Adr in materia di consumo e l’opera di armonizzazione ancora a metà del guado

Di Olga Desiato -

Sommario: 1. Un caveat. – 2. Giustizia coesistenziale e istanze transnazionali. – 3. Le politiche comunitarie. 4 – Il recepimento della direttiva avvenuto per effetto del d. lgs. 6 agosto 2015, n. 130. – 5. La consacrazione codicistica della conciliazione paritetica. – 6. I principi cardine della disciplina interna. – 7. Le ipotesi di giurisdizione condizionata. – 8. Forme di risoluzione obbligatorie e Adr di natura volontaria: un discutibile compromesso. – 9. Procedimenti collettivi e soluzioni negoziali tra difetti di coordinamento e chiarimenti mancati. 10. Spigolature de iure condendo.

1.Un caveat.

Nell’ottica dell’efficientamento, della sostenibilità e dell’ammodernamento del sistema giudiziario nel suo complesso, le istituzioni comunitarie e nazionali militano ormai da decenni a favore del potenziamento di forme alternative alla formal justice, di paradigmi di giustizia coesistenziale che consentono l’autoregolazione degli interessi dei litiganti.

Che l’implementazione di procedure snelle e di facile fruizione, atte ad assicurare l’equa e condivisa composizione del conflitto al di fuori delle aule giudiziarie, rappresenti un volano per il sistema economico-giudiziario del paese, in risposta alla litigation explosion e alla perniciosa ipertrofia giuridica degli ultimi anni, costituisce un dato ormai condiviso. Con la complicità del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza, che annovera tra le dorsali lungo le quali deve articolarsi la riforma del processo civile proprio gli strumenti alternativi per la risoluzione delle controversie, la giustizia preventiva e consensuale torna, tuttavia, alla ribalta con una consapevolezza nuova.

A completamento del percorso condotto negli ultimi lustri ed in ossequio alle indicazioni delle istituzioni comunitarie, il legislatore con la l. 26 novembre 2021, n. 206 delega il Governo, nell’art. 1, comma 4, ad intervenire seguendo due linee direttrici complementari ed interconnesse, volte, da un lato, ad incentivare e potenziare la mediazione, la negoziazione assistita e l’arbitrato, e, dall’altro, in un’ottica di armonizzazione e razionalizzazione, a raccogliere tutte le discipline in un testo unico degli strumenti complementari alla giurisdizione (il TUSC), «anche con opportuna valorizzazione delle singole competenze  in  ragione  delle materie nelle quali dette procedure possono intervenire». L’idea non è nuova, riecheggia a tratti le indicazioni già fornite dalla Commissione istituita per l’elaborazione di proposte di interventi in materia di processo civile e di strumenti alternativi e dalla Commissione di studio per l’elaborazione di ipotesi di organica disciplina e riforma degli strumenti di degiurisdizionalizzazione[1].

Sulle orme indicate dal delegante, i conditores, con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, di attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al governo per l’efficienza del processo civile per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata, scommettono oggi sulla valorizzazione dei metodi Adr potenziando gli istituti della mediazione e della negoziazione assistita e rivisitando la disciplina dell’arbitrato; abbandonano, invece, presto l’auspicato intento armonizzatore essendo «gli interventi di carattere generale per l’armonizzazione di tutta la normativa applicabile in materia di procedure stragiudiziali e la sua collocazione in un testo unico sugli strumenti complementari alla giurisdizione subordinati al monitoraggio, da svolgere nell’arco di un quinquennio, da effettuare sull’area di applicazione della mediazione obbligatoria»[2].

Con specifico riferimento agli Adr in materia consumeristica, merita di essere subito segnalato che il consumatore, nonché gli strumenti di giustizia consensuale ad hoc predisposti (anche) a sua tutela non sono nel testo di legge espressamente contemplati e la delega si limita a dettare disposizioni di carattere generale, sancendo – sia pur con apprezzabile chiarezza – la salvezza e la piena applicabilità delle disposizioni previste dalle leggi speciali[3]: una spiacevole sorpresa per un triplice ordine di ragioni.

La prima e più significativa: gli strumenti in parola sono di fatto destinati a costituire la forma di tutela d’elezione a favore del subalterno consumatore – talora l’unica – in considerazione del fatto che la natura solitamente bagatellare delle controversie rappresenta de facto un deterrente all’esperimento della ben più onerosa azione giudiziale.

In un contesto nel quale gli strumenti di tutela collettiva faticano a decollare, l’effettività della tutela è allora evidentemente meglio assicurata attraverso il ricorso a procedure stragiudiziali che siano snelle, rapide e soprattutto facilmente attivabili (“a portata di click”) [4].

La seconda: il difetto di coordinamento tra la disciplina in tema di mediazione con la normativa per le Adr in materia consumeristica.

La terza: la disorganica, frammentaria e certamente variegata regolamentazione che caratterizza tali ultimi strumenti preventivi.

Lo status quo avrebbe, quindi, consigliato, in ragione dell’ontologico squilibrio e della fisiologica asimmetria che connotano i rapporti tra professionisti e consumatori, se non un’opera di riordino complessivo, quantomeno interventi correttivi sparsi atti a dissolvere le perniciose aporie che contraddistinguono la regolamentazione in materia sì da incentivarne il ricorso. E ciò, a maggior ragione, all’indomani del recentissimo intervento con il quale le Sezioni Unite hanno recepito – armonizzandoli con l’ordinamento interno – i  dicta espressi dalla Corte Giustizia la quale, a strenua difesa dell’interesse del consumatore, ha finito per sacrificare finanche il principio della preclusione pro iudicato che contraddistingue il nostrano procedimento monitorio e per riconoscere, in capo al giudice dell’esecuzione, anche in presenza di un titolo esecutivo giudiziale rappresentato dal decreto ingiuntivo non opposto, il potere di sollevare ex officio l’eccezione in merito all’abusività delle clausole contenute nella fonte negoziale[5].

2. Giustizia coesistenziale e istanze transnazionali.

Come è ormai noto, l’esigenza di delocalizzare il contenzioso e di sperimentare procedure snelle e di facile fruizione che assicurino la composizione della lite attraverso la ricerca di soluzioni condivise, raggiungibili in tempi stretti e senza oneri particolarmente gravosi per le parti, trova i natali proprio in materia consumeristica, in relazione alle small claims. Ed è sempre in materia consumeristica che si registra il maggior numero di metodologie di Adr: basti qui considerare che, stando ai risultati di studi condotti a livello europeo, nei Paesi dell’Unione Europea si affastellano 750 modelli di Adr, tutti con caratteristiche eterogenee e peculiari[6].

La promozione e la sperimentazione di modelli procedimentali di risoluzione informale e stragiudiziale nel contesto europeo hanno radici antiche e risentono delle esperienze americane e, in particolare, di quelle diffusesi negli Stati Uniti d’America, là dove già nel lontano 1768 viene istituito, presso la Camera di Commercio di New York, il tribunale arbitrale, deputato ad assicurare in relazione alle controversie mercantili un binario alternativo alla giustizia statale, più rapido e meno oneroso[7]. Sempre in ambito commerciale già l’Intestate Commerce Act del 1887 contempla una procedura su base volontaria atta a dirimere le controversie sindacali insorte tra le compagnie ferroviarie e i loro dipendenti e, poco più tardi, la Federal Arbitration Act legifera in tema di arbitrato avente ad oggetto i contratti commerciali.

Con particolare riferimento alla mediazione, è ormai noto il ruolo che, nell’evoluzione degli Adr, assumono le idee propugnate da Roscoe Pound nel convegno dell’American Bar Association del 1906 e da Frank Sander alla Pound Conference di Chicago del 1976. E’, in particolare, in quella sede caldeggiato il modello di multidoor courthouse nel quale i “courts of the future”, abbandonando l’idea monopolistica del processo giurisdizionale, assicurano una risposta alla domanda di giustizia indirizzando le parti verso percorsi personalizzati, individuati in base alle specifiche peculiarità delle controversie insorte, agli interessi dei litiganti e ai rapporti tra questi intercorrenti[8].

Le soluzioni lì incoraggiate sono riprese e vivificate ad opera delle politiche giudiziarie e legislative americane del tempo[9]: tra queste senz’altro spicca la modifica, risalente al 1998, del Titolo 28° della Carta dei diritti riguardante la risoluzione dei conflitti che sancisce la prevalenza degli strumenti di Adr su qualsiasi procedura contenziosa.

In tale contesto si collocano le iniziative successivamente intraprese dalla Camera di Commercio Internazionale: ci si riferisce in particolare all’adozione del regolamento ICC/ADR in vigore dal 1° luglio 2001 il quale regolamenta un procedimento amministrato di risoluzione delle controversie di carattere commerciale che lascia libere le parti di scegliere la tecnica di composizione più adatta ad aiutarle a definire di comune accordo la questione.

Anche la Commissione delle Nazioni Unite per il commercio internazionale sembra particolarmente attenta alla promozione di tecniche di composizione amichevole delle controversie o delle divergenze: senz’altro in questa direzione muove la risoluzione del 24 gennaio 2004 che individua il testo di una legge modello in tema di conciliazione internazionale, la Model Law on International Commercial Conciliation of the United Nations Commision on International Trade Law. Merita di essere segnalata anche la Guida Internazionale, prima fondamentale direttiva generale delle Nazioni Unite in tema di mediazione, presentata nel settembre del 2012 in occasione della 67a Assemblea Generale dell’ONU, contenente modalità e consigli pratici per la gestione efficace della mediazione dei conflitti. Le indicazioni fornite, redatte in cooperazione con un gruppo di Stati membri delle Nazioni Unite (Group of Friends of Mediation guidato da Finlandia e Turchia ed impegnato da tempo nella promozione della mediation all’interno dell’ONU), sono contenute in un documento dal titolo The UN Guidance for Effective Mediation e riguardano principalmente l’esigenza che le procedure siano svolte all’insegna dell’imparzialità e della flessibilità, da mediatori con elevato grado di professionalità ed esperienza.

3. Le politiche comunitarie.

Attraversando l’oceano, sull’eco di quel nuovo approccio extragiudiziale, anche le istituzioni comunitarie si mostrano negli anni particolarmente sensibili all’ideologia e alla cultura della giustizia coesistenziale [10].

Inizialmente caldeggiato per determinate categorie di controversie e a tutela delle fasce deboli, il ricorso generalizzato agli strumenti extragiudiziali di composizione dei conflitti è incoraggiato, già nel 1994, dalla creazione della European Network for Dispute Resolution, un Gruppo Europeo d’interesse economico finalizzato alla gestione e al coordinamento di una rete di centri di arbitrato e di mediazione commerciale con sedi in Spagna, in Francia, in Italia e nel Regno Unito.

La florida attività propulsiva e di indirizzo espletata dalla Commissione e dal Parlamento europeo è ampiamente comprovata dalla Direttiva 1985/374/CE relativa alla responsabilità per danno da prodotti difettosi; dalla Direttiva 1997/5/CE sui bonifici transfrontalieri, dalla Direttiva 2000/31/CE dell’8 giugno 2000 relativa ai servizi della società dell’informazione.

Con il «Libro Verde della Commissione Europea relativo ai modi di risoluzione delle controversie in campo civile e commerciale», licenziato il 19 aprile 2002[11], prende avvio la consultazione volta a realizzare e istituzionalizzare modelli procedurali non giurisdizionali di risoluzione delle liti condotte da una parte terza neutrale («ad esclusione dell’arbitrato propriamente detto»). Viene così valorizzato il ruolo della mediazione (e il suo carattere consensuale) ed auspicata una rapida estensione delle tecniche conciliative al fine di fronteggiare le inefficienze del sistema giudiziario. La consultazione, si legge nel Libro Verde, si prefigge principalmente l’obiettivo di sensibilizzare la comunità a metodi di risoluzione delle controversie alternative a quelle giurisdizionali e di raccogliere le osservazioni generali degli ambienti interessati in ordine alle problematiche inerenti le clausole di ricorso all’Adr, ai termini di prescrizione, all’esigenza di riservatezza, all’efficacia degli accordi scaturiti, alla formazione e alla responsabilità dei terzi deputati a svolgere l’attività conciliativa. Nel 2004 la promulgazione del Codice europeo di condotta dei mediatori accende i riflettori sul ruolo, tutt’altro che marginale, che il mediatore professionista gioca sul terreno della conciliazione e stabilisce una serie di norme a cui le organizzazioni che forniscono servizi di mediazione devono conformarsi. In particolare, ivi si specificano le modalità di nomina, la competenza e la formazione dei mediatori, nonché gli obblighi di indipendenza, imparzialità, correttezza, riservatezza e aggiornamento professionale cui essi sono tenuti nell’espletamento delle loro funzioni.

Tra le istanze comunitarie volte a garantire un miglior accesso alla giustizia merita di essere ricordata poi la proposta di direttiva presentata a Bruxelles il 22 ottobre 2004, nonché il Regolamento n. 861/2007 dell’11 luglio 2007 come modificato dal Regolamento europeo n. 2421/2015, con cui trova i natali un procedimento europeo per le controversie di modesta entità in ambito transfrontaliero. L’esigenza di istituire un procedimento europeo per le controversie di modesta entità è legata alla circostanza che le spese, i ritardi e le difficoltà connesse ai contenziosi non necessariamente diminuiscono in proporzione al valore della causa e gli ostacoli per ottenere una sentenza veloce e poco costosa aumentano nelle controversie transfrontaliere.

La priorità politica di incentivare la giustizia «alternativa» e di garantire il miglior contesto possibile per il suo sviluppo trova il suo coronamento con la Direttiva 2008/52/CE del 21 maggio 2008 che segna l’avvio del processo di armonizzazione oggi in atto[12].

