITO VANTATO DAL CREDITOR CREDITORIS NELLA SOSTITUZIONE ESECUTIVA EX ART. 511 C.P.C.

Di Valentina Baroncini -

Sommario: 1. Breve inquadramento dell’istituto della sostituzione esecutiva di cui all’art. 511 c.p.c. e del dibattito insorto intorno alla sua natura giuridica; necessaria e preliminare presa di posizione sul punto. – 2. La domanda di sostituzione esecutiva. – 3. La (mancata) cognizione sulla domanda di sostituzione esecutiva. – 4. (Segue). Analisi e superamento delle problematiche connesse alla ricostruzione proposta. La compatibilità della sostituzione esecutiva con i principi costituzionali regolatori del processo civile. – 5. La contestazione sulla domanda di sostituzione esecutiva: il momento della cognizione.

 1.Breve inquadramento dell’istituto della sostituzione esecutiva di cui all’art. 511 c.p.c. e del dibattito insorto intorno alla sua natura giuridica; necessaria e preliminare presa di posizione sul punto.La sinteticità del dato normativo, la collocazione topografica dell’istituto e le sue indubbie peculiarità rappresentano le principali cause della molteplicità di opinioni fiorite in dottrina circa la natura giuridica da riconoscere alla domanda che, ai sensi dell’art. 511 c.p.c., il creditor creditoris può avanzare al fine di farsi sostituire al proprio debitore diretto (a sua volta creditore diretto dell’esecutato) nella distribuzione della somma ricavata all’esito della procedura esecutiva.

Se, infatti, nel vigore del codice di rito del 1865, l’art. 715 riconosceva espressamente a tale istituto una duplice natura – l’una surrogatoria, finalizzata a far valere e conservare le ragioni del debitore diretto del creditor creditoris nei confronti dell’esecutato; l’altra satisfattiva, volta alla collocazione del creditor creditoris sulla somma ricavata dall’esecuzione e spettante al suo debitore diretto[1] -, l’entrata in scena del nuovo codice parrebbe aver eliminato la prima connotazione, a tutto favore della seconda: ciò che ha indotto alcuni commentatori a riconoscere, appunto, alla domanda di cui al “nuovo” art. 511 c.p.c. funzione esclusivamente satisfattiva[2], ancorché siano perdurate ricostruzioni aderenti alla configurazione originaria dell’istituto[3].

L’adesione all’una o all’altra tesi ha conseguenze, in primo luogo, sul piano dei poteri esercitabili dal creditor creditoris nell’ambito della procedura esecutiva avviata, in quanto solo riconoscendo natura (anche) surrogatoria all’iniziativa ex art. 511 c.p.c. si può poi attribuire a tale soggetto il potere di compiere utendo iuribus i singoli atti dell’espropriazione forzata.

A parere di chi scrive, il miglior inquadramento che possa essere offerto dell’iniziativa in discorso è quello che vorrebbe riguardarla quale azione diretta concessa ex lege al creditor creditoris, al fine di consentire a tale soggetto di soddisfare direttamente e immediatamente la pretesa vantata nei confronti del proprio debitore diretto tramite l’incameramento della somma a questi dovuta dal debitore esecutato. Tale scelta di campo ha, crediamo, due immediate conseguenze. In prima battuta, essa comporta fatalmente il ripudio dell’impostazione favorevole a ravvisare nell’iniziativa ex art. 511 c.p.c. una fattispecie di natura surrogatoria. In secondo luogo – e della rilevanza dell’affermazione si avrà modo di rendersi conto nell’immediato prosieguo del presente scritto -, unitamente ad essa si vuole negare la necessità, per il creditor creditoris che agisca in via di sostituzione esecutiva, di essere munito di un titolo esecutivo: ciò in quanto, in virtù dell’esercizio di un’azione diretta, il creditor creditoris diviene creditore diretto del debitor debitoris, verso il quale, però, egli non può, con tutta evidenza, essere munito di un titolo, non esistendo sul piano del diritto sostanziale un rapporto obbligatorio intercorrente tra tali soggetti; d’altra parte, la legittimazione ad agire in via di sostituzione esecutiva è, come si diceva, conferita direttamente dalla legge al ricorrere dei presupposti ivi indicati (la titolarità di un diritto di credito nei confronti di un creditore avente diritto alla distribuzione nell’ambito di un’esecuzione pendente), sicché la richiesta del possesso di un titolo esecutivo – che, giocoforza, potrebbe sussistere solo nei confronti del debitore-creditore, il quale però, una volta esperita l’azione diretta, non sarà più il debitore diretto del creditor creditoris -, appare come un’inutile sovrastruttura.

La scelta di campo appena svolta appare veramente inevitabile, alla luce degli sviluppi che il presente lavoro conoscerà nel corso delle prossime pagine. Tuttavia, come chiarito sin dal titolo, essa non rappresenta l’oggetto centrale (né il presupposto indefettibile) della presente indagine, che vuole essere per quanto possibile limitato al momento dell’attività di cognizione o accertamento cui è assoggettato il credito di cui è titolare il creditor creditoris che assuma l’iniziativa ex art. 511 c.p.c.

Nel prosieguo del presente lavoro si procederà, allora, ad analizzare la domanda di sostituzione esecutiva sotto i soli e specifici profili involgenti la cognizione esercitata sul credito di cui sia titolare il soggetto che tale domanda abbia proposto.

2.La domanda di sostituzione esecutiva.Lasciando per il momento impregiudicato il tema – che, potremmo dire, al contempo rappresenta interrogativo di partenza e punto d’approdo dell’indagine che ci occupa – relativo all’effettiva esistenza di un’attività di cognizione esercitata dal giudice dell’esecuzione sul credito vantato dal creditor creditoris nei confronti del creditore diretto dell’esecutato, è indubbio che, in ogni caso, l’innesco di detta attività sarebbe subordinato alla presentazione della domanda di sostituzione proposta ai sensi dell’art. 511 c.p.c. qui in esame.

Rifacendoci, allora, al mero dato testuale di tale norma, essa dispone che la domanda di sostituzione esecutiva si proponga «a norma dell’articolo 499, secondo comma», ossia secondo le forme previste per l’intervento esercitato dai creditori nel processo esecutivo. Il richiamo, come da sempre evidenziato sia in dottrina sia in giurisprudenza[4], è da intendersi in senso esclusivamente formale, non essendo finalizzato a qualificare la domanda ex art. 511 c.p.c. quale mezzo di intervento nel processo esecutivo – e, dunque, ad attuare una assimilazione sostanziale tra i due istituti -, bensì soltanto a dettare la normativa in materia di forma e requisiti della domanda medesima.

Ciò chiarito, è possibile affermare che la domanda di sostituzione esecutiva riveste la forma del ricorso contenente, in prima battuta – e per quanto di diretto interesse ai fini della presente indagine -, l’indicazione del credito vantato dal creditor creditoris nonché del titolo di esso.

