Informativa sul trattamento dei dati personali (ai sensi dell’art. 13 Regolamento UE 2016/679)
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Anche post riforma, l’appellato va invitato a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell’udienza indicata in citazione
Di Alberto Villa -
SOMMARIO: 1. Il provvedimento del Tribunale di Caltanissetta. – 2. Erroneità del provvedimento. Il termine da indicare nell’atto di appello è di venti giorni. – 3. Nota di chiusura.
1. L’ultima riforma del processo civile contiene snodi rispetto ai quali diventa non inutile evidenziare anche l’ovvietà.
Col decreto annotato, il Tribunale di Caltanissetta, quale giudice d’appello, dopo aver “esaminato l’atto di citazione e rilevato che lo stesso risulta notificato alla controparte dopo il 28.2.2023, ossia dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 149/2022, applicabile anche ai giudizi di impugnazione introdotti dopo la predetta data”, e dopo aver considerato che, “ai sensi del novellato articolo 163 c.p.c. co. 3 n. 7 c.p.c., la citazione deve contenere l’invito al convenuto a costituirsi nel termine di 70 giorni prima dell’udienza indicata, ai sensi e nelle forme stabilite dall’articolo 166 c.p.c.”, mentre, “nel caso di specie, risulta assegnato al convenuto un termine per costituirsi parisoli a venti giorni prima dell’udienza di prima comparizione”, ha “ritenuto opportuno disporre sin d’ora – al fine di contenere i tempi del processo, secondo gli intenti della citata riforma – la rinnovazione della citazione, onerando parte attrice di emendare le predette ragioni di nullità dell’atto” e assegnando alla stessa parte un temine perentorio per procedere “conformandosi alle prescrizioni dei novellati articoli 163 e 163-bis c.p.c.”.
2. Ancorché venga spontaneo affermare che un simile provvedimento, purtroppo, si commenta da sé, sintetici rilievi non sono, come anticipato, del tutto inutili, almeno in quest’epoca di primi orientamenti (e disorientamenti).
Il decreto del Tribunale di Caltanissetta è erroneo.
L’art. 342, comma 1, c.p.c. prevede, anche post riforma, che “l’appello si propone con citazione contenente le indicazioni prescritte nell’articolo 163”, il quale a sua volta dispone, come riformato, che la citazione debba contenere, insieme all’“indicazione del giorno dell’udienza di comparizione”, “l’invito al convenuto a costituirsi nel termine di settanta giorni prima dell’udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall’articolo 166” (art. 163, comma 3, n. 7, c.p.c.).
L’invito avente quale riferimento tale lasso temporale dilatato – settanta giorni – è senz’altro da escludersi in caso di citazione in appello, per plurimi e concorrenti motivi.
In primo luogo, l’art. 342, comma 1, c.p.c. prevede, come riformato, che “tra il giorno della citazione e quello della prima udienza di trattazione devono intercorrere termini liberi non minori di novanta giorni se il luogo della notificazione si trova in Italia e di centocinquanta giorni se si trova all’estero”. Sul punto, la relazione illustrativa al d.lgs. n. 149/2022 annota che si è inserita “la specifica indicazione del termine a comparire, in luogo del vigente richiamo all’articolo 163-bis, in quanto si è dovuto tenere conto del fatto che nell’ambito del giudizio di primo grado tale termine è destinato ad essere aumentato per lasciare spazio alle memorie integrative da depositare anteriormente alla prima udienza”. Se il termine a comparire ben può essere anche di soli novanta giorni liberi (il che non è contestabile), sarebbe allora assurdo (e gravemente lesivo del diritto di difesa) invitare l’appellato a costituirsi nel termine di settanta giorni prima dell’udienza, lasciando all’appellato stesso poco più di venti giorni per approntare la sua comparsa di risposta. È ben vero che l’immutato art. 347, comma 1, c.p.c. continua a recitare che “la costituzione in appello avviene secondo le forme e i termini per i procedimenti davanti al tribunale”, ma si tratta di un mero difetto di coordinamento normativo, inidoneo a inficiare l’interpretazione delle regole sulla tempistica della costituzione dell’appellato[1].
L’invito “a settanta giorni” sarebbe, oltre che irragionevole, immotivato: come ricorda la citata relazione, il legislatore ha specificato che il termine per comparire in appello resta quello pregresso, di novanta giorni, poiché “si è dovuto tenere conto del fatto che nell’ambito del giudizio di primo grado tale termine è destinato ad essere aumentato per lasciare spazio alle memorie integrative da depositare anteriormente alla prima udienza”; memorie che, pacificamente, sono estranee al procedimento di appello[2].
