All’istante ex art. 511 c.p.c. non si applica l’art. 111 c.p.c.: (ancora) intorno ad una giusta decisione e ad una inconsistente motivazione

Di Clarice Delle Donne -

Sommario.- 1.- La vicenda processuale e il responso della Cassazione 2.- L’inconsistenza del percorso motivazionale della decisione 3.- L’istante ex art. 511 c.p.c. ancora in cerca di identità: la pars destruens3.1 – Segue:…e la pars construens. Legittimazione straordinaria e prorogatio ex art. 111 c.p.c.

1.- La vicenda processuale e il responso della Cassazione

Un istituto bancario interviene ex art. 499 c.p.c. in una esecuzione immobiliare in virtù di titolo esecutivo e successivamente, in base a quello stesso titolo, propone domanda ex art. 511 c.p.c. nei confronti del creditore procedente allo scopo di ottenere, in sede distributiva, quanto a quest’ultimo spettante.

Dopo il deposito dell’istanza di subcollocazione la Banca cede il proprio credito ma viene inserita comunque, quale subcreditrice del procedente, nel piano di riparto. La contestazione sollevata ex art. 512 c.p.c. da quest’ultimo, incentrata sulla perdita lite pendente della qualità di proprio creditore in virtù della cessione del credito viene rigettata, come la successiva opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. (nella quale interviene la cessionaria).

Ritiene il tribunale che la subcollocazione ex art. 511 c.p.c. abbia consistenza di “speciale azione esecutiva” concessa al creditor creditoris che si inserisce e si svolge all’interno della più ampia procedura esecutiva promossa dal (o in cui è intervenuto il) creditore /debitore dell’istante. Ne consegue che, in caso di cessione, lite pendente, del credito vantato verso il creditore procedente o intervenuto dall’istante ex art. 511 c.p.c., trova applicazione l’art. 111 c.p.c., che per la giurisprudenza ha piena cittadinanza anche nel processo esecutivo. Il subcreditore cedente resta perciò a buon diritto nel processo quale sostituto del cessionario.

La pronuncia viene impugnata per cassazione dalla creditrice procedente che, per quanto di interesse in questa sede, lamenta violazione degli artt. 111, 511 e 512 c.p.c., in relazione all’art. 360, c. 1, n. 3, per avere il tribunale ritenuto applicabile l’art. 111 c.p.c. alla domanda di subcollocazione ex art. 511 c.p.c.

Tale domanda non può infatti considerarsi esercizio di azione esecutiva, per quanto speciale, avendo la subcollocazione carattere solo satisfattivo e non anche surrogatorio. Ne consegue che la posizione del subcreditore dipende dalla persistenza della sua qualità di creditore del sostituito (creditore procedente o intervenuto) al momento, il solo rilevante, della distribuzione del ricavato. Venuta meno quella qualità per cessione del credito, non può dunque operare l’art. 111 c.p.c. ma occorre che il cessionario spieghi una nuova domanda ex art. 511 c.p.c., non potendo beneficare degli effetti di quella già proposta dal cedente.

La Cassazione ritiene fondato il motivo.

Per la Corte il subcreditore, chiedendo di subentrare nel diritto del proprio debitore alla distribuzione del ricavato, non esercita infatti un intervento in senso tecnico nella procedura esecutiva in corso, posto che nessun credito vanta nei confronti dell’esecutato, tanto che il riferimento dell’art. 511 c.p.c. all’art. 499 c.p.c. va considerato limitato alla sola forma dell’istanza. Egli solo realizza, invece, un interesse di natura satisfattiva in relazione al proprio credito sicché neppure gli occorre, nel silenzio della legge, un titolo esecutivo.[1]

Da questa premessa la Corte ricava che il subcreditore non esercita alcuna azione esecutiva né nei confronti dell’esecutato né nei confronti del proprio debitore (creditore sostituito). E’ infatti “solo nella fase distributiva che la sostituzione ex art. 511 c.p.c. può produrre i suoi effetti tipici, non essendovi spazio per l’esercizio di altre facoltà da parte del creditore subcollocatario nel processo esecutivo, quali ad es. il compimento di atti di esecuzione, la proposizione di opposizioni esecutive su questioni avulse dalla sostituzione, ecc.”.

Ne consegue che, per quanto di interesse, il subcreditore non è parte in senso proprio del processo esecutivo ed in suo favore non opera il meccanismo dell’art. 111 c.p.c. che consente al processo di proseguire tra le parti originarie laddove egli ceda il credito prima della distribuzione.

Al contrario, è il cessionario del credito a dover spiegare autonoma e diversa domanda di subcollocazione ex art. 511 c.p.c. poiché la cessione del credito avvenuta prima della distribuzione ha privato l’originario  subcreditore di una delle condizioni legittimanti la sua soddisfazione in luogo dell’avente diritto.

Egli non è più, cioè, creditore di un creditore avente diritto alla distruzione.

L’accoglimento del ricorso comporta la cassazione del provvedimento reiettivo dell’opposizione agli atti esecutivi, che è dunque in parte qua accolta, spettando poi al giudice dell’esecuzione successivamente riassunta di procedere ad una nuova distribuzione del ricavato senza tenere in considerazione né il subcreditore originario ex art. 511 c.p.c., in quanto cedente, né il cessionario del credito, non avendo quest’ultimo spiegato autonoma istanza ex art. 511 c.p.c. in tempo utile per partecipare alla distribuzione.