Al fine di correttamente indirizzare l’indagine, è peraltro opportuno affrontare immediatamente una questione in relazione alla quale, peraltro, già si è avuta occasione di assumere posizione. L’intervento nel processo esecutivo, come noto, generalmente richiede, secondo quanto precisato dall’art. 499, primo comma, c.p.c., il possesso del titolo esecutivo in capo al creditore che voglia esercitare tale iniziativa. Nonostante tale previsione non sia espressamente richiamata nell’ambito del rinvio effettuato dall’art. 511 c.p.c., limitato al comma secondo della norma testé ricordata, può essere comunque legittimo domandarsi se il possesso di un titolo esecutivo (evidentemente nei confronti del creditore del debitore esecutato, unico soggetto a essere debitore diretto del creditor creditoris) sia o meno necessario ai fini della proposizione della domanda di cui all’art. 511 c.p.c. Proprio con riguardo a tale questione si riscontra uno degli approdi comuni delle differenti ricostruzioni che si sono brevemente richiamate nelle battute iniziali di questo lavoro, approdo cui chi scrive ritiene di poter aderire. Il riferimento è alla conclusione secondo cui si ritiene non necessario, da parte del creditor creditoris, essere in possesso di un titolo esecutivo nei confronti del proprio debitore (a sua volta creditore diretto del debitore esecutato): assunto, questo, che viene principalmente argomentato muovendo dalla fase del processo di esecuzione in cui è destinato a venire in gioco l’istituto di cui all’art. 511 c.p.c., ossia quella della distribuzione del ricavato, in cui l’esistenza del titolo esecutivo perde fatalmente rilevanza[5]. Tale assunto è stato recentemente confermato dai giudici di legittimità, che hanno ribadito come, ai fini della presentazione della domanda ex art. 511 c.p.c., non sia necessario il possesso, in capo al creditor creditoris, di un titolo esecutivo, né sia necessario che il credito da esso vantato presenti i noti requisiti di certezza, esigibilità e liquidità[6].

In una posizione diametralmente opposta rispetto alla communis opinio appena richiamata si pone, peraltro, il recente e autorevole tentativo di affermare la necessità che il creditor creditoris sia in possesso di un titolo esecutivo nei confronti del proprio debitore diretto, ovvero si trovi in una delle situazioni legittimanti l’intervento descritte dall’art. 499, primo comma, c.p.c.: opinione, questa, fondata sul presupposto per cui, avverso il creditore-debitore, verrebbe instaurata un’iniziativa di natura esecutiva, giocoforza assoggettata al principio nulla executio sine titulo[7]. Un’efficace critica a tale posizione può essere compendiata nei termini espressi da altro autore – cui, per quanto già detto in apertura del presente lavoro, non si può che aderire -, il quale bene ha osservato che richiedere che il creditor creditoris sia munito di titolo esecutivo nei confronti del proprio debitore diretto rappresenta un onere del tutto superfluo in quanto nei confronti di quest’ultimo non è in corso alcun processo di esecuzione forzata nell’ambito del quale un titolo possa essere effettivamente richiesto[8]. Non appare sostenibile, infatti, l’idea che l’istituto in esame implichi l’instaurazione di una procedura esecutiva nei confronti del debitore diretto del creditor creditoris, che si inserisca in modo incidentale rispetto all’esecuzione instaurata avverso il debitor debitoris: l’azione esperita dal terzo creditore, infatti, non è volta a porre un vincolo sul patrimonio del proprio debitore diretto, allo scopo di soddisfarsi coattivamente su di essi, bensì, più semplicemente, a realizzare la propria pretesa direttamente e immediatamente all’interno della procedura esecutiva instaurata contro il debitor debitoris.

La precisazione poc’anzi svolta, nel senso della non necessità del possesso di un titolo esecutivo in capo al creditor creditoris, conduce a fissare un primo punto d’approdo dell’indagine in corso: l’operazione ricostruttiva che si sta compiendo dovrà essere effettuata avendo essenzialmente riguardo all’intervento del creditore non titolato.

Ciò chiarito, è possibile tornare sul tema cui è dedicato il presente paragrafo, ossia al contenuto della domanda di sostituzione esecutiva. In materia di intervento (non titolato), il requisito inerente all’indicazione del credito e del titolo di esso, in assenza di ulteriori riferimenti normativi, è comunemente inteso nel senso per cui occorra individuare la fattispecie costitutiva del diritto di credito, senza che si imponga, al contempo, la produzione di una prova documentale che dimostri l’esistenza di tale fattispecie[9]. Secondo determinate opinioni, tuttavia, la necessità di produrre una prova documentale si collocherebbe non sul piano della fondatezza della pretesa del creditore interveniente, bensì sul differente terreno della sussistenza della legittimazione a intervenire in capo ai creditori non titolati, fatto salvo il caso in cui tale presupposto non possa essere comunque ricavato dagli atti e dai documenti già presenti nel fascicolo dell’esecuzione[10].

Traslando tali risultati sul terreno della domanda di sostituzione di cui all’art. 511 c.p.c., ne dovrebbe allora conseguire che il creditor creditoris sia tenuto a indicare il diritto di credito vantato nei confronti del proprio debitore diretto (a sua volta, creditore diretto del debitore esecutato), unitamente alla causa petendi dello stesso, senza essere tenuto a produrre, a sostegno della domanda ex art. 511 c.p.c., una prova documentale che dimostri l’esistenza del diritto di credito predetto[11], ovvero, si aggiunge, la sua legittimazione a proporre l’istanza di sostituzione ex art. 511 c.p.c.: a tal fine, in definitiva, si deve infatti considerare necessaria e sufficiente la mera affermazione della titolarità di un credito nei confronti del creditore diretto dell’esecutato.

In conclusione, riassumendo i risultati sin qui raggiunti e utili ai fini del prosieguo dell’indagine, alla domanda di sostituzione esecutiva ex art. 511 c.p.c. presentata dal creditor creditoris non deve essere allegato né il titolo esecutivo del credito vantato nei confronti del proprio debitore diretto (a sua volta creditore diretto del debitor debitoris), né una prova documentale dimostrativa dell’esistenza del credito medesimo ovvero della legittimazione a esperire l’iniziativa in discorso. Appare sufficiente, di conseguenza, l’affermazione compiuta dallo stesso di essere titolare di un diritto di credito verso il creditore-debitore, nei cui confronti si ambisce ad attuare il meccanismo di sostituzione in sede di riparto[12].

3.La (mancata) cognizione sulla domanda di sostituzione esecutiva. Così definito e identificato l’atto idoneo a introdurre all’interno del processo esecutivo la pretesa vantata dal creditore istante ex 511 c.p.c., è tempo di dedicarci allo specifico profilo inerente all’attività di cognizione destinata a svolgersi su tale pretesa medesima, allo scopo di verificare se e in quali forme essa avvenga, nonché di risolvere le problematiche eventualmente implicate dalla proposta ricostruttiva che verrà formulata. A detto fine, di nuovo si farà procedere l’analisi dal testo normativo, il quale, lo si anticipa sin d’ora, sostanzialmente nulla dice in ordine alla cognizione esercitata sul diritto del creditor creditoris, fatte salve alcune scarne e implicite indicazioni.