Con specifico riferimento agli Adr in materia consumeristica[13], l’attenzione rivolta a metodologie stragiudiziali annovera interventi risalenti, sebbene improntati alla tecnica del soft law: si consideri che a partire dagli anni 70, con la Risoluzione del Consiglio del 14 aprile 1975 (Programma preliminare della Comunità economica europea per una politica di protezione e d’informazione dei consumatori) le istituzioni auspicano una riflessione in ordine alla tutela dei diritti fondamentali del consumatore, tra i quali si annovera quello del giusto risarcimento dei danni attraverso procedure rapide, efficaci e poco costose. Preceduto dal Memorandum del 1985[14] e dalla Risoluzione 25 giugno 1987 dedicata esclusivamente all’accesso dei consumatori alla giustizia[15], degno di nota è il c.d. «Libro Verde» Accesso dei consumatori alla giustizia e alla risoluzione delle controversie in materia di consumo nell’ambito del mercato unico licenziato dalla Commissione delle Comunità Europee il 16 novembre 1993 che, nel dichiarato intento di assicurare a tutti i consumatori della Comunità  l’accesso alla giustizia e la gestione delle controversie transfrontaliere, si propone tra gli obiettivi quello di individuare «criteri minimi applicabili alla gestione delle controversie transfrontaliere in materia di consumo, in modo da agevolare la creazione e/o il collegamento in rete di procedure extragiudiziali».

Tra gli interventi successivi appaiono meritevoli di menzione la Direttiva 1997/7/CE, volta alla protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza, la raccomandazione n. 98/257/CE del 30 marzo 1998, riguardante i principi applicabili agli organi responsabili per la risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di consumo, poi seguita da quella n. 2001/310/CE avente il medesimo oggetto, ove si stabiliscono i criteri minimi di qualità che gli organi extragiudiziali che partecipano alla risoluzione consensuale delle controversie dovrebbero offrire agli utenti[16].

A mantenere vivo l’interesse verso metodi di informal justice contribuiscono dapprima il regolamento (CE) n. 2006/2004 (abrogato dal il regolamento UE n. 2017/2394[17]) e la direttiva 2009/22/CE (regolamento sull’ODR per i consumatori), poi la Direttiva 2013/11/UE sulla risoluzione alternativa delle controversie, nazionali e transfrontaliere, dei consumatori nello specifico ambito delle obbligazioni derivanti da contratti di vendita o di servizi, tra professionisti stabiliti nell’Unione Europea ed i consumatori ivi residenti e il Regolamento n. 524/2013 sulla composizione delle controversie online, entrambi del 21 maggio 2013, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il 18 giugno 2013.

La direttiva, adottata a distanza di cinque anni esatti dalla Direttiva 2008/52/CE, si contraddistingue da quest’ultima per l’ampiezza del suo oggetto in quanto incentiva e regolamenta il ricorso alla risoluzione alternativa delle controversie in genere e non unicamente alla mediazione, sebbene il suo l’ambito applicativo sia circoscritto alle controversie tra consumatori e professionisti concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti di vendita o di servizi, sia online che offline, in tutti i settori economici diversi da quelli oggetto di esenzione[18].

Constatato lo scarso sviluppo e l’insoddisfacente funzionamento dell’Adr nello spazio comunitario, si auspica così il ricorso a procedure extraprocessuali di tipo facilitativo (nelle quali gli organismi riuniscono le parti semplicemente allo scopo di facilitare una risoluzione amichevole), oppure aggiudicativo (là dove è attribuito agli organismi il potere di imporre alle parti la soluzione) o misto.

Al fine di garantire un identico livello di protezione e la parità di diritti dei consumatori nelle controversie sia nazionali che transfrontaliere, si innalzano gli standard qualitativi degli organismi e si individuano i principi cardine che devono informare le procedure. Tra questi si annoverano: la privacy e la riservatezza, l’accessibilità e la trasparenza degli organismi che sono chiamati a risolvere le controversie in modo equo, pratico e proporzionato, ancora l’indipendenza, l’integrità e la competenza delle persone fisiche incaricate dell’Adr, nonché la gratuità o la ridotta onerosità delle procedure per i consumatori. Sono poi esplicitati gli obblighi informativi per i professionisti circa la disponibilità degli strumenti di Alternative Dispute Resolution negli Stati membri e quelli, gravanti su Autorità espressamente designate, di monitoraggio e controllo delle attività espletate dagli organismi.

Tra i criteri direttivi contenuti ed esplicitati nei molteplici consideranda di cui la direttiva consta, merita di non essere sottovalutato quello inerente gli obblighi di comunicazione. Gli Adr funzionano se e nella misura in cui i consumatori sono sufficientemente informati alla possibilità di farne ricorso, dei benefici che essi potenzialmente apportano in termini di costi e tempi, delle modalità attraverso le quali servirsene. In questa prospettiva l’art. 13 (da leggersi in combinato con l’art. 6, paragrafo 1, della direttiva 2011/83 e che assicura la piena conoscenza, in capo al consumatore, già prima della conclusione di un contratto, non solo delle informazioni vertenti sulle condizioni contrattuali, ma anche delle informazioni necessarie alla corretta esecuzione di detto contratto e, in particolare, all’esercizio dei suoi diritti) pone degli obblighi informativi particolareggiati a carico del professionista, obblighi che costituiscono – si è detto – un mezzo di tutela «sostanziale» in considerazione della circostanza che la mancata conoscenza, ovvero la più difficile reperibilità delle informazioni necessarie, rischia di privare de facto il consumatore del diritto alla difesa.

Questa è l’angolazione da cui si pone una recente pronuncia della Corte di Giustizia[19] che apertis verbis impone al professionista di includere le informazioni sulle Adr nelle condizioni generali del contratto di vendita o di servizi affinché il consumatore possa non soltanto essere edotto dei meccanismi extraprocessuali esistenti, ma anche identificare rapidamente quali fra gli organismi di risoluzione alternativa delle controversie siano competenti a trattare il reclamo e sapere se il professionista coinvolto intende partecipare al procedimento.

In un’ottica incentivante, la pronuncia merita piena condivisione non soltanto perché assicura piena tutela ai diritti di informazione e quindi di difesa del consumatore, ma anche perché è destinata a stimolare gli utenti a selezionare i propri contraenti anche in considerazione della “attitudine” degli stessi a risolvere le contestazioni insorte sull’oggetto del contratto attraverso meccanismi di informal justice.

Sempre in un’ottica incentivante, si pone il Regolamento n. 524/2013, interconnesso e complementare alla Direttiva 2013/11/UE, che prevede l’istituzione di una piattaforma web idonea a fornire ai consumatori e ai professionisti un unico punto di accesso extragiudiziale per la risoluzione delle controversie online attraverso gli organismi Adr collegati alla piattaforma. Su tale piattaforma, gestita dalla Commissione Europea, consumatori e professionisti possono presentare reclami attraverso moduli standard elettronici e reperire le informazioni utili ai fini della scelta del regime di risoluzione più appropriato.

Come si legge nel regolamento, l’Online Dispute Resolution offre una soluzione extra-giudiziale agevole, efficace, rapida e a basso costo per le controversie derivanti da operazioni online ed il suo corretto funzionamento è indissolubilmente connesso alla qualità dei servizi resi dagli organismi. In quest’ottica particolare attenzione è rivolta alla funzionalità tecnica e alla facilità d’uso della piattaforma ODR[20], oltre che agli obblighi informativi volti a pubblicizzare e facilitare il ricorso a siffatto strumento[21].

In tale contesto si pone oggi il Regolamento 2017/2394 del Parlamento europeo e del Consiglio sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa che tutela i consumatori, entrato in vigore il 17 gennaio 2020, in relazione al quale è in atto una consultazione ad opera della Commissione europea volta a verificarne l’attuazione anche con riferimento alla disciplina della risoluzione delle controversie on line.

4. Il recepimento della direttiva avvenuto per effetto del d. lgs. 6 agosto 2015, n. 130

La direttiva 2013/11/UE trova recepimento dapprima in Belgio, mediante la l. 4 aprile 2014, n. 41, poi in Francia con l’istituzione della médiation de la consommation (introdotta dall’ordonnance 20 agosto 2015, n. 1033 relativa au règlement extrajudiciaire des litiges de consommation) e con la modifica dell’art. 2061 code civil per effetto della l. 18 novembre 2016, n. 1547 che regolamenta l’arbitrato di consumo[22], in Germania, mediante la promulgazione, nel febbraio 2016  della legge Gesetz zur Umsetzung der Richtlinie über alternative Streitbeilegung in Verbraucherangelegenheiten und zur Durchführung der Verordnung über Online-Streitbeilegung in Verbraucherangelegenheiten e successivamente in Spagna mediante la Ley 2 novembre 2017, n. 7 [23].
In risposta alle sollecitazioni europee, anche il legislatore italiano interviene con il d. lgs. 6 agosto 2015, n. 130 che, sulla base dei criteri direttivi posti dalla l. 7 ottobre 2014, n. 154, si prefigge l’obiettivo di regolamentare – così incentivandolo – il ricorso a strumenti alternativi alla giurisdizione nelle ipotesi di controversie, anche transfrontaliere, in materia di consumo.

Si tratta di un’attesa opera di riordino considerata anche la perniciosa frammentarietà del corpus normativo apprestato al consumatore dalla legislazione interna, opera tuttavia – è il caso di avvertire fin da ora – non appagante né risolutiva in ragione della surriferita costellazione di procedure Adr contemplate dalla legislazione speciale in determinati settori. I modelli in parola risultano, infatti, assolutamente variegati e multiformi, solo sommariamente distinguibili in ragione della natura facilitativa o aggiudicativa degli stessi, dei settori economici nei quali operano e del ruolo che le autorità indipendenti di garanzia giocano di volta in volta.

Si pensi alle procedure di tipo decisorio-aggiudicative disciplinate per le controversie in materia di servizi bancari e finanziari [24] o alle procedure di risoluzione stragiudiziale previste dalla l. n. 481/95 di riforma dei servizi di pubblica utilità, agli strumenti stragiudiziali contemplati dal codice del turismo (e quindi dal d. lgs. 2011, n. 79), a quelli gestiti dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) in materia di telecomunicazioni (attraverso i co.re.com – comitati regionali per le comunicazioni) o a quelli di gestiti dall’ARERA, peraltro obbligatori. Si considerino ancora le negoziazioni paritetiche o le procedure conciliative amministrate dalle Camere di Commercio, ecc.

Il riconoscimento generalizzato e la regolamentazione del diritto riservato ai consumatori di avanzare reclami innanzi ad organismi indipendenti, imparziali, trasparenti ed efficaci al fine di risolvere le controversie in via stragiudiziale avviene attraverso la trasposizione nel diritto interno dei principi cardine individuati dalle istituzioni comunitarie ed al loro adattamento alle varie procedure già presenti nel settore consumeristico.

Il decreto in parola interviene integrando e modificando l’art. 141 del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 ed inserendo gli artt. dal 141 bis al 141 decies: la scelta di collocare le nuove disposizioni nel codice del consumo certamente si fa apprezzare dal momento che, per un verso, accentua il carattere trasversale delle nuove disposizioni, per altro, assicura un livello di conoscibilità e fruibilità senz’altro maggiore.

Desta, tuttavia, perplessità la scelta di non legiferare in tema di arbitrato, così lasciando che il procedimento arbitrale che coinvolga i consumatori resti regolato dalle norme del codice di rito[25].

Ribadite le definizioni soggettive ed oggettive di consumatore, professionista, contratto di vendita, contratto di servizi, controversia nazionale e controversia transfrontaliera, la nuova formulazione dell’art. 141 cod. cons. individua espressamente negli organismi di Alternative Dispute Resolution (istituiti su base permanente presso le autorità competenti ed iscritti nell’elenco di cui all’art. 141 decies), gli enti deputati a gestire le procedure e, quindi, «a proporre soluzioni o a riunire le parti al fine di agevolare una soluzione amichevole» in ossequio ai principi individuati dalle istituzioni comunitarie prima e dal legislatore nazionale poi.

Come si è già avuto modo di sottolineare[26], sebbene la Direttiva 2013/11/UE, all’art. 2, comma 1, espressamente contempli la possibilità che l’organismo Adr non si limiti a riunire le parti al fine di agevolare la soluzione amichevole o di proporre una soluzione, ma anche di imporla, il legislatore delegato sembra rifiutare il meccanismo eteronomo ed impositivo evidentemente prediligendo un procedimento di mediazione facilitativo e/o propositivo nel quale le persone fisiche incaricate dell’Adr assistono le parti nella ricerca dell’accordo amichevole, avviando eventualmente la fase valutativa che conduce alla proposta conciliativa[27].

La preferenza è così accordata a procedure facilitative che possono eventualmente concludersi con la proposizione di soluzioni condivisibili dalle parti, anche se non necessariamente coincidenti con quelle che avrebbe offerto un giudice. Il ricorso alla metodologia c.d. aggiudicativa resta tuttavia possibile pur giustificando il riconoscimento, in favore del consumatore, di garanzie ulteriori a quelle generalmente a lui riservate. Tanto si desume dal nuovo comma 5 dell’art. 141 quater cod. cons., il quale prescrive che, nell’ipotesi di procedure Adr volte a risolvere la controversia previa proposizione di una soluzione, gli organismi hanno l’onere di informare le parti, prima dell’avvio del procedimento, del diritto ad esse spettante: a) di ritirarsi in qualsiasi momento della procedura, b) di scegliere se accettare o no la risoluzione proposta, c) di chiedere un risarcimento attraverso un normale procedimento giudiziario, d) di essere informate dell’effetto giuridico che consegue dall’accettazione della proposta, nonché e) di disporre di un periodo di riflessione ragionevole.

All’individuazione dell’ambito applicativo del dettato è dedicato il comma 4 dell’art. 1 del d.lgs. n. 130/2015 che, modificando l’art. 141 cod. cons., chiarisce che le disposizioni « si applicano alle procedure volontarie di composizione extragiudiziale per la risoluzione, anche in via telematica, delle controversie nazionali e transfrontaliere, tra consumatori e professionisti residenti e stabiliti nell’Unione Europea… e, in particolare, agli organismi di mediazione per la trattazione degli affari in materia di consumo iscritti nella sezione speciale di cui all’articolo 16, commi 2 e 4, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, e agli altri organismi ADR istituiti o iscritti presso gli elenchi tenuti e vigilati dalle autorità di cui al comma 1, lettera i), previa la verifica della sussistenza dei requisiti e della conformità della propria organizzazione e delle proprie procedure alle prescrizioni del presente titolo».