2.- L’inconsistenza del percorso motivazionale della decisione

Ancora una volta la Suprema Corte viene chiamata a disegnare la fisionomia della domanda di sostituzione disciplinata dall’art. 511 c.p.c. e dello status assunto, nel processo esecutivo, da chi se ne avvalga[2].

Nel caso specifico, come visto, sono le conseguenze della cessione del credito da parte del subcreditore, dopo la presentazione dell’istanza, ad essere in discussione. Si tratta, segnatamente, di comprendere se questo evento sia rilevante ai fini della sua inclusione nel piano di riparto e della sorte del suo diritto a ricevere il quantum spettante al proprio debitore (benché) ceduto.

La risposta è condizionata, come ben si evince dalle pronunce che si sono succedute nella vicenda concreta e dai motivi di ricorso, dalla possibilità di ascrivere, al subcreditore ex art. 511 c.p.c., la qualità di parte del processo esecutivo. Si tratta, per meglio dire, di stabilire se egli possa considerarsi titolare di azione esecutiva nei confronti del debitore esecutato, rispetto al quale il proprio debitore diretto è creditore procedente o intervenuto, o almeno nei confronti di quest’ultimo. Solo in tali casi, infatti, l’applicazione dell’art. 111 c.p.c., dalla giurisprudenza ammessa anche nel processo esecutivo, ne potrebbe consentire, come ritenuto dalla pronuncia impugnata per cassazione, la perdurante collocazione in riparto (sia pure) quale sostituto del cessionario.

La Cassazione esclude, come visto, che l’istanza ex art. 511 c.p.c. integri gli estremi di una azione esecutiva sia nei confronti dell’esecutato sia nei confronti del debitore/creditore avente diritto alla distribuzione.

La conclusione, plausibile in quanto tale, si fonda tuttavia su premesse incapaci di reggerla perché, secondo un trend costante nell’ermeneutica accidentata della disposizione, prive di reale capacità giustificativa.

Dire infatti, per fondare la inesistenza di una azione esecutiva del subcreditore nei confronti dell’esecutato, che il primo nessun credito vanta verso il secondo non basta, perché si presta alla facile obiezione che ci si potrebbe pur sempre trovare al cospetto di una azione diretta. Azione che, come noto, non esclude ed anzi presuppone[3] l’assenza di un iniziale rapporto debito-credito tra il subcreditore e il terzo (esecutato).

E la Corte non spiega affatto perché l’ipotesi dell’azione diretta cui la premessa adottata non osta, e non a caso anche di recente riproposta,[4] vada scartata.

Ancora più labile è il presupposto dell’esclusione dell’esistenza dell’azione esecutiva del subcreditore nei confronti del debitore/creditore avente diritto alla distribuzione. Che, cioè, l’istanza ex art. 511 c.p.c. realizzerebbe, in capo al subcreditore stesso, solo un interesse di natura satisfattiva in relazione al proprio credito, tanto che nel silenzio della legge egli neppure ha bisogno di un titolo esecutivo.[5]

L’affermazione appare vuota e frutto di stratificazioni tralaticie sol che si pensi che qualsiasi creditore dell’esecutato, procedente o intervenuto, non fa che realizzare, esattamente come il subcreditore, un interesse di natura satisfattiva in relazione al proprio credito pur necessitando, nella maggior parte dei casi, di un titolo esecutivo.

E poiché: a) il creditore procedente ed i creditori intervenuti sono senza dubbio parti del processo esecutivo; b) e questi ultimi sono privi di poteri di impulso processuale nella fase espropriativa se privi di titolo, anche l’ulteriore corollario tratto dalla Corte, che cioè il subcreditore (che non necessita di titolo) non sarebbe parte del processo esecutivo poiché i suoi poteri si attualizzano solo in fase distributiva, non può reggersi sulla premessa del generico suo interesse “di natura satisfattiva” in relazione al proprio credito.

Al contrario, la qualità di parte del subcreditore parrebbe proprio su quella premessa assidersi.

 

 

3.- L’istante ex art. 511 c.p.c. ancora in cerca di identità: la pars destruens

Nel vuoto ermeneutico che la giurisprudenza continua a perpetuare, e non solo nella pronuncia in commento, un possibile tentativo di inquadramento della figura del subcreditore ex art. 511 c.p.c.[6], allo scopo di individuarne interesse e poteri processuali, non può che partire dal dato testuale.

Ebbene, l’art. 511 c.p.c. consente ai creditori di un creditore avente diritto alla distribuzione di chiedere, con istanza proposta nelle forme dell’art. 499 c.p.c., di essere a quest’ultimo sostituiti.

La prospettiva della disposizione, anche alla luce della collocazione tra le norme disciplinanti il riparto e della origine storica,[7] è quella di un rapporto sostanziale in cui l’istante ex art. 511 c.p.c. è creditore di un determinato soggetto il quale, a sua volta, oltre che essere suo debitore, ha altresì assunto uno status di natura processuale: quello di creditore avente diritto alla distribuzione. Diritto che nasce, com’è noto, sia in capo al creditore procedente che a quelli ritualmente intervenuti nell’espropriazione[8] a carico di un terzo, l’esecutato.

