Amministrazione umana vs Amministrazione algoritmica: prolegomeni su un modello procedimentale a partecipazione successiva  

L’introduzione dell’Intelligenza Artificiale in campo amministrativo apre le porte ad un’imponente rivoluzione, l’avvento dell’Amministrazione 4.0 , che rischia di compromettere definitivamente la struttura procedimentale della legge n. 241 del 1990. Lungo quest’impetuosa corrente, che presto o tardi finirà per travolgere gli amministrativisti, riflettere su una diversa configurazione dell’attività amministrativa appare fondamentale per prepararsi al cambiamento. Il contributo s’incentrerà, in particolare, su una delle possibili nuove vesti che potrà assumere il procedimento, incanalando gli istituti partecipativi lungo una scia che segue il risultato della macchina e non lo antecede, a differenza di quanto normalmente avviene per l’elaborazione del provvedimento tradizionale.

Di Daniele Diaco   -

 

L’uomo è divenuto un superuomo… ma il superuomo col suo

sovrumano potere non è pervenuto al livello di una sovrumana

razionalità. Più il suo potere cresce, e più egli diventa anzi un

pover’uomo. Le nostre coscienze non possono non essere scosse

dalla constatazione che più cresciamo e diventiamo superuomini,

e più siamo disumani.

(Albert Schweitzer, Premio Nobel per la Pace)

 

 

SOMMARIO: 1. Una necessaria premessa di umanità – 2. L’inizio di una “secessione amministrativa”? Retrocessione dell’uomo e avanzamento dell’automa – 3. Prospettiva di un modello a partecipazione successiva – 4. Sul riesame del provvedimento amministrativo automatizzato quando l’uomo travolge il risultato della macchina – 5. Sul riesame del provvedimento amministrativo automatizzato quando l’uomo conferma il risultato della macchina – 6. Conclusioni.

 

 

1.Una necessaria premessa di umanità

 

Dinanzi a un mondo in continuo cambiamento, dove l’uomo rischia di perdere la sua identità, quale ente sensoriale esistente in un mondo fisico, a tutto vantaggio di una nuova identità, sintetizzabile in dati e informazioni[2], è necessario chiedersi cosa rimanga della sua essenza.

La grande sfida del digitale – in particolare, la sua ultima figlia, l’Intelligenza Artificiale (IA) – si confronta direttamente con noi, le creature dominanti del pianeta, e ci pone una domanda a cui, fondamentalmente, non siamo mai stati pronti a rispondere: chi siamo[3]?

È proprio questo il punto di partenza: chi è l’uomo? Cos’è che ci rende, in definitiva, unici nel nostro genere tanto da farci dire, innanzi a un immaginario specchio, di essere effettivamente uomini e non qualcos’altro[4]?

Potrebbe sembrare una domanda banale e tanti sarebbero i tentativi di risposta. La realtà dei fatti, però, è che le frontiere dell’IA hanno ormai superato confini che un tempo sembravano invalicabili, espugnando la fortezza umana e provando a svelarne l’arcano mistero[5].

Non si incederà sul punto, ma è personale convincimento dello scrivente che svelare ciò che di più intimo ci sostiene e ci rende ciò che siamo non sia poi così utile – e, in vero, nemmeno possibile.

La nostra complessità, l’oscuro che tentiamo d’illuminare, è, in fondo, il nostro grande fascino. Essa è ciò che dinanzi allo specchio ci fa sorridere serenamente, perché dall’altra parte vediamo un riflesso che è sì piccolo rispetto all’infinità dell’universo, ma che neanche quest’ultimo, in tutta la sua maestosità, riesce a comprendere[6].

2.L’inizio di una “secessione amministrativa”? Retrocessione dell’uomo e avanzamento dell’automa

 

Il dibattito degli studiosi sulla corretta implementazione dell’IA in campo amministrativo è nel pieno del suo fiorire e – si crede – non cesserà per anni[7]. La verità è che il diritto – e, per quel che a noi maggiormente concerne, il diritto amministrativo – si troverà sempre più frequentemente a rincorrere la modernità, che sembra qualcosa di assolutamente lontano dal modello giuridico attuale di amministrazione, ritenuto in larga parte obsoleto.

Lo spettro dell’IA aleggia sul procedimento[8] e sul processo amministrativo[9], generando animi contrastanti: chi auspica un intervento dei nuovi strumenti anche nel campo più squisitamente decisorio e chi, invece, ne limita l’utilizzo al mero assetto istruttorio, quale ausilio all’essere umano nell’espletamento dell’attività necessaria alla raccolta di tutte le informazioni e i dati utili per l’elaborazione di una decisione secondo diritto[10].

Potremmo definire questa spaccatura come una vera e propria “secessione” da parte di alcuni studiosi che, per la gran parte, pur non disdegnando l’avvento delle nuove tecnologie, affrontano l’innovazione con un occhio maggiormente critico di fronte a una giurisprudenza che, al contrario, sembra allargare sempre di più le maglie dell’applicazione degli strumenti “intelligenti” a livello decisorio, provando a contemperarli con le garanzie procedimentali della legge 7 agosto 1990, n. 241, e con la discrezionalità propria di numerose decisioni amministrative[11].

Grandi passi sono stati, in concreto, compiuti, ma la strada non è stata ancora del tutto percorsa e non appare neanche ben delineata.

Ciò che pare emergere dagli innumerevoli contributi che nel tempo si sono succeduti è la necessità di ripensare la struttura del procedimento amministrativo, abbandonando l’intelaiatura classica della l. n. 241/1990 e immaginando una rinnovata configurazione dello stesso.

È questo il principio di un completo abbandono del passato? No, ma una rivisitazione necessitata che deve inserirsi appieno all’interno di un sistema immutabile, che è quello dei principi fondamentali della nostra Costituzione e che pervadono anche l’assetto amministrativo.

Un recentissimo studio ha, correttamente, evidenziato che, innegabilmente, il nostro modello di amministrazione è fondato sulla persona umana[12]. Se così è, titolare del potere amministrativo non può che essere un uomo, giammai una macchina. Diversamente opinando, ci si troverebbe davanti a un automa cui viene concessa la cura di interessi pubblici che non è nemmeno in grado di comprendere: l’interesse pubblico, così come qualunque interesse, è niente più che una costruzione dogmatica elaborata da giuristi umani sulla base di una logica che è perfettamente umana e che non ha un fondamento matematico o matematizzabile[13]. Per poter garantire appieno il soddisfacimento di un interesse, in contemperamento anche ad altri, la macchina dovrebbe acquisire l’intera esperienza umana, comprenderla e condividerla: in breve, non distinguersi da un essere umano, se non per la sua diversa corporeità[14].

Accantonando, in questa sede, la prospettiva deontologica, rimane un dato: oggi, la macchina può, al più, compiere alcune azioni tipiche dell’essere umano, ragionare su dati e informazioni umane, ma non può comprendere né l’uomo né le sue azioni[15].   Attribuisce una logica agli inputs che riceve, ma non conferisce un senso né ai medesimi, singolarmente considerati, né alle loro correlazioni verso l’output, che pur riesce ad elaborare[16].

In ambito amministrativo, questo si riverbera in una conseguenza aberrante, ossia il venir meno di qualunque funzionalizzazione del pubblico potere[17].

Notoriamente, il procedimento amministrativo è definito come la “forma della funzione”[18]. Ebbene, la funzione, intesa come perseguimento di un ben preciso fine, viene sempre indirizzata – e non potrebbe essere diversamente – da un essere umano, che poi si limita a formalizzarla in una serie di atti concatenati.

Accedendo all’idea che l’automa sia astrattamente titolare del potere, si dovrebbe altresì ritenere che questi sia capace di indirizzare il potere alla funzione cui è preposto. La funzione di indirizzo è, tuttavia, pienamente espletabile solo in connessione a una piena comprensione di tutte le implicazioni di una scelta. Non potendo, invece, la macchina comprendere la scelta, ma semplicemente “scegliere” (rectius, optare[19]) sulla base di una serie di informazioni accumulate (ma non assimilate), concederle una simile funzione rischierebbe di svuotare di senso il potere pubblico.

La conseguenza subitanea di quest’ultima riflessione non deve, tuttavia, essere il rifiuto assoluto della “decisione” della macchina. Piuttosto, in ossequio al modello “umano” di amministrazione, questa decisione non dovrebbe essere considerata “definitiva”, ma lasciare il giusto spazio al pieno dispiegarsi di un successivo intervento dell’uomo[20].

L’output della macchina “intelligente” deve essere un dato ulteriore con cui confrontarsi e dal quale non si può fuggire. Non si ritiene, infatti, che la soluzione elaborata da un software sia da scartare a priori, in considerazione della più ampia base conoscitiva da cui lo stesso trae le sue conclusioni[21] e della sua grandissima utilità nel momento in cui si ha a che fare con azioni ripetitive e casi similari con risposte ormai consolidate nel tempo dalle amministrazioni.

Ma quando compare il buco della trama, l’elemento di novità, è in quel momento che si richiede una rivalutazione tutta umana, e a richiederla sarà il cittadino destinatario dell’esercizio di quel potere.