È qui il caso di sottolineare che, ai sensi del comma 5 del medesimo articolo, le disposizioni contenute nel decreto legislativo in parola si applicano anche alle eventuali procedure, previste ai sensi del comma 7, in cui l’organismo Adr adotta una decisione, id est: le procedure svolte nei settori di competenza dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas ed il sistema idrico, della Banca d’Italia, della Commissione nazionale per la società e la borsa e dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ivi comprese quelle che prevedono la partecipazione obbligatoria del professionista, le quali «sono considerate procedure Adr ai sensi del presente Codice, se rispettano i principi, le procedure e i requisiti delle disposizioni di cui al presente titolo».

Parimenti dette disposizioni trovano applicazione nelle procedure di conciliazione paritetica contemplate dall’art. 141 ter.

5. La consacrazione codicistica della conciliazione paritetica.

Successivamente all’intervento delle istituzioni comunitarie – che con la risoluzione del 25 ottobre 2011 apertis verbis riconoscono la prassi virtuosa italiana della conciliazione paritetica – la l. 7 ottobre 2014 di Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione Europea chiarisce che rientrano tra le procedure di risoluzione alternativa delle controversie quelle che si svolgono innanzi ad organismi in cui le persone fisiche incaricate sono assunte o retribuite esclusivamente dal professionista (o da un’organizzazione professionale o da un’associazione di imprese di cui il professionista è membro).

La negoziazione paritetica, come è noto, costituisce l’evoluzione di una procedura frutto di un protocollo di intesa, operativo dal 1991, stipulato tra la Sip e talune associazioni dei consumatori: una best practice nostrana in cui le procedure di conciliazione si basano su protocolli di intesa, sottoscritti tra le associazioni dei consumatori e le singole aziende (o le associazioni di categoria) che vi aderiscono, che stabiliscono le regole cui le parti dovranno attenersi per dirimere le singole questioni[28].

La negoziazione in parola, inizialmente sviluppatasi in materia di comunicazioni, poi largamente sperimentata anche in materia di servizi, pur già riconosciuta indirettamente a livello normativo[29], trova oggi la sua piena consacrazione nel codice del consumo ed in particolare nell’art. 141 ter che ne detta finalmente una disciplina organica.

Si tratta di procedure rigorosamente a titolo gratuito per il consumatore, che prendono avvio a seguito di un reclamo inoltrato dal consumatore all’azienda, che sono direttamente gestite dalle Commissioni di conciliazione, composte pariteticamente da conciliatori adeguatamente formati, uno in rappresentanza dell’azienda, l’altro (indicato dalle associazioni dei consumatori), dell’utente.

L’art. 141 ter cod. cons. definisce negoziazioni paritetiche quelle procedure svolte dinanzi agli organismi Adr in cui parte delle persone fisiche incaricate della risoluzione delle controversie sono assunte o retribuite esclusivamente dal professionista o da un’organizzazione professionale o da un’associazione di imprese di cui il professionista è membro. Esse sono peraltro considerate di Adr a condizione che rispettino i requisiti indicati dal codice di consumo e quelli ulteriori specifici di indipendenza e trasparenza e che siano disciplinate da protocolli di intesa stipulati «tra i professionisti o loro associazioni e un numero non inferiore a un terzo delle associazioni dei consumatori e degli utenti, di cui all’art. 137, nonché quelle disciplinate da protocolli di intesa stipulati nel settore dei servizi pubblici locali secondo i criteri a tal fine indicati nell’accordo sancito in sede di conferenza unificata Stato-regioni e Stato-città ed autonomie locali del 26 settembre 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 254 del 29 ottobre 2013». Le specificazioni e gli ulteriori requisiti richiesti dalla norma si giustificano considerando che la composizione delle controversie su base paritetica (a differenza ad esempio della mediazione) non presuppone l’intervento di organismi terzi e imparziali, distinti rispetto alle parti coinvolte; la commissione peraltro non fornisce un mero ausilio alle parti affinché esse trovino in maniera autonoma una soluzione, ma delinea una proposta di soluzione, basata sull’analisi degli elementi di fatto e di diritto relativi alla controversia.

La proposta assume i connotati della procedura valutativa e decisoria (da qui le garanzie poste dal comma 5 dell’art. 141 quater cod. cons sopra citato) che non ha, tuttavia, natura vincolante, essendo demandato al consumatore il potere di scegliere se accettarla o meno: solo per effetto dell’accettazione il contratto è da intendersi concluso e la lite transatta.

 

6. I principi cardine della disciplina interna.

Volgendo lo sguardo alle prescrizioni di carattere generale poste dal testo di legge, si consideri, in via del tutto preliminare che, ai sensi del comma 8 del nuovo art. 141 cod. cons., le disposizioni in parola non si applicano alle procedure presso sistemi di trattamento dei reclami dei consumatori gestiti dal professionista, ai servizi non economici d’interesse generale, alle controversie fra professionisti, alla negoziazione diretta tra consumatore e professionista, ai tentativi di conciliazione giudiziale per la composizione della controversia nel corso di un procedimento giudiziario riguardante la controversia stessa, alle procedure avviate da un professionista nei confronti di un consumatore, ai servizi di assistenza sanitaria prestati da professionisti sanitari a pazienti, al fine di valutare, mantenere o ristabilire il loro stato di salute, compresa la prescrizione, la somministrazione e la fornitura di medicinali e dispositivi medici, nonché agli organismi pubblici di istruzione superiore o di formazione continua.

Il dettato precisa, poi, gli adempimenti e gli obblighi posti a carico degli organismi: tra questi spiccano quelli attinenti al reclutamento delle persone fisiche incaricate della risoluzione delle liti, le quali potranno gestire le procedure solo se in possesso di conoscenze e competenze specifiche (in materia di risoluzione alternativa o giudiziale delle controversie dei consumatori, inclusa la comprensione generale del diritto), se indipendenti, retribuite prescindendo dall’esito delle procedura, nominate per un incarico di durata sufficiente a garantire l’indipendenza dell’attività da svolgere e se non soggette ad istruzioni dell’una o dell’altra delle parti o dei loro rappresentanti.

In risposta alle sollecitazioni delle istituzioni europee le procedure dovranno essere informate ai canoni di trasparenza, efficacia, equità e libertà, oltre che disponibili e facilmente accessibili online e offline; ancora, dovranno consentire la partecipazione alle parti senza obbligo di assistenza legale, essere gratuite o disponibili a costi minimi per i consumatori, nonché concludersi entro il termine di novanta giorni dalla data di ricevimento del fascicolo completo della domanda da parte dell’organismo Adr (pur essendo consentito che quest’ultimo, accertata la particolare complessità della controversia, proroghi il termine fino a un massimo di novanta giorni, previa comunicazione agli interessati).

Chiarito che il consumatore non può essere privato in nessun caso del diritto di adire il giudice competente indipendentemente dall’esito della procedura di composizione extra giudiziale, il dettato normativo precisa poi che dalla data di ricevimento da parte dell’organismo Adr la relativa domanda produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data la domanda impedisce altresì la decadenza per una sola volta, mentre se la procedura Adr fallisce, i relativi termini di prescrizione e decadenza iniziano a decorrere nuovamente dalla data della comunicazione alle parti della mancata definizione della controversia con modalità che abbiano valore di conoscenza legale.

Le nuove disposizioni inserite nel Codice del consumo contemplano una serie di garanzie ulteriori volte ad assicurare al consumatore non solo le informazioni inerenti all’organismo o agli organismi competenti (ivi compreso l’indirizzo del sito web di questi ultimi), ma anche, nelle ipotesi di controversie transfrontaliere, assistenza — per il tramite del Centro nazionale della rete europea per i consumatori (ECC-NET) — nell’accesso all’organismo Adr che operi in un altro Stato membro e che possa trattare la questione.

Sempre al fine di incentivare il ricorso a procedure stragiudiziali che garantiscano un elevato livello di protezione del consumatore, l’art. 141 septies recepisce le indicazioni contenute nei consideranda nn. 52 e 53 della Direttiva 2013/11/UE in virtù dei quali gli Stati membri sono tenuti ad incoraggiare lo scambio di migliori prassi e conoscenze tecniche, nonché il confronto in merito alle eventuali problematiche legate al funzionamento delle procedure Adr.

L’assiduo scambio di informazioni e la costante collaborazione tra organismi Adr e autorità competenti nazionali, ritenuti opportuni in vista di una più efficace applicazione degli atti giuridici dell’Unione sulla protezione dei consumatori, implica in ogni caso, come espressamente chiarito dai commi 4 e 5 dell’art. 141 septies, il rispetto delle norme sulla protezione dei dati personali e la stretta osservanza delle disposizioni in materia di segreto professionale e commerciale, rimanendo le persone fisiche incaricate delle procedure sottoposte al segreto d’ufficio e agli altri vincoli equivalenti di riservatezza previsti dalla normativa vigente.

7. Le ipotesi di giurisdizione condizionata.

Come si è già avuto modo di precisare, le procedure di Adr per i consumatori sono attivabili anche in relazione alle controversie tra consumatori italiani e professionisti di altri paesi dell’Unione Europea o fra consumatori europei e professionisti italiani; i costi sono ridotti rispetto a quelli della mediazione civile, ma l’accordo non costituisce titolo esecutivo, basandosi unicamente sull’adempimento spontaneo delle parti.

Trattasi di procedure, come detto, volontarie sempre che, stante l’espressa previsione contenuta nel comma 6 dell’art. 141 cit., la fattispecie non rientri tra quelle per le quali l’esperimento del tentativo di mediazione non costituisca condizione di procedibilità della domanda.

Ci si riferisce all’ipotesi contemplata dall’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 relativa alla mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, a quella di cui all’art. 1, comma 11, della l. 31 luglio 1997, n. 249 per il settore delle comunicazioni elettroniche, nonché a quella disciplinata dall’art. 2, comma 24, lett. b) della l. 14 novembre 1995, n. 481 relativo al tentativo obbligatorio di conciliazione nelle materie di competenza, il gas e il sistema idrico [30].

Per quelle relative alla fornitura e contratti di servizi di telefonia mobile e fissa, alla fornitura e contratti di servizi di telecomunicazione, alla fornitura di servizi e contratti di connettività Internet, a contratti di pay tv, nonché alla fornitura e contratti di servizi postali, a titolo esemplificativo, il ricorso in sede giurisdizionale è precluso fino all’esperimento di un tentativo obbligatorio di conciliazione da ultimare entro 30 giorni dalla proposizione dell’istanza all’autorità[31]. In tali ipotesi è l’AGICOM (Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni) l’organismo di settore che, ai sensi dell’art. 1, comma 11, della l. 249/1997, è chiamato a disciplinare «con propri provvedimenti le modalità per la soluzione non giurisdizionale delle controversie che possono insorgere fra utenti o categorie di utenti ed un soggetto autorizzato o destinatario di licenze oppure tra soggetti autorizzati o destinatari di licenze fra loro».

Ancora, con riferimento alle controversie relative alla fornitura e contratti di energia elettrica, di gas per riscaldamento e uso cucina e di acqua e servizi idrici, è l’ARERA (Autorità di regolazione per energia reti e ambienti) l’autorità designata per l’Adr nei settori regolati ed è sempre l’ARERA che istituisce l’elenco, definisce le modalità di iscrizione degli organismi che offrono ai consumatori procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie e che, in ragione dei compiti di vigilanza ad essa demandati, verifica il rispetto dei requisiti previsti dalla normativa in vigore [32].

Rebus sic stantibus, sebbene la controversia presenti caratteristiche oggettive e soggettive tali da giustificare l’applicazione del d.lgs. n. 130/2015, essa resta subordinata alle procedure obbligatorie stragiudiziali di volta in volta imposte dalla normativa vigente: in buona sostanza, il concorso rispetto alle controversie di consumo tra forme di risoluzione obbligatorie e Adr di natura volontaria è risolto a favore delle prime.

8. Forme di risoluzione obbligatorie e Adr di natura volontaria: un discutibile compromesso.

Non è questa la sede per ripercorrere l’ormai antica e mai del tutto sopita querelle sorta in ordine alla paventata illegittimità costituzionale della giurisdizione condizionata, né quella – altrettanto annosa – che investe la compatibilità con le norme eurounitarie dei meccanismi di conciliazione obbligatori imposti dalla legislazione nazionale. Con riferimento a quest’ultima, del resto, nella materia consumeristica e, più in particolare, nel settore delle comunicazioni elettroniche, l’obbligatorietà del ricorso a sistemi alternativi alla giurisdizione statale ha superato il vaglio della Corte di Giustizia[33].

La valutazione di proporzionalità effettuata tra gli obiettivi perseguiti dal diritto interno e la limitazione del diritto di accesso alla giustizia[34] ha, infatti, indotto il Supremo consesso ad escludere che la disciplina nazionale che imponga il previo esperimento di una procedura di conciliazione extragiudiziale (nel caso di specie prevista dalla delibera 173/07/CONS regolamentante le procedure di risoluzione delle controversie tra operatori di comunicazione e utenti davanti ai Comitati regionali per le comunicazioni) mini il principio della «tutela giurisdizionale effettiva» [35].

Si tratta tuttavia di una valutazione che deve necessariamente essere effettuata caso per caso, in considerazione delle peculiarità della disciplina apprestata dalla legislazione speciale e dalle garanzie di volta in volta assicurate ai consociati.

Ora, e con specifico riferimento alla mediazione obbligatoria di cui al d. lgs. 28/10 cit., la soluzione di compromesso prescelta dal legislatore italiano sembra di primo acchito collidere con i criteri posti dalla Direttiva 2013/11/UE la quale all’art. 8 si premura di chiarire nel primo comma alla lett. b) che «le parti hanno accesso alla procedura senza essere obbligate a ricorrere a un avvocato o consulente legale senza che la procedura precluda alle parti il loro diritto di ricorrere al parere di un soggetto indipendente o di essere rappresentate o assistite da terzi in qualsiasi fase della procedura» e, alla lett. c), che «la procedura Adr è gratuita o disponibile a costi minimi per i consumatori». Il medesimo articolo, alla lett. a) del secondo comma, riconosce poi alle parti la facoltà di «ritirarsi dalla procedura in qualsiasi momento se non sono soddisfatte delle prestazioni o del funzionamento della procedura».