Se si aggiunge che il c.2 della disposizione stabilisce che il giudice dell’esecuzione provvede alla distribuzione anche nei confronti del subcreditore, ne deriva un dato difficilmente contestabile.

E cioè che l’istanza di quest’ultimo punta ad ottenere il quantum che al proprio debitore, creditore avente diritto alla distribuzione appunto, spetterebbe secondo il piano di riparto.

Ciò significa, mi pare, che la sostituzione si verifica rispetto al diritto processuale al riparto e non al diritto di credito che il debitore (creditore avente diritto al riparto) vanta, sul piano sostanziale, nei confronti dell’esecutato.

Si può allora escludere che il subcreditore eserciti, con l’istanza ex art. 511 c.p.c., una azione diretta nei confronti dell’esecutato, spieghi cioè un vero e proprio intervento nell’espropriazione in virtù del quale il suo status diviene ad ogni effetto quello di creditore dell’esecutato in luogo dell’originario creditore sostituito.[9]

Il minimo comune denominatore rintracciabile, sotto il profilo funzionale, almeno nelle più antiche ipotesi solitamente ascritte allo schema dell’azione diretta[10] è infatti il seguente.

Il subcreditore, in origine terzo rispetto al rapporto sostanziale in cui il proprio debitore è a sua volta creditore di un terzo, diviene creditore diretto di quest’ultimo, verso il quale solo potrà esercitare le proprie ragioni. Il tutto all’esito di un processo che, accertati entrambi i diritti di credito, coattivamente trasferisce il credito del creditore intermedio al subcreditore condannando il debitor debitoris ad adempiere nei confronti del subcreditore stesso.

Se prima dell’esercizio dell’azione diretta vi erano, perciò, due rapporti obbligatori, quello del subcreditore con il proprio debitore e quello del debitore con il debitor debitoris, l’azione diretta ha quale esito la sopravvivenza di un rapporto solo, quello tra il subcreditore ed il debitor debitoris.

Così accade, ad esempio, per l’azione del locatore nei confronti del subconduttore ai sensi dell’art. 1595 c.c. e per quella dei dipendenti dell’appaltatore nei confronti del committente ex art. 1676 c.c. E non è un caso che queste azioni siano sovente apparentate, anche per l’effetto di “blocco” del credito del creditore intermedio, all’area funzionale del pignoramento presso terzi[11]. Qui oggetto del processo esecutivo, se ed in quanto individuato o accertato, è il diritto di credito dell’esecutato verso il terzo, che viene assegnato al pignorante con l’ordinanza che chiude il processo. Le successive vicende vedono dunque protagonisti esclusivamente il creditore assegnatario e il debitor debitoris che, se non adempie volontariamente, soggiacerà all’esecuzione intrapresa dal creditore assegnatario in base all’ordinanza di assegnazione.[12]

Nulla di tutto questo accade invece nell’ipotesi dell’art. 511 c.p.c., ove non vi è traccia di quel meccanismo di (identificazione/accertamento ai fini del) trasferimento del credito dal creditore intermedio al subcreditore.

Beninteso. E’indiscutibile che laddove benefici della distrazione del quantum dovuto al proprio debitore in misura sufficiente a soddisfare le proprie ragioni, il subcreditore veda estinto il proprio credito sul piano sostanziale.

Ma che ciò derivi dalla costruzione, attraverso il processo esecutivo, di un rapporto diretto tra subcreditore e debitor debitoris (esecutato) è solo una illusione ottica che svanisce considerando la opposta evenienza.

Se infatti, malgrado la distribuzione nei suoi confronti, il subcreditore non soddisfa in tutto o in parte il proprio credito perché, ad esempio, il quantum spettante al proprio debitore era già in origine insufficiente o per la presenza di altri subcreditori,[13]chiuso il processo esecutivo nessuna ragione di credito mantiene, a differenza del creditore procedente o intervenuto in tutto o in parte insoddisfatto, verso l’(ex)esecutato, avendo azione solo ed esclusivamente nei confronti del proprio debitore diretto.

Ciò a meno che, per avventura, quest’ultimo non divenga ancora una volta creditore avente diritto alla distribuzione in una nuova espropriazione a carico dello stesso ex esecutato o di un terzo, ipotesi nella quale il subcreditore potrebbe utilizzare ex novo il congegno dell’art. 511 c.p.c. per soddisfarsi anche solo per il residuo.

La presenza del debitore/creditore intermedio, e del suo status di avente diritto alla distribuzione, restano dunque necessari per il subcreditore che voglia soddisfare il proprio credito attraverso l’istanza ex art. 511 c.p.c. laddove l’azione diretta porta invece alla eliminazione del creditore intermedio perché il suo credito, previamente identificato ed accertato, viene trasferito al subcreditore stesso.[14]

Potrà allora anche sostenersi che la distrazione del quantum in favore del subcreditore estingua[15] il suo credito sul piano sostanziale. Ma l’estinzione deriva dal pagamento che sarebbe destinato al creditore avente diritto al riparto, non dall’assegnazione o trasferimento del suo credito all’istante ex art. 511 c.p.c.