Inoltre, l’art. 343, comma 1, c.p.c. prevede, come riformato, che “l’appello incidentale si propone, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta, depositata almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione o dell’udienza fissata a norma dell’articolo 349-bis, secondo comma”[3]. La relazione illustrativa annota che “la stessa esigenza” – è cioè quella di inserire una disposizione ad hoc, non essendo più possibile, nella nuova architettura normativa, arrestarsi al mero richiamo delle regole del giudizio di primo grado – “ha comportato analogo intervento nell’articolo 343 c.p.c., con l’indicazione esplicita del termine per il deposito della comparsa di costituzione in luogo dell’attuale rinvio all’articolo 166”. Non avrebbe alcun senso che l’appellato sia onerato di costituirsi settanta giorni prima dell’udienza e, nel contempo, possa proporre il proprio appello incidentale fino a “venti giorni prima dell’udienza di comparizione” (come prevede l’art. 343, comma 1). Ancora, lo stesso art. 343, comma 1, dispone che, nel predetto termine di venti giorni, possa essere depositata la “comparsa di risposta”, e la relazione ribadisce che quello in questione è il termine “per il deposito della comparsa di costituzione”. Laddove l’appellato si avvalga di tale temine di venti giorni per il deposito della propria comparsa (e che possa farlo non è contestabile), non si comprenderebbe cosa mai sarebbe tenuto a depositare nel diverso (e ben più stringente) termine dei settanta giorni anteriori[4].
Ne discende che, anche post riforma, l’appellato va invitato a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell’udienza indicata in citazione.
3. In breve: sebbene la lettera dell’articolo 342 c.p.c. richiami l’art. 163 c.p.c., il quale a sua volta prevede un invito “a settanta giorni”, l’unica lettura ragionevole, e in linea con l’impianto normativo e l’intenzione del legislatore, è quella per cui, anche nell’appello soggetto alle previsioni di cui al d.lgs. n. 149/2022, la citazione deve contenere l’invito all’appellato a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell’udienza indicata in atto. Lettura che, invero, parrebbe immediata, ma che forse tale non è, visto il decreto qui annotato; donde, come si diceva, la non superfluità di queste laconiche notazioni.
Ne sia consentita una finale: il decreto in commento afferma incidentalmente che la rinnovazione della citazione in appello è ordinata anche “al fine di contenere i tempi del processo, secondo gli intenti della citata riforma”. L’inciso assume inevitabilmente un sapore surreale. Gli intenti della riforma Cartabia, come peraltro di ogni riforma, vanno perseguiti in primis con la ragionevolezza dell’interpretazione proposta, da orientare anche e soprattutto avendo a mente l’obiettivo – forse non altissimo, ma graditissimo alle parti; in definitiva, ai cittadini – della “vivibilità” dello strumento processuale.
[1] In questo senso, cfr. L. Salvaneschi, L’appello riformato, in Judicium, § 3, nota 11.
[2] Cfr., per tutti, F.P. Luiso, Il nuovo processo civile, Milano 2023, 164.
[3] Il quale a sua volta prevede che “il presidente o il giudice istruttore può differire, con decreto da emettere entro cinque giorni dalla presentazione del fascicolo, la data della prima udienza fino a un massimo di quarantacinque giorni. In tal caso il cancelliere comunica alle parti costituite la nuova data della prima udienza”.
[4] Salvo prospettare la barocca reiterazione di due atti, il secondo integrativo del primo. Cfr. L. Salvaneschi, op. cit., § 3, la quale osserva come, dal nuovo art. 343 c.p.c., si ricavi “con certezza che il convenuto che voglia proporre appello incidentale deve costituirsi in giudizio depositando la propria comparsa almeno venti giorni prima dell’udienza, secondo una regola che era già propria del sistema”, aggiungendo che, se si opinasse che l’appellato fosse tenuto a costituirsi settanta giorni prima dell’udienza, lo stesso potrebbe allora “integrare la propria costituzione con l’appello incidentale fino a venti giorni prima dell’udienza, il che è talmente assurdo da indicare che si tratta solo di mancanza di coordinamento normativo” (ivi, nota 11). Sull’appello incidentale nel processo riformato, cfr. anche A. Ferraro, Riflessioni a margine della riforma sul processo civile di appello, in Judicium, che, parimenti, richiama il termine di venti giorni prima dell’udienza di comparizione (specificando tra l’altro come “il termine di 20 giorni” resti “immutato anche nel caso di impugnazione di sentenza resa a seguito di rito semplificato”).