In primo luogo, infatti, sia per collocazione topografica della norma, sia per il fatto che è il «creditore avente diritto alla distribuzione» a costituire il soggetto della vicenda di sostituzione cui si riferisce la norma – ciò che evidentemente presuppone che la sostituzione avvenga a discapito di un creditore già ammesso ai riparti -, sembra doversi dedurre che il momento temporale in cui la domanda ex art. 511 c.p.c. può essere conosciuta e decisa dal giudice dell’esecuzione sia quello della distribuzione del ricavato, ossia successivamente all’avvenuta vendita o assegnazione dei beni pignorati. Questo dato, come già si è rilevato, è utilizzato come argomento a favore della non necessità, per il creditor creditoris, di essere in possesso di un titolo esecutivo da produrre unitamente alla propria domanda[13].

Il secondo comma dell’art. 511 c.p.c. fornisce poi un ulteriore elemento utile a definire il tema che ci occupa. Ivi si precisa, infatti, che il giudice dell’esecuzione debba procedere alla distribuzione nei confronti del creditor creditoris che abbia fatto istanza di sostituzione al creditore diretto dell’esecutato, aggiungendo che le eventuali contestazioni che siano sollevate nei confronti della domanda ex art. 511 c.p.c. non possano ritardare la distribuzione tra gli altri creditori; piuttosto, tali contestazioni – da trattare nelle forme di cui al successivo art. 512 c.p.c. – possono eventualmente sfociare nella sospensione della distribuzione della somma ricavata, solo limitatamente alla parte interessata dalla domanda di sostituzione.

Dal quadro dianzi brevemente tratteggiato sembra doversi desumere che, in assenza di contestazione sulla domanda di sostituzione esecutiva, il giudice dell’esecuzione non sia chiamato in alcun modo a conoscere della stessa – e dunque dei profili inerenti alla legittimazione e alla fondatezza della pretesa vantata dal creditor creditoris -, ma debba automaticamente ammettere tale soggetto a partecipare alla distribuzione in sostituzione del creditore diretto dell’esecutato: e ciò, lo si ripete, pure se la domanda predetta non risulti in alcun modo corredata da prova documentale a sostegno dell’esistenza del diritto di credito vantato dal sostituto nei confronti del sostituito, essendo sufficiente, a tal fine, in uno con la mancata contestazione della domanda, la mera affermazione della titolarità di siffatta situazione giuridica soggettiva in capo all’istante.

Lo schema, per proseguire in un accostamento che costituisce il leit motiv degli studi nella materia de qua, ricorda la vicenda che interessa l’accertamento delle pretese di cui siano titolari i creditori intervenuti privi di titolo esecutivo. Per quanto qui interessa, infatti, l’art. 499, sesto comma, c.p.c., dispone che in caso di (riconoscimento ovvero) mancata comparizione del debitore all’udienza fissata per disporre la vendita o l’assegnazione dei beni pignorati, i crediti per cui hanno avuto luogo interventi non titolati (e, dunque, non assistiti da titolo esecutivo), si abbiano per riconosciuti.

Anche con riguardo alla sostituzione esecutiva, dunque, ci si troverebbe al cospetto di una situazione in cui, a fronte della presentazione di una domanda di partecipazione al processo esecutivo non corredata da titolo esecutivo, né – come si è visto sopra – accompagnata da prova documentale del credito affermato, la mancata comparizione da parte del debitore all’udienza vale a integrare una fattispecie di riconoscimento tacito circa la fondatezza della domanda di sostituzione esecutiva presentata[14].

Se quanto sin qui detto è corretto, occorre concludere, per fissare un ulteriore punto d’approdo nella presente indagine, che sulla domanda di sostituzione esecutiva – nonché, conseguentemente, sul credito di cui è titolare il creditor creditoris – possa, in definitiva, mancare del tutto un’attività di cognizione da parte del giudice dell’esecuzione.

Un importante studio condotto sul tema[15] ha accostato la fattispecie sin qui esposta, sia pur a fini meramente descrittivi, al procedimento monitorio documentale: si tratterebbe, in particolare, di un’azione di cognizione a carattere sommario e fondata sulla prova documentale[16] del credito vantato dal creditor creditoris, destinata a instaurare un giudizio tra quest’ultimo e il creditore-debitore utilmente collocato nei piani di riparto dell’esecuzione in corso, e a sfociare infine in un provvedimento (non da successivamente porre in esecuzione, alla stregua di un decreto ingiuntivo, ma) già e direttamente portato ad attuazione nella procedura esecutiva cui la domanda di sostituzione accede; tale provvedimento – emesso, lo si ripete, sulla base di una cognizione sommaria e puramente documentale – sarebbe poi suscettibile di opposizione (ai sensi del comb. disp. degli artt. 511, secondo comma, e 512 c.p.c.), destinata ad avviare una cognizione piena sul merito della domanda di sostituzione presentata[17].

La ricostruzione è apparsa a chi scrive particolarmente seducente e, probabilmente, ha costituito uno degli stimoli alla decisione di sviluppare le riflessioni che si stanno condividendo. Si è già avuto modo di far intendere, infatti, come la vicenda che interessa la domanda di sostituzione esecutiva ex art. 511 c.p.c. sia assimilabile a quella della pronuncia di un provvedimento fondato sulla non contestazione della controparte, ferma la possibilità per quest’ultima di presentare le proprie doglianze ex post, instaurando una controversia ai sensi del successivo art. 512 c.p.c. Rispetto all’indagine di Capponi appena ricordata, le premesse poste nelle pagine precedenti spingono però, ineludibilmente, a inquadrare la vicenda – pur sempre, beninteso, a fini meramente descrittivi – nello schema del procedimento monitorio non documentale, bensì puro[18]: il “parallelismo formale” sussistente tra l’istituto de quo e l’intervento non titolato, sin qui sviluppato, dovrebbe infatti condurre ad affermare l’assenza della necessità, in capo al creditor creditoris, di allegare alla propria domanda ex art. 511 c.p.c. la prova documentale a dimostrazione della propria legittimazione ovvero dell’esistenza del proprio diritto di credito (oltre al titolo esecutivo).

Dunque, a fronte della proposizione della domanda di sostituzione esecutiva, recante esclusivamente l’affermazione della pretesa del creditor creditoris, il giudice dell’esecuzione sarebbe tenuto a sostituire tale soggetto, nell’ambito del progetto di distribuzione, al creditore sostituito, mediante un provvedimento di modifica del progetto medesimo che, in assenza di contestazione, è immediatamente esecutivo e perciò idoneo ad assicurare immediatamente all’istante ex art. 511 c.p.c. la possibilità di percepire la somma di denaro ad esso spettante, in luogo del sostituito.