Nell’ipotesi dell’art. 511 c.p.c., per concludere sul punto, oggetto del processo esecutivo è in origine e resta esclusivamente il diritto di credito del creditore surrogato.[16]

Escluso per questa via che il subingresso inveri una azione diretta sub specie di intervento nell’espropriazione, resta da stabilire se esso possa considerarsi quantomeno esercizio di azione esecutiva nei confronti del creditore avente diritto al riparto, sub specie di pignoramento del quantum a questi spettante.

La risposta negativa è resa qui agevole dalla circostanza, giustamente messa in rilievo dalla Cassazione, che non è richiesto il titolo esecutivo nei confronti del debitore diretto.[17] Se di azione esecutiva speciale si trattasse, una così patente eccezione alla regola nulla executio sine titulo avrebbe allora richiesto una esplicita presa di posizione del legislatore. Ciò che invece, nella disposizione attualmente vigente come nel suo antecedente storico, difetta.

La conclusione può peraltro essere attinta anche considerando che, come appena visto, non vi è alcuna funzionalizzazione dell’art. 511 c.p.c. al trasferimento del credito dal creditore surrogato all’istante ex art. 511 c.p.c. Funzionalizzazione che tanto nelle azioni dirette citate quanto nel pignoramento presso terzi giustifica, è appena il caso di notarlo, l’effetto di “blocco” del credito a beneficio dell’istante/attore (nell’attesa del suo accertamento) perché è a lui che, all’esito del processo, il credito stesso sarà trasferito/assegnato. Il titolo esecutivo non è richiesto, insomma, perché è da escludersi un pignoramento del quantum spettante in sede di riparto.

 

 

3.1 – Segue:…e la pars construens. Legittimazione straordinaria e prorogatio ex art. 111 c.p.c.

Se dunque di “speciale azione esecutiva” vuoi nei confronti dell’esecutato vuoi nei confronti del debitore diretto non può parlarsi, come costruire la fisionomia positiva del subcreditore ed il suo ruolo nell’espropriazione?

Sicuramente tornando alla fattispecie costitutiva della sua legittimazione all’istanza ex art. 511 c.p.c. che, come già rilevato, si compone di due fatti. Il primo ha consistenza di diritto sostanziale sub specie di rapporto obbligatorio pecuniario tra subcreditore e debitore. Il secondo ha invece consistenza solo processuale: lo status di avente diritto alla distribuzione che il debitore assume quale creditore procedente o intervenuto nell’espropriazione verso l’esecutato.

Facendo leva su quest’ultimo fatto, è infatti possibile disegnare, con l’interesse tipico del subcreditore istante ex art. 511 c.p.c., anche l’ambito dei suoi poteri processuali. E se l’interesse è quello, già ricordato, di ottenere il quantum al proprio debitore spettante secondo il piano di riparto, i conseguenti poteri devono estrinsecarsi in modo da perseguire e mantenere l’inserimento di quest’ultimo nel piano stesso.

Ecco che viene fuori la colorazione schiettamente surrogatoria del ruolo dell’istante ex art. 511 c.p.c. nel processo esecutivo in tutte le circostanze in cui il fine che egli persegue è messo in pericolo, potendo egli, proprio in via surrogatoria del proprio debitore/creditore procedente o intervenuto, non solo agire o resistere nelle controversie distributive ex art. 512 c.p.c. e nella successiva fase ex art. 617 c.p.c., ma anche spiegare, in luogo del proprio debitore, intervento ex art. 499 c.p.c.,[18] e quindi rendersi parte già in fase espropriativa, posto che l’intervento è il presupposto indefettibile della collocazione nel piano di riparto.

Ne esce dunque sconfessata la semplicistica affermazione della Cassazione, che cioè il subcreditore non sarebbe parte del processo esecutivo avendo egli solo interesse a soddisfare, in fase distributiva, il proprio credito. L’affermazione va anzi rovesciata: è proprio tale interesse tipico riconosciutogli dalla legge a fargli acquisire, con l’istanza ex art. 511 c.p.c., lo status di parte dotata di tutti i poteri surrogatori funzionali a perseguire e mantenere l’utile collocazione del proprio debitore nel piano di riparto, sicuramente in fase distributiva ma all’occorrenza anche in fase espropriativa.

Il fine surrogatorio che colora i poteri del subcreditore è tuttavia anche il presupposto dei suoi confini.

Tali poteri si arrestano infatti al cospetto degli atti dispositivi, sostanziali o processuali, compiuti dal creditore, come la stessa Cassazione oramai riconosce negando al subcreditore il potere di impedire la rinuncia agli atti da parte del suo debitore e la eventuale chiusura del processo esecutivo.[19]

E,’ questo, il riflesso della posizione di dipendenza permanente del creditore dalle scelte dispositive del proprio debitore che l’utilizzo di poteri solo surrogatori non è in grado di sterilizzare.

Tali poteri vengono altresì meno se sopraggiunge la estinzione del rapporto obbligatorio tra subcreditore e debitore/creditore procedente o intervenuto laddove ad esempio, come nel caso che ha originato la pronuncia in commento, il primo ceda il proprio credito in pendenza dell’espropriazione.