3.Prospettiva di un modello a partecipazione successiva

 

Tendenzialmente, gli attuali modelli di semplificazione e la logica amministrativa, sempre più improntata al risultato, spingono verso un’accelerazione dei tempi dell’azione della pubblica amministrazione[22].

Se da un lato ciò è apprezzabile – e costituisce, a tutti gli effetti, la ragione per cui ad oggi l’uso dell’IA desta particolare attenzione –, dall’altro fa sorgere un problema che, in vero, è di senso comune: più si va veloci e più c’è il rischio di sbagliare[23].

“Chi va piano va sano e lontano”: è vero, purché il tempo in più venga impiegato in una logica di garanzia di qualità. Se, cioè, all’interno della sequenza procedimentale algoritmica (elaborata e seguita del software) si mantiene uno spazio aggiuntivo d’intervento umano – come sembra essenziale – per formulare una decisione qualitativamente superiore, allora ben si contempereranno le esigenze di celerità, cavallo di battaglia dei sistemi tecnologici della modernità, con i principi cardine dell’azione amministrativa, tutti orientati a una primigenia tutela della qualità del “risultato amministrativo”.

Come preservare, dunque, la riserva d’umanità all’interno di un procedimento algoritmico sviluppato da un’IA?

Al riguardo, la dottrina ha molto discusso di una c.d. fase “pre-istruttoria”: l’intervento umano troverebbe, cioè, il suo spazio più congruo al momento dell’elaborazione del software[24].

Questo scritto, invece, tenterà di esaminare la possibilità di un “incontro” successivo tra l’amministrazione e il cittadino, senza sfociare nel processo amministrativo; dunque, se sia immaginabile un contraddittorio con l’amministrazione tradizionale a seguito della costruzione del programma e, finanche, a seguito della decisione algoritmica.

Per prima cosa, si ritiene di dover preferire un modello a partecipazione successiva ad uno a partecipazione anticipata. Due le ragioni al riguardo:

1)il software di IA agisce secondo un’autonomia intrinseca che non può essere incapsulata a priori. Indipendentemente dai dati di input forniti e dal sistema di apprendimento implementato, nulla fornirà una maggiore garanzia di qualità dell’output, che spesso non potrà neanche essere correttamente ricostruito a causa dell’“opacità” intrinseca dell’analisi elaborata dalla macchina[25]. Agire, quindi, a posteriori, intervenendo sulla decisione algoritmica, appare l’unico modo per eventualmente sovvertire o, comunque, correggere la decisione del sistema “intelligente”, senza pretendere di poterla prevedere nella sua interezza in un momento antecedente (risultato, ad oggi, impossibile su ogni fronte);

2)se è vera, com’è vera, la precedente constatazione, la fase di anticipazione dell’istruttoria a partecipazione umana rischia di rappresentare un intervallo temporale poco incisivo nella sequenza procedimentale e, perciò, contrastante con i principi di efficienza e di semplificazione dell’azione amministrativa[26].

Nonostante i rilievi esposti, la dottrina è alquanto critica sulla costruzione di un modello a partecipazione successiva, facendo leva principalmente sulla completa scomparsa del responsabile del procedimento quale dominus della stessa attività istruttoria e interlocutore fisico reale per il cittadino[27].

A parere di chi scrive, in realtà, si tratta di un’eccezione condivisibile solo in parte. Non si hanno dubbi, infatti, sull’estrema importanza del responsabile del procedimento in termini di garanzia d’umanità all’interno dell’apparato amministrativo e, più in concreto, nello svolgimento delle funzioni pubbliche[28]. Piuttosto, le difficoltà riscontrate da quella dottrina nascono da una premessa che, probabilmente, abbisogna di un ritocco: l’immutabilità della sequenza procedimentale di cui alla l. n. 241/1990. Senza tornare sul punto, la conclusione che in questa sede si crede di dover accogliere è un’altra: ciò che deve rimanere immutata è la funzione amministrativa, mentre la “forma della funzione” può e deve mutare in ragione delle nuove esigenze.

Il modello procedimentale tradizionale, con la sua istruttoria a base partecipativa secondo i dettami dell’art. 10 della l. n. 241/1990, non appare trasponibile nel macrosistema dell’IA[29].

Perciò, stante il bisogno di predisporre un diverso paradigma, si potrebbe ragionare su un diverso sequenziamento delle fasi che compongono il procedimento.

Evidentemente, l’istruttoria antecedente alla decisione operata dalla macchina si fonda sui semplici elementi che vengono immessi nel sistema durante la fase dell’iniziativa, nonché su tutti i dati e le informazioni preliminari, inseriti dall’amministrazione, utili ai fini dell’apprendimento. Si tratta di una valutazione parziale che potrebbe non tener conto delle novità proprie della fattispecie concreta.

In un ordinario procedimento amministrativo esse emergerebbero attraverso l’istruttoria vera e propria, ossia quel segmento immediatamente antecedente alla decisione connotato dal principio di collaborazione con il privato destinatario dell’esercizio del potere.

Nel procedimento automatizzato, invece, questo momento interlocutorio – secondo l’impostazione che qui s’intende adottare – deve essere recuperato in un momento successivo alla decisione, atteso che, dall’immissione dei dati all’elaborazione dell’output, il tempo che trascorre non è astrattamente diverso a quello di un battito di ciglia.

Una prima occasione di contatto può verificarsi riproponendo, anche in questo nuovo modello procedimentale, un istituto travagliato della l. n. 241/1990, ossia il preavviso di rigetto[30].

La soluzione si colloca perfettamente nell’alveo della funzione originaria dell’istituto in questione, volto, com’è noto, a potenziare la partecipazione dei privati al procedimento amministrativo a fronte di un contraddittorio che, in dottrina, è stato definito come “imperfetto”[31].

La decisione algoritmica diviene, cioè, una bozza di decisione, avente natura meramente endoprocedimentale[32], che potrebbe essere confermata o rivisitata dall’amministrazione (in un provvedimento a carattere decisorio), ma, in questo caso, nella sua composizione tradizionale (dunque, come insieme di persone fisiche).

L’obiettivo è l’instaurazione di un contraddittorio successivo a caratterizzazione pienamente umana con la funzione di condurre l’amministrazione, nella persona del responsabile, all’eventuale ritiro della delega algoritmica qualora si ravvisino delle incongruenze o degli errori nell’elaborazione effettuata dal programma.

A tal fine, nel preavviso bisognerà assolvere al tipico obbligo di motivazione rinforzata[33] che la dottrina riconosce al provvedimento automatizzato, e ciò ai fini della comprensione dell’algoritmo e del suo funzionamento[34]. Proprio grazie alla motivazione e tenendo conto dell’output ottenuto, il privato ha la possibilità di incidere più profondamente sulla decisione conclusiva dell’amministrazione.

Ciò sembra sugellare, alquanto fermamente, l’importanza che l’istituto potrebbe e dovrebbe assumere in ossequio alla sua funzione di garantire l’attivazione di un contraddittorio in senso proprio: un’esigenza che – come si è detto – era sorta già nel modello procedimentale tradizionale[35] e che, nell’attuale modello automatizzato, s’impone maggiormente in tutta la sua complessità e problematicità.

È chiaro, però, che il preavviso, così come disciplinato all’art. 10-bis, necessita di alcuni correttivi per l’adeguamento al modello in costruzione.

Per prima cosa, esso non deve essere limitato ai soli procedimenti ad istanza di parte[36].

Conseguentemente, anche la terminologia abbisogna di una sostanziale modifica: non può parlarsi di “preavviso di rigetto”, perché il provvedimento in bozza, più genericamente, ha un contenuto negativo nei confronti di uno o più destinatari indipendentemente dalla presenza di un’istanza di parte da rigettare.

Ancora, per quel che concerne l’ambito applicativo, l’art. 10-bis esclude espressamente l’obbligo del preavviso nelle procedure concorsuali e nei procedimenti in materia previdenziale ed assistenziale[37]; l’intervento dell’automazione richiede, invece, l’elisi di qualunque ipotesi di esclusione, perché, di fronte al rischio della retrocessione umana, qualunque ulteriore motivazione escludente per l’applicazione dell’istituto cede il passo.

Si tenga conto, infine, delle novità introdotte all’articolo dal c.d. decreto semplificazioni: «[q]ualora gli istanti abbiano presentato osservazioni, del loro eventuale mancato accoglimento il responsabile del procedimento o l’autorità competente sono tenuti a dare ragione nella motivazione del provvedimento finale di diniego indicando, se ve ne sono, i soli motivi ostativi ulteriori che sono conseguenza delle osservazioni»[38].

Queste osservazioni e il conseguente obbligo di motivazione discendente dalle medesime all’interno del provvedimento finale sono fondamentali nell’ottica della comprensibilità del provvedimento automatizzato. Difatti, le medesime possono, in primo luogo, aiutare la pubblica amministrazione ad entrare più a fondo all’interno della stessa logica algoritmica della decisione – che sappiamo essere, in presenza di un sistema di apprendimento, in parte sconosciuta e imprevedibile –; in secondo luogo, l’intervento del privato può avere una sua utilità anche in chiave di miglioramento del programma per i futuri procedimenti aventi il medesimo oggetto: una sorta di aggiornamento, pro futuro, del sistema alla luce delle rimostranze presentate[39].