Sebbene i criteri in parola trovino piena consacrazione nel codice del consumo e, in particolare, negli artt. 141 bis e quater, le cose – ça va sans dire – si atteggiano diversamente nell’impianto delineato dal d. lgs. 28/10 cit.: la difesa tecnica è, infatti, obbligatoria (ed onerosa) e la condotta “non partecipativa” tenuta nel procedimento di mediazione espone le parti a conseguenze pregiudizievoli nel successivo giudizio [36]. Ciò è tanto più vero oggi, alla luce del restyling operato dal d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 cit. che, nell’ottica del potenziamento e della valorizzazione della procedura in parola, da un lato estende l’ambito di operatività della mediazione obbligatoria ai rapporti di durata ed incoraggia il ricorso alla mediazione demandata, dall’altro esacerba le ripercussioni che derivano dalla ingiustificata partecipazione al procedimento attraverso la previsione di un significativo aumento delle sanzioni irrogate.

La scelta di privilegiare la mediazione obbligatoria deve essere valutata infine alla luce dell’obiettivo primario perseguito dalle istituzioni comunitarie di «istituire un sistema unitario ed esclusivo di ADR specificamente destinato alle controversie di consumo e avente requisiti armonizzati».

Il ricorso alla mediazione obbligatoria con riferimento a talune controversie di consumo certamente contraddice detti intenti, imponendo una regolamentazione che, trascurando la nota asimmetria del rapporto e la natura composita degli interessi in gioco, genera un vulnus di tutela del contraente più debole. Quel vulnus che le fonti comunitarie e le norme apprestate dal d.lgs. n. 130/2015 tentano invece di ridimensionare con meccanismi di protezione ad hoc[37].

La questione non è sfuggita al giudice italiano che con lodevole sollecitudine ha operato il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia[38] sottoponendole due questioni pregiudiziali, attinenti, la prima, alla facoltà dei singoli Stati membri di prevedere la mediazione obbligatoria per le sole ipotesi che non ricadono nell’ambito di applicazione della direttiva 2013/11 e, la seconda, all’esatta interpretazione dell’art. 1 della direttiva 2013/11[39]. La Corte è stata in buona sostanza sollecitata a prendere posizione sul rapporto tra il sistema di Adr previsto per le controversie dei consumatori dal d.lgs. n. 130/2015 e le norme in tema di mediazione che nel nostro Ordinamento impongono nelle controversie consumeristiche – a pena di improcedibilità del giudizio di merito – il preventivo esperimento del procedimento di mediazione, caratterizzato dall’assistenza necessaria di un avvocato e senza possibilità per le parti di ritirarsi se non per giustificato motivo.

Con la pronuncia 14 giugno 2017 (C-75/16)[40] il giudice europeo apertis verbis include la procedura di mediazione prevista dal diritto nazionale (in particolare dal d.lgs. n. 28/2010 all’art. 5, commi 1-bis e 4) nel modello di Adr a condizione di soddisfare i seguenti tre requisiti: 1) la procedura deve essere stata promossa da un consumatore nei confronti di un professionista con riferimento a obbligazioni derivanti dal contratto di vendita o di servizi; 2) la procedura deve essere indipendente, imparziale, trasparente, efficace, rapida ed equa; 3) la procedura deve essere affidata a un organismo istituito su base permanente e inserito in un elenco speciale notificato alla Commissione europea, lasciando poi al giudice nazionale, nell’ambito del giudizio principale, verificare la presenza di siffatti requisiti.

La direttiva 2013/11/UE non osta, dunque, a una normativa nazionale che prevede il ricorso a una procedura di mediazione nelle controversie indicate all’articolo 2, par. 1, di tale direttiva come condizione di procedibilità della domanda giudiziale relativa a queste medesime controversie, sempre che un requisito siffatto non impedisca alle parti di esercitare il loro diritto di accesso al sistema giudiziario. Ribadendo ad litteram i principi già espressi nel 2010[41], in definitiva, l’effettività della tutela non è compromessa allorché la procedura non conduca a una decisione vincolante per le parti, non comporti un ritardo sostanziale per la proposizione di un ricorso giurisdizionale, sospenda la prescrizione o la decadenza dei diritti in questione e non generi costi, ovvero generi costi non ingenti, per le parti, a patto però che la via elettronica non costituisca l’unica modalità di accesso a detta procedura di conciliazione e che sia possibile disporre provvedimenti provvisori nei casi eccezionali in cui l’urgenza della situazione lo impone.

Tanto premesso, ciò che il supremo giudice si premura di escludere è la compatibilità con la normativa europea della previsione nazionale che, per un verso, impone l’assistenza obbligatoria di un avvocato, per altro, riconosce al consumatore la facoltà di ritirarsi da una procedura di mediazione solo allorché dimostri l’esistenza di un giustificato motivo a sostegno di tale decisione[42].

La pronuncia non placa gli animi e pare, perlopiù, dare linfa a nuove spinose querelles.

La prima concerne la verifica, tutt’altro che agevole, del perimetro applicativo della direttiva e delle ipotesi in cui le deroghe in parola sono concretamente invocabili. Incombente, questo, affidato al giudice nazionale chiamato a verificare che l’organismo deputato a gestire la procedura sia un organismo Adr che soddisfi le condizioni dettate dalla fonte comunitaria «dal momento che ciò costituisce un presupposto per la sua applicazione».

A tal fine, occorre considerare: a) che la direttiva trova a rigore applicazione solo allorché la procedura sia affidata ad un organismo che, conformemente all’articolo 4, primo comma, lett. h), sia inserito in elenco ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2 e che rispetti i requisiti di qualità imposti dalla fonte comunitaria e le disposizioni nazionali di attuazione, incluse le disposizioni nazionali che fissano requisiti più rigorosi di quelli della presente direttiva, conformemente al diritto dell’Unione[43] e b) che, in virtù delle disposizioni contenute nell’art. 141, comma 4, cod. cons., essa è invocabile nelle procedure gestite da organismi di mediazione per la trattazione degli affari in materia di consumo iscritti nella sezione speciale di cui all’articolo 16, commi 2 e 4, d.lgs. 28/2010 «previa verifica della sussistenza dei requisiti della conformità della propria organizzazione delle proprie procedure alle prescrizioni del presente titolo».

Appurata l’operatività all’interno degli Stati membri di soggetti non iscritti negli elenchi di cui all’art. 20 ma le cui procedure siano sottoposte ad una diversa disciplina comunque «conformi ai principi del giusto procedimento», è consentita la disapplicazione del diritto interno ed in particolare delle norme che impongono la presenza obbligatoria del difensore e negano al consumatore di ritirarsi dal procedimento in qualsiasi momento risultando esse in contrasto con le interpretazioni della Corte di Giustizia.

Prescindendo, ora, dalla altrettanto annosa questione relativa al potere di disapplicazione che le sentenze di natura dichiarativa conferiscono ai consociati (e che dipende dalla efficacia della disposizione interpretata)[44], si tratta di una valutazione – certamente complessa – che è compiuta solo ex post dal giudice nazionale e che, de facto, è rimessa ex ante al verosimilmente sprovveduto e implume consumatore il quale, nel ginepraio di organismi e nel nugolo di requisiti imposti dalle fonti sovranazionali e nazionali, difficilmente riuscirà ad orientarsi.

Con riferimento alla questione relativa alla possibilità delle parti di ritirarsi dalla procedura in qualsiasi momento se non sono soddisfatte dalle sue prestazioni del suo funzionamento, occorre poi considerare che le conseguenze processuali della mancata partecipazione al procedimento di mediazione – come individuate dall’art. 12 di nuovo conio – espressamente contemplano la mancata partecipazione al primo incontro senza giustificato motivo al procedimento di mediazione (dalla quale il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, comma 2, c.p.c.) e la condanna della parte costituita che non ha partecipato al primo incontro senza giustificato motivo al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al doppio del contributo unificato dovuto per il giudizio (nelle ipotesi in cui la mediazione costituisce condizione di procedibilità). Solo il terzo comma del medesimo articolo espressamente si riferisce alla «mancata partecipazione» alla mediazione (prevedendo la condanna della parte soccombente che non ha partecipato alla mediazione al pagamento in favore della controparte di una somma equitativamente determinata). Ora, stante l’obbligo del consumatore di partecipare al primo incontro, parrebbe solo questa la disposizione effettivamente non invocabile nelle fattispecie consumeristiche.

Quid iuris poi in caso di rifiuto della proposta di conciliazione da parte del consumatore? Può il «potere di ritirarsi dalla procedura» essere estensivamente interpretato fino a ritenere non applicabili (nell’ottica protettiva del consumatore) le prescrizioni contenute nell’art. 13?

Le modalità attraverso le quali la disciplina apprestata per le controversie civili e commerciali possa conformarsi a quella dettata in materia consumeristica sono tutte da verificare considerando, peraltro, che il riconoscimento di detta facoltà non alle parti, bensì al solo consumatore certamente implica una disparità di trattamento che né il d.lgs. 28/2010, né la direttiva 2008/52 paiono autorizzare[45].

Una speculare e altrettanto cimentosa disparità di trattamento si realizza anche con la previsione che esclude l’obbligo di assistenza tecnica per il consumatore, lasciando invece salvo quello imposto professionista: uno scenario paradossale nel quale la già nota asimmetria del rapporto de facto si acuisce nella misura in cui lascia il solingo consumatore ad interloquire, con tutti i tecnicismi del caso, con il professionista ed il suo difensore.

Al fine di mitigare lo squilibrio, si potrebbe confidare su una regolamentazione puntuale e un sistema sanzionatorio draconiano che assicurino il pieno rispetto degli obblighi di professionalità, competenza, imparzialità e indipendenza imposti agli Organismi e alle persone fisiche incaricate della risoluzione delle controversie: lo status quo normativo, tuttavia, non sembra all’altezza del compito considerando anche che i regolamenti di cui ai dd.mm. 180/2010 e 139/2014 non risultano ancora adeguati alla normativa dettata in attuazione della Direttiva 2013/11/UE[46] e che la stessa direttiva presenta criticità con riferimento alla disciplina delineata in punto di indipendenza, imparzialità e trasparenza degli organismi Adr [47] nonché con riferimento alla competenza delle persone incaricate della procedura, soprattutto in relazione ai criteri di equità e legalità[48].

9. Procedimenti collettivi e soluzioni negoziali tra difetti di coordinamento e chiarimenti mancati.

I controversi rapporti tra la disciplina dettata per le controversie consumeristiche e la mediazione civile e commerciale meritano, da ultimo, di essere considerati con riferimento ai procedimenti collettivi e alle modifiche intervenute, dapprima, per effetto della l. 12 aprile 2019, n. 31, successivamente, del d.lgs. 149/22, infine, del d. lgs. 10 marzo 2023, n. 28, disciplinante le azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori.

Come è noto, il restyling del 2019 che ha profondamente innovato la disciplina dell’azione di classe, regolamentata dal codice di rito ed in particolare dall’autonomo Titolo VIII bis, ha svincolato la tutela di situazioni sostanziali imputabili a un numero indeterminato di soggetti dalla materia stricto sensu consumeristica rendendola esperibile – senza limitazione di natura soggettiva o oggettiva – nei confronti di imprese ovvero nei confronti di enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità, relativamente ad atti e comportamenti plurioffensivi posti in essere nello svolgimento delle loro rispettive attività. Tra le maglie dell’articolato traspare limpidamente la crescente attenzione nei confronti delle soluzioni negoziali delle liti[49] la quale, peraltro, constatata l’assenza di indicazioni di segno contrario, sembra consentire anche il ricorso ad altri strumenti conciliativi, ivi compreso quello delineato dal d.lgs. 28/10. Proprio in relazione alla mediazione civile e commerciale, però, alcune discrasie rendono difficoltoso il coordinamento tra procedimenti.

A tale proposito ed in via preliminare, v’è da sottolineare che, prima delle modifiche apportate dal d.lgs. 149/22, il d.lgs. 28/10 conservava la sua formulazione originaria e, nonostante l’abrogazione degli 140 e 140 bis cod. cons. disposta dall’art. 5 della l. 31/19, continuava ad escludere, all’art. 5, comma primo bis, che la condizione di procedibilità fosse invocabile in relazione all’art. 37 e 140 e 140 bis cod. cons. Peraltro, anche l’art. 15 del d.lgs. 28/10, con riferimento alla conciliazione intervenuta dopo la scadenza del termine per l’adesione, contemplava ancora l’azione di classe prevista l’art. 140 bis cit.[50].

Sotto la vigenza di quella disciplina, i presto denunciati difetti di coordinamento avevano indotto la dottrina ad interrogarsi in ordine alla possibilità di ritenere che, per effetto dell’abrogazione degli artt. 140 e 140 bis cit., la condizione di procedibilità fosse da intendersi estesa all’azione di classe, nonché in ordine all’operatività del disposto contenuto nell’art. 15, in virtù del quale la conciliazione intervenuta dopo la scadenza del termine per l’adesione aveva effetto anche nei confronti degli aderenti che vi avessero espressamente consentito». A ben vedere, il combinato disposto degli art. 840 quaterdecies c.p.c. e 5, comma 1 bis, lasciava ipotizzare – anche e prima – dubbi sulla stessa compatibilità tra l’azione di classe e il procedimento di mediazione[51].

Più tardi, l’adattamento dell’art. 15 del d.lgs. 28/10 alla diversa collocazione della disciplina dell’azione di classe – disposto dall’art. 7, primo comma, lett. s) del d.lgs. 149/22, ha certamente sciolto uno dei surriferiti quesiti. Esso costituisce, peraltro, valido addentellato invocabile al fine di escludere la prospettata incompatibilità tra procedimenti collettivi e mediazione civile e commerciale, essendo ormai chiaro che l’omesso coordinamento, lungi dal denotare una precisa scelta di “politica” legislativa, si risolveva in una mera svista del legislatore[52].