Non soccorrerebbe, allo scopo di assicurarne comunque la utile collocazione nel piano di riparto in luogo del creditore surrogato, l’art. 111 c.p.c., che la giurisprudenza effettivamente applica al processo esecutivo soprattutto in ipotesi di cessione del credito.[20]

L’art. 111 c.p.c. si applica infatti sì alle parti del processo, ma in riferimento al relativo oggetto, che nel nostro caso è e resta, come già visto, il credito del creditore surrogato e non quello del subcreditore, che rileva solo come condizione legittimante l’istanza ex art. 511 c.p.c.

Condizione che, se non sussistente al momento del riparto, il solo rilevante, estingue l’interesse ad agire del subcreditore e ne determina l’uscita dal processo esecutivo.

Errano dunque sia il giudice di merito, che nella vicenda concreta ha ritenuto l’applicabilità dell’art. 111 c.p.c. sul presupposto della qualità di parte del subcreditore, sia la Cassazione, che quell’applicabilità ha escluso a prezzo della negazione di tale qualità.

La verità sta infatti…nel mezzo. Il subcreditore è cioè parte del processo esecutivo come lo è ogni legittimato straordinario che agisca in giudizio utendo iuribus o che vi acceda quale interventore adesivo dipendente: mirando, cioè, a perseguire e/o conservare un diritto altrui (sia pure per un interesse proprio).

Sicché le vicende del suo diritto, estranee al processo e solo rilevanti quale fatto costitutivo della legittimazione, non ne consentono la speciale prorogatio prevista dall’art. 111 c.p.c. per il solo “diritto controverso” (che nel processo esecutivo corrisponde ai diritti di credito di procedente e intervenuti) ma continuano ad essere governate dalle regole del diritto sostanziale.

Ben a ragione, dunque, la Corte ha negato al subcreditore che, dopo aver sperimentato ex art. 511 c.p.c. il subingresso nel processo esecutivo intentato dal proprio creditore o nel quale quest’ultimo è intervenuto ex art. 499 c.p.c., abbia ceduto il proprio credito, il diritto ad ottenere, in sede distributiva, quanto sarebbe spettato al creditore sostituito, in applicazione dell’art. 111 c.p.c.

Tale diritto spetta infatti, oramai, al cessionario, che avrà tuttavia l’onere di proporre la relativa istanza prima dell’ inizio dell’udienza ex art. 596 c.p.c. o dell’audizione delle parti innanzi il professionista delegato per la discussione sul progetto di distribuzione, e non più tardi di tale momento, altrimenti incorrendo in tardività.[21]

In base a queste coordinate, ed andando oltre il caso deciso, il diritto a mantenere la subcollocazione nel piano di riparto in esito ad istanza ex art. 511 c.p.c. è altresì da escludere, come bene ha statuito la Cassazione in altra pronuncia,[22] se a cedere il credito pendente l’espropriazione è il creditore procedente o intervenuto rispetto al quale è stata richiesta la surroga.

L’ipotesi è interessante e merita di essere considerata in questa sede perché consente di saggiare la tenuta della figura del subcreditore qui tratteggiata anche laddove correttamente si applichi l’art. 111 c.p.c. al cedente.

Se questi continua formalmente a restare nel processo, mantiene infatti anche il diritto processuale alla distribuzione in apparenza perpetuando la legittimazione surrogatoria dell’istante ex art. 511 c.p.c. ed il suo diritto ad ottenere la distrazione del quantum a lui spettante.

Le cose non stanno però così poiché l’atto dispositivo, avente data certa precedente all’istanza ex art. 511 c.p.c., è pienamente opponibile al subcreditore per essere egli pur sempre un legittimato utendo iuribus e non un creditore procedente o intervenuto, a favore del quale solo opera lo statuto speciale degli artt. 2913 ss c.c.

Il cedente (già creditore surrogato) prosegue cioè il processo, ex art. 111 c.p.c., pur sempre in base ad una legittimazione straordinaria che, per la giurisprudenza di legittimità, concorre con quella ordinaria del cessionario, il quale può sempre intervenire e proseguire nell’esecuzione come invece, al contrario, opporvisi.[23]

Il quantum a lui destinato sarà perciò da attribuire al cessionario in applicazione della stessa logica che ispira l’art. 111 c.p.c. nel suo terreno di elezione, quello della cessione del “diritto controverso:” benché il dante causa possa restare nel processo in luogo dell’avente causa, gli effetti del provvedimento finale si irradieranno comunque nella sfera giuridica dell’avente causa.[24]

Nel processo esecutivo, insomma e contestualizzando, la distribuzione dello specifico quantum è riservata al cessionario e non al subcreditore.[25]

Mi pare perciò che, alla fine di questo excursus, si possa plausibilmente affermare che anche laddove la cessione del credito da parte del procedente o dell’intervenuto sia successiva all’istanza ex art. 511 c.p.c. la situazione non cambi, data l’assenza di congegni di inopponibilità, al subcreditore, delle scelte dispositive operate da quello che resta pur sempre, sul piano sostanziale, il suo debitore.

*Questo scritto è dedicato, con affetto e gratitudine, alla cara memoria di Giulio Bernini.

[1] Si intende: nei confronti del creditore sostituito.

