Appunti sulle inibitorie

Di Massimo Cirulli -

Sommario: 1. Funzione cautelare. – 2. Segue: anticipazione e conservazione. – 3. Inibitoria e sequestro conservativo. – 4. Inibitoria e tecnica rimediale. – 5. Oggetto. – 6. Presupposti. – 7. Segue: l’art. 373 c.p.c. – 8. Effetti. – 9. Procedimento. – 10. La cauzione a carico del debitore. – 11. La cauzione a carico del creditore.

1.Funzione cautelare. – Il termine “inibitoria” non figura nel vigente codice di procedura civile. Secondo il codice abrogato la sentenza di primo grado non era esecutiva ope legis, ma poteva esserlo ope iudicis, ad istanza di parte e nei casi previsti dall’art. 363 in materia civile e dall’art. 409 in materia commerciale. L’art. 484, comma 1, c.p.c. 1865 disponeva che “quando sia stata ordinata l’esecuzione provvisoria fuori dei casi dalla legge indicati, l’appellante può chiedere inibitorie all’autorità giudiziaria d’appello, in via incidentale, o in via sommaria, secondo che già sia o no pendente il giudizio d’appello”[1]. Nonostante l’abrogazione della fonte normativa, il termine è rimasto nell’uso corrente per designare i provvedimenti di sospensione dell’efficacia esecutiva o dell’esecuzione delle sentenze, dei provvedimenti sommari e dei lodi, emessi nel concorso di gravi motivi ovvero quando dall’esecuzione possa derivare danno grave o gravissimo e talora irreparabile (artt. 283, 373, 401, 407, 431, 447, 447 bis, 649, 650, 668, 830 c.p.c.). L’art. 669 terdecies, ultimo comma, c.p.c. attribuisce al presidente del collegio il potere di sospendere con ordinanza non impugnabile, in pendenza del reclamo, l’esecuzione del provvedimento cautelare che “per motivi sopravvenuti (…) arrechi grave danno”, oppure subordinare l’esecuzione “alla prestazione di congrua cauzione” da parte del beneficiario. Nella specie l’inibitoria ha ad oggetto un provvedimento privo di contenuto decisorio; si ha il singolare fenomeno di una misura lato sensu cautelare, quale l’inibitoria (v. infra), che incide su una misura stricto sensu

Né Giuseppe Chiovenda, né Piero Calamandrei collocavano le inibitorie tra le misure cautelari; al contrario, vi comprendevano l’esecuzione provvisoria della sentenza, se disposta in ragione del pericolo nel ritardo[2]. L’inibitoria presupponeva il riesame da parte del giudice d’appello della clausola di provvisoria esecutività della sentenza impugnata, eccezionalmente concessa dal giudice di primo grado, e l’esclusione delle condizioni per concederla[3].

Entrato in vigore il codice del 1940, l’ascrizione delle inibitorie alla categoria delle misure stricto sensu cautelari è stata, invece, inizialmente predicata per sostenere l’efficacia del provvedimento di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata fino al relativo passaggio in giudicato[4]. La tesi si rivelava tuttavia inattendibile, perché finiva con l’attribuire all’inibitoria un’efficacia maggiore di quella della sentenza di rigetto del gravame e con l’incentivare ulteriori impugnazioni dilatorie da parte del soccombente, onde conservare il beneficio della sospensione sino alla formazione del giudicato di condanna.

La sentenza di primo grado non era esecutiva ex lege, ma poteva esserlo ope iudicis[5]. L’esecuzione provvisoria, concessa in ragione del periculum in mora, era una misura lato sensu cautelare[6], concedibile ad istanza di parte e soggetta a controllo da parte del giudice superiore, che poteva revocarla ex tunc o sospenderla ex nunc (tanto che l’inibitoria era considerata una contro-cautela)[7]; il giudice d’appello poteva altresì concedere l’esecuzione provvisoria, che fosse stata negata dal primo giudice (art. 283 c.p.c.). La c.d. clausola di provvisoria esecuzione, motivata con il pericolo nel ritardo, esprimeva una valutazione discrezionale del giudice e per revocarla era sufficiente che il giudice d’appello escludesse il periculum in mora; poteva infatti concedere l’inibitoria, quand’anche il credito accertato dalla sentenza impugnata esistesse, se non v’era motivo perché venisse immediatamente soddisfatto[8]. Il provvedimento di concessione dell’esecutività aveva “carattere essenzialmente discrezionale”, nel senso che il giudice non poteva concedere la clausola se non sussistevano le condizioni previste dall’art. 282 c.p.c., ma poteva non concederla se sussistevano[9]; altrettanto discrezionale era la revoca o la sospensione della clausola.

Dopo la riforma del 1990 l’efficacia esecutiva della condanna di primo grado è prevista dalla legge, talchè l’inibitoria ha perduto la sua originaria funzione di controllo della clausola, ormai soppressa: la sentenza è esecutiva pur quando il giudice non la dichiari tale. Dei tre poteri originari – concessione, sospensione e revoca – è rimasto solo il secondo. Non esiste più un provvedimento discrezionale ed accessorio alla condanna (la c.d. clausola), con funzione latamente cautelare, suscettibile di revoca; la sospensione incide su un effetto legale secondario della sentenza di condanna[10] (o su un effetto preliminare e quindi strumentale)[11], esecutiva per volontà della legge e non del giudice; l’esecutività ex lege non è provvisoriamente eliminabile in pendenza dell’impugnazione, potendosi revocare con ordinanza solo un provvedimento che esiste, mentre nella specie l’efficacia esecutiva non deriva da una statuizione giudiziale, ma dal precetto normativo[12]. Per escludere interinalmente l’operatività di un effetto legale occorre anticipare, con una misura fondata sulla delibazione sommaria del gravame, la pronuncia di accoglimento dell’impugnazione. La sospensione dell’esecutività ope legis si giustifica solo se la condanna è probabilmente destinata a cadere.

