Appello incidentale e riproposizione ex art. 346 c.p.c. nell’ipotesi di cumulo soggettivo passivo alternativo

Di Alessandro Renda -

1.Il problema relativo alla linea di confine fra l’appello incidentale e la riproposizione ex art. 346 c.p.c. torna ad essere d’attualità nel panorama giurisprudenziale con l’Ordinanza interlocutoria n. 3358/2024, mediante la quale la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha disposto la trasmissione del ricorso al Primo Presidente ex art. 374, comma 2, c.p.c., per chiarire, nell’ipotesi di cumulo soggettivo passivo alternativo, se l’appellato vincitore in primo grado sia tenuto, avanti all’appello principale del convenuto soccombente, a presentare appello incidentale – eventualmente condizionato – o a riproporre ex art. 346 c.p.c. le domande non accolte per evitare che, qualora l’appello principale sia accolto, passi definitivamente in giudicato la parte della decisione del primo giudice relativa alla posizione degli altri convenuti risultati non soccombenti.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Roma – adita dal convenuto rimasto soccombente in primo grado – ha accolto il gravame principale, ritenendo però di non doversi pronunciare in ordine alla posizione degli altri convenuti, per aver l’appellato omesso di proporre appello incidentale – eventualmente condizionato – nonchè di riproporre le domande originariamente proposte e non accolte, favorendo così il passaggio in giudicato dei relativi capi di sentenza.

La Corte distrettuale ha negato la possibilità di sottoporre al proprio scrutinio la posizione degli altri convenuti sulla scia della soluzione già offerta dalle Sezioni Unite con la Sentenza 11202/2002, secondo la quale l’appello del soccombente non basta a devolvere al giudice dell’impugnazione anche la cognizione circa la pretesa dell’attore nei confronti del convenuto alternativo, ma è necessario che provveda l’appellato ad integrare la misura del devoluto mediante lo strumento della riproposizione ex art. 346 c.p.c.

L’odierna rimessione muove dal presupposto che l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità in materia di appello incidentale e riproposizione ex art. 346 c.p.c. ha ridefinito il confine tra i due strumenti devolutivi in maniera radicale, evocando così la necessità di una rimeditazione della soluzione offerta nella Sentenza n. 11202/2002 dedicata all’ipotesi specifica di cumulo soggettivo passivo alternativo.

2.La Sentenza n. 11202/2002 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione aveva raccolto, sviluppato e cristallizzato i plurimi orientamenti giurisprudenziali dell’epoca più risalente, dando vita così a due tesi contrapposte.

Secondo una prima ricostruzione, l’impugnazione del convenuto soccombente sarebbe sufficiente a devolvere l’intero rapporto – e, dunque, tutte le domande analoghe legate tra loro da un nesso di interdipendenza sostanziale – al giudice d’appello, senza bisogno, da parte dell’attore, né di appello incidentale né di riproposizione della domanda. In assenza di soccombenza dell’attore originario, si avrebbe una c.d. “devoluzione allargata”, secondo la quale – in deroga all’art. 329 c.p.c. – ove si chieda il riesame di una decisione, sarebbe necessariamente devoluta al giudice del gravame la “virtuale potestà cognitiva sulle contestuali decisioni logicamente legate con quella impugnata”([1]).

Nella sostanza, il nesso logico intercorrente fra le due decisioni precluderebbe la possibilità a che una delle due domande sia esaminata in assenza dell’altra, allargando così le maglie del meccanismo devolutivo connaturato al giudizio di gravame.

L’esegesi contrapposta riposa invece sull’idea che l’attore, vittorioso in primo grado, sarebbe onerato della mera riproposizione della domanda nei confronti dei convenuti assolti ai sensi dell’art. 346 c.p.c., e non invece dell’appello incidentale, non potendo l’attore stesso ottenere un’utilità maggiore di quella attribuitagli dalla decisione resa in prime cure.