4.Sul riesame del provvedimento amministrativo automatizzato quando l’uomo travolge il risultato della macchina

 

Ai fini della costruzione di un modello procedimentale a partecipazione successiva, sollecitano interessanti spunti di riflessione tutti quegli istituti che rientrano nel c.d. potere di riesame della pubblica amministrazione.

Il dovere di quest’ultima di perseguire l’interesse pubblico e agire legittimamente è all’origine del potere ad essa attribuito di riesaminare i propri atti. La gran parte della dottrina e giurisprudenza ha collocato tale potere nella categoria giuridica dell’autotutela[40], ma non v’è unanimità[41].

Per rifuggire dall’angusta categoria, ordinariamente il potere di riesame è stato ricondotto «vuoi al potere di provvedere in forza dell’imperatività che connota l’agire amministrativo, vuoi alla normale inesauribilità del potere stesso, che abitualmente sopravvive al singolo atto di esercizio»[42].

Indipendentemente dal fondamento del potere[43], è, comunque, logico che, anche nel procedimento amministrativo automatizzato, l’autorità pubblica abbia degli strumenti volti a ripristinare la concordanza della propria attività con il pubblico interesse.

Quello che, invece, non è così scontato è che questi rimedi siano in qualche modo da riconfigurare alla luce delle peculiarità delle nuove tecnologie.

Il potere di riesame può avere due diversi esiti: l’eliminazione o la conservazione del provvedimento.

Volendo, in questa sede, concentrarsi sul potere di riesame tout court in relazione ai provvedimenti automatizzati, non si procederà ad un’analitica disamina di tutti i poteri di secondo grado, ma si attenzioneranno solo alcuni dei principali istituti[44].

Per quel che concerne il riesame a carattere eliminatorio, il provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a dodici mesi, tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati (art. 21-nonies della l. n. 241/1990).

Attraverso l’esempio dell’annullamento d’ufficio, diviene possibile analizzare il potere di riesame sotto un’altra prospettiva, quale forma di tutela dell’amministrazione “umana” verso la sua “controparte digitale”: una tutela, quindi, contro sé stessa (ecco che ritorna, sotto altre spoglie, il concetto di “autotutela”), per garantire l’interesse pubblico[45].

Non solo. È evidente che l’automazione si ripercuote anche sui caratteri intrinseci di esercizio del potere in questione.

Tornando all’annullamento d’ufficio, ad esempio, è noto che tale potere sia ampiamente discrezionale, in quanto richiede una valutazione dell’interesse pubblico, in bilanciamento con quelli dei destinatari e dei controinteressati.

Tuttavia, dottrina e giurisprudenza hanno nel tempo enucleato diverse ipotesi di annullamento d’ufficio doveroso, nelle quali la sussistenza dell’interesse pubblico al ripristino della legalità sarebbe in re ipsa[46].

Alla luce di queste considerazioni, non sembra azzardato affermare che, anche per il provvedimento automatizzato, si verifichi una di queste ipotesi: l’interesse pubblico da tutelare è, in effetti, quello relativo alla riaffermazione dell’umanità rispetto a una decisione robotica, che potrebbe essere considerato l’interesse per eccellenza di tutti gli uomini, e come tale in re ipsa.

Accertata, quindi, l’illegittimità del provvedimento, l’amministrazione avrebbe il potere di annullare quest’ultimo senza alcun tipo di valutazione ulteriore rispetto a un interesse che è all’origine del diritto stesso.

Ecco, dunque, che il potere di riesame si pone in una linea di continuità con il potere originario di provvedere. Dinanzi a un’automazione imperante in cui il procedimento amministrativo si riduce a un ticchettio di orologio una volta acquisiti gli inputs necessari a decidere, l’“autotutela” amministrativa assurge ad appendice, a volte necessaria, affinché l’uomo non diventi un subalterno della macchina, ma riesca a ribaltarne il risultato.

In questo contesto, la presentazione di memorie e documenti di cui all’art. 10 della l. n. 241/1990, usufruendo di una base solida da cui trarre quanto necessario per formulare una propria linea di difesa, assume un ruolo nuovamente di spicco. Anzi, può ben affermarsi che, in siffatte ipotesi, la partecipazione del privato risulta anche più “ragionata”, potendo egli evidenziare le sue pretese rispetto a quanto contenuto nella motivazione sulla decisione del programma, magari anche dopo aver ottenuto l’accesso al pre-software[47].

Ciò va ancor di più a rafforzare l’idea che il potere di riesame sia una propaggine di quello di amministrazione attiva[48]. Più precisamente, la c.d. autotutela sarebbe la riaffermazione della primarietà del potere attribuito dalla legge all’amministrazione fisica a seguito della decisione formulata mediante l’esercizio di un potere secondario (in capo all’amministrazione algoritmica).

Riguardo al «termine ragionevole», sembra qui utile ravvisare una sua diversa funzione, riprendendo quegli orientamenti dottrinali che auspicavano, per l’esercizio del potere di riesame, la permanenza di un concetto giuridico indeterminato, quale quello della ragionevolezza, col fine di evitare di “ingessare” le pubbliche amministrazioni[49].

In realtà, qui la prospettazione di un termine ragionevole non avrebbe solo lo scopo di tutelare l’affidamento del cittadino[50] che abbia ottenuto un provvedimento favorevole, ma anche di consentire a colui che abbia ottenuto un provvedimento sfavorevole di acquisire le informazioni opportune per ribaltare il risultato della macchina.

Tutto quello che abbiamo detto, ovviamente, ha valenza in presenza di un vizio ineliminabile[51].

Nei casi in cui, invece, l’atto amministrativo presenti dei vizi eliminabili, la dottrina ritiene possibile procedere alla sanatoria, in senso lato, dell’atto, opportunamente distinguendo a seconda che il vizio attenga all’esternazione dell’atto (come la mancanza di motivazione, la presenza di una clausola illegittima o la mancanza di una clausola necessaria, ecc.) o al processo decisionale[52]: si entra, qui, nel campo dei provvedimenti conservativi.

Nel primo caso, l’atto può essere convalidato e i suoi effetti retroagiscono al momento della sua emanazione[53]. Anche qui, la valutazione sull’interesse pubblico non sembra costituire un serio ostacolo all’esercizio del potere, poiché lo stesso sarebbe in re ipsa.

Se il vizio riguarda il processo decisionale dell’atto, invece, l’amministrazione potrà rinnovare il procedimento a partire dalla fase in cui si è verificata l’invalidità[54].

È noto che il principio di conservazione degli atti giuridici, essendo trasversale nel nostro ordinamento, trova applicazione anche nel campo del diritto amministrativo[55]. La sua ragion d’essere va ricercata, da un lato, nel principio di economia dei mezzi giuridici[56] e, dall’altro, nell’esigenza di preservare gli effetti di taluni atti amministrativi viziati[57].

In virtù di tale principio, tra il potere di riesame ad esito eliminatorio e quello ad esito conservativo sarebbe da prediligere quest’ultimo. Ciò è denotato anche dall’espressione contenuta nell’art. 21-nonies, comma 2, secondo cui «[è] fatta salva la possibilità di convalida»: la norma, infatti, pone l’annullamento d’ufficio in posizione recessiva rispetto a quest’ultima.

Il principio, però, trova la sua giusta collocazione rispetto ad atti totalmente umani, mentre per gli atti automatizzati si potrebbe prospettare una diversa soluzione. Perché favorire, in dubio, la conservazione di un atto elaborato dalla macchina, sia pur corretto, modificato dall’uomo, piuttosto che rinnovare eventualmente il procedimento? La rinnovazione, infatti, pur rientrando nella sanatoria in senso lato, non è un potere di riesame ad esito conservativo, in quanto presuppone l’annullamento dell’atto.

Si potrebbe, dunque, concludere che, a fronte dell’istanza di riesame, accertata l’invalidità, l’amministrazione non possa che procedere all’annullamento del provvedimento, eventualmente operando una rinnovazione dello stesso, stavolta, però, sotto il completo controllo umano.

5.Sul riesame del provvedimento amministrativo automatizzato quando l’uomo conferma il risultato della macchina

Un ultimo aspetto appare opportuno considerare: di fronte a un’istanza di riesame del privato, l’amministrazione potrebbe non convincersi dell’illegittimità del provvedimento e confermarlo[58].

L’ atto confermativo è «quell’atto mediante il quale l’amministrazione dichiara di mantenere fermo un precedente provvedimento, del quale venga chiesto il ritiro»[59]. Richiesta che, normalmente, rappresenta l’ultima chance del privato cittadino che abbia lasciato decorrere infruttuosamente il termine per impugnare il provvedimento illegittimo[60].

La giurisprudenza è sempre stata monolitica nell’affermare che l’amministrazione pubblica non ha alcun obbligo di provvedere rispetto ad istanze di riesame di decisioni divenute inoppugnabili[61].