Con riferimento alla condizione di procedibilità, nessun convincente chiarimento giungeva, invece, dal ridisegnato art. 5, comma sesto, lett. h), del d.lgs. 28/10, là dove – prima delle modifiche apportate dal d.lgs. 28/23 cit. – era espressamente sancito che le disposizioni di cui al comma primo del medesimo articolo (disciplinante i casi per i quali l’esperimento del tentativo di conciliazione costituisce condizione di procedibilità della domanda non trovano applicazione) e quelle di cui all’art. 5 quater (relative alla mediazione demandata dal giudice) non trovavano applicazione soltanto «nell’azione inibitoria di cui all’art. 37 del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206».

Una nuova formulazione della norma si deve, oggi, al d.lgs. 28/23 di recepimento della direttiva 2020/1828/UE [53] che “vivifica”, rinnovandola e reinserendola nel codice del consumo, la disciplina sulle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori.

Gli artt. 140 ter e ss. cod. cons. tratteggiano una nuova azione collettiva che corre su un binario parallelo rispetto a quello delineato dal codice di rito, con azioni rappresentative nazionali o transfrontaliere promuovibili unicamente dagli enti legittimati individuati negli artt. 140 quater e quinquies, «nei confronti di professionisti per violazioni delle disposizioni di cui all’allegato II-septies, che ledono o possono ledere interessi collettivi dei consumatori». Ed è in tale contesto che si inserisce l’ulteriore modifica all’art. 5, comma 6, lettera h), del d.lgs. 28/10, per effetto della quale la condizione di procedibilità non trova applicazione, oltre che nelle ipotesi di cui all’art. 37 cod. cons., anche allorché siano esperite azioni volte ad ottenere l’adozione di provvedimenti inibitori di cui all’art. 140 octies. Ora, stando ad un’interpretazione letterale e rigorosa, l’espresso riferimento al solo art. 140 octies potrebbe lasciar intendere che nelle materie indicate nel nuovo art. 5 del d.lgs. 28/10 il preventivo esperimento della mediazione costituisca un filtro per la proponibilità delle altre azioni contemplate dal Titolo II.1 del cod. cons.[54].

Il tutto, però, in distonia con la peculiare struttura dei procedimenti in parola e con la regolamentazione apprestata dall’art. 140 decies che demanda al tribunale di «verificare che la proposta transattiva o conciliativa non contrasti con norme imperative e non contenga clausole o obbligazioni non eseguibili tenuto conto dei diritti e degli interessi di tutte le parti e, in particolare, di quelli dei consumatori interessati».

Non può essere questa la sede per un approfondito esame della questione; ai fini della presente trattazione, tuttavia, non può non rimarcarsi che l’invocabilità di un procedimento di mediazione collettivo, finanche inteso quale condizione di procedibilità della domanda, avrebbe imposto una chiara e specifica regolamentazione considerando che, con particolare riferimento ai diritti individuali omogenei dei consumatori e degli utenti, il già difficile coordinamento tra le disposizioni summenzionate è reso ancor più arduo dal necessario rispetto delle prescrizioni e delle garanzie imposte dal d.lgs. 130/15 e, prima, dalle fonti comunitarie passate in rassegna.

10. Spigolature de iure condendo.

La sempre più marcata attenzione prestata nei confronti dei meccanismi di risoluzione alternativa delle controversie e la crescente esigenza di assicurare nel settore consumeristico una tutela differenziata che sia effettiva certamente consigliano interventi correttivi volti a risolvere alcune delle aporie che il sistema così congegnato genera.

Primo fra tutti, la predisposizione di strumenti preventivi obbligatori che assicurino il puntuale rispetto dei principi eurounitari: sotto l’egida di Autorità ed Organismi indipendenti si garantirebbe così al consumatore – poco incline, in ragione del modesto valore economico della lite, a ricorrere all’autorità giudiziaria – una secca, ma parimenti satisfattiva, alternativa al processo[55].

Ulteriori interventi potrebbero correre su un doppio binario attraverso l’innesto nel codice del consumo di alcune felici soluzioni apprestate in relazione all’accordo di mediazione e di negoziazione assistita: si pensi, in ottica incentivante, ad una previsione che regolamenti l’efficacia esecutiva dell’accordo munito della sottoscrizione dei rispettivi avvocati o che a quella che assicuri un credito di imposta e più in generale benefici di carattere fiscale a vantaggio delle parti che ricorrano a strumenti alternativi.

Ancora, e seppur in controtendenza con le indicazioni del giudice eurounitario, in un’ottica più marcatamente protettiva, non sarebbe peregrino ipotizzare soluzioni che vivifichino il ruolo focale del difensore nella fase stragiudiziale. Si è già avuto modo di rilevare, del resto, che la facoltatività del ricorso alla difesa tecnica esaspera di fatto le asimmetrie del rapporto e rischia di vanificare gli intenti protettivi che la disciplina (sovranazionale e interna) persegue. Vero è che essa trova la sua ratio nell’esigenza di contenere al minimo i costi, vero è, parimenti, che l’ordinamento processuale conosce ed oggi potenzia istituti atti ad assicurare alle parti non abbienti l’assistenza tecnica.

Sull’abbrivio degli insegnamenti della Corte Costituzionale e delle indicazioni del delegante, il d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 cit. estende il perimetro applicativo del gratuito patrocinio[56] e lo fa slegandolo – meritoriamente – dal raggiungimento dell’accordo. In materia consumeristica il salto del guado potrebbe essere assicurato compiendo uno sforzo ulteriore, ossia ampliando l’ambito di operatività del patrocinio a spese dello Stato non condizionato dalla obbligatorietà o meno del ricorso allo strumento stragiudiziale.

Si tratterebbe di un intervento oneroso, tuttavia in linea con le politiche incentivanti già intraprese (se si considera che il 39° comma della legge delega accorda già incentivi fiscali ai consociati che accedono alle procedure stragiudiziali di risoluzione delle controversie predisponendo lo stanziamento di 4,4 milioni di euro per l’anno 2022 e di 60,6 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2023) e destinato, probabiliter, ad avere effetti dirompenti nell’ottica del potenziamento della tutela del consumatore, della deflazione della giurisdizione pubblica e, nel lungo periodo, del più efficiente funzionamento del mercato concorrenziale tanto caro al legislatore comunitario e nostrano.

 

Abstract

Il contributo analizza gli strumenti di giustizia consensuale predisposti in materia consumeristica focalizzando l’attenzione sui più recenti interventi messi a punto dal legislatore eurounitario e nazionale nell’ottica della loro valorizzazione. L’analisi mette in luce l’esistenza di un assetto regolamentare talvolta disorganico e frammentario che, soprattutto con riferimento alle ipotesi di giurisdizione condizionata, trascura la nota asimmetria del rapporto che intercorre tra professionista e consumatore, generando un vulnus di tutela del contraente più debole. In ottica più marcatamente protettiva, l’a. ipotizza interventi correttivi volti a risolvere alcune delle aporie che il sistema così congegnato genera destinati, nel lungo periodo, anche a favorire la deflazione del contenzioso giudiziale.

The contribution investigates the alternative dispute resolution tools in consumer matters and the European and national legislation issued to enhance them. The analysis highlights a sometimes disorganized and fragmented regulation which, especially when the procedure is a condition for the admissibility of legal proceedings, disregards the well-known asymmetry between professional and consumer, generating a vulnus in the protection of the weaker party. The author suggests possible regulatory measures able to resolve some aporias of the system and to reduce the judicial disputes in the long run.

[1] Costituite presso l’Ufficio Legislativo del Ministero della Giustizia, la prima in virtù del d.m. 12 marzo 2021 e presieduta dal Prof. Francesco Paolo Luiso, la seconda in ottemperanza al d.m. 7 marzo 2016 e presieduta dal Prof. Guido Alpa. V. l’art. 2 del disegno di legge delega S. 1662 e le proposte redatte dalla Commissione per l’elaborazione di proposte di interventi in materia di processo civile e di strumento alternativi contenute al § 11. Armonizzazione delle discipline (lettera p), ove si chiarisce che «Il complesso sistema normativo delle procedure stragiudiziali di composizione delle liti necessita di un intervento di riordino di tutte le discipline che sono entrate nell’ordinamento giuridico in tempi diversi e in fasi distinte dello sviluppo della cultura degli strumenti complementari alla giurisdizione. Il principio mira, pertanto, all’armonizzazione delle normative favorendone la raccolta in un unico Testo Unico che risponda a criteri di uniformità, chiarezza e semplificazione nell’interesse dei destinatari». V., inoltre, le proposte redatte dalla Commissione di studio per l’elaborazione di ipotesi di organica disciplina e riforma degli strumenti di degiurisdizionalizzazione, con particolare riguardo alla mediazione, alla negoziazione assistita e all’arbitrato, secondo cui «Sarebbe necessario a questo punto prevede la redazione di un testo unico in cui raccogliere le diverse normative, in modo da migliorare la loro conoscenza da parte degli interessati e, se possibile, uniformare le procedure in modo che i difensori, là dove ne sia richiesta la presenza, siano agevolati nel loro compito. D’altra parte, la riduzione, anziché la moltiplicazione dei riti, costituisce una delle tecniche per migliorare l’efficienza della amministrazione della giustizia».

[2] Così si legge nella Relazione illustrativa al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, sub art. 7.

[3] Ci si riferisce all’inserimento, nell’art. 2, comma secondo, del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, del termine “conciliazione” che, in risposta alle perplessità ermeneutiche sollevate, ha il pregio di chiarire che le procedure di conciliazione previste nelle carte dei servizi elaborate e pubblicizzate dai soggetti pubblici o privati che erogano servizi pubblici rientrano a pieno titolo nell’ambito di applicazione del dettato. E l’opzione, si legge nella Relazione illustrativa del d. leg 10 ottobre 2022, n. 149, «appare necessaria anche nel contesto del principio di delega di cui all’articolo 1, comma quarto, lett. c), della legge delega (che impone l’ampliamento dei casi di ricorso obbligatorio, in via preventiva, alla procedura di mediazione), in quanto volto a chiarire che le disposizioni del d. lgs. 28 del 2010 non precludono le parti di avvalersi di tali procedure».

[4] Pur riconoscendo le potenzialità delle Adr, sottolinea che la tutela del consumatore, proprio perché parte debole del rapporto, è tuttavia meglio salvaguardata da una risposta di un giudice, attraverso lo schema dell’azione di classe e della figura dell’aderente che partecipa agli esiti del processo senza sostenerne i costi, così evitando i rischi derivanti dal disequilibrio delle parti e dalla eventuale non neutralità dell’organo conciliativo rispetto al conflitto, F. Santangeli, La conciliazione extragiudiziale tra le associazioni dei consumatori ed il professionista nell’interesse collettivo dei consumatori e degli utenti ai sensi dell’art. 140 del codice del consumo, in www.judicium.it, § 1.

  [5] V. la sentenza della Corte di giustizia Europea del 17 maggio 2022, emessa all’esito delle due cause riunite C-693/19 e C-831/19, in www.judicium.it, con note di F. Marchetti, Note a margine di Corte di Giustizia UE, 17 maggio 2022, (cause riunite C-693/19 e C-831/19), ovvero quel che resta del brocardo “res iudicata pro veritate habetur” nel caso di ingiunzioni a consumatore non opposte e I. Febbi, La Corte di Giustizia Europea crea scompiglio: il superamento del giudicato implicito nel provvedimento monitorio, secondo cui «L’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione proposta dal debitore, il giudice dell’esecuzione non possa ‑ per il motivo che l’autorità di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validità delle clausole del contratto che ne è alla base, escludendo qualsiasi esame della loro validità ‑ successivamente controllare l’eventuale carattere abusivo di tali clausole. La circostanza che, alla data in cui il decreto ingiuntivo è divenuto definitivo, il debitore ignorava di poter essere qualificato come «consumatore» ai sensi di tale direttiva è irrilevante a tale riguardo». Per una completa analisi della questione v., da ultimo, E. D’Alessandro, Il decreto ingiuntivo non opposto emesso nei confronti del consumatore, dopo Corte di giustizia, grande sezione, 17 maggio 2022 (cause riunite C-693/19 e C-831/19, causa C-725/19, causa C-600/19 e causa C-869/19): in attesa delle Sezioni Unite, in www.judicium.it.; B. Capponi, La Corte di Giustizia stimola una riflessione su contenuto e limiti della tutela monitoria, ivi; Id. e A.M. Soldi, Consumatore e decreto ingiuntivo: le soluzioni ermeneutiche percorribili per l’integrazione tra diritto eurounitario e diritto interno, ivi; Aa.Vv., Consumatore e procedimento monitorio nel prisma del diritto europeo, a cura di S. Caporusso e E. D’Alessandro, in Giur. it., 2022, 485 ss.; C. Rasia, Giudicato, tutela del consumatore, ruolo del giudice in sede monitoria ed esecutiva, in Riv. trim. proc., 2023.