[2] L’istituto è oramai protagonista di molte decisioni della Corte le quali, per lo più condivisibili, rivelano tuttavia premesse inconsistenti o apodittiche, risultato della stratificazione di precedenti tralatici e a loro volta dal fondamento quantomeno ambiguo. Uno dei topoi più ricorrenti è quello, presente anche nella decisione in commento, del carattere solo “satisfattivo” e non anche “surrogatorio” dell’istanza ex art. 511 c.p.c., a sua volta collegato alla descrizione dell’istituto in termini di “ subingresso di uno o più creditori nella posizione processuale del creditore del debitore esecutato “avente diritto alla distribuzione”, cioè a dire nel diritto al riparto della somma ricavata dall’esecuzione”. Descrizione, è il caso di dire, la cui intrinseca ambiguità lascia irrisolto proprio il nodo se la sostituzione abbia ad oggetto la semplice distribuzione o la posizione sostanziale del sostituito verso l’esecutato. Ricostruzione, quest’ultima, che viene spesso riproposta ammantando l’istanza ex art. 511 c.p.c. delle vesti dell’azione diretta o, da altro punto di vista, delle forme del pignoramento del ricavato (così ritenendo necessario il titolo esecutivo verso il proprio debitore diretto). Di questi ed altri aspetti mi sono già occupata nel saggio, La Cassazione nega che il subcreditore ex art. 511 c.p.c. possa impedire l’estinzione del processo esecutivo in caso di rinuncia del creditore surrogato: una buona decisione per un principio di diritto da dimenticare, in Rass. es. forz., 2022, 780 ss, nota a Cass. 17 novembre 2020, n. 26054, cui mi limito, perciò, a rinviare anche quanto alle indispensabili citazioni di dottrina qui non riportate. La sentenza è leggibile anche in Riv. es. forz., 2021, 676 ss, con nota di De Feo, Domanda di sostituzione ex art. 511 c.p.c. ed estinzione della procedura esecutiva.

[3] Con i caveats individuati alla nota 10.

[4] Baroncini, La cognizione sul credito vantato dal creditor creditoris nella sostituzione esecutiva ex art. 511 c.p.c., in www. judicium.it. del 18 gennaio 2020. In tal senso v. tuttavia già Balena, Contributo allo studio delle azioni dirette, Bari, 1990, 310 ss.; ID., Brevissime note sulla sostituzione di un creditore nella distribuzione del ricavato dell’espropriazione, in Foro it., 1992, I, 2836; Acone, La domanda di sostituzione del creditore nella distribuzione del ricavato, in Riv. dir. proc., 1981, 233 ss.

[5] Si intende: nei confronti del creditore sostituito.

[6] Tentativo che indubbiamente la dottrina ha compiuto con più impegno ed attenzione storico-ricostruttiva della giurisprudenza: v., ad esempio, oltre agli scritti citati alla nota successiva, gli approfonditi studi di Capponi, La cognizione sulla domanda di sostituzione del creditore nella distribuzione della somma ricavata, in Riv. dir.civ., 1987, II, 717, ora in Scritti sul processo di esecuzione forzata, Torino, 1999, 393 ss.; Id., Ancora sulla “sostituzione esecutiva” ex art. 511 c.p.c., in Giust.Civ., 1988, I, 2987, in nota a T. Verona, 2 aprile 1988, ora in Scritti, cit., 419 ss.

[7] L’analisi dell’antecedente storico dell’art. 511 c.p.c., l’art. 715 c.p.c. del codice di procedura civile del 1865, è oggetto degli approfonditi studi di Picardi, La domanda di sostituzione nel processo esecutivo, in Riv. dir. proc., 1959, 574 ss; di Acone, La domanda di sostituzione del creditore nella distribuzione del ricavato, in Riv. dir. proc., 1981, 233 ss; di Capponi, La «sostituzione esecutiva» tra vecchio e nuovo codice, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1990, 95 ss., ora in Scritti, cit., 424 ss.

[8] Delle possibili criticità in relazione all’istituto dell’accantonamento a favore dei creditori intervenuti senza titolo esecutivo ed il cui credito sia stato contestato dal debitore mi sono occupata nello scritto La rinuncia dei creditori titolati ex art. 629, 1° co., c.p.c. non estingue il processo esecutivo senza il consenso del subcreditore ex art. 511: un’implausibile presa di posizione della giurisprudenza di merito (nota a T. Roma 4 agosto 2008), in Riv. es. forz., 2010, 3 ss., cui mi limito, pertanto, a rinviare.

[9] In tal senso appare dunque perfettamente centrata la massima consolidata che il richiamo dell’art. 511 c.p.c. all’art. 499 c.p.c. deve intendersi limitato alla forma dell’istanza e non allo status di interventore di cui essa è veicolo.

