LE SORTI DELL’ORDINANZA (IMPROPRIAMENTE DECISORIA) EX ART. 612 C.P.C.

Nelle ipotesi in cui il contenuto dell’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 612 c.p.c. esorbiti quello che le è istituzionalmente e funzionalmente proprio – e, cioè, la determinazione delle modalità di esecuzione di un provvedimento di condanna per l’inadempimento di obblighi di fare e non fare – ed arrivi ad assumere il carattere oggettivo di una risoluzione di alcuni profili controversi tra le parti del processo d’esecuzione, tale provvedimento non può comunque essere considerato una sentenza in senso sostanziale e, pertanto, non può essere impugnato con appello ma può essere contestato instaurando un giudizio di merito ai sensi dell’art. 616 c.p.c.

Di Giuseppina Fanelli -

Negli ultimi anni la Corte di Cassazione si è spesso pronunciata sul regime dell’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 612 c.p.c. con la quale il Giudice non abbia solo disciplinato le modalità di esecuzione di un provvedimento di condanna per l’inadempimento di obblighi di fare e non fare, ma abbia anche risolto alcuni profili controversi tra le parti in ordine al titolo esecutivo ed al diritto a procedere all’esecuzione forzata, spendendo attività lato sensu cognitoria.

In altri termini, il problema – di spiccata attualità – che si è posto è quello della possibilità di considerare l’ordinanza ex art. 612 c.p.c., nei casi in cui la stessa esorbiti il carattere istituzionale esecutivo che gli sarebbe proprio, una c.d. “sentenza in senso sostanziale” impugnabile con gli ordinari mezzi di impugnazione, primo fra tutti l’appello (per tutti v. Tiscini R., Il ricorso straordinario in cassazione, Torino, 2005, passim).

Come noto, l’art. 612 c.p.c. prevede che chi intende ottenere l’esecuzione forzata di una sentenza di condanna per violazione di un obbligo di fare o di non fare, dopo la notificazione del precetto, deve chiedere con ricorso al giudice dell’esecuzione che siano determinate le modalità dell’esecuzione.

Non è infrequente, però – proprio del titolo esecutivo in questione (che pone dei problemi soprattutto in relazione al requisito della certezza del titolo, sul quale v. per tutti Capponi B., Autonomia, astrattezza, certezza del titolo esecutivo: requisiti in via di dissolvenza?, in Corr. giur., 2012, 1169 ss.) – che, nel corso dell’attività di soddisfazione coatta dell’obbligo di fare o non fare, possano sorgere dei problemi di carattere non squisitamente esecutivo.

In queste ipotesi, secondo parte della giurisprudenza di legittimità, nel caso in cui il G.E. con l’ordinanza ex art. 612 c.p.c. risolva (indebitamente) questioni in ordine alla portata sostanziale del titolo esecutivo ed all’ammissibilità dell’azione esecutiva intrapresa, invece di limitarsi a disciplinare il modus dell’esecuzione, detta ordinanza, in forza del suo contenuto decisorio sul diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata, ha natura sostanziale di sentenza ed è pertanto impugnabile con l’appello (Cass. n. 3722/2012; Cass. n. 15727/2011; Cass. n. 16471/2009; Cass. n. 24808/2008).

In altre parole, questa parte della giurisprudenza ha considerato l’ordinanza alla stregua di una sentenza emessa all’esito di un’opposizione all’esecuzione predicandone, quindi, l’appellabilità in linea con le disposizioni del codice di rito. A riconferma di ciò, nelle ipotesi di ordinanza ex art. 612 c.p.c. emessa nell’intervallo temporale intercorrente tra il 3 marzo 2006 ed il 3 luglio 2009, il rimedio individuato non è stato infatti quello dell’appello ma, in forza delle modifiche apportate dall’art. 14 della L. n. 52/2006 all’art. 616 c.p.c. (poi appunto rimeditate nel 2009), quello del ricorso per cassazione (Cass. n. 26204/2011).

In tale complesso contesto si inserisce la pronuncia in commento che, invece, conferma un filone giurisprudenziale di diverso segno (consacrato da Cass. n. 8640/2016) secondo il quale l’ordinanza ex art. 612 c.p.c. non può comunque avere valore di sentenza in senso sostanziale ma resta sempre un provvedimento esecutivo che prelude alla promozione di un incidente di cognizione nelle forme di cui all’art. 616 c.p.c.

Per arrivare alla soluzione lumeggiata, la Corte di Cassazione parte dalla (ri)affermazione che il nostro sistema processuale “esclude radicalmente in capo al giudice dell’esecuzione, in sede esecutiva, qualsiasi valido potere decisorio” (sull’ampliamento delle ipotesi in cui il G.E. è chiamato a compiere “accertamenti” prima deputati ad una sede esterna, v. CAPPONI, Il giudice dell’esecuzione e la tutela del debitore, in Riv. Dir. Proc., 2015, 6, sub § 4). Per i giudici di legittimità “nessuna ordinanza resa dal giudice dell’esecuzione in sede esecutiva è mai decisoria, ma dà solo luogo, quando interviene su questioni insorte tra le parti, alla definizione di una fase sommaria di un’opposizione esecutiva.

A questo punto, il Supremo Collegio si preoccupa di stabilire il corretto modus procedendi nel caso in cui, in un processo di esecuzione per obblighi di fare o di non fare, tra le parti insorga una questione di diritto che esuli da quelle relative alla (mera) modalità di esecuzione della sentenza di condanna.

In particolare, si legge nella sentenza che tale questione di diritto: “non può mai essere risolta in sede meramente esecutiva dal giudice dell’esecuzione”; di conseguenza, nel caso in cui il G.E. “anziché limitarsi a provvedere in applicazione di tale norma (con l’adozione dei provvedimenti di designazione dell’ufficiale giudiziario o l’indicazione delle attività materiali a compiersi per l’effettiva esecuzione delle condotte omesse o non poste in essere dai debitori) o a fare formalizzare la detta opposizione con le consuete modalità di esplicita separata trattazione del relativo subprocedimento in cui si sostanzia la fase sommaria davanti a lui, definisca il processo con ordinanza, questa è si impropriamente adottata, ma si risolve appunto e solo in quella conclusiva della fase sommaria dell’opposizione relativa alla questione agitata davanti al giudice dell’esecuzione”.

A fronte di tale ordinanza – “impropriamente adottata”, ma pur sempre “istituzionalmente priva di attitudini decisorie” – la parte dovrà comunque permettere il “necessario transito alla fase o al giudizio di merito” con le modalità e nel rispetto dei termini previsti dall’art. 616 c.p.c.