A partire da quest’importante presa di posizione, la dottrina ha analizzato gli atti confermativi, distinguendo l’atto meramente confermativo da quello ad effetti confermativi.

L’atto meramente confermativo consisterebbe nella «riaffermazione dell’esistenza – del fatto – del precedente provvedimento, del precedente precetto»[62]. Esso non costituirebbe, in realtà, neanche un vero e proprio atto amministrativo, difettando di una «volizione intorno ad una situazione»[63].

Diversamente, l’atto ad effetti confermativi sarebbe una sorta di «dichiarazione che l’autorità vuole tuttora, dopo aver esaminato la nuova situazione alla luce dei motivi addotti nell’irrituale istanza del privato, la regolamentazione espressa nel precedente provvedimento»[64]. Al contrario del precedente, perciò, quest’ultimo avrebbe natura provvedimentale ed effetti innovativi e sarebbe, quindi, autonomamente impugnabile[65].

Nel tempo, la giurisprudenza si è assestata su posizioni similari, se non del tutto identiche, a quelle della dottrina[66].

Questa distinzione di fondo non è, però, stata accolta positivamente da tutti gli studiosi. Difatti, «una nuova valutazione, sia pure superficiale, della situazione sulla quale il provvedimento incide è necessaria non solo per esercitare nuovamente il potere (e quindi per emanare un provvedimento di conferma), ma anche per decidere di non esercitarlo o per rilevare semplicemente che la situazione stessa è già disciplinata dal provvedimento precedente (e quindi per emanare un atto confermativo)»[67].

Sembrerebbe, quindi, non potersi escludere l’esercizio di un potere nel caso di un rifiuto, anche perché, ritenendo che si tratti di una dichiarazione di scienza non impugnabile, s’impedirebbe al cittadino di dimostrare che la situazione era, invece, mutata ed era conseguentemente sorto in capo all’amministrazione l’obbligo di provvedere[68].

Altro punto critico su cui la dottrina ha discusso riguarda, conseguentemente, l’obbligo di provvedere di fronte alla presentazione dell’istanza di riesame[69].

Oggi il dibattito non presenta i medesimi connotati, non foss’altro perché l’attuale formulazione dell’art. 2 è diretta verso il riconoscimento di un generale obbligo di procedere e di provvedere[70]. Sembrerebbe, pertanto, doversi escludere la distinzione tra conferma (o atto meramente confermativo) e atto ad effetti confermativi: una distinzione che, però, continua ad essere proposta dalla giurisprudenza[71].

L’avvento dell’automazione potrebbe, in tal senso, fornire un argomento aggiuntivo a questa constatazione critica.

Prima di tutto, dinanzi a un provvedimento automatizzato, difficilmente si potrebbe negare la valutazione dell’istanza presentata da un privato per il riesame del suo contenuto: ciò nell’ottica di quell’interesse pubblico prioritario alla riaffermazione dell’essere umano e della sua natura. Si configurerebbe, dunque, la doverosità del ri-esercizio del potere amministrativo.

Inoltre, anche laddove si consentisse all’amministrazione un “rifiuto pregiudiziale” senza alcuna ulteriore valutazione, in questo caso non si potrebbe comunque ritenere che la conferma costituisca una semplice dichiarazione di scienza. Essa sarebbe pur sempre, infatti, la dichiarazione dell’amministrazione “umana” che si sovrappone a quella dell’amministrazione algoritmica (espressa nel provvedimento automatizzato): insomma, quella «volizione intorno a una situazione» sarebbe, in ogni caso, presente e, dunque, suscettibile di controllo giurisdizionale.

6.Conclusioni

Riprendendo, quindi, le fila del discorso e traendo le conclusioni, la soluzione di un modello procedimentale a partecipazione successiva sembra poter fornire delle opportune garanzie in termini di riserva di umanità, impedendo così di sprofondare in una società digitalizzata in cui l’uomo finisce per arrendersi alla macchina[72].

Abbiamo riscontrato notevoli difficoltà nel preservare le guarentigie procedimentali in connessione alla sequenza algoritmica. Il linguaggio umano non è riproducibile nella sua interezza da una macchina e, per quanto si cerchi di schematizzare il ragionamento giuridico, nella realtà dei fatti ciò non è del tutto possibile. Se di base si riscontra certamente una logica, fondata sull’esperienza maturata nel tempo e sui valori che s’intende perseguire, vi è un lato “umano”, meno “scientifico”, che rimane ineliminabile e che emerge sul piano dell’interpretazione giuridica[73].

Perciò, anche laddove si rinvenisse uno spazio per lo sviluppo degli istituti partecipativi prima dell’elaborazione decisionale, comunque si perderebbe qualcosa nel mentre, di cui il diritto non può fare a meno, non essendo quest’ultimo il risultato di un’applicazione meccanica delle norme. Il privato, infatti, fornirebbe delle informazioni alla macchina, informazioni che quest’ultima si limiterebbe ad elaborare, insieme a quelle già in suo possesso, senza un opportuno vaglio interpretativo[74].

Per poter far fronte a questo problema, bisognerebbe immaginare un programma in grado di sintetizzare ogni possibile esplicazione della lingua umana, in qualunque sua variante e sfumatura, senza lasciare nulla al caso: in poche parole, racchiudere la totalità della lingua in un contenitore metallico. Ma le parole sono espressione del pensiero e, come il pensiero non ha limiti, lo stesso vale per le parole: contenere l’infinito è l’assurdità che si demanda a un robot che si qualifichi come umano.

A fronte di tutto ciò, l’intervento dell’uomo, che difficilmente si concilia con la sequenza procedimentale tradizionale, potrebbe trovare la possibilità di emergere con forza in un momento diverso: non antecedente all’elaborazione del programma, perché finirebbe per essere ingabbiato nella logica della macchina, ben diversa da quella umana, ma successivo alla stessa decisione (sia intesa come provvedimento non conclusivo, ai fini dell’applicazione dell’art. 10-bis, sia come provvedimento conclusivo, su cui sarà esperibile il potere di riesame).

In conclusione, dinanzi all’avanzare dell’amministrazione digitale, finché quella umana sarà all’ombra del suo operare, emergendo laddove ce ne sia bisogno, la macchina troverà sempre il suo punto d’incontro con il diritto e potrà aprire gli orizzonti umani verso un mondo nuovo in cui il “metallo” e i “dati” non si sostituiscono alla “carne” o allo “spirito”, ma li integrano e li sostengono[75].

[1] D.U. GALETTA, J.G. CORVALAN, Intelligenza artificiale per una Pubblica Amministrazione 4.0? Potenzialità, rischi e sfide della rivoluzione tecnologica in atto, in federalismi.it, n. 3/2019, pp. 2 ss.

[2] Per approfondire, M. NASTRI, Identità digitale e identificazione elettronica: attualizzazione di un antico paradigma, in D. BUZZELLI, M. PALAZZO (a cura di), Intelligenza artificiale e diritti della persona, Pacini Giuridica, Pisa, 2022.

[3] Interessanti considerazioni emergono, al riguardo, in I. CORVINO, F. D’ANDREA, Esseri umani nel XXI secolo, in Im@go, n. 12/2018, pp. 11 ss.

[4] Tornano alla mente le affascinanti domande che emergono dalla lettura di K. ISHIGURO, Klara e il sole, Einaudi, Torino, 2021, p. 191: crediamo ancora nel cuore umano? Crediamo ancora che esista qualcosa che rende ciascuno di noi unico e straordinario? Nel libro, ad un certo punto, il padre della bambina confessa all’androide di non trovare nulla di così speciale nella figlia Josie da non poter essere portato alla luce, copiato e trasferito (ivi, p. 196). Ma è molto bello sottolineare, in questa sede, il pensiero dell’androide Klara, prima del suo spegnimento: «Mr Capaldi pensava che dentro Josie non ci fosse niente di tanto speciale da non poter essere proseguito… C’era invece qualcosa di molto speciale, ma non era dentro Josie. Era dentro quelli che l’amavano» (ivi, pp. 267-268).

[5] La deriva conclusiva consiste nel ritenere l’uomo un’istanza particolare di software: cfr. L.L. VALLAURI, Algoretica e informatica giuridica, in i-lex, n. 1/2022, p. 33.

[6] Secondo B. PASCAL, Pensieri, opuscoli, lettere, a cura di A. Bausola, Rusconi, Milano, 1978, pp. 425-434, il mistero dell’uomo sta proprio in questa tensione tra il tutto e il nulla. Egli tende all’Infinito, alla Felicità, al tutto, ma, al tempo stesso, è gracile e finito: «cos’è l’uomo nella natura? Un nulla in confronto all’infinito, un tutto in confronto al nulla, un qualcosa di mezzo tra nulla e tutto. Infinitamente lontano dal poter comprendere gli estremi, la fine delle cose e il loro principio sono invincibilmente legati in un segreto impenetrabile per lui, che è ugualmente incapace di scorgere il nulla da cui egli è tratto e l’infinito da cui è inghiottito».