In ossequio ai principi enunciati dalla Corte di Lussemburgo, le Sezioni unite, esercitando il potere di cui all’art. 363, terzo comma, c.p.c., con la pronuncia del 6 aprile 2023, n. 9479, in www.judicium.it, con nota di G. Scarselli,  La tutela del consumatore secondo la CGUE e le Sezioni unite, e lo Stato di diritto secondo la civil law, hanno sancito l’onere per il giudice del monitorio di svolgere d’ufficio il controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto stipulato tra professionista e consumatore in relazione all’oggetto della controversia, dovendo egli, rilevata l’abusività della clausola, rigettare o accogliere parzialmente il ricorso ovvero pronunciare decreto motivato, ai sensi dell’articolo 641 c.p.c., anche in relazione alla anzidetta delibazione, qualora il controllo sulla abusività dia esito negativo. Con specifico riferimento alla fase esecutiva, il Supremo consesso ha poi chiarito che il giudice dell’esecuzione, «in assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo dell’abusività delle clausole, ha il dovere – da esercitarsi sino al momento della vendita o dell’assegnazione del bene o del credito – di controllare la presenza di eventuali clausole abusive che abbiano effetti sull’esistenza e sull’entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo»; egli, inoltre, in esito a tale controllo, è tenuto ad informare le parti e ad avvisare il debitore esecutato che entro 40 giorni potrà proporre opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 650 c.p.c., al fine di far accertare l’eventuale abusività delle clausole, con effetti sulle messo decreto ingiuntivo. Nel caso in cui sia stata proposta opposizione all’esecuzione ex art. 615, primo comma, c.p.c. «al fine di far valere l’abusività delle clausole del contratto fonte del credito ingiunto, il giudice adito la riqualificherà in termini di opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. e rimetterà la decisione al giudice di questa»; infine, allorché il debitore abbia proposto un’opposizione esecutiva per far valere l’abusività di una clausola, «il giudice darà termine di 40 giorni per proporre l’opposizione tardiva – se del caso rilevando l’abusività di altra clausola – e non procederà alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito sino alle determinazioni del giudice dell’opposizione tardiva sull’istanza ex art 649 c.p.c. del debitore consumatore».

[6] Ci si riferisce in particolare al Report Study on the use of Alternative Dispute Resolution in the European Union, commissionato dal Civic Consulting of the Consumer Policy Evaluation Consortium (CPEC) Framework Contract Lot 2 e condotto da GB Sanco.

Ivi si legge che «750 ADR schemes relevant for business-to-consumer disputes were identified in Member States, of which only about 60% are notified to the European Commission». Peraltro, «ADR mechanisms are highly diverse, not only across the European Union, but also within Member States. There are public and private schemes, as well as schemes established on basis of a cooperation between public sector and industry, or consumer organisations and industry. Although there is a high correlation between the nature of the scheme and the funding – i.e. private schemes are usually financed by the industry and public schemes by public funds – ADR bodies established by public law can also be financed by the industry (especially in highly regulated markets). For the large majority of the schemes participation of the industry in the ADR procedure is voluntary. However, a significant number of mandatory schemes exist».

[7] E.T. Frosini, Un diverso paradigma di giustizia: le alternative dispute resolution, in Analisi giuridica dell’economia, 2011, 3 ss.

[8] Il proposito che anima il modello, parafrasando le parole di S. Day O’Connor (National Institute of Justice, 1986. Toward the multi-door courthouse – Dispute resolution intake and refall. NIJ Report/SNI 198, 2), è quello secondo cui «the courts should not be the places where the resolution of disputes begins. They should be the places where disputes end – after alternative methods of resolving disputes have been considered and tried».

[9] Sulla diffusione degli Adr negli Stati Uniti d’America, oltre a D. Dalfino, La mediazione civile e commerciale, Torino, 2022, 8 ss., v. A. Kumar, Alternative Dispute Resolution system, Global and National perspective, New Delhi, 2021, 79 ss.; H. Cohen e M. Alberstein, Multilevel access to justice in a world of vanishing trials: a conflict resolution perspective (Law Jornal Fordham Urban), 2019, 1; R. Delgado, Alternative Dispute Resolution: a Critical Reconsideration, 70 SMU L. REV. 595, 595–96, 2017; C. Menkel-Meadow, Mediation and its application for good decision making and dispute resolution, 2016; ID., Roots and Inspiration. A Brief History of the Foundations of Dispute Resolution, in M.L. Moffit e R. Bordone, The Handbook of Dispute Resolution, Jossey-Bass, San Francisco, 2005, 22 – 70; P. Foger e R. A. Baruch, The promise of mediation: responding to conflict through empowerment and recognition, Jeffrey Z. Rubin ed., 2014; R.A. Baruch Bush e J. P. Folger, Mediation and Social Justice: Risks and Opportunities, 27 Ohio St. J. on disp. Resol.1, 24–26, 2012; M.A. Faddai, Alle origini degli Alternative Dispute Resolution: il caso degli Stati uniti d’America, in Rivista di Diritto dell’Economia, dei Trasporti e dell’Ambiente, 2012, 409 ss.; R. Melacarne e F. Zuccarello, in P.P. Biancone, La mediazione nei diversi ambiti e le esperienze internazionali, Milano, 2011, 134 ss.; L. Besso, Inquadramento del tema: lo sviluppo del fenomeno della risoluzione alternativa delle controversie, in Aa.Vv., La mediazione civile e commerciale, a cura di Besso, Torino, 2010, 7 ss.; N. Andrews, La doppia elica della giustizia civile: i legami tra metodi privati e pubblici di risoluzione delle controversie, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, 528 ss.; F. Santagada, La conciliazione delle controversie civili, cit., 93; F. Cuomo Ulloa, La conciliazione. Modelli di composizione dei conflitti, Padova 2008, 38 ss.; Id., Mezzi di conciliazione nell’esperienza nord americana, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2000, 1283 ss.; O. Chase, I metodi alternativi di soluzione delle controversie e la cultura del processo: il caso degli Stati Uniti d’America, in L’altra giustizia, a cura di Varano, Milano, 2007, 129 ss.; M.J. Horwitz, La trasformazione del diritto americano 1870-1960, Bologna 2004, 33 ss.; C. Licini, Alternative Dispute Resolution (ADR): aspettative europee ed esperienza USA, attraverso il Libro Verde della Commissione Europea e la sapienza di un giurista – mediator americano, in Riv. not., 2003, 1 ss.; A. Sarat, Exploring the Hidden Domains of Civil Justice: “Naming, Blaming, and Claiming”, Popular Culture, 50 Depaul L. Rev. 425, 2001; E. Silvestri, Le alternative al processo civile nell’esperienza statunitense, in Foro it., 1987, V, 310 ss.; J.S. Auerbach, Justice Without Law?, New York-Oxford, 1983; R. L. Abel, The Contradictions of Informal Justice, in The politics of informal justice, 1982, 287.V., inoltre, S. Sticchi Damiani, Le forme di risoluzione delle controversie alternative alla giurisdizione. Disciplina vigente e prospettive di misurazione statistica, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2003, 744.

[10] Ampiamente, sui modelli conciliativi sviluppatisi nell’esperienza europea, oltre a D. Dalfino, Mediazione civile e commerciale, cit., 17 ss., v. L. Besso, Inquadramento del tema: lo sviluppo del fenomeno della risoluzione alternativa delle controversie, cit., 7 ss.; N. Andrews, La doppia elica della giustizia civile: i legami tra metodi privati e pubblici di risoluzione delle controversie, cit., 528 ss.; F. Santagada, La conciliazione delle controversie civili, cit., 93 ss.; M. Civinini, Mediazione e giurisdizione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, 1305 ss.; L. Passanante, Modelli di tutela dei diritti. L’esperienza inglese e italiana, Padova, 2007, 1 ss., 231 ss.; A. Miranda, Il sistema delle Adr nell’esperienza di common law, in Vita not., 2003, 1241 ss.

[11] Su cui, per tutti, B. Capponi, Il Libro verde sull’accesso ai consumatori alla giustizia, in Documenti giustizia, 1994, 362.

[12] Senza pretese di completezza, sulla portata della direttiva v. L.J. Capote Perez e M.L. Serra, La direttiva dell’Unione Europea sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori e il suo recepimento in Italia e in Spagna: una comparazione delle diverse soluzioni, in Giusto processo civ., 2022, 99 ss.; D. Dalfino, Mediazione civile e commerciale, cit., 31 ss.; Id., Dalla conciliazione societaria alla «mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili», in www.judicium.it, nonché in Rass. forense, 2010, 56 ss.; O. Desiato, Le politiche dell’Unione Europea in favore della “degiurisdizionalizzazione” e i più recenti interventi del legislatore italiano in tema di risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, in Resp. civ. e prev., 2016, 1802 ss.; L.P. Comoglio, Mediazione e accesso alla giustizia, in Riv. dir. proc., 2012, 288 ss.; C. Perago, La mediazione nel sistema delle ADR, in AA.VV., Corso di mediazione civile e commerciale, a cura di Tiscini, Milano, 2012, 10 s.; Graziano, Contenzioso civile e norme sulla mediazione finalizzata alla conciliazione, ivi, 2011, 614 ss.; R. Tiscini, La mediazione civile e commerciale, Torino, 2011, 4 s.; N. Andrews, The duty to consider mediation: salvaging value from the european mediation directive, in Trocker-De Luca (a cura di), La mediazione civile alla luce della direttiva 2008/52/CE, Firenze, 2011, 13 ss.; E. Zucconi Galli Fonseca, La nuova mediazione nella prospettiva europea: note a prima lettura, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, 653 ss.; F. Santagada, Il procedimento di mediazione, in Sassani-Santagada (a cura di), Mediazione e conciliazione nel nuovo processo civile, cit., 2 ss.; G. Impagnatiello, La «mediazione finalizzata alla conciliazione» di cui al d.lgs. n. 28/2010 nella cornice europea, in www.judicium.it, § 4; F.P. Luiso, La delega in materia di mediazione e conciliazione, in Riv. dir. proc., 2009, 1258 ss.; M.F. Ghirga, Strumenti alternativi di risoluzione della lite: fuga dal processo o dal diritto? (riflessioni sulla mediazione in occasione della pubblicazione della direttiva 2008/52/Ce), in Riv. dir. proc. 2009, 357 ss.; E. Minervini, La direttiva europea sulla conciliazione in materia civile e commerciale, in Contratto impr., 2009, 41 ss.

[13] Nel senso che in materia consumeristica lo sviluppo dell’Adr ha una storia a sé stante, con una propria consolidata struttura, e che «la sua peculiarità le è valso l’appellativo, prima di CADR, e poi di CDR, a sottolinearne ancor più l’autonomia rispetto all’ADR più generale», G. Gioia, L’uniforme regolamentazione della risoluzione alternativa delle controversie con i consumatori, in Revista Ítalo-Española de Derecho Procesal, 1, 2018, 49.

Per un’analisi dei molteplici meccanismi Adr nel contesto europeo, v. L.J. Capote Perez e M.L. Serra, La direttiva dell’Unione Europea sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori e il suo recepimento in Italia e in Spagna: una comparazione delle diverse soluzioni, cit., 102 ss.; V. Mirra, Il Financial Ombudsman Service e gli altri rimedi stragiudiziali per le controversie europee in materia di intermediazione finanziaria: alcuni segnali di maturità del sistema, in Riv. arb., 2019, 827 ss.

[14] COM (84) 692 def. del 16 novembre 1993.

[15] 87/C 176/02, GU n. C176 del 4 luglio 1987. Per indicazioni in ordine alle iniziative assunte dalle istituzioni comunitarie dell’epoca, v. D. Dalfino, La mediazione civile e commerciale, Torino, 2022, 19; G. Gioia, L’uniforme regolamentazione della risoluzione alternativa delle controversie con i consumatori, cit., 50 s.; Hodges, I. Benöhr, N. Creutzfeldt-Banda, Consumer ADR in Europe. Civil Justi- ce Systems, Oxford e Portland, 2012, 1 ss. e R. Danovi, Le Adr (Alternative Dispute Resolution) e le iniziative dell’Unione Europea, in G. Alpa e Id., La risoluzione stragiudiziale delle controversie e il ruolo dell’avvocatura, Milano, 2004, 8 ss.

[16] Oltre a D. Dalfino, La mediazione civile e commerciale, cit., 19 s., v. E. Silvestri, Consumatori e metodi alternativi di risoluzione delle controversie, in Forme alternative di risoluzione delle controversie e strumenti di giustizia riparativa, a cura di E. Silvestri, Torino, 2020, 86 ss.; G. Gioia, L’uniforme regolamentazione della risoluzione alternativa delle controversie con i consumatori, cit., 50 s.; Id., L’esperienza della risoluzione alternativa delle controversie consumeristiche (Cadr) nell’Unione Europea. A proposito di un volume collettaneo, in Giust. civ., 2013, 841 ss.; Id., Il nuovo “pacchetto” della Commissione europea sull’ADR, in Corr. giur., 2012, 697 ss.; M.F. Ghirga, Strumenti alternativi di risoluzione della lite: fuga dal processo o dal diritto? (riflessioni sulla mediazione in occasione della pubblicazione della direttiva 2008/52/CE), cit., 359 ss.; E.M. Appiano, I sistemi Adr nell’ottica del legislatore comunitario, in Contratto e Impresa / Europa, I, 59 ss.; F. Cuomo Ulloa, La conciliazione. Modelli di composizione dei conflitti, cit., 38 ss.; F. Danovi, Le ADR e le iniziative dell’Unione Europea, in Giur. it., 1997, IV, 327 ss.; V. Vigoriti, La direttiva europea sulla mediation. Quale attuazione?, in Riv. arbitrato, 2009, 1 ss.; Id., La proposta di diritta europea sulla mediation, in Rass. Forense, 2005, 359; G. Rossolillo, I mezzi alternativi di risoluzione delle controversie (Adr) tra diritto comunitario e diritto internazionale, in Dir. Unione Europea, 2008, 349 ss.

[17] Il regolamento n. 2017/2394 sulla cooperazione tra le autorità nazionali per l’esecuzione della normativa che tutela i consumatori è entrato in vigore in Italia il 17 gennaio 2020.