[10] La ricerca di un concetto unitario di “azione diretta” affonda, è bene chiarirlo subito, in un terreno minato. In primo luogo la ricostruzione proposta, e qui rilevante, esclude le varie ipotesi pure definite di “azione diretta”, in cui un rapporto tra creditore e terzo esiste, secondo l’archetipo dell’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile (cenni in Balena, Brevissime osservazioni, cit.). In secondo luogo, e con questo caveat, in dottrina si contendono il campo ricostruzioni anche molto diverse. E tuttavia, che si dica che il fenomeno ha consistenza solo “sostanziale”, conferendo al creditor creditoris un diritto di credito nei confronti del terzo (in tal senso Vecchi, L’azione diretta, Padova, 1990, passim, spec. 167 ss.), o invece processuale assimilabile al pignoramento presso terzi (così Balena, Le azioni dirette, cit., 182 s.), poiché inaugura un giudizio di cognizione finalizzato non semplicemente alla condanna del terzo bensì anche, preliminarmente, all’accertamento dei due (originari) rapporti obbligatori sottostanti nonché al trasferimento coattivo del credito del debitore principale in capo al creditore diretto, la sostanza, ai fini che qui rilevano, non cambia. L’effetto è cioè sempre quello di eliminazione del creditore intermedio illustrato brevemente nel testo, e di sopravvivenza del solo rapporto subcreditore-debitor debitoris. In tal senso anche Bianca, Diritto civile, V, La responsabilità, Milano, 1997, 432.

[11] Così ad esempio, del tutto condivisibilmente, Balena, Brevissime osservazioni, cit., che ascrive funzione esecutiva a questa tipologia di azioni dirette.

[12] Non ha influenza diretta su questa conclusione il grande tema, cui ha dato la stura la riforma del pignoramento presso terzi realizzata a tappe dal 2012 in poi (Capponi, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, Torino, 2020, 222 ss.; Tota, Individuazione e accertamento del credito nell’espropriazione forzata presso terzi, Napoli, 2014), della scomparsa di un accertamento sul credito con efficacia di giudicato in caso di mancata o contestata dichiarazione del terzo, e della sua sostituzione con un accertamento sommario del GE ad efficacia solo endoesecutiva. Accertamento che peraltro può persino mancare del tutto laddove il terzo non renda alcuna dichiarazione in ordine a quanto dovuto, senza che ne resti impedita l’assegnazione del credito per l’operare, a certe condizioni, di un meccanismo di non contestazione. L’attuale art. 548 c.p.c. (come modificato dall’art. 1, comma 20, n. 3 della L. n. 221/2012) stabilisce infatti che «il credito pignorato (…) si considera non contestato ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione», quando il terzo non rende la dichiarazione prevista dall’art. 547 c.p.c. e, in seguito, non compare alla successiva udienza fissata dal GE oppure compare ma si rifiuta di rendere la dichiarazione. La mancanza costante di un accertamento sull’esistenza del credito assegnato (quello cioè del debitore nei confronti del terzo debitor debitoris), confermata in riferimento all’ordinanza di assegnazione dalla Corte costituzionale (Corte cost. 20 giugno 2019, n. 172, in Giur. it., 2020, 1368 ss., con nota di Spaccapelo Pignoramento presso terzi: la Consulta salva il nuovo art. 549 c.p.c.,) e da recente giurisprudenza di legittimità (v., ad esempio, Cass. Sez. III, 25.7.2022, n. 23123), legittima il terzo debitor debitoris ad una azione di accertamento negativo del proprio rapporto obbligatorio con il creditore intermedio (esecutato nel p.p.t) nonché ad una azione di indebito oggettivo nei confronti dell’assegnatario che ha ricevuto il pagamento. All’evidenza però, come rilevato in apertura, è solo con una nuova iniziativa giudiziaria che egli potrà liberarsi dall’obbligo diretto che, in esito al p.p.t., ha oramai nei confronti dell’assegnatario.

[13] Eventualità che apre la via ad una soddisfazione proporzionale tra tutti, salva l’esistenza, in capo ad alcuni, di cause di prelazione verso il creditore sostituito: così Cass. 1 agosto 2023, n. 23482, in Banca dati One Legale, la quale opportunamente distingue tra concorso di più subcreditori istanti ex art. 511 c.p.c. in riferimento allo stesso creditore ammesso al riparto, regolato dalla distribuzione proporzionale salvo che qualcuno dei subcreditori vanti, appunto, una causa di prelazione verso quel creditore, e prelazioni che i creditori sostituiti vantano nei confronti dell’esecutato, che non si possono “trasferire” in capo ai subcreditori. In alcun modo, cioè, i criteri di graduazione valevoli per la distribuzione del ricavato tra i creditori dell’esecutato possono essere estesi alla ripartizione delle somme tra i creditori del procedente a questo sostituitisi senza far valere alcuna causa di prelazione. Precipitato, questo, della differenza tra i crediti rispetto ai quali le prelazioni stesse operano.

[14] La conclusione attinta nel testo non è smentita dalla circostanza che a volte la giurisprudenza, per ragioni di economia processuale, consente al creditore agente in surrogatoria di ottenere la condanna del terzo ad adempiere nelle sue mani. Ciò infatti accade sempre che vi sia motivo di temere che il debitore possa sottrarre il bene recuperato con l’azione surrogatoria e, soprattutto, non è conseguenza dell’esercizio della sola azione surrogatoria, a questa dovendosi necessariamente accompagnare altri rimedi simultanei concessi di volta in volta al creditore e variamente identificabili in relazione alle diverse situazioni in concreto prospettabili: v., in tal senso, Galgano, Diritto civile e commerciale, II, Padova, 1999, 474; Sacco, Il potere di procedere in via surrogatoria, Torino, 1955, nonché, in giurisprudenza, Cass. 12 gennaio 1972, n. 72, in Foro It., 1972, I, 3561.