[7] Quello di cui più concretamente ci si occuperà nel contributo è solo uno dei tanti e diversi aspetti dell’automazione procedimentale, ossia quando quest’ultima viene realizzata mediante meccanismi di IA. Il concetto di automazione è, infatti, più ampio e ricomprende sistemi anche non fondati sull’IA. Su questi concetti, un chiarimento è pervenuto dalla stessa giurisprudenza: cfr. Cons. St., Sez. III, 25 novembre 2021, n. 7891.

[8] In particolare, il centro del dibattito ruota attorno ai cc.dd. algoritmi di machine-learning e di deep-learning. Il concetto di algoritmo è strettamente connesso a quello di automazione procedimentale. Così come è possibile un’automazione semplice mediante algoritmi “tradizionali”, che si limitano a trasporre il dettato di una o più disposizioni in un codice leggibile da una macchina, è altrettanto possibile un’automazione per così dire “intelligente” mediante l’utilizzo dei machine-learners e dei deep-learners, i quali realizzano un’operazione di apprendimento costante e non del tutto controllabile. Interessanti considerazioni sulla differenza tra le tipologie di algoritmo, con particolare riferimento a quelli riconducibili nell’alveo dell’IA, si hanno in M. CORRADINO, Intelligenza artificiale e pubblica amministrazione: sfide concrete e prospettive future (Intervento al Corso di formazione per i magistrati organizzato dall’Ufficio studi, massimario e formazione della Giustizia amministrativa), in www.giustizia-amministrativa.it, 10 settembre 2021.

[9] È il tema della c.d. giustizia predittiva: cfr. C. CASTELLI, D. PIANA, Giustizia Predittiva. La qualità della giustizia in due tempi, in www.questionegiustizia.it, 15 maggio 2018, § 2.5. Per una critica all’odierna giustizia predittiva, v. la XIII Assemblea Nazionale degli osservatori sulla giustizia civile, Equilibrio tra processo e autonomia privata, Reggio Emilia 8, 9 e 10 giugno 2018, Report del Gruppo 1: Prevedibilità, predittività e umanità nel giudicare, in www.lanuovaproceduracivile.com: «[s]i è considerato che la “giustizia predittiva” incarna il mito illuminista del giudice bocca della legge, svelato ormai da gran tempo come tale nella manualistica della filosofia giuridica. E si sono evidenziate le anomalie di una giustizia siffatta: alla imparzialità del giudice, per darne attuazione in una declinazione mitologica, impossibile e distorta, si sostituisce l’incorporeità e la a-storicità di una macchina che ius dicit al di fuori della storia, cioè lo spazio abitato dagli umani e cioè dai loro corpi. Ci troviamo forse di fronte al recupero in chiave tecnocratica di una teocratica “Giustizia Eterna”? O forse solo a un alibi de-responsabilizzante? Comunque un giudizio che è specchio della profonda alienazione di un Uomo che delega il giudizio su un altro uomo a qualcosa di non umano. Rimane, per ora, la clausola di garanzia finale recata dalla norma sopra indicata, ma limitata: è garantito l’intervento umano, non chiare le sue modalità e la certa sua decisività.  Ma rimane anche il problema ampiamente evidenziato, del rapporto tra la decisione del giudice e quella della macchina, tutto da verificare e scoprire, anche a livello di legittimazione diffusa nelle decisioni».

[10] Ex multis, per approfondire il dibattito, V. NERI, Diritto amministrativo e intelligenza artificiale: un amore possibile, in Urb. e app., n. 5/2021; B. RAGANELLI, Decisioni pubbliche e algoritmi: modelli alternativi di dialogo tra forme di intelligenza diverse nell’assunzione di decisioni amministrative, in federalismi.it, n. 22/2020; S. CIVITARESE MATTEUCCI, Umano troppo umano. Decisioni amministrative automatizzate e principio di legalità, in Dir. pubbl., n. 1/2019; A. DI MARTINO, Intelligenza artificiale, garanzie dei privati e decisioni amministrative: l’apporto umano è ancora necessario? Riflessioni a margine di Cons. Stato 8 aprile 2019, n. 2270, in Riv. giur. eur., n. 2/2019. Per una visione d’insieme delle problematiche e dei vantaggi sottesi allo Stato digitale, v. L. TORCHIA, Lo Stato digitale, Il Mulino, Bologna, 2020.

[11] Si osservi il mutamento della giurisprudenza nelle pronunce: T.A.R. Lazio-Roma, Sez. III-bis, 22 marzo 2017, n. 3769; Cons. St., Sez. VI, 8 aprile 2019, n. 2270; 13 dicembre 2019, n. 8472; 4 febbraio 2020, n. 881; T.A.R. Campania-Napoli, Sez. III, 14 novembre 2022, n. 7003.

[12] G. GALLONE, Riserva di umanità e funzioni amministrative, Wolters Kluwer-CEDAM, Milano, 2023, pp. 41 ss.: «[l]a “Pubblica Amministrazione”, per come tratteggiata dagli artt. 97 e 98 Cost., si identifica non solo con i “pubblici uffici” nella loro dimensione oggettiva ma, soprattutto, con i “pubblici impiegati”».

[13] Per approfondire il dibattito scientifico sull’interesse pubblico, S. CASSESE, Il mondo nuovo del diritto. Un giurista e il suo tempo, Il Mulino, Bologna, 2008, pp. 58 e 159-160; A. PIZZORUSSO, Interesse pubblico ed interessi pubblici, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1972, pp. 57 ss.; M. STIPO, L’interesse pubblico: un mito sfatato?, in Scritti in onore di Massimo Severo Giannini, Giuffrè, Milano, 1988, III, pp. 907 ss.; G. PASTORI, Interesse pubblico e interessi privati fra procedimento, accordo e autoamministrazione, in Scritti in onore di Pietro Virga, Giuffrè, Milano, 1994, II, pp. 1303 ss.

[14] La costruzione di un programma senziente è l’obiettivo dell’IA forte, “produttiva e cognitivista”, differentemente dall’IA debole, “riproduttiva”, che, in vero, rappresenta ad oggi il paradigma di tutti i sistemi “intelligenti”, nonché la branca dell’IA che sta ottenendo i maggiori successi pratici. Secondo L. FLORIDI, Agere sine intelligere. L’intelligenza artificiale come nuova forma di agire e i suoi problemi etici, in L. FLORIDI, F. CABITZA, Intelligenza artificiale. L’uso delle nuove macchine, Bompiani, Milano, 2021, pp. 139 ss., l’IA “riproduttiva” «cerca di ottenere con mezzi non biologici l’“esito” (chiamiamolo output) del nostro comportamento intelligente», mentre l’IA “produttiva” «cerca di ottenere l’equivalente non biologico della nostra intelligenza, indipendentemente dal maggiore o minore successo applicativo del risultato».

[15] È il grande limite che si rintraccia nel test di Turing (A. TURING, Computing Machinery and Intelligence, in Mind, n. 236/1950), che, tutt’oggi, con i dovuti correttivi, rappresenta il metodo più efficiente per determinare quando si è davanti a una macchina “intelligente”: si veda il test della stanza cinese, elaborato da J. SEARLE, Menti, cervelli e programmi. Un dibattito sull’intelligenza artificiale, trad. it. a cura di G. Tonfoni, CLUP, Milano, 1984, e integralmente riprodotto da G. PESCE, Funzione amministrativa, intelligenza artificiale e blockchain, Editoriale Scientifica, Napoli, 2021, pp. 285-293.

Esemplificando, il test di Turing prende spunto dal “gioco dell’imitazione”, con tre partecipanti: un uomo A, una donna B, situati in una stanza, e una terza persona C, locata in un’altra stanza. Il compito di C è capire chi è l’uomo e chi è la donna. Per farlo, attraverso una telescrivente, C pone domande ad A e B: A dovrà cercare di indurlo in errore, mentre B dovrà aiutarlo. Immaginiamo, ad un certo punto, che una macchina si sostituisca ad A. Se la percentuale di volte in cui C indovina chi sia l’uomo e chi la donna risulta più o meno sovrapponibile prima e dopo la sostituzione di A con la macchina, allora la macchina potrà essere definita intelligente. Questo ci porta a concludere che, secondo Turing, fondamentalmente l’intelligenza coincide con la capacità di ingannare. Se l’uomo non riesce a individuare la natura robotica del suo interlocutore, la macchina sarà considerata intelligente.

Il test della stanza cinese, invece, può essere così sintetizzato: se a me, uomo, pur non conoscendo il cinese, viene fornito un foglio con ideogrammi cinesi, un altro con gli stessi ideogrammi e accanto delle regole scritte nella mia lingua, un altro ancora con delle istruzioni per creare dei nuovi simboli correlati ad altri che ho già ricevuto, col tempo magari, a domande poste da un madrelingua, saprò finanche dare delle risposte convincenti in cinese, manipolando quei simboli sulla base delle istruzioni e delle regole ricevute, senza però conoscere nulla di cinese. Il discorso può essere riportato integralmente avendo come soggetto principale un calcolatore, una macchina. La macchina non riuscirebbe a comprendere il significato del linguaggio, e allora non potrebbe mai davvero definirsi “intelligente” (quantomeno non in senso forte).