A differenza di quanto avviene in relazione alla domanda di sostituzione esecutiva, però, si è visto come, con riguardo all’intervento non titolato, sia possibile rinvenire aliunde i documenti idonei a dimostrare, quantomeno, la legittimazione in capo al creditore; d’altro canto, l’accertamento del credito si fonda in ogni caso su attività destinate a svolgersi nell’ambito di un’udienza a ciò espressamente dedicata. Tali differenze, che paiono assicurare maggiori garanzie ai soggetti coinvolti nella presentazione di una domanda di intervento non titolato, rispetto a quelli che subiscono la presentazione di una domanda di sostituzione ex art. 511 c.p.c., ci inducono, pertanto, ad affrontare alcune problematiche implicate dall’inquadramento proposto.

4.(Segue). Analisi e superamento delle problematiche connesse alla ricostruzione proposta. La compatibilità della sostituzione esecutiva con i principi costituzionali regolatori del processo civile.Riassumendo i risultati raggiunti sinora, si può affermare come la proposta interpretativa sin qui sviluppata muova da un accostamento – sia pure meramente descrittivo – con il procedimento monitorio puro[19], pur mantenendo, al contempo, un costante parallelismo con la vicenda che interessa la domanda di intervento presentata dal creditore non titolato. A differenza di quest’ultima, però, si è visto come la posizione del creditor creditoris che proponga istanza ex art. 511 c.p.c. appaia in un certo senso privilegiata, mancando, in sintonia col procedimento monitorio puro, l’onere di allegare la prova dimostrativa del credito (ovvero della propria legittimazione). Ciò conduce, in definitiva, alla possibilità che la realizzazione della pretesa di tale soggetto si fondi sulla mera contestazione degli altri soggetti potenzialmente coinvolti[20], e dunque senza che vi sia cognizione (piena) sul diritto vantato dal creditor creditoris, che neppure deve offrire un supporto probatorio a quanto affermato. La situazione sembra, allora, imporre una verifica di compatibilità costituzionale alla luce dei diritti di difesa e al contraddittorio di cui agli artt. 24 e 111 Cost., facenti capo agli altri soggetti coinvolti nell’esecuzione, i quali, come detto, appaiono maggiormente compressi rispetto a quanto avviene in caso di intervento non titolato[21].

Le riflessioni appena svolte mostrano, si crede, come il prosieguo dell’analisi debba necessariamente articolarsi su un duplice piano: dapprima, quello della compatibilità in sé, della ricostruzione proposta, con i principi costituzionali regolatori del nostro processo; nonché, in seconda battuta, quello della legittimità della differente regolamentazione, poco sopra appena tratteggiata, tra la sostituzione esecutiva e l’intervento non titolato.

Muoviamo, allora, dal vaglio circa la costituzionalità dell’istituto in sé, così come ricostruito – ben inteso, a livello descrittivo – alla stregua di procedimento monitorio puro innestato sulla procedura esecutiva pendente. In particolare, lo si ricorda, il creditor creditoris si vedrebbe assegnata la somma spettante al proprio debitore diretto (creditore dell’esecutato nella procedura pendente) mediante un provvedimento immediatamente efficace emesso sulla base dell’istanza ex art. 511 c.p.c. presentata (recante esclusivamente l’affermazione della titolarità di un credito nei confronti del creditore ammesso alla distribuzione e sprovvista di titolo esecutivo e di prova dimostrativa dell’esistenza del credito medesimo), in combinazione con l’omessa contestazione da parte dei soggetti che sarebbero legittimati a sollevarla; d’altro canto, l’instaurazione di una cognizione (piena) sulla situazione giuridica soggettiva facente capo al creditor creditoris sarebbe solamente eventuale, in quanto dipendente dall’attività di contestazione della controparte.

Il tema, evidentemente, riflette i medesimi problemi già noti in materia di costituzionalità del procedimento monitorio (puro) – e, in generale, di tutti i procedimenti in cui la realizzazione del contraddittorio pieno tra le parti si presenti come eventuale o differita -, già ampiamente affrontati da dottrina e giurisprudenza sia italiane sia, in particolare, tedesche. Occorre precisare, peraltro, come la riflessione sia fondamentalmente maturata attorno ai provvedimenti emessi inaudita altera parte: non si tratta, evidentemente, del caso di specie, in cui l’assegnazione delle somme al creditor creditoris in sede di distribuzione è fondata, più che sull’assenza di contraddittorio con la controparte, sulla non contestazione della stessa. Tuttavia, i risultati raggiunti possono senz’altro mantenere qui la propria validità, almeno nella parte in cui affrontano la questione circa la compatibilità costituzionale dei procedimenti in cui la cognizione (piena) sul diritto fatto valere sia soltanto eventuale. Nel caso che ci occupa, infatti, il giudice dell’esecuzione procede ex officio, sulla base delle sole affermazioni del creditor creditoris, e senza un’attività di cognizione, ad ammettere tale soggetto nel progetto di distribuzione, ma la definitiva collocazione di questo in fase distributiva avviene non inaudita altera parte, bensì a seguito della non contestazione della controparte. Tornando alle elaborazioni cui si faceva cenno, il comune approdo raggiunto ha identificato due condizioni idonee a rendere tollerabile la compressione del diritto di difesa e al contraddittorio che la parte destinataria del provvedimento, fatalmente, viene a subire. Si tratta, nello specifico, della necessità di subordinare l’applicazione di misure di tal fatta al ricorso di presupposti rigorosamente determinati – sì da delimitare, in definitiva, l’ambito applicativo dell’istituto -, nonché di garantire alla parte interessata la possibilità di difendersi dopo l’emanazione del provvedimento attraverso l’instaurazione di un regolare contraddittorio, in modo tale che l’adozione della misura interinale non possa in alcun modo pregiudicare la successiva decisione di merito[22].

La prima delle predette condizioni, invero, non pare venire in rilievo nell’analisi che ci occupa: non ci troviamo, infatti, al cospetto di un particolare procedimento monitorio di cui si debba valutare l’ammissibilità, bensì di altro autonomo istituto (quello della sostituzione esecutiva ex art. 511 c.p.c.), in cui l’accostamento con il primo avviene non su un piano strutturale, bensì, come più volte detto, soltanto su quello descrittivo.