Il presupposto di tale orientamento è quello per cui nelle ipotesi di cumulo soggettivo passivo alternativo l’attore propone domanda identica nei confronti di ognuno dei convenuti, in quanto l’unicità del rapporto sostanziale, con titolare passivo incerto, non toglie che due e distinte siano le formali pretese, unite sì sotto il profilo del petitum ma non in quello relativo ai soggetti convenuti ovvero della causa petendi.

Come anticipato, la Sentenza n. 11202/2002 accoglieva proprio quest’ultima ricostruzione, escludendo dunque l’operatività di automatismi logici e valorizzando la funzione degli strumenti ad efficacia devolutiva offerti dall’ordinamento.

3.L’orientamento esegetico prevalente si formava in un panorama normativo nel quale l’impianto originario del giudizio di gravame era stato radicalmente innovato. Difatti, la riforma del sistema delle impugnazioni apportata dalla legge n. 353/1990 aveva rivoluzionato la struttura del rimedio dell’appello, che da novum judicium diveniva una revisio prioris istantiae improntata sui c.d. motivi specifici d’appello, in grado di limitare l’effetto devolutivo dell’impugnazione solamente alle specifiche censure della parte soccombente. L’obiettivo era quello di porre un freno proprio all’effetto devolutivo connaturato al gravame – prima pieno ed automatico – per evitare che il giudizio d’appello si risolvesse in una mera duplicazione di quello tenutosi avanti al giudice di prime cure, valorizzando correlativamente la funzione correttiva in senso stretto del rimedio.

Vien dunque da sé che l’interpretazione estensiva([2]), secondo la quale l’appello del soccombente sarebbe stato sufficiente a devolvere al giudice del gravame anche la cognizione del rapporto processuale intercorrente tra l’appellato e gli altri convenuti risultati non soccombenti, non avrebbe mai potuto trovare spazio nel nuovo sistema delle impugnazioni incardinato sulle specifiche doglianze di parte.

Esclusa la possibilità di una devoluzione automatica, diveniva allora necessario comprendere quale fosse lo strumento idoneo a veicolare in sede di gravame anche il rapporto processuale intercorrente tra i convenuti non soccombenti e l’appellato, di cui proprio quest’ultimo avrebbe dovuto servirsi.

La soluzione offerta dalla Sentenza n. 11202/2002 sorgeva in un contesto giurisprudenziale nel quale la riproposizione ex art. 346 c.p.c. abbracciava anche le ipotesi di soccombenza “virtuale”, riferibile alla parte risultata soccombente solamente su questioni irrilevanti dal punto di vista della soddisfazione pratica del diritto azionato. L’utilizzo dell’appello incidentale era invece riservato a quelle ipotesi nelle quali la soccombenza interessava la misura della vittoria nel merito della parte, che aveva cioè ottenuto meno di quanto richiesto.

In un tale contesto, avanti ad un’ipotesi di cumulo soggettivo passivo alternativo, la parte vittoriosa appellata sarebbe stata allora onerata di un’impugnazione incidentale esclusivamente allorquando aveva ottenuto meno di quanto sperato. In caso contrario, la mera riproposizione avrebbe comunque consentito alla parte vittoriosa di sottoporre allo scrutinio del giudice del gravame anche il rapporto processuale intercorrente con le altre parti in situazione di potenziale soccombenza alternativa, posto che nei loro confronti la parte vittoriosa non poteva ottenere nulla di più di quanto non le era già stato accordato con la sentenza di primo grado.

Ed ecco allora che soluzione offerta dalla Sentenza n. 11202/2002 risultava perfettamente coerente con la linea di confine tra l’appello incidentale e la riproposizione di questioni ex art. 346 c.p.c., per come all’epoca tracciata dalle Sezioni Unite.

4.Il recente percorso nomofilattico che ha condotto le Sezioni Unite a ridiscutere il rapporto fra gli strumenti devolutivi dell’appello e della riproposizione ex art. 346 c.p.c. rende ora inevitabile la rimessione de qua promossa dalla Sezione Lavoro della Suprema Corte.