[16] Il tema meriterebbe un apposito approfondimento, attesi anche i legami che s’innestano con il problema della responsabilità giuridica in capo alla macchina, in particolare nell’individuazione di un profilo soggettivo di colpevolezza. Su questi temi, ex multis, U. RUFFOLO, Artificial intelligence e responsabilità. «Persona elettronica» e teoria dell’illecito, in A. PAJNO, F. DONATI, A. PERRUCCI, Intelligenza artificiale e diritto: una rivoluzione?, Il Mulino, Bologna, 2022, II, pp. 271 ss.

[17] Si veda la celebre nozione di atto amministrativo elaborata da M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, II ed., Giuffrè, Milano, 1988, II, p. 672.

[18] F. BENVENUTI, Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1953, pp. 118 ss., spec. p. 123.

[19] Com’è stato efficacemente notato da M. NUSSBAUM, La fragilità del bene, trad. it. a cura di G. Zanetti, Il Mulino, Bologna, 2004, la scelta è «un’abilità al confine tra l’intellettuale e l’emotivo».  La macchina odierna non è in grado di provare emozioni, sicché, adoperando la definizione di scelta che si è proposta, deve concludersi che essa, in concreto, non sceglie, ma, piuttosto, opta per una certa soluzione. La distinzione non è di poco conto, perché optare, nell’accezione che qui si predilige, significa preferire una soluzione piuttosto che un’altra sulla base di un meccanismo meramente intellettuale, fondato sull’oggettività. Per la macchina, un certo output sarà “oggettivamente” il risultato della combinazione di una serie di dati forniti quali inputs: si tratta di un diverso modo di conoscere, che rinuncia alla comprensione delle cause e si limita a elaborare acriticamente informazioni. È questo un modello conoscitivo che – come si puntualizzerà anche infra – differisce molto dalla conoscenza giuridica, eminentemente ermeneutica.

Su un piano più generale, secondo C. ANDERSON, The End of Theory. Will the Data Deluge Make the Scientific Method Obsolete?, in Wired, 2008, spec. p. 71: «enormi quantità di dati e la matematica applicata sostituiscono ogni altro strumento che potrebbe essere utilizzato, fuori da ogni teoria del comportamento umano, dalla linguistica alla sociologia, dimenticando la tassonomia, l’ontologia e la psicologia […]. Perché le persone fanno quello che fanno? Il punto è che lo fanno, e possiamo monitorarlo e misurarlo con fedeltà senza precedenti. Con dati sufficienti, i numeri parlano da soli». Non serve indugiare su come un simile modello conoscitivo, in ambito giuridico, risulti impossibile oltre che particolarmente pericoloso, conducendo a un appiattimento sulla mera lettera del testo, spesso oscuro, e cristallizzando, magari, orientamenti giurisprudenziali in continua evoluzione, che, a ben vedere, spesso hanno ben poco di oggettivo e richiedono un’analisi caso per caso.

[20] È questa la primaria espressione del principio di non esclusività, uno dei tre principi di legalità algoritmica elaborati dalla giurisprudenza, in particolare da Cons. St., Sez. VI, n. 2270/2019, cit., e n. 8472/2019, cit. Da ultimo, lo stesso è stato codificato all’interno dell’art. 30, co. 3, del d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36 (Nuovo Codice dei contratti pubblici). Il principio riecheggia il modello europeo dello human-in-the-loop, ben enucleato in COMMISSIONE EUROPEA, Orientamenti etici per un’IA affidabile, in op.europa.eu, 8 aprile 2019. Il tema è ampiamente sviluppato in P. BENANTI, Human in the loop. Decisioni umane e intelligenze artificiali, Mondadori, Milano, 2022.

[21] Sul punto, ex multis, S. VERNILE, Verso la decisione amministrativa algoritmica, in MediaLaws, n. 2/2020, p. 141.

[22] Si tratta di un’“ossessione” che ha riscontrato notevole sviluppo, in particolare, con il c.d. decreto semplificazioni (d.l. 15 luglio 2020, n. 76, conv. in l. 11 settembre 2020, n. 120): v. F. FRACCHIA, P. PANTALEONE, La fatica di semplificare: procedimenti a geometria variabile, amministrazione difensiva, contratti pubblici ed esigenze di collaborazione del privato “responsabilizzato”, in federalismi.it, n. 36/2020, pp. 35 ss.

Sul risultato, da ultimo, si veda l’art. 1 del d.lgs. n. 36/2023, che codifica il principio in esame: per approfondire, L.R. PERFETTI, Sul nuovo Codice dei contratti pubblici. In principio, in Urb. e app., n. 1/2023, passim.

[23] È il tema della qualità del risultato, che, nelle decisioni automatizzate, s’interseca strettamente a quello dei Big Data, i quali, per definizione, si fondano su un concetto prettamente quantitativo piuttosto che qualitativo. Sui Big Data si veda P. DELORT, Le big data, PUF, Parigi, 2015; A. OTTOLIA, Big data e innovazione computazionale, Giappichelli, Torino, 2017; C. COMELLA, Origine dei “Big Data”, in Gnosis, n. 2/2017, p. 130; in senso critico, v. G. AVANZINI, Intelligenza artificiale, machine learning e istruttoria procedimentale: vantaggi, limiti ed esigenze di una specifica data governance, in A. PAJNO, F. DONATI, A. PERRUCCI, op. cit., II, pp. 75 ss,

[24] V., ex plurimis, G. AVANZINI, Decisioni amministrative e algoritmi informatici, Editoriale Scientifica, Napoli, 2019.

[25] Per approfondire, G. FIORIGLIO, La Società algoritmica fra opacità e spiegabilità: profili informatico-giuridici, in Ars interpretandi, n. 1/2021, passim; P. ZUDDAS, Brevi note sulla trasparenza algoritmica, in www.amministrazioneincammino.luiss.it, 2020, pp. 10 ss.; G. AVANZINI, op. cit., p. 16.

[26] È innegabile, d’altronde, che il principale vantaggio dell’IA in campo procedimentale sia l’abbreviazione dei tempi.

[27] G. PESCE, op. cit., p. 139: «al di là di quanto previsto da discipline settoriali, non esistono specifiche disposizioni e questa facoltà non solo non è riconosciuta, ma non è nemmeno facilmente praticabile».

[28] Non a caso, anche la più recente giurisprudenza qualifica il responsabile come timoniere e correttore del procedimento: cfr. T.A.R. Lazio-Roma, Sez. III, 15 aprile 2021, n. 4409.

[29] «I soggetti di cui all’articolo 7 e quelli intervenuti ai sensi dell’articolo 9 hanno diritto:

  1. di prendere visione degli atti del procedimento, salvo quanto previsto dall’articolo 24.
  2. di presentare memorie scritte e documenti, che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare ove siano pertinenti all’oggetto del procedimento».

[30] Art. 10-bis, l. n. 241/1990: «[n]ei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti».

Per una disamina, F. SAITTA, La partecipazione al procedimento amministrativo, in AA. VV., Istituzioni di diritto amministrativo, Giappichelli, Torino, 2017, pp. 189 ss.

[31] Stante l’asimmetria informativa tra il partecipante e l’amministrazione: in questi termini, S. CASSESE, Gli interessi diffusi e la loro tutela, in L. LANFRANCHI (a cura di), La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, Giappichelli, Torino, 2003, p. 570. Sostiene, infatti, W. GIULIETTI, La comunicazione dei motivi di non accoglimento dell’istanza, in A. GIORDANO (a cura di), Il procedimento amministrativo tra regole e responsabilità, Giuffrè, Milano, 2021, p. 140, che i diritti di partecipazione di cui all’art. 10 della l. n. 241/1991 non sono sufficienti al delineamento di un modello procedimentale incentrato sul contraddittorio: «[p]er contraddittorio – in senso giuridico – si intende, infatti, la possibilità di un soggetto di intervenire nella fase di formazione di una decisione in difesa di un proprio interesse e in condizioni di parità rispetto alla controparte mediante l’utilizzo di facoltà giuridicamente rilevanti. In concreto, la possibilità del contraddittorio è legata ad una serie di presupposti ed in particolare che: sia individuabile l’oggetto del procedimento sin dal suo avvio; ne sia data informazione al soggetto che deve intervenire; possa essere acquisita la documentazione relativa al procedimento; l’intervento del privato debba essere tenuto in considerazione nella decisione dell’autorità e possa incidere – sul piano giuridico – nella formazione della decisione finale».

[32] Sulla natura endoprocedimentale del preavviso di rigetto, T.A.R. Campania-Napoli, Sez. VIII, 17 marzo 2020, n. 1173; Cons. St., Sez. VI, 9 giugno 2005, n. 2043. L’unica eccezione rilevata dalla giurisprudenza riguarda il caso in cui il preavviso abbia condotto a una sospensione a tempo indeterminato del procedimento: Cons. St., Sez. VI, 13 giugno 2011, n. 3554.

[33] Cfr. G. AVANZINI, op. cit., pp. 147-152.