Nella sostanza, tuttavia – e a prescindere dal fatto che, in definitiva, l’istituto in esame non può essere annoverato tra i procedimenti monitori -, non può essere negata la circostanza per cui, in concreto, l’ammissione del creditor creditoris ai riparti, almeno in prima battuta, non conosce (un’attività di cognizione, né) l’instaurazione di un contraddittorio con cognizione piena ed esauriente con i potenziali controinteressati: ne consegue, allora, la necessità di vagliare la legittimità dell’istituto dal punto di vista del secondo presupposto tratteggiato, ossia la circostanza per cui la pronuncia interinale sia inidonea a condizionare la futura decisione di merito e che venga in ogni modo assicurata ai soggetti interessati la possibilità di realizzare detto contraddittorio, sia pure ex post. Tale requisito, come già in più occasioni si è avuto modo di rilevare, appare rispettato dalla disciplina dell’istituto in esame dove, appunto, è consentita la proposizione di una contestazione avverso la sostituzione operata dal giudice, sì da sollecitare l’attuazione posticipata dei diritti di difesa e al contraddittorio delle parti in tutta la loro pienezza, nell’ambito di un giudizio che accerterà con cognizione piena ed esauriente la fondatezza della pretesa vantata dal creditor creditoris e, con essa, la correttezza della sostituzione effettuata.

In definitiva, dal punto di vista del rispetto dei diritti tutelati a livello degli artt. 24 e 111 Cost., l’istituto in esame, nella ricostruzione qui proposta, appare conforme ai principi posti dalla nostra carta costituzionale.

Tuttavia, un altro vaglio richiede di essere effettuato, questa volta alla luce dell’art. 3 Cost. e in relazione alla possibile disparità di trattamento che potrebbe essere riservata al creditore interveniente (non titolato) rispetto a quello istante ai sensi dell’art. 511 c.p.c. A prima vista, infatti, può sembrare che l’iniziativa del creditore che presenti una domanda di sostituzione esecutiva sia notevolmente semplificata rispetto a quella del creditore interveniente non titolato e, in generale, i soggetti interessati dalla proposizione di una domanda di intervento appaiono maggiormente tutelati rispetto a quelli coinvolti dall’istanza di sostituzione esecutiva.

Più precisamente, si è visto come il meccanismo disciplinato all’art. 511 c.p.c. sia innescato dalla mera affermazione, da parte del creditor creditoris, della titolarità di un credito nei confronti del creditore sostituito, unitamente all’assenza di qualsivoglia contestazione. Dall’altro lato, la possibilità di intervento per il creditore non titolato appare maggiormente gravosa: la legittimazione a esperire tale iniziativa, infatti, è anzitutto riservata a determinate categorie di soggetti – ossia, come noto, i creditori che abbiano eseguito un sequestro sui beni pignorati, i titolari di un diritto di pegno o prelazione risultante da pubblici registri o i titolari di un credito di somma di denaro risultante dalle scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c. -, relativamente ai quali, come già si è avuto modo di rilevare, sussiste un qualche tipo di supporto documentale utile ad attestarne la legittimazione[23]. In secondo luogo, anche la cognizione esercitata sulla pretesa vantata dal creditore interveniente non titolato appare assistita da maggiori garanzie rispetto alla vicenda che vede coinvolto il diritto di titolarità del creditor creditoris. Infatti, secondo quanto chiarito dalla disciplina di cui all’art. 499, sesto comma, c.p.c., è anzitutto previsto lo svolgimento di un’udienza di comparizione in cui il debitore ben può prendere posizione sui crediti oggetto delle domande di intervento: tale soggetto, infatti, può immediatamente contestarne l’esistenza, procedendo al loro disconoscimento, ovvero riconoscerli espressamente, sì da offrire una maggiore garanzia circa la veridicità della loro esistenza; solo la mancata comparizione del debitore all’udienza, viceversa, dà luogo a una fattispecie di riconoscimento tacito che si avvicina a quella che coinvolge la domanda di sostituzione esecutiva. In altri termini, e in definitiva, nell’ambito della fattispecie che conduce all’ammissione dell’interventore non titolato alla distribuzione, i diritti di difesa e al contraddittorio di cui è titolare il debitore appaiono oggetto di piena e immediata realizzazione o, almeno, gli sono senz’altro assicurati.

Ora che si sono evidenziate tali differenze, è opportuno domandarsi se le stesse trovino una qualche giustificazione a livello di disciplina sostanziale, che valga a escludere una (ingiustificata) lesione del canone di uguaglianza sancito dal già richiamato art. 3 Cost.

Anzitutto, una prima fondamentale differenza è destinata a venire in gioco ai fini che ci occupano. Si tratta, più precisamente, dell’oggetto dell’attività di accertamento richiesta al giudice di fronte, rispettivamente, alla domanda di intervento ovvero a quella di sostituzione esecutiva. Soltanto nel primo caso, infatti, l’accertamento riguarda l’esistenza del diritto alla distribuzione del ricavato in capo all’interveniente, il quale, dunque, ambisce a concorrere nella procedura esecutiva, andando così ad aumentare la massa passiva con possibile pregiudizio in capo agli altri creditori, i quali potrebbero veder ridotta la propria percentuale di soddisfacimento. Nel caso di domanda ex art. 511 c.p.c., viceversa, il creditor creditoris chiede soltanto che, in virtù del credito dallo stesso vantato nei confronti del creditore diretto dell’esecutato, già ammesso ai riparti, egli possa riscuotere, in luogo di quest’ultimo, la somma dovuta dalla procedura. In altri termini, in questa ipotesi il diritto alla distribuzione, all’interno della procedura pendente, è già stato previamente accertato come esistente in capo al creditore-debitore, e il creditor creditoris domanda solamente di subentrare in tale diritto in virtù dell’affermata titolarità di un diritto di credito nei suoi confronti: senza che vi sia, così, alcun incremento della massa passiva facente capo al debitore esecutato[24]. Per dirla in termini ancora differenti, il creditor creditoris si avvantaggia, qui, dell’accertamento che il proprio debitore diretto (creditore diretto dell’esecutato) ha già e previamente ottenuto circa l’esistenza del proprio diritto alla distribuzione del ricavato all’interno dell’esecuzione pendente, con le modalità e le garanzie ordinariamente previste in materia; di modo che, in definitiva, la sostituzione che avvenga in assenza di cognizione (piena) e senza una prova documentale del credito non possa comunque, e in alcun modo, andare a ledere le ragioni del debitore esecutato o degli altri creditori concorrenti.

Questa, dunque, appare una prima e fondamentale differenza intercorrente tra le fattispecie di intervento e sostituzione esecutiva: nel primo caso, l’istante invoca il riconoscimento del proprio diritto a partecipare alla distribuzione del ricavato; nel secondo, richiede solamente di subentrare nel medesimo diritto, già e previamente accertato come sussistente nei confronti del proprio debitore diretto, creditore diretto dell’esecutato. Tale differenza appare idonea a giustificare il motivo per cui l’iniziativa per la sostituzione esecutiva appare meno gravosa per l’istante e meno assistita dal punto di vista delle garanzie proprie dei diritti di difesa e al contraddittorio di cui ai già richiamati artt. 24 e 111 Cost.