La giurisprudenza di legittimità ha infatti nuovamente tracciato il confine tra i due strumenti, sul presupposto che un qualsiasi rigetto – pur non inficiando la misura della vittoria nel merito – genera una soccombenza della parte, che dovrà servirsi di un’impugnazione incidentale per sottoporre il relativo capo della sentenza resa in prime cure anche al giudice del gravame([3]).

Avanti alla più matura giurisprudenza sul confine di utilizzo fra gli strumenti devolutivi, nel caso di cumulo soggettivo passivo alternativo diviene allora dirimente comprendere se l’accoglimento della domanda attorea nei confronti di uno dei convenuti implichi correlativamente il rigetto ovvero l’assorbimento delle domande strutturalmente analoghe spiegate nei confronti degli altri convenuti.

Non pare possa negarsi che allorquando il giudice di prime cure condanni uno dei convenuti, vi provveda solamente per aver accertato che solo lui è responsabile della lesione del diritto azionato. Ma un accertamento positivo sulla responsabilità di uno dei convenuti non sembra poter prescindere, sia pure in termini meramente impliciti, da un accertamento di segno negativo sulla posizione degli altri convenuti rimasti indenni. Il giudice non può infatti pronunciarsi sulla posizione dell’uno senza necessariamente conoscere – e, anche implicitamente, decidere – della posizione degli altri.

Ma se, allora, l’accoglimento della domanda implica necessariamente un contestuale accertamento negativo nei confronti degli altri convenuti in cumulo soggettivo passivo alternativo, dall’accertamento negativo non potrebbe che discernere una soccombenza, posto che l’accertamento negativo è logicamente conseguente alla sola pretesa attorea che sia stata disattesa.

Una tale ricostruzione suggerirebbe che la soluzione dell’odierno quesito sottoposto alle Sezioni Unite dovrebbe rinvenirsi nella necessità di parte attrice di servirsi di un appello incidentale per devolvere al giudice d’appello anche la cognizione afferente alla posizione dei convenuti risultati indenni all’esito del giudizio di primo grado.

Tuttavia, tale soluzione non farebbe altro che rinnovare il problema – che pareva tacitato nei recenti arresti delle Sezioni Unite – della parte vittoriosa in primo grado, che si troverebbe a dover strutturare un appello incidentale sviluppando una critica avverso un provvedimento dal quale non può materialmente ottenere nulla di più di quanto ha già ottenuto e che, dunque, si rivela essere pienamente soddisfacente.

Vero è che le Sezioni Unite assumono che ad ogni rigetto segua una soccombenza tale da imporre l’utilizzo del mezzo di impugnazione; altrettanto vero è che – nelle pur numerose ipotesi passate in rassegna in relazione al rapporto fra appello incidentale e riproposizione – la recente giurisprudenza di legittimità non pare si sia mai occupata espressamente della fattispecie di cumulo soggettivo passivo alternativo, che sembra celare plurime insidie interpretative.

Il cumulo soggettivo passivo alternativo sembra allora aver posto il principio di diritto reso dalle Sezioni Unite avanti ad un nuovo problema esegetico sul rapporto fra gli strumenti che concorrono al meccanismo devolutivo connaturato al giudizio di gravame, problema esegetico che non può evidentemente prescindere da un nuovo intervento chiarificatorio del giudice della nomofilachia.

[1] Le espressioni “devoluzione allargata” e “virtuale potestà cognitiva sulle contestuali decisioni logicamente legate con quella impugnata” vengono utilizzate dalle Sezioni Unite nel ripercorrere la tesi estensiva. È bene precisare che non v’è traccia normativa nel codice di rito della devoluzione allargata e dei suoi effetti, ma l’impressione è che si tratti di concetti che anticipino al momento della proposizione dell’impugnazione effetti speculari all’effetto espansivo del giudicato.

[2] Interpretazione rammentata e disattesa dalla Sentenza n. 11202/2002.

[3] L’orientamento dominante è stato cristallizzato nelle Sentenze delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione n. 7700/2016 e n. 11799/2017.