[34] Verrebbe, in tal modo, risolto uno dei grandi limiti interpretativi alla piena efficacia dell’obbligo di cui all’art. 10-bis in merito alla comunicazione dei motivi ostativi: la corrispondenza tra il contenuto del preavviso e la motivazione del successivo provvedimento negativo. Il problema ha il suo punto d’origine in tutti quei casi in cui la comunicazione dei motivi di rigetto non sia sufficientemente specifica: sul punto, F. SAITTA, op. cit., pp. 192-193. In vero, la giurisprudenza è sempre stata netta nel ritenere che la motivazione debba essere specifica, dando conto delle ragioni effettive che determinano il rigetto dell’istanza, e non confluire in mere formule di stile: cfr. T.A.R. Lombardia-Brescia, Sez. II, 15 febbraio 2018, n. 188; allo stesso tempo, però, è stato affermato che la comunicazione non debba essere necessariamente analitica, confutando precisamente ogni deduzione della parte interessata emersa in sede di partecipazione ex art. 10: T.A.R. Campania, Sez. VII, 4 agosto 2020, n. 3500; Cons. St., Sez. VI, 13 maggio 2016, n. 1933; 10 dicembre 2015, n. 5622. La conclusione che in queste pronunce emerge discende dal riconoscimento di una profonda differenza tra contraddittorio e partecipazione: «[n]ei procedimenti amministrativi la partecipazione è funzionale ad una più compiuta istruttoria e alla migliore rappresentazione degli interessi privati destinati ad essere incisi, ma non si spinge sino ad identificarsi con il contraddittorio, tipico del processo, in cui ogni valutazione è sottoposta all’altra parte perché la stessa possa replicare nell’esercizio del proprio diritto di difesa in vista della decisione del giudicante» (Cons. St., Sez. III, 30 marzo 2020, n. 2177). Criticamente su questa distinzione cfr. N. LONGOBARDI, Il declino italiano. Le ragioni istituzionali, Passigli, Firenze, 2021, p. 43.

La decisione algoritmica, sia pur quale mero preavviso, necessita, invece, di una motivazione effettiva, alla luce, soprattutto, del principio di conoscibilità/comprensibilità: l’uso di formule algoritmiche, infatti, non esime le pubbliche amministrazioni dalla «necessità che la “formula tecnica” […] sia corredata da spiegazioni che la traducano nella “regola giuridica” ad essa sottesa e che la rendano leggibile e comprensibile, sia per i cittadini che per il giudice»: Cons. St., Sez. VI, n. 2270/2019, cit., e n. 8472/2019, cit.

[35] Secondo W. GIULIETTI, op. cit., p. 141, il contraddittorio in senso proprio viene assicurato dall’istituto in oggetto poiché lo stesso individua in capo all’amministrazione «l’obbligo di palesare il progetto di decisione negativa sull’istanza su cui attivare uno specifico confronto dialettico onde adottare il provvedimento finale»; E. FREDIANI, Partecipazione procedimentale, contraddittorio e comunicazione: dal deposito di memorie scritte e documenti al «preavviso di rigetto», in Dir. amm., 2005, p. 1034, sostiene che il grande pregio della norma consiste nell’aver introdotto un principio di «bidirezionalità comunicativa» (interno-esterno) rispetto allo schema partecipativo monodirezionale di cui all’art. 10 della legge sul procedimento amministrativo.

[36] Indipendentemente, infatti, che il procedimento sia avviato d’ufficio o su iniziativa di parte, il preavviso di rigetto si rivelerebbe, nel modello prospettato, indispensabile a garanzia del contraddittorio, e quindi del giusto procedimento, ai fini della valorizzazione dell’imprescindibile elemento umano.

[37] Catalogo enormemente ampliato dalla giurisprudenza: cfr. F. SAITTA, op. cit., pp. 191-192.

[38] La maggior novità apportata dal decreto semplificazioni è, tuttavia, contenuta nel periodo immediatamente successivo: «[i]n caso di annullamento in giudizio del provvedimento così adottato, nell’esercitare nuovamente il suo potere l’amministrazione non può addurre per la prima volta motivi ostativi già emergenti dall’istruttoria del provvedimento annullato». Orbene, probabilmente la disposizione merita una qualche riconsiderazione se implementata anche all’interno del moderno procedimento automatizzato mediante sistemi “intelligenti”. Infatti, il c.d. one-shot temperato ivi dovrebbe operare solo in presenza di motivi che, concretamente, in base alla comprensione del funzionamento dell’algoritmo al tempo dell’istruttoria successiva, potevano essere formulati e sollevati in quella sede. Diverso, però, dovrebbe essere il discorso per quei motivi che, pur potendo essere sollevati in quella sede, non sono stati addotti per la mancanza di una piena conoscenza del sistema (magari successivamente integrata). Il tema è intricato e merita una più ampia riflessione che deve tener conto anche dei meccanismi del processo amministrativo.

[39] Emerge chiaramente l’ottica collaborativa che la dottrina ha individuato nell’istituto del preavviso di rigetto già nel procedimento tradizionale: cfr. A. TORTORA, L’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990: il preavviso di rigetto quale strumento di collaborazione tra la pubblica amministrazione e il privato, in amministrativ@mente, nn. 7-8/2017, passim.

[40] Per tutti, F. BENVENUTI, Autotutela (dir. amm.), in Enc. dir., IV, Giuffrè, Milano, 1959, pp. 537 ss. In particolare, tra le diverse accezioni di autotutela, il potere di riesame rientrerebbe nell’autotutela c.d. spontanea: ID., Appunti di diritto amministrativo, V ed., CEDAM, Padova, 1987, pp. 146-152.

[41] «La possibilità di rimuovere o modificare un proprio atto non è esclusiva della pubblica amministrazione e non vale, comunque, a caratterizzare la pubblica amministrazione in modo differente dal privato […]. Quella possibilità dipende, essenzialmente, dal fatto che l’atto amministrativo è unilaterale, non dal fatto che è un atto amministrativo, espressione di una potestà amministrativa»: G. CORSO, Manuale di diritto amministrativo, Giappichelli, Torino, 2020, p. 339, secondo cui anche il privato, quando l’atto è unilaterale, può toglierlo di mezzo.

[42] Così R. VILLATA, M. RAMAJOLI, Il provvedimento amministrativo, Giappichelli, Torino, 2017, p. 623, che richiamano, quale principale fautore del primo orientamento, A. CONTIERI, Il riesame del provvedimento amministrativo. I. Annullamento e revoca tra posizioni “favorevoli” e interessi sopravvenuti, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1991, pp. 123 ss., e, in qualità di sostenitore del secondo orientamento, G. CORSO, Validità (dir. amm.), in Enc. dir., XLVI, Giuffrè, Milano, 1993, p. 106, secondo cui «il potere che viene esercitato con l’adozione del provvedimento non si esaurisce con questo, ma gli sopravvive, tant’è che può essere nuovamente esercitato, nel tempo, in direzione difforme da quella originaria o conforme ad essa».

[43] Problema che, oggi, sembra essere del tutto superato dall’intervento degli artt. 21-quinquies e 21-nonies, quantomeno in riferimento ai principali provvedimenti di secondo grado: revoca, annullamento d’ufficio e convalida. La codificazione di questi provvedimenti «rende ormai inutile qualunque ricorso all’autotutela, quale antico privilegio dell’Amministrazione, per giustificare la cittadinanza nello stato di diritto e la compatibilità con il principio di legalità»: A. CONTIERI, Il riesame del provvedimento amministrativo alla luce della legge n. 15 del 2005. Prime riflessioni, in G. CLEMENTE DI SAN LUCA (a cura di), La nuova disciplina dell’attività amministrativa dopo la riforma della legge sul procedimento, Giappichelli, Torino, 2005, p. 217.

[44] Si tenga a mente che la stessa giurisprudenza appare più concentrata nell’individuare i caratteri unificanti del potere di riesame piuttosto che evidenziare le differenze tra i singoli istituti. A volte, questa volontà è così evidente che si nota finanche un’imprecisione lessicale nell’uso dei termini “annullamento d’ufficio” e “revoca”: cfr. T.A.R. Lazio-Latina, 16 maggio 2005, n. 383; Cons. St., Sez. V, 29 maggio 2000, n. 3096.

[45] In questo senso, il concetto di “autotutela” assume tutt’altra veste, potendo forse porre fine al dibattito infinito in ordine alla sua configurazione. In dottrina, la nozione ha ricevuto diverse declinazioni: cfr. A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, XIV ed., Jovene, Napoli, I, p. 192; F. BASSI, Lezioni di diritto amministrativo, VII ed., Giuffrè, Milano, 2003, p. 131; G. NAPOLITANO, La logica del diritto amministrativo, Il Mulino, Bologna, 2014, pp. 149 ss.; secondo G. CORAGGIO, Autotutela (dir. amm.), in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1988, p. 2, l’autotutela dovrebbe essere limitata all’area dell’esecuzione. In realtà, è la stessa nozione di “autotutela” a non convincere totalmente, in quanto «mediante i provvedimenti di secondo grado l’amministrazione non tutela se stessa, né esercita una forma di tutela in senso tecnico; essa tutela l’interesse pubblico, così come era tenuta a tutelarlo quando, a suo tempo, adottò il provvedimento originario»: così R. VILLATA, M. RAMAJOLI, op. cit., pp. 622-623; l’amministrazione, mediante il potere di riesame, «non si tutela in senso tecnico, ma si limita a gestire l’interesse di cui è portatrice né più né meno di come aveva fatto con l’atto originario» (Cons. St., Sez. V, 11 novembre 1977, n. 997).