[15] In tutto o in parte.

[16] La divaricazione tra lo schema funzionale della surrogatoria e quello dell’azione diretta è evidente anche qui: nella prima il surrogante agisce, come più volte rilevato, utendo iuribus, sia pure assecondando un interesse proprio giuridicamente protetto, nella seconda il creditore agisce per la tutela di un proprio diritto, che soddisfa attraverso il  trasferimento/(assegnazione nel pignoramento presso terzi) del diritto  di credito del suo debitore: v in tal senso i consonanti rilievi di Bianca, Diritto civile, cit., 433; di Vecchi, L’azione diretta, cit., 23; e di Patti, L’azione surrogatoria, in Trattato Rescigno, XX, Torino, 1985, 109.

[17] In tal senso già, ad esempio, Cass., 20 aprile 2015, n. 8001, in Giusto processo civile, 2016, 105 ss.; Cass., 13 marzo 1987, n. 2608, cit; contra, in dottrina, Nascosi, Contributo allo studio della distribuzione della somma ricavata nei procedimenti di espropriazione forzata, Napoli, 2013, 133; Briguglio, La necessità del titolo esecutivo per la domanda di sostituzione del creditor creditoris ex art. 511 c.p.c., in Riv. dir. proc., 2015, 886 ss, per il quale l’iniziativa intrapresa dal subcreditore ex art. 511 c.p.c. integra gli estremi di una azione esecutiva contro il proprio debitore diretto, e quindi soggiace alla grande regola nulla executio sine titulo.

[18] Potere che, inspiegabilmente, la Cassazione invece nega, oscurata dal topos del carattere “solo satisfattivo” e non “anche surrogatorio” dell’istanza ex art. 511 c.p.c.: v. Cass. 17 novembre 2020, n. 26054, cit., ed i relativi commenti cit. nelle precedenti note.

[19] V. ancora Cass. 17 novembre 2020, n. 26054, cit. La conclusione non è smentita dalla circostanza che, in ipotesi di successione ex art. 111 c.p.c., si possa riconoscere al legittimato straordinario/dante causa un vero e proprio ruolo di sostituto processuale dell’avente causa (in applicazione dello schema della Relevanztheorie), dotato perciò anche di poteri schiettamente dispositivi. L’evenienza risente infatti delle specificità del contesto processuale nel quale matura la successione nel diritto controverso e dei problemi di tutela della controparte che proprio l’utilizzo della figura della sostituzione (intesa come non necessità del litisconsorzio necessario con il legittimato ordinario) riesce a risolvere. La stessa logica particolare ispira, del resto, la figura del sostituto processuale ex art. 108 c.p.c. : v. amplius, sul punto, Luiso, Diritto processuale civile, I, Milano, 2023, 391 ss.

[20] Gli aspetti problematici ed irrisolti di questo orientamento sono bene messi in luce da Capponi, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, cit., 98 ss.

[21] Così, condivisibilmente, Cass. 1 agosto 2023, n. 23482, cit. Ben a ragione dunque la Corte, anche nella sentenza in commento, esclude che il cessionario possa essere inserito nel piano di riparto, posto che la sua domanda è, nel caso specifico, proprio da considerare tardiva.

[22] Cass. 7 giugno 2023, n. 15981, in Banca dati One Legale.

[23] In tal senso v., ad esempio, Cass. 22 giugno 2017, n. 15622, in Banca dati One legale, per la quale, molto chiaramente, la successione nel diritto di credito per il quale è stato iniziato un processo esecutivo per espropriazione impone di risolvere la questione della legittimazione ad agire in executivis attribuendo la stessa anche al cedente, che ben può proseguire nell’esecuzione, a meno che il cessionario non si opponga. Prima ancora, tra le tante, v. poi Cass. n. 4985/2004, che consente proprio al cessionario di palesare la sua presenza nel processo esecutivo ai sensi dell’art. 111 c.p.c., oltre che di intervenire, ai sensi del c. 4 della disposizione, nel giudizio di cassazione pur non essendo intervenuto nel giudizio di primo grado e benché subentrato nella titolarità del diritto prima che quest’ultimo fosse proposto (ferma restando la prosecuzione del processo tra le parti originarie).

[24] V., ad esempio, De Propriis, Successione nel diritto controverso, Napoli, 2023, passim; Widmann, La successione a titolo particolare nel diritto controverso, Napoli, 2015, spec. 120 ss.

[25] Questa ricostruzione mi pare preferibile al riferimento anodino operato da Cass. 13 marzo 1987, n. 2608, riportata da Cass. 7 giugno 2023, n. 15981, cit., al “(…) venir meno di quella posizione attiva nella quale il creditor creditoris intende subentrare (…)”, che lascia irrisolto ed ambiguo il punctum dolens, se cioè il subcreditore subentri in quella posizione attiva sostanziale o solo nel diritto processuale al riparto, come qui sostenuto. E’ chiaro che il risultato pratico è lo stesso se il quantum soddisfi almeno in parte il diritto del subcreditore. Nondimeno ne restano irriducibili i presupposti, come si è cercato di dimostrare in questo scritto e come risulta evidente nel caso di mancata o parziale soddisfazione.