[18] Cfr., per indicazioni, S. Dalla Bontà, Una giustizia «co-esistenziale» on line nello spazio giuridico europeo?, in Giustizia consensuale, 2021, 197 ss.; E. Silvestri, Consumatori e metodi alternativi di risoluzione delle controversie, cit., 86 ss.; M.P. Gasperini, Il sistema delle ADR in Italia, tra contesto europeo e policies interne in materia di giustizia civile, in Annali della Facoltà giuridica dell’Università di Camerino, 2017, 6, 149 ss.; A.M. Mancaleoni, La risoluzione extragiudiziale delle controversie dei consumatori dopo la direttiva 2013/11/UE, in Eur. e dir. priv., 2017, 1067 ss.; P. Bartolomucci, La nuova disciplina delle procedure di risoluzione alternativa delle controversie in materia di consumo: il d.lgs. n. 130/15 e le modifiche del codice del consumo, in Nuove leggi civ. comm., 2016, 498: N. Scannicchio, Accesso alla giustizia e attuazione dei diritti. La mediazione delle controversie di consumo nella direttiva europea 2013-11, Torino, 2015, 49 ss. V. anche F.P. Luiso, La direttiva 2013/11/UE, sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2014, 1299 ss., nonché P. Michea, Osservatorio Comunitario, in Contratti, 2013, 531. Per ragguagli sull’Online Dispute Resolutions all’indomani del Regolamento n. 524/2013 v. ampiamente L. Bugiolacchi, Commercio elettronico e ODR (Online Dispute Resolutions) dopo il Regolamento n. 524/2013 dell’Unione Europea. Gli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie dei consumatori, in questa Rivista, 2013, 1403 ss.; A. Visconti, Controversie “On line” fra i consumatori ed i professionisti – Piattaforma ODR europea, in PMI, 2016, 45 ss. Sulle proposte della Commissione europea sulla risoluzione delle controversie tra operatori professionali e consumatori v. C.M. Mariottini, Due nuovi strumenti in materia di risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, in Riv. dir. int. priv. e proc., 2013, 831 ss. e L. Delogu, Nuovi interventi dell’Unione Europea su consumatori, risoluzione alternativa delle controversie e mediazione, in Giur. merito, 2012, 1625.

[19] Ci si riferisce alla sentenza del 25 giugno 2020, C-380/19, in Foro amm., 2020, 1153 ss. e in DPCE on line, 2020, 1499 ss., con nota di F. Monceri, Tutela del consumatore e obbligo di indicare i mezzi di risoluzione alternativa delle controversie (ADR) nelle condizioni generali del contratto, ove si esplicita che un professionista, che renda accessibile sul proprio sito web le condizioni generali dei contratti di vendita o di servizi, ma che non concluda contratti con i consumatori tramite tale sito, è tenuto a includere in tali condizioni generali le informazioni relative all’organismo o agli organismi di risoluzione alternativa delle controversie competenti per tale professionista, qualora quest’ultimo si impegni a ricorrere tali organismi per risolvere controversie con i consumatori o sia tenuto a ricorrervi.

[20] La quale deve predisporre un modulo di reclamo elettronico da compilarsi ad opera del ricorrente; informare del reclamo la parte convenuta trasmettendo lo stesso all’organismo Adr indicato dalle parti; predisporre la gestione dei casi che consenta alle parti e all’organismo in via elettronica; fornire la traduzione delle informazioni che sono necessarie per la risoluzione della controversia; predisporre un sistema di feedback che consenta agli utenti di esprimere il proprio punto di vista sul funzionamento della piattaforma ODR e sull’organismo, ecc.

[21] È, infatti, previsto l’obbligo di divulgare la guida online sulle modalità di presentazione dei reclami tramite la piattaforma ODR, nonchè i dati statistici sui risultati delle controversie trasmesse agli organismi Adr tramite la piattaforma ODR. Per approfondimenti in ordine agli ODR e alla gestione della mediazione secondo modalità telematiche v. S. Dalla Bontà, Una giustizia «co-esistenziale» on line nello spazio giuridico europeo?, cit., 205 ss.; D. Dalfino, Mediazione civile e commerciale, cit., 121 ss.; A. Merone, Online Dispute Resolution, intermediari digitali e il nuovo paradigma della composizione preventiva e self-executing, in Riv. arb., 2022, 269 ss.; G. Gioia, L’uniforme regolamentazione della risoluzione alternativa delle controversie con i consumatori, cit., 3 ss.; M. Francesca, Dalle Adr Offline alle procedure di Online Dispute Resolution: statuti normativi e suggestioni di sistema, in www.judicium.it; ed in Aa.Vv., Odr e tentativo obbligatorio di mediazione, Napoli, 2015, 7 ss.

[22] Così risolvendo l’annosa questione relativa all’ammissibilità del ricorso alla clausola compromissoria. Per approfondimenti v., per tutti, E. Gabellini, L’attuazione della direttiva relativa alle ADR di consumo negli Stati europei: una breve panoramica, in Riv. arb., 2018, 409 ss.

[23] Sebbene, precisa ancora E. Gabellini, op. ult. cit., 416, ivi un ampio sistema di tutela dei diritti dei consumatori, è assicurato dal Sistema Arbitral de Consumo, istituito nel 1993 e più volte rimaneggiato.

Ampiamente, in ordine al recepimento della direttiva nell’ordinamento spagnolo si rinvia a L.J. Capote Perez e M.L. Serra, La direttiva dell’Unione Europea sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori e il suo recepimento in Italia e in Spagna: una comparazione delle diverse soluzioni, cit., 475 ss.

[24] Ci si riferisce, ad esempio, all’Ombudsman Giurì Bancario, all’Arbitro per le Controversie Finanziarie (ACF), istituito presso la CONSOB e disciplinato con Regolamento adottato con delibera del 4 maggio 2016 (su cui, per tutti, D. Dalfino, Autorità amministrative indipendenti e tutela dei diritti, Napoli, 2022; N. Soldati, L’Arbitro per le controversie finanziarie (ACF) tra ruolo di regolazione e del mercato finanziario e di conformazione degli intermediari, in Contr. e impr., 2022, 449 ss.; M. Lupoi, L’arbitrato per le controversie finanziarie: la decisione, gli effetti e l’esecuzione, in A.a. V.v., Trattato di diritto dell’arbitrato, a cura di D. Mantucci, XV, Napoli, 2020, 393 ss. e G. Percoco, Le procedure di Adr nel settore finanziario: dalla Camera di conciliazione e arbitrato presso la CONSOB all’Arbitro per le controversie finanziarie, in Riv. arb., 2017, 191 ss.); ci si riferisce, ancora, all’Arbitrato bancario finanziario presso la Banca d’Italia (su cui, ampiamente, D. Dalfino, Autorità amministrative indipendenti e tutela dei diritti, cit., 121 ss.; Id., L’Abf e i princípi del processo civile: contestazione, “contumacia”, onere della prova, in Il processo, 2019, 27 ss.; I. Pagni, L’arbitro bancario finanziario: natura e funzioni di uno strumento particolare per la risoluzione delle controversie, in Aa.Vv., Arbitro bancario e finanziario, a cura di Mantucci, Napoli, 2021, 3 ss.; F. Auletta, … il sole e l’altre stelle: è la giurisdizione quella del «sistema» dell’ABF?, in Banca, borsa, tit. cred., 2018, 791 ss.; Id., Arbitro bancario finanziario e “sistema di risoluzione stragiudiziale delle controversie”, in Società, 2011, 565. V. anche C. Consolo-M. Stella, L’«arbitro bancario finanziario» e la sua «giurisprudenza precognitrice», in Società, 2013, 185 ss.; G. Finocchiaro, L’arbitro bancario finanziario tra funzioni di tutela e di vigilanza, Milano, 2012; E. Capobianco, Arbitro bancario finanziario [aggiornamento-2012], voce del Digesto comm., Torino, 35 ss.; G. Costantino, La istituzione dell’“Arbitrato Bancario Finanziario”, in Sull’arbitrato. Studi offerti a Giovanni Verde, Napoli, 2010, 301 ss.). è qui il caso di rilevare che la dottrina non concorda affatto sulla natura arbitrale o conciliativa delle decisioni di questo organismo e quindi se debba o meno essere escluso dall’applicazione delle norme sul CDR. Si domanda se l’Arbitrato Bancario Finanziario sia da ricomprendere nella nuova legge e se, al fine di ottenere l’inserimento nell’elenco della Commissione europea, debba rispondere alle caratteristiche imposte dalla direttiva e poi dalla legge oppure se invece, alla luce della lettera della norma, debba essere escluso dall’applicazione delle norme sul CDR, G. Gioia, L’uniforme regolamentazione della risoluzione alternativa delle controversie con i consumatori, cit. Da ultimo, v., sul punto, P. Bartolomucci, L’arbitrato Bancario Finanziario: il procedimento, in Aa.Vv., Arbitro bancario e finanziario, a cura di Mantucci, XV, cit., 55 ss.

[25] Ferma l’invocabilità delle norme di carattere generale che regolamentano il procedimento arbitrale, è qui il caso di segnalare che, sopendo antichi contrasti sollevati in merito alla validità delle clausole arbitrali contenute in contratti stipulati tra consumatori e professionisti, il giudice della nomofilachia con la pronuncia del 31 dicembre 2021, n. 42091, in Diritto & Giustizia, 2022, ha avuto modo di precisare che la clausola in parola, implicante una limitazione alla competenza dell’autorità giudiziaria in favore degli arbitri, è legittima solo ove venga provata l’esistenza di una specifica trattativa tra le parti su tale circostanza. E la prova di tale circostanza «costituisce onere preliminare a carico del professionista che intenda avvalersi della clausola», ponendosi l’esistenza della trattativa come un antecedente logico rispetto alla dimostrazione della natura non vessatoria della stessa.

[26] V. O. Desiato, Le politiche dell’Unione Europea in favore della “degiurisdizionalizzazione” e i più recenti interventi del legislatore italiano in tema di risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, cit., 1803 s.

[27] Ed infatti la disposizione in parola si limita a prescrivere che «…l’organismo ADR propone una soluzione o riunisce le parti al fine di agevolare una soluzione amichevole».

[28] Sul tema v. E. Minervini, Le negoziazioni paritetiche tra prassi e norme, in Nuove leggi civ. comm., 2018, 81 ss.; P. Bartolomucci, Le negoziazioni paritetiche quali procedure di risoluzione alternativa delle controversie di consumo: linee evolutive e prospettive, in www.consumersforum.it.; B. Manfredonia, La conciliazione nelle telecomunicazioni fra prassi e favor conciliationis, in Giusto proc. civ., 2007, 444 ss.; M. Marinaro, La risoluzione stragiudiziale delle controversie, Roma, 2010, 109 ss.; Id., La mediazione e la c.d. giustizia alternativa, in Manuale del mediatore civile, Roma, 2013, 39.

Sugli elementi di criticità certamente non irrilevanti delle negoziazioni paritetiche, v. M.P. Gasperini, Il sistema delle ADR in Italia, tra contesto europeo e policies interne in materia di giustizia civile, cit., che rileva, in primis, l’insoddisfacente livello di indipendenza di questi servizi di conciliazione, il cui finanziamento è pur sempre a carico dell’impresa, la quale di norma gestisce i servizi di segreteria e di gestione delle comunicazioni.

[29] Si pensi, a titolo esemplificativo all’art. 2, comma 2, d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, ove si legge che il decreto «non preclude le negoziazioni volontarie e paritetiche relative alle controversie civili e commerciali, né le procedure di reclamo previste dalle carte dei servizi».

[30] Da ultimo, nel senso il mancato previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione per poter introdurre una controversia in materia di telecomunicazioni dà luogo alla improcedibilità e non alla improponibilità della domanda», Cass. 16 maggio 2022, n. 15502, in www.all-in-giuridica.it, ove si precisa che «costituendo il tentativo di conciliazione una condizione (non già di proponibilità ma solo) di procedibilità della domanda, il giudice – anche di appello – è dunque tenuto a sospendere il giudizio e a fissare un termine per consentire alle parti di dar luogo al tentativo di conciliazione de quo».

[31] Sebbene, come precisa Cass., sez. un., 28 aprile 2020 n. 8240, in Foro it., 2021, I, 292, l’obbligo di esperire preventivo tentativo di conciliazione non gravi sul consumatore che intende richiedere un provvedimento monitorio, essendo il preventivo tentativo di conciliazione strutturalmente incompatibile con i procedimenti privi di contraddittorio o a contraddittorio differito. V., sul tema, A.M. Marzocco, Condizione di procedibilità e giurisdizione condizionata nel tentativo di conciliazione in materia di comunicazioni elettroniche: riflessioni sull’intervento delle sezioni unite), ivi, 2021, I, 307 e ss. e Id., Conciliazione tra utenti e operatori di comunicazioni elettroniche: il tentativo è obbligatorio per legge, ma non dalla stessa data in ogni regione (ora con il suggello delle sezioni unite) in nota a Cass., ord. 28 febbraio 2020, n. 5464), id., 2020, I, 1964 ss.

Per indicazioni in ordine ai tentativi obbligatori di conciliazione quali «filtri» di accesso alla giurisdizione ed alla compatibilità delle procedure obbligatorie con il principio di effettività e con quello di tutela giurisdizionale effettiva, anche con specifico riferimento al ricorso alle Autorità indipendenti, si rimanda alle indicazione e ai riferimenti di D. Dalfino, Autorità amministrative indipendenti e tutela dei diritti, cit., nonché Id., La mediazione civile e commerciale, cit., 187 ss.

[32] In relazione ai settori energici il 17 gennaio 2017 è entrato in vigore il testo integrato in materia di procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie tra clienti o utenti finali e operatori o gestori nei settori regolati, cd. TICO (delibera 209/2016/E/COM). Ribadisce che in ossequio all’art. 141, comma 6 del codice del consumo e alle disposizioni contenute nel TICO, i “consumatori” di energia elettrica e gas titolari di contratti di somministrazione hanno tuttora l’onere esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione per risolvere le controversie in atto con gli operatori, da ultimo, Trib. Sassari 19 aprile 2022, n. 409.

[33] Ci si riferisce a Corte giust. 18 marzo 2010, cause riunite C-317-320/08 Alassini, in Foro it., 2010, IV, 361, con nota di P. Porreca e G. Armone, La mediazione civile nel sistema costituzional-comunitario e in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2012, 987 ss., con nota di M.C. Paglietti, La protezione del consumatore tra diritto alla tutela giurisdizionale effettiva e tentativo obbligatorio di conciliazione.

[34] Limitazione tuttavia consentita a condizione che le procedure in parola: a) non conducano mai a una decisione vincolante per le parti, b) non comportino un ritardo sostanziale per la proposizione di un ricorso giurisdizionale, c) sospendano la prescrizione dei diritti in questione, d) non generino costi per le parti, ovvero non ne generino di ingenti, e) non siano accessibili solo per via elettronica,  f) consentano l’adozione di provvedimenti provvisori nei casi eccezionali in cui l’urgenza della situazione lo imponga.