[46] F. SAITTA, L’amministrazione delle decisioni prese: problemi vecchi e nuovi in tema di annullamento e revoca a quattro anni dalla riforma della legge sul procedimento, in Dir. e soc., nn. 3-4/2009, p. 589. Più recentemente, G. MANFREDI, Annullamento doveroso?, in Pers. e Amm., n. 1/2017, pp. 383 ss.

[47] Si tratta dell’atto con cui l’amministrazione redige le istruzioni con cui poi il programmatore dovrà costruire il software vero e proprio.

[48] Indicazioni dottrinali in tal senso in F. SAITTA, op. ult. cit., p. 584; R. CHIEPPA, Provvedimenti di secondo grado (dir. amm.), in Enc. dir., II, Giuffrè, Milano, 2008, p. 915. In giurisprudenza, ex multis, T.A.R. Sicilia-Catania, Sez. I, 8 luglio 2008, n. 1370.

[49] F. SAITTA, op. ult. cit., pp. 596-597. Sul significato qualitativo del tempo, G. BARONE, Autotutela amministrativa e decorso del tempo, in Dir. amm., n. 4/2002, pp. 689 ss., spec. 704: «non è il tempo trascorso che porta a un consolidamento delle situazioni, ma ciò che in realtà i soggetti interessati hanno fatto a seguito dell’emanazione del provvedimento».

[50] R. CHIEPPA, op. cit., p. 932.

[51] Sulla distinzione tra vizio ineliminabile e vizio eliminabile, M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, cit., II, pp. 577 ss., secondo cui «è vizio ineliminabile […] quello che attiene agli elementi essenziali del provvedimento di primo grado, come l’oggetto, o a fatti ad esso equiparati, come il presupposto o la competenza». Sul punto, anche A. MASUCCI, Procedimento amministrativo e nuove tecnologie, Giappichelli, Torino, 2011, pp. 120 ss.

[52] Così A. MASUCCI, op. cit., p. 122, che, a sua volta, richiama M.S. GIANNINI, op. cit., p. 578.

[53] Art. 21-nonies, comma 2: «È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole». Si veda E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 2021, p. 519.

[54] A. MASUCCI, op. cit., p. 122. L’illegittimità potrebbe derivare da un’istruzione errata o dalla mancanza di un’istruzione necessaria: in tal caso, bisognerebbe rinnovare il pre-software, affinché lo stesso programma possa essere riformattato secondo le nuove e corrette istruzioni. Ma l’illegittimità potrebbe derivare dagli inputs, quindi dall’inserimento di dati errati: occorrerebbe, allora, prima correggere le anomalie e poi rinnovare l’intero procedimento.

[55] Per approfondire, G. BERTI, La pubblica amministrazione come organizzazione, CEDAM, Padova, 1968.

[56] T.A.R. Puglia-Lecce, Sez. I, 24 luglio 2013, n. 1745.

[57] S. MAGRA, Principio di conservazione del provvedimento amministrativo fra nullità, annullabilità e inesistenza, in www.overlex.com, 2006: «[i]l c.d. principio di conservazione del provvedimento amministrativo ha la funzione di evitare la rimozione di un provvedimento amministrativo, quando esistano presupposti tali da consentire un “salvataggio” del medesimo. È sostenibile che soltanto un’interpretazione non approfondita dell’art. 97 Cost. possa far ritenere che il rispetto dei princìpi di buon andamento e imparzialità della Pubblica amministrazione presupponga l’adesione a un’interpretazione in chiave ultraformalistica dell’operato di questa. L’azione amministrativa dev’essere utilizzata per attendere allo svolgimento di interessi pubblici, i quali appaiono concretizzati in maniera più puntuale, ove si consenta all’Autorità competente di non paralizzare la propria procedura, ogni volta in cui incorra in blande imperfezioni, concernenti la veste esteriore del provvedimento o di un atto endoprocedimentale».

[58] Per una disamina sulla conferma e sull’atto confermativo, si veda F. SAITTA, Per una nozione di “atto confermativo” compatibile con le esigenze di tutela giurisdizionale del cittadino, in Foro amm. C.D.S., nn. 7-8/2003, pp. 2423 ss.

[59] E. CANNADA BARTOLI, Conferma (dir. amm.), in Enc. dir., VIII, Giuffrè, Milano, 1961, p. 857.

[60] E. CANNADA BARTOLI, ibidem. L’atto confermativo (rectius, “meramente” confermativo) è, in effetti, la risposta della giurisprudenza a una possibile elusione del termine perentorio per ricorrere mediante impugnazione di un nuovo atto con il quale si rigetti l’istanza di riesame: così G. GHETTI, Conferma, convalida e sanatoria degli atti amministrativi, in Dig. disc. pubbl., UTET, Torino, 1989, III, p. 348; V. CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, Giappichelli, Torino, 2002, p. 603, il quale osserva che si tratta di una problematica attinente al regime della tutela.

[61] Ex plurimis, Cons. St., Sez. VI, 25 maggio 2020, n. 3277; Sez. II, 30 marzo 2020, n. 2162; Sez. VI, 18 aprile 2013, n. 2141, e 7 agosto, 2002, n. 4135; T.A.R. Campania-Napoli, Sez. III, 10 aprile 2002, n. 1969.

[62] E. CANNADA BARTOLI, op. cit., p. 858.

[63] P. STELLA RICHTER, L’inoppugnabilità, Giuffrè, Milano, 1970, p. 239; prim’ancora, M. NIGRO, Ancora sull’atto confermativo, in Foro it., 1952, III, p. 177, per il quale «la caratteristica dell’atto confermativo consiste in ciò che in quanto “atto” esso non è confermativo e in quanto confermativo non è “atto”». Ancora, B. CAVALLO, Provvedimenti e atti amministrativi, CEDAM, Padova, 1993, p. 423, secondo cui l’atto confermativo non può avere natura provvedimentale, perché non rappresenta «un nuovo volere dell’amministrazione, la quale si limita a dichiarare esistente un suo provvedimento»; esso sarebbe, piuttosto, per l’A., un atto di scienza con cui si riproduce una certezza. Nei medesimi termini, altresì, M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, cit., II, p. 563: «la conferma impropria o atto confermativo non è mai provvedimento, ma una semplice dichiarazione di rappresentazione».

[64] E. CANNADA BARTOLI, op. cit., p. 858.

[65] E. CANNADA BARTOLI, op. cit., pp. 858-859.

[66] Per una disamina, F. SAITTA, op. ult. cit., pp. 2425-2427.

[67] B.G. MATTARELLA, Il provvedimento, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 2000, pp. 937-938.

[68] Per un eloquente approfondimento della critica, si veda F. SAITTA, op. ult. cit., pp. 2428-2432.

[69] Cfr. F. SAITTA, op. ult. cit., pp. 2432-2435.

[70] T.A.R. Puglia-Lecce, Sez. I, 1 ottobre 2019, n. 654.

[71] Da ultimo, T.R.G.A. Trentino-Alto Adige, Trento, 5 gennaio 2023, n. 1.

[72] Cfr. F. VARANINI, Le cinque leggi bronzee dell’era digitale. E perché conviene trasgredirle, Guerini e Associati, Torino, 2020, passim.

[73] In questi termini, P. PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, VIII ed., Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2017, p. 111: «senza tale processo conoscitivo (interpretazione) non v’è diritto». Si tenga presente, altresì, che per l’A., poiché la struttura fondamentale del nostro ordinamento giuridico si identifica in valori recepiti nei principi, «[i]l nesso tra regole e principi non è un dato eventuale, ma un’esigenza costante: senza principi non v’è regola che possa essere applicata, perché soltanto la congruenza con i principi costituzionali giustifica l’obbligatorietà delle regole (delle norme)» (p. 112). Orbene, si hanno dubbi sul concreto funzionamento di un sistema di IA nell’elaborazione, nei casi pratici, delle dovute conseguenze scaturenti dai suddetti principi, dotati di mille sfaccettature e bisognosi di un costante bilanciamento, il cui risultato non è sempre cristallizzato a priori in un’apposita regola.

[74] Si ritorna al già richiamato metodo conoscitivo dell’IA, non più fondato sui canoni tradizionali della razionalità moderna indirizzati a spiegare il reale, ma, semplicemente, determinato ad elaborare informazioni.

[75] Com’è stato giustamente notato, nel labirinto della modernità e del progresso, «il filo d’Arianna che potrebbe condurre all’uscita è fatto di carne e sangue, del riconoscimento della dignità dell’essere mortali costruttori di macchine e al tempo stesso ben altro da esse»: I. CORVINO, F. D’ANDREA, op. cit., p. 23.