In secondo luogo, le divergenze appena esaminate sembrano avere un riscontro nella posizione processuale da riconoscere, rispettivamente, all’intervenuto non titolato e al creditore sostituto ex art. 511 c.p.c., almeno nel caso in cui si ritenga di aderire all’orientamento che ravvisa nell’istituto in commento una natura esclusivamente satisfattiva. Per quanto riguarda l’intervento ad opera del creditore non titolato, egli assume la qualità di parte nel processo esecutivo, con conseguente acquisto della facoltà di compiere tutti gli atti che non siano dalla legge espressamente riservati al creditore munito di titolo esecutivo[25]; il creditor creditoris, viceversa, agendo iure proprio, non potrebbe compiere, nel processo esecutivo, gli atti spettanti al creditore sostituito[26]. Per dirla con le parole di Angelo Bonsignori, trattandosi «di un’espropriazione di un potere meramente processuale (azione in senso formale), non v’è necessità di pretendere quelle garanzie rigorose che sono richieste per l’esproprio di diritti sostanziali», fermo che, in ogni caso, «non ogni tutela è sottratta al creditore-debitore»[27].

5. La contestazione sulla domanda di sostituzione esecutiva: il momento della cognizione. – Non ogni tutela è sottratta al creditore-debitore, il quale, infatti, è legittimato a opporsi nei confronti della sostituzione esecutiva disposta dal giudice dell’esecuzione proponendo apposita contestazione: l’analisi di tale istituto, in particolare, ci consentirà di chiudere il cerchio attorno al tema del modello di accertamento cui viene assoggettato il diritto di credito vantato dal soggetto istante ex art. 511 c.p.c.

Per riassumere i risultati sin qui raggiunti, si è visto come, almeno in prima battuta, manchi del tutto una cognizione esercitata dal giudice su tale situazione giuridica soggettiva: a fronte della domanda di sostituzione esecutiva avanzata, il giudice dell’esecuzione, riscontrata l’affermazione della titolarità del credito da parte del creditor creditoris, procede a sostituire lo stesso al creditore-debitore nell’ambito del progetto di riparto con un provvedimento di modifica di quest’ultimo atto che, in assenza di contestazione, è senz’altro destinato ad acquisire efficacia esecutiva.

L’eventualità che prendiamo ora in considerazione è quella, opposta, in cui venga sollevata una contestazione avverso tale provvedimento: in tale ipotesi, già lo si è accennato, è possibile che l’esecutività del progetto di riparto, in parte qua, venga sospesa.

Anzitutto, giova specificare che le contestazioni su cui si soffermerà la nostra attenzione riguardano quelle – di esclusiva rilevanza ai fini del presente contributo – il cui oggetto si risolve nell’esistenza del diritto di credito vantato dal creditor creditoris.

Tale precisazione vale, allora, a escludere dal campo della nostra indagine tutte quelle ipotesi in cui – a voler aderire alla tesi della natura surrogatoria della sostituzione esecutiva -, poiché il creditor creditoris agisce utendo iuribus del proprio debitore diretto, egli sarebbe legittimato ad agire o resistere in tutte le tipologie di controversie che riguardino, appunto, profili diversi rispetto all’esistenza del proprio diritto di credito: si pensi, ad esempio, alle contestazioni che possono sorgere in sede di distribuzione e aventi riguardo alla mera collocazione dei crediti[28].

Restringendo la visuale alle sole controversie aventi ad oggetto il diritto di credito affermato dal creditor creditoris, il riferimento è allora a quelle che possono insorgere tra creditore sostituito e sostituto, e aventi ad oggetto la sussistenza del predetto diritto di credito, fungente da presupposto dell’operatività stessa del meccanismo sostitutivo.

A tal riguardo, peraltro, è noto come l’opinione maggioritaria – cui si ritiene di aderire – tenda a ricondurre tale tipologia di controversia all’interno dello schema di cui al successivo art. 512 c.p.c.[29]. Quella della controversia distributiva, allora, diviene la sede in cui la i diritti di difesa e al contraddittorio facenti capo al creditore-debitore, precedentemente oggetto di compressione, possono finalmente riespandersi e trovare una completa attuazione.

Sembra opportuno, peraltro, spendere alcune brevi parole in ordine alle peculiarità che tale giudizio assume, laddove originato e fondato su una vicenda di sostituzione esecutiva ex art. 511 c.p.c. Per quanto di interesse ai nostri fini, l’oggetto di tale tipologia di controversia deve essere individuato nel diritto (di consistenza meramente processuale) alla partecipazione alla distribuzione del ricavato in capo al soggetto interessato. Nel caso che ci occupa, ciò significa che l’oggetto del giudizio sarà costituito dal diritto del creditor creditoris di partecipare alla distribuzione del ricavato in luogo del creditore-debitore. Tale situazione giuridica soggettiva è evidentemente legata da un nesso di pregiudizialità-dipendenza al diritto di credito vantato dal creditor creditoris nei confronti del sostituito: la cognizione che il giudice verrà a svolgere sul diritto del creditor creditoris, allora, pur se strumentale all’accertamento dell’esistenza del suo diritto (processuale) alla partecipazione alla distribuzione del ricavato in luogo del suo debitore diretto, e così alla sua ammissione ai riparti in sostituzione dello stesso, avrà luogo esclusivamente incidenter tantum, e in nessun caso appare destinata a sfociare in una pronuncia avente efficacia di giudicato su tale diritto di credito.

[1]Per un’analisi dell’istituto disciplinato dal codice di rito del 1865, e per i dovuti riferimenti, si rinvia a Capponi, La «sostituzione esecutiva» tra vecchio e nuovo codice, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1990, 95 ss.; Picardi, La domanda di sostituzione nel processo esecutivo, in Riv. dir. proc., 1959, 574 ss.; Acone, La domanda di sostituzione del creditore nella distribuzione del ricavato, in Riv. dir. proc., 1981, 233 ss.

[2]Pur nelle differenze esistenti tra le singole ricostruzioni: Picardi, op. cit., 598 ss., discorre di «subingresso legale nella situazione giuridica del debitore, rimesso all’iniziativa del creditore»; simile la posizione di Denti, Distribuzione della somma ricavata (nell’espropriazione forzata), in Enc. Dir., XIII, Milano, 1964, 331 ss., secondo cui l’istituto andrebbe «considerato come una forma di intervento principale, diretto all’attuazione della sanzione esecutiva contemporaneamente contro il creditore concorrente e il debitore»; Satta, L’esecuzione forzata, in Vassalli (diretto da), Trattato di diritto civile italiano, Torino, 1950, 106; Bonsignori, Assegnazione forzata e distribuzione del ricavato, Milano, 1962, 276 ss., secondo cui si realizzerebbe «un trasferimento coattivo, nel senso che il creditore diretto vede attribuire il ricavato dell’espropriazione al suo creditore anziché a sé»; Andrioli, Commento al codice di procedura civile, III, Napoli, 1957, 122, il quale, facendo riferimento all’istituto dell’intervento nell’esecuzione, vi ravvede una fattispecie di sostituzione nella posizione processuale creata con la proposizione della domanda di collocazione; Acone, op. cit., 255 ss., che parla di azione diretta, abilitante il creditor creditoris ad agire direttamente nei confronti del debitore del suo debitore al fine di consentirgli l’immediata realizzazione del suo diritto; di azione diretta, peraltro, discorre pure Balena, Contributo allo studio delle azioni dirette, Bari, 1990, 310 ss.; Id., Brevissime note sulla sostituzione di un creditore nella distribuzione del ricavato dell’espropriazione, in Foro it., 1992, I, 2836; Capponi, op. cit., 108; Corona, In merito alla subcollocazione nel riparto ai sensi dell’art. 511 c.p.c., in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1982, 1468 ss.; più recentemente, Nascosi, Contributo allo studio della distribuzione della somma ricavata nei procedimenti di espropriazione forzata, Napoli, 2013, 133.

