LA COMPETENZA PER L’AZIONE DI RISARCIMENTO DEL DANNO DA CONDOTTA DISCRIMINATORIA SUL LAVORO PROPOSTA DA UN DIPENDENTE PUBBLICO

L’azione per ottenere l’accertamento e la repressione di una condotta discriminatoria sul lavoro ed il conseguente risarcimento del danno, rientra, ai sensi dell’art. 28 del D.lgs. n. 150/2011, nella competenza per territorio del tribunale nel cui circondario il ricorrente ha il domicilio, risultando irrilevante la natura privata o pubblica del rapporto di lavoro e risultando preminenti le finalità sottese alla tutela antidiscriminatoria, in quanto volta alla piena realizzazione del fondamentale principio di uguaglianza.

Di Giuseppina Fanelli -

Cass.,sez. lav., 14 febbraio 2017, n. 3936

Con la sentenza in nota, la Corte di Cassazione ha individuato il giudice competente per l’azione di risarcimento del danno derivante da condotta discriminatoria sul lavoro, di cui al combinato disposto dell’art. 4 del D. Lgs. n. 216/2003 e dell’art. 28 del D.lgs. n. 150/2011, nell’ipotesi in cui il ricorso sia presentato da un dipendente pubblico.

Il ricorrente, nella specie un docente che lamentava di essere stato discriminato dall’Istituto datore di lavoro in ragione della disabilità di cui è portatore, aveva incardinato il procedimento sommario ex art. 702 bis c.p.c. previsto dall’art. 28 citato dinanzi al tribunale nel cui circondario aveva domicilio, sulla base del criterio di competenza fornito dal comma 2 dell’art. 28.

Il Tribunale adito aveva dichiarato, però, la propria incompetenza territoriale, atteso che la natura pubblica del rapporto di lavoro intercorso tra il docente e l’Istituto convenuto avrebbe dovuto comportare l’applicazione dell’art. 413 c.p.c., comma V, c.p.c., disposizione che, per le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, fissa la competenza del giudice nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio al quale il dipendente è addetto o era addetto al momento della cessazione del rapporto.

La Corte di Cassazione, adita con regolamento di competenza, dopo aver ribadito il generale principio secondo il quale la competenza deve essere delibata sulla base della prospettazione della domanda, ha affermato che nel caso in cui vengano prospettate condotte discriminatorie ricollegabili ad un rapporto di lavoro pubblico la competenza territoriale è comunque quella del domicilio del ricorrente. Infatti, tali controversie sono riconducibili al campo di applicazione dell’art. 28 del D. Lgs. n. 150/2011, atteso il richiamo operato dalla medesima norma (e dall’art. 34, comma 34, lett. a) D. Lgs. n. 150/2011), al D. Lgs. n. 216/2003 (a sua volta richiamato dallo Statuto dei Lavoratori).

Il foro del domicilio dell’istante, peraltro, deve ritenersi di carattere funzionale ed esclusivo al fine di garantire l’effettività della tutela e non può ritenersi derogabile neppure dal ricorrente (cfr. Cass. 29 ottobre 2013, n. 24419).

Accanto alle ragioni appena viste, basate sulla ricostruzione del quadro normativo di riferimento, i giudici di legittimità hanno affermato che la specialità del procedimento previsto dall’art. 28 D. lgs. n. 150/2011 per la repressione dei comportamenti discriminatori (anche) in ambito lavorativo troverebbe il suo fondamento nelle preminenti esigenze di tutela del soggetto che si ritiene vittima della discriminazione, le quali che comportano la prevalenza del foro del luogo di domicilio del lavoratore rispetto al foro (ritenuto esclusivo ed inderogabile) per le controversie dei dipendenti pubblici ex art. 413, comma V, c.p.c. Tanto perché la protezione garantita da norme speciali, come quelle con finalità antidiscriminatorie, è volta ad assicurare la piena realizzazione del principio costituzionale di uguaglianza.