[35] Nella parte motiva della pronuncia si legge, infatti che «i diritti fondamentali non si configurano come prerogative assolute, ma possono soggiacere a restrizioni, a condizione che queste rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse generale perseguiti dalla misura di cui trattasi e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato ed inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti».

[36] Sul contrasto tra la disciplina della mediazione dei consumatori e la disciplina della mediazione civile v. anche le stroncature di L.J. Capote Perez e M.L. Serra, La direttiva dell’Unione Europea sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori e il suo recepimento in Italia e in Spagna: una comparazione delle diverse soluzioni, in 110 ss.

[37] A questa indicazione si allinea la previsione contenuta nell’art. 3 del d.l 12 settembre 2014, n. 132 ove è espressamente chiarito che l’esperimento del procedimento di negoziazione assistita non costituisce condizione di procedibilità della domanda per le controversie concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti conclusi tra professionisti e consumatori.

[38] Si tratta di Trib. Verona, 28 gennaio 2016, in Contratti, 2016, 537 ss., con commento di N. Scannicchio, La risoluzione delle controversie bancarie. ADR obbligatoria e ADR dei consumatori.

[39] E, più specificamente, «se l’articolo 1 (…) della direttiva 2013/11, nella parte in cui assicura ai consumatori la possibilità di presentare reclamo nei confronti dei professionisti dinanzi ad appositi organismi di risoluzione alternativa delle controversie vada interpretato nel senso che tale norma osta ad una norma nazionale che prevede il ricorso alla mediazione, in una delle controversie di cui all’articolo 2, paragrafo 1 della direttiva 2013/11, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale della parte qualificabile come consumatore, e, in ogni caso, ad una norma nazionale che preveda l’assistenza difensiva obbligatoria, ed i relativi costi, per il consumatore che partecipi alla mediazione relativa ad una delle predette controversie, nonché la possibilità di non partecipare alla mediazione se non in presenza di un giustificato motivo».

[40] In Guida al dir., 2017, 28, 92 con nota di M. Marinaro; in Nuova giur. civ. 2017, 1631 ss., con nota di F. Ferraris, A.d.r. e consumatori: rapporti e interferenze; in Riv. dir. internaz. privato e proc., 2018, 477 ss., nonché in Foro it., 2017, I, 570 ss., con nota di N. Scannicchio, La risoluzione non giurisdizionale delle controversie di consumo. Rimedi alternativi o diritti senza rimedio?

[41] V. nt. 33.

[42] A tale proposito rileva N. Scannicchio, op. ult. cit., 574, che, sebbene gli effetti processuali siano previsti «soltanto in caso di mancata partecipazione senza giustificato motivo alla procedura di mediazione, e non in caso di ritiro, la corte ha confermato che la direttiva non osta a una normativa nazionale che consente al consumatore di rifiutare di partecipare a una previa procedura di mediazione solamente per un giustificato motivo, purché egli possa porvi fine senza restrizioni successivamente al primo incontro col mediatore. A differenza della Cgue, che evidente non si spreca nella lettura delle leggi sottoposte al suo sindacato, persino i commenti veloci (e disinteressati) su Internet hanno rilevato che gli effetti rafforzati sono ben più penetranti della detta, assai parziale, descrizione».

[43] V. tuttavia N. Scannicchio, La falsa attuazione della finta direttiva per l’ADR di consumo in Italia. Un caso di studio sulla tutela di diritti individuali tramite poteri di regolazione, in Contr. e impresa, 2019, 971 ss., il quale rileva che l’art.1 della direttiva vincola gli Stati a mettere in atto entità che rispettano una serie di principi senza menzionare i registri o anche gli organismi Adr e che nessun riferimento ai prerequisiti della certificazione si rinviene nell’art. 2 che ne regola il campo di applicazione. Il rispetto dell’art. 20, che stabilisce i doveri delle autorità competenti e dell’entità e indica i requisiti preliminari per la certificazione, non costituisce quindi una condizione per l’applicazione dell’intera direttiva.

[44] Per cui si rinvia ai rilievi di N. Scannicchio, La falsa attuazione della finta direttiva per l’ADR di consumo in Italia. Un caso di studio sulla tutela di diritti individuali tramite poteri di regolazione, cit., 973 ss. e A.M. Mancaleoni, La mediazione obbligatoria nelle controversie bancarie alla luce della direttiva 2013/11/Ue, in Foro it., 2017, I, 565.

[45] V. sul punto i condivisibili rilievi di N. Scannicchio, La risoluzione non giurisdizionale delle controversie di consumo. Rimedi alternativi o diritti senza rimedio?, cit., 573 s., secondo cui, in assenza di appropriate giustificazioni, una regola che consenta ad una sola parte di ritirarsi dalla trattativa sarebbe incostituzionale. Nella fonte comunitaria l’asimmetria, precisa l’A., giustificata il differente trattamento. Diversamente nel d.lgs. 28/10 e nella direttiva 2008/52 le parti sono «soggetti «uguali» che si trovano «in uguali condizioni formali».

[46] Auspicando l’introduzione di regole più selettive, ad esempio, per il reclutamento dei formatori e per gli enti di formazione, sottolinea che il Ministero della Giustizia non ha adeguato la normativa regolamentare per la mediazione in materia di consumo M. Marinaro, La formazione alla mediazione dei conflitti. Spunti di riflessione e percorsi per la riforma, in Riv. arb., 2021, 862.

[47] «In particolare, le maggiori criticità discendono dalla scelta (volutamente) agnostica adottata dalla direttiva relativamente alle modalità di finanziamento degli organismi ADR», precisa S. Dalla Bontà, Una giustizia «co-esistenziale» on line nello spazio giuridico europeo?, cit., 219 ss. cui si rinvia per rilievi.

[48] V., ancora, S. Dalla Bontà, Una giustizia «co-esistenziale» on line nello spazio giuridico europeo?, cit., 219 ss. la quale, considerato che la direttiva assicura alle parti coinvolte nella procedura il dovere di ricevere comunicazione dei motivi sui quali l’esito della procedura è fondato e garantisce in particolare al consumatore, nelle ipotesi in cui la procedura Adr si concluda con una soluzione imposta, la protezione che è propria delle norme inderogabili previste a sua tutela nello Stato di sua residenza abituale, si domanda come possano rispettarsi queste previsioni di equità e legalità ove la persona incaricata della procedura possa anche non essere un giurista.

[49] Ci si riferisce all’art. 840 quaterdecies c.p.c. che contempla, al primo comma, l’accordo transattivo o conciliativo su proposta del giudice e, al secondo, quello transattivo successivo alla pronuncia ex art. 840 sexies c.p.c., ma anche all’art. 840 bis c.p.c. che disciplina l’accordo intervenuto tra le parti in causa. In dottrina C. Consolo, L’azione di classe, trifasica, infine inserita nel c.p.c., in Riv. dir. proc., 2022, 714 ss.; D. Amadei, La conciliazione collettiva nelle nuove azioni di classe ed inibitoria, in Giur. it., 2019, 2356 ss.; A. Carratta, I nuovi procedimenti collettivi: considerazioni a prima lettura, ibid., 2297 ss.; A.D. De Santis, I procedimenti collettivi. L’azione di classe e l’azione inibitoria collettiva nel codice di procedura civile, in Giusto processo civ., 2019, 743 ss.; A. Giussani, La riforma dell’azione di classe, in Rivista di diritto processuale, 2019, 1582 ss.

Con specifico riferimento all’azione di classe in caso di controversie consumeristiche, v., da ultimo, B. Zuffi, Azione di classe e ADR: un binomio in via di definizione, in Giustizia consensuale, 2022, 413 ss. ed ivi per considerazioni in ordine alla percorribilità di soluzioni transattive della lite.

[50] Sui rapporti tra mediazione civile e azione di classe prevista dalla previgente disciplina v., per tutti, D. Dalfino, La mediazione civile e commerciale, Bologna, 2016, 268 ss. e 517 ss.; R. Tiscini, La mediazione civile e commerciale, Torino, 2011, 182 ss.; F. Santangeli, Le soluzioni stragiudiziali dell’azione di classe. Il rapporto tra l’art. 140 bis del codice del consumo e la nuova disciplina sulla mediazione nelle controversie civili e commerciali, in www.judicium.it.

[51] In senso negativo si esprime R. Donzelli, La conciliazione, in Aa.VV., Le nuove forme di tutela collettiva (l. 12 aprile 2019 n. 31), in Foro it., 2019, V, 81 ss. argomentando dal carattere indisponibile o semidisponibile dell’azione di classe e dal ruolo di garanzia degli interessi degli aderenti demandato al giudice. Nel consigliare di non «enfatizzare il momento pubblicistico dell’azione di classe, che, invero, appare alquanto sfumato», esclude che almeno a livello teorico possa esservi incompatibilità tra procedimento di mediazione e azione di classe, D. Dalfino, Transazione, conciliazione e mediazione nel nuovo sistema di tutela collettiva dei diritti individuali omogenei, in Civil Procedure Review, 2020, 51 e Id., La mediazione civile e commerciale, cit., spec. 290 ss. e 559 s., cui si rinvia per osservazioni e riferimenti in ordine alle fattispecie conciliative e transattive delineate dall’art. 140 bis cit. e poi dagli artt. 840 bis ss. c.p.c.

[52] D. Dalfino, La mediazione civile e commerciale, cit., 559.

  [53] Sulla portata della direttiva v. E. Minervini, L’azione inibitoria nella Dir. 2020/1828/UE, in Nuove leggi civ. comm., 2022, 1377 ss.; F. Auletta, L’azione rappresentativa come strumento di tutela dei diritti, ivi, 1680 ss.; G. De Cristofaro, Azioni “rappresentative” e tutela degli interessi collettivi dei consumatori, ivi, 1010 ss. e Id., Legislazione italiana e contratti dei consumatori nel 2022: l’anno della svolta. Verso un diritto “pubblico” dei (contratti dei) consumatori?, ivi, 2022, 1 ss., che rimarca la necessità di intervenire sulla disciplina nazionale dei procedimenti collettivi adeguandone i contenuti alle norme europee sulle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori.

      [54] E, invero, ad analoghe conclusioni potrebbe giungersi con riferimento alla disciplina delineata dagli artt. art. 840 bis e ss. c.p.c.

      [55] Proprio nella materia consumeristica, del resto, il ricorso a procedure preventive è destinato a sortire assai più benèfici effetti in considerazione del già rimarcato esiguo valore economico della lite. Diversamente, con riferimento alla mediazione civile e commerciale, lo strumento conciliativo esperito alle battute iniziali del processo non sembra destinato al successo in ragione dell’iniziale animosità delle parti avendo la via autocompositiva, come altrove sottolineato (v., se vuoi, O. Desiato, L’assolvimento della condizione di procedibilità della domanda nelle azioni di responsabilità medica e sanitaria (…un’alternatività tutta da verificare), in Foro it., Gli speciali, Problemi attuali di diritto processuale civile, a cura di D. Dalfino, 1/2021, 35 ss., nonché G. Miccolis, Procedimento di conciliazione, Sub art. 40, in I procedimenti in materia commerciale, a cura di G. Costantino, Padova, 2005, nt. 31), ben maggiori chances allorché le parti abbiano delimitato il thema decidendum, formulato le richieste istruttorie o già assunto i mezzi di prova.

[56] Come è noto, la querelle attinente all’estensione del gratuito patrocinio con riferimento alle fasi stragiudiziali, posta con riferimento alla mediazione in materia civile e commerciale, ha trovato felice epilogo nella sentenza della Corte Costituzionale 20 gennaio 2022, n. 10 sollecitata dalle ordinanze di rimessione sollevate dal Tribunale civile di Oristano e da quello di Palermo (in Foro it., 2022, I, 784 e Giur. cost., 2022, 141 ss., con nota di M. Lupano, La corte estende il patrocinio a spese dello Stato in mediazione). Il supremo organo di giustizia costituzionale, rilevata “la manifesta irragionevolezza delle disposizioni censurate” è intervenuta, infatti, pronunciando l’illegittimità costituzionale degli articoli 74, comma secondo, e 75, comma primo, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a spese dello Stato sia applicabile anche all’attività difensiva svolta nell’ambito dei procedimenti di mediazione di cui all’art. 5, primo comma, d. lgs. 28/10 oggi vigente, quando nel corso degli stessi è stato raggiunto un accordo, nonché dell’art. 83, secondo comma, TUSG, nella parte in cui non prevede che, in tali fattispecie, alla liquidazione in favore del difensore provveda l’autorità giudiziaria che sarebbe stata competente a decidere la controversia. Le indicazioni della Consulta sono invero accolte anche dal nomoteta nella legge 206/21, poi, recepite nel d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 che, difatti, estende, con l’inserimento di un nuovo art. 15 bis, il patrocinio a spese dello Stato alle procedure di mediazione nei casi nei quali il loro esperimento è condizione di procedibilità della domanda giudiziale e sia raggiunto l’accordo prima di adire l’autorità giudiziaria. Analoga disposizione si rinviene con riferimento alla negoziazione assistita con l’inserimento nel d.l. 132 del 2014, al capo II, della sezione II.

Sull’estensione dell’ambito di operatività del gratuito patrocinio con riferimento alla mediazione civile e commerciale e alla negoziazione assistita v. O. Desiato, Il potenziamento e la valorizzazione della giustizia complementare nell’ottica della legge delega, in Il nuovo processo civile, Bari, 2023, 57 ss.; D. Dalfino, in La riforma della giustizia civile, a cura di G. Costantino, Roma, 2022, 42 ss. e 68 ss.; A.M. Tedoldi, Le Adr nella delega per la riforma del processo civile, in Questione giustizia, 2022, 145 ss.; M.A. Zumpano, Adr e riforma e processo civile, ivi, 135 ss.; M. Lupano, La riforma della mediazione, in www.judicium.it.