[3]Satta, Commentario al codice di procedura civile, III, Milano, 1966, 209 (il quale, dunque, ha mutato la propria opinione rispetto allo scritto menzionato alla nota precedente); Garbagnati, Concorso dei creditori, in Enc. Dir., VIII, Milano, 1967, 537; più recentemente, D’Aquino, La distribuzione della somma ricavata, in Demarchi (diretto da), La nuova esecuzione forzata, Bologna, 2009, 312. Da segnalare la posizione della giurisprudenza di legittimità maggioritaria, nel senso di riconoscere all’istituto de quo natura surrogatoria: Cass., 20 settembre 2012, n. 15932; Cass., 19 ottobre 2006, n. 22409, in Giust. civ., 2007, I, 1646; Cass., 12 novembre 1979, n. 5850, in Giust. civ., 1980, I, 1128; Cass., 6 marzo 1969, n. 735, in Giust. Civ., 1969, I, 1037.

[4]Capponi, La cognizione sulla domanda di sostituzione del creditore nella distribuzione della somma ricavata, in Riv. dir. civ., 1987, 719 ss.; Pisanu, L’intervento dei creditori, in Demarchi (diretto da), La nuova esecuzione forzata, Bologna, 2009, 137; Picardi, op. cit., 589 ss.; Nascosi, op. loc. cit.; tra le pronunce di legittimità, Cass., 20 aprile 2015, n. 8001, in Giusto processo civile, 2016, 105 ss.; Cass., 13 marzo 1987, n. 2608, cit.; riconosce, invece, valore sostanziale a detto rinvio, pervenendo alla conclusione – come meglio si vedrà – della necessità del possesso di titolo esecutivo in capo al creditor creditoris, Briguglio, La necessità del titolo esecutivo per la domanda di sostituzione del creditor creditoris ex art. 511 c.p.c., in Riv. dir. proc., 2015, 886.

[5]Come dimostrato dall’art. 629, secondo comma, c.p.c., che per la fase successiva alla vendita condiziona l’estinzione del processo esecutivo alla rinuncia agli atti da parte di tutti i creditori concorrenti (e non solo di quelli, appunto, muniti di titolo esecutivo); per i concetti sin qui esposti si veda, più diffusamente, l’efficace sintesi di  Acone, op. cit., 258 ss.; nello stesso senso, inoltre, Monteleone, Titolo esecutivo, intervento nell’espropriazione forzata e domanda di sostituzione ex art. 511 c.p.c., in questa Rivista, 2016, 107; Picardi, op. cit., 604; Pisanu, op. loc. cit.; D’Aquino, op. cit., 314; Capponi, La «sostituzione esecutiva», cit., 112; Romano, Espropriazione forzata e contestazione del credito, Napoli, 2008, 171, nt. 34.

[6]Il riferimento è a Cass., 20 aprile 2015, n. 8001, cit.; in precedenza, in tal senso, già Cass., 19 ottobre 2006, n. 22409.

[7]Si tratta del recente lavoro di Briguglio, op. cit., 885 ss.; nello stesso senso pure Nascosi, op. cit., 137, il quale instaura un perfetto parallelismo tra requisiti di legittimazione all’intervento e condizioni per proporre l’istanza ex art. 511 c.p.c.

[8]Il riferimento è a Monteleone, op. loc. cit.

[9]Fatta eccezione per l’ipotesi, espressamente contemplata dall’art. 499, secondo comma, ultimo periodo, in cui si tratti di credito risultante dalle scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c. Per i concetti esposti nel testo, inerenti alla disciplina dell’intervento nel processo esecutivo, si rinvia alla sintesi di Piccininni, sub art. 499, in Consolo (diretto da), Codice di procedura civile. Commentario, Milano, 2018, III, 763 ss.; a Saletti, Le (ultime?) novità in tema di esecuzione forzata, in Riv. dir. proc., 2006, 211 ss.; nonché, anche per ulteriori riferimenti, a Lai, L’intervento del creditore non titolato nell’esecuzione forzata, Sassari, 2013, 386 ss. e spec. 393 ss.; contra, per la necessità, in capo al creditore interveniente, di produrre sempre una prova documentale del credito vantato, la giurisprudenza di legittimità più risalente: Cass., 30 gennaio 1985, n. 567, in Foro it., 1985, I, 2683; Cass., 26 gennaio 1987, n. 714, in Foro it., 1988, I, 3041.

[10]Il riferimento è a Lai, op. cit., 410, che fa dunque riferimento alla necessità di produrre il provvedimento di sequestro ovvero gli altri documenti idonei a comprovare la sussistenza, in capo al creditore interveniente non titolato, di una delle situazioni di cui all’art. 499, primo comma, c.p.c. e che legittimano appunto l’intervento nell’esecuzione pendente. L’autore sostanzialmente ripete la posizione già espressa da Romano, Intervento dei creditori, in Dig. disc. priv., sez. civ., Aggiornamento, Torino, 2007, 759, secondo il quale, appunto, l’espressa menzione riservata alla necessità di allegare l’estratto autentico notarile delle scritture contabili ex art. 2214 c.c. si spiegherebbe con l’onere di dimostrare la propria legittimazione all’intervento in capo a tale categoria di creditori, essendo per gli altri possibile trovare conferma della relativa legittimazione aliunde (ossia, dalla documentazione ipocatastale, dal certificato d’iscrizione dei privilegi, dalla dichiarazione del terzo pignorato, dal verbale di pignoramento). Per la necessità di produrre prova documentale esclusivamente ai fini della dimostrazione della legittimazione all’intervento, pure Pisanu, op. cit., 147 ss.

[11]In senso contrario, e dunque per la necessità di allegare la prova documentale del credito vantato dal creditor creditoris, Acone, op. cit., 261; Capponi, op. ult. cit., 720 ss. e spec. 722; Pisanu, op. cit., 138.

[12]In tal senso si è espressa pure la già cit. Cass., 20 aprile 2015, n. 8001, secondo cui presupposto per la proposizione della domanda di sostituzione è la mera «affermazione di un diritto di credito nei confronti del creditore presente nel processo esecutivo», a prescindere dal fatto che il credito vantato dal creditor creditoris sia o meno fondato su un titolo esecutivo; nella giurisprudenza di merito, Trib. Milano, 10 gennaio 2020, in Banca dati Pluris.

[13]Sulla questione coinvolgente l’identificazione del momento in cui la domanda di sostituzione esecutiva può essere proposta – se, in particolare, solo in sede di distribuzione del ricavato, ovvero anche anteriormente -, si rinvia alla sintesi di D’Aquino, op. cit., 307 ss.

[14]Sul tema, Romano, op. ult. cit., 766 ss.; Lai, op. cit., 289 ss.

[15]Ci si riferisce a Capponi, op. ult. cit., spec. 113 ss.

[16]Alla precedente nota 11, infatti, si è visto come l’Autore affermi la necessità, per il creditor creditoris, di allegare prova documentale circa l’esistenza del proprio diritto di credito.

[17]Per la qualificazione del procedimento d’ingiunzione quale procedimento di natura sommaria e senza contraddittorio destinato a trasformarsi, per effetto dell’intervenuta opposizione, in un processo con cognizione ordinaria, si rinvia, in luogo di molti, a Garbagnati (a cura di Romano), Il procedimento d’ingiunzione, Milano, 2012, 35 ss.

[18]Il procedimento monitorio puro, come noto, non trova generale cittadinanza nell’attuale ordinamento domestico, essendo l’unico suo precedente risalente al c.p.c. del 1865, e successivamente scomparso a partire dal r.d. 24 luglio 1922, n. 1036. Tale modello si è piuttosto affermato nell’ordinamento tedesco, dove si richiede all’istante unicamente di precisare la causa petendi del proprio credito, trattandosi di diritto eterodeterminato, lasciando al debitore la possibilità di reagire contro l’intimazione emessa dal giudice esclusivamente ex post; molto simile è l’istituto previsto nell’ordinamento austriaco, dove, per quanto qui interessa, non si richiede all’istante di dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi del proprio diritto di credito. Sul punto, si rinvia a Ronco, Procedimento per decreto ingiuntivo, in Chiarloni, Consolo (a cura di), I procedimenti sommari e speciali, I, Torino, 2005, 8 ss.; alcuni cenni sul rito monitorio puro sono rinvenibili altresì in Marinelli, Note sul Regolamento CE n. 1896/2006 in tema di procedimento ingiuntivo europeo, in AA.VV., Il diritto processuale civile nell’avvicinamento giuridico internazionale. Omaggio ad Aldo Attardi, Padova, 2009, I, 590, ove si discorre di procedimento in cui la «concessione dell’ingiunzione avviene sulla sola base dei fatti affermati dall’istante, senza pressoché alcun vaglio circa la loro attendibilità».

[19]Che l’assimilazione operi esclusivamente su un piano descrittivo si desume altresì dalla circostanza – su cui si avrà modo di tornare nelle battute conclusive del presente lavoro – per cui, all’esito della sostituzione esecutiva, sul credito vantato dal creditor creditoris non si ha mai formazione della cosa giudicata: approdo, questo, cui avrebbe viceversa condotto un’assimilazione anche strutturale al procedimento monitorio.

[20]Per la cui identificazione, di nuovo, si rinvia ai successivi sviluppi della presente analisi.

[21]Sull’applicazione, anche al processo esecutivo (nonché, ovviamente, alle parentesi di cognizione destinate ad aprirsi in seno al medesimo) dei principi costituzionali del giusto processo – tra cui, in particolare, quelli alla difesa e al contraddittorio -, si rinvia, oltre che all’efficace sintesi, accompagnata da ricchi riferimenti dottrinali e giurisprudenziali, di Cavuoto, La cognizione incidentale sui crediti nell’espropriazione forzata, Napoli, 2017, 195 ss. e spec. 198 ss., a Tarzia, Il giusto processo di esecuzione, in Riv. dir. proc., 2002, 329 ss.; Carpi, Riflessioni sui rapporti fra l’art. 111 della Costituzione ed il processo esecutivo, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2002, 381 ss.

[22]Sul punto, anche per i dovuti riferimenti alla dottrina italiana e tedesca, sia consentito rinviare a Trocker, Processo civile e costituzione, Milano, 1974, 407 ss.

[23]In particolare, l’allegazione di una prova documentale è espressamente richiesta, dall’art. 499, secondo comma, c.p.c., ai titolari di crediti di somme di denaro risultanti da scritture contabili ex art. 2214 c.c.; tuttavia, come visto, con riguardo alle altre categorie di creditori legittimati a esperire intervento non titolato analoga documentazione è comunque rinvenibile aliunde, e in particolare all’interno del fascicolo dell’esecuzione. Quanto detto sin qui, peraltro, rispecchia solamente le opinioni che potremmo definire maggiormente liberali in materia d’intervento titolato: ché, evidentemente, i requisiti a tal fine richiesti non possono che diventare più rigorosi nel momento in cui, ad esempio, si ritenga che il creditore non titolato sia onerato di depositare prova documentare che dimostri l’esistenza stessa del proprio diritto di credito. Per i concetti qui soltanto richiamati si rinvia, comunque, alla ricognizione svolta nel paragrafo 2 del presente lavoro.

[24]Per tale riflessione, pure Pisanu, op. cit., 137.

[25]Sul punto, si rinvia nuovamente a Lai, op. cit., 431 ss.

[26]Diversa è la conclusione nel caso in cui si ritenga di riconoscere alla sostituzione esecutiva una natura anche surrogatoria: in questo caso, infatti, il creditor creditoris agirebbe utendo iuribus, con conseguente facoltà di porre in essere tutti gli atti che possono essere compiuti dal creditore sostituito ivi compresa, in particolare, la possibilità di rinunciare agli atti del processo. Sulle differenti opzioni ricostruttive qui ricordate sia consentito rinviare, anche per i dovuti riferimenti di dottrina e giurisprudenza, alla sintesi di A.F. Ferri, sub art. 511, in Consolo (diretto da), Codice di procedura civile. Commentario, Milano, 2018, III, 815.

[27]Bonsignori, op. cit., 277.

[28]Sul punto, l’efficace sintesi di D’Aquino, op. cit., 316 ss.

[29]Così, infatti, Denti, op. cit., 332; Balena, op. cit., 2836 ss.; Nascosi, op. cit., 139; nonché, sia pure con alcune peculiarità dettate dalla sua ricostruzione dell’istituto nei termini di azione diretta, Acone, op. cit., 267 ss. Da segnalare la differente posizione assunta dalla già cit. Cass., 19 ottobre 2006, n. 22409, secondo cui le controversie in discorso andrebbero veicolate nelle forme dell’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. Ancora differente, in dottrina, l’opinione di  Satta, L’esecuzione forzata, loc. cit., secondo cui tali controversie non apparterrebbero all’esecuzione e dovrebbero dunque essere risolte separatamente, anche agli effetti della competenza, da quelle di cui all’art. 512 c.p.c.