La giurisprudenza corrente predica la funzione cautelare dell’inibitoria in termini assiomatici, senza specifiche indagini sulla natura del periculum in mora; sembra che la premessa – sulla cui dimostrazione non indugia – sia unicamente strumentale ad escludere la ricorribilità per cassazione del provvedimento, che esaurisce il suo effetto sospensivo con la pronuncia sull’impugnazione. “L’ordinanza con cui la corte d’appello, a norma degli art. 283 e 351 c.p.c., provvede in ordine alla provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado non è reclamabile davanti ad un giudice diverso nè è ricorribile per cassazione, a norma dell’art. 111 Cost., in quanto trattasi di provvedimento endoprocedimentale avente natura latamente cautelare e provvisoria, destinato ad essere assorbito e superato dal provvedimento a cognizione piena che definisce il giudizio, dovendosi peraltro estendere a questa ordinanza il disposto di cui all’ultimo comma del citato art. 351, che esclude espressamente l’impugnabilità del provvedimento collegiale di conferma, revoca o modifica del decreto con il quale il presidente abbia concesso in via di urgenza l’inibitoria prima dell’udienza di comparizione, così come l’art. 431, c.p.c., con riferimento alle sentenze di condanna a favore del datore di lavoro, nel richiamare l’art. 283 c.p.c. stabilisce che l’ordinanza concessiva dell’inibitoria non è impugnabile”[13]. La misura inibitoria è comunque destinata ad esaurire i suoi effetti con la pronuncia della sentenza sull’impugnazione. Pertanto, non è ricorribile per cassazione, neppure a norma dell’art. 111 Cost., trattandosi di provvedimento di natura processuale con contenuto non decisorio, che produce “effetti temporanei, destinati ad esaurirsi con la sentenza definitiva del giudizio d’impugnazione”[14]. Parimenti, l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 373 c.p.c., che disponga “la sospensione cautelare” dell’esecuzione della sentenza d’appello impugnata per cassazione, non è ricorribile ex art. 111 Cost., “atteso che non è definitiva, né decisoria, ma ha carattere strumentale ed interinale, perché destinata ad operare sino alla definizione del già instaurato giudizio di legittimità, ed è inidonea ad assumere efficacia di giudicato, sia dal punto di vista formale che sostanziale”[15]. Anche l’inibitoria disposta in pendenza dell’appello soggetto al rito del lavoro ha natura di “provvedimento cautelare, destinato ad operare per la durata del giudizio di secondo grado ed a restare assorbito dalla sentenza che lo conclude, come tale privo di contenuto decisorio” e “non perde i suoi caratteri (di interinalità ed inidoneità al giudicato), che lo rendono non suscettibile dello straordinario rimedio di cui all’art. 111 Cost., per il fatto di essere stato pronunciato da giudice irritualmente adito”[16].

2.Segue: anticipazione e conservazione. – Secondo l’Autore che si è occupato funditus dell’argomento, le inibitorie sono misure interinali, fondate su una cognizione sommaria, comprendente fumus boni iuris dell’impugnazione e periculum in mora, e che producono effetti di carattere provvisorio, destinati ad esaurirsi con il sopravvenire della decisione, in rito o nel merito, dell’impugnazione. L’inibitoria determina l’anticipazione dell’effetto ablativo prodotto dall’accoglimento dell’impugnazione in quanto, inibendo l’efficacia esecutiva del provedimento impugnato o sospendendo l’esecuzione forzata, produce ora per allora l’effetto caducatorio-ablatorio proprio della sentenza che, in ipotesi, accoglierà l’impugnazione: e quindi, in definitiva, assolve ad “una funzione tipicamente cautelare di tipo anticipatorio (…). Dal punto di vista funzionale, la sospensione anticipa nel tempo l’effetto caducatorio-ablatorio proprio della pronuncia di accoglimento del gravame; invece, dal punto di vista strutturale, essa costituisce un sub-procedimento interno all’impugnazione” e dunque rappresenta “una fattispecie sui generis di tutela anticipatoria”, integrando una forma di “tutela cautelare con struttura interinale e funzione anticipatoria[17].

Provvisorietà, strumentalità e sommarietà rappresentano caratteri tipici delle misure cautelari. Tuttavia, non sono a mio avviso sufficienti affinchè si riconosca la struttura cautelare delle inibitorie e la conseguente soggezione alle norme sul rito cautelare uniforme, segnatamente a quella sul reclamo.

Non nego che l’inibitoria abbia effetto totalmente o parzialmente anticipatorio dell’accoglimento dell’impugnazione: tuttavia, non è soggetta al regime delle cautele anticipatorie. La sospensione dell’efficacia di un atto giuridico (come dimostra il nuovo testo dell’art. 669 octies, commi 6 e 8, c.p.c., che ha esteso il regime di strumentalità attenuata ai provvedimenti sospensivi delle deliberazioni degli enti collettivi) è misura che assicura al beneficiario un’utilità equivalente a quella che gli procurerebbe la favorevole sentenza di merito. L’ordinanza che sospende la delibera di revoca dell’amministratore e la sentenza che annulla la misura espulsiva hanno l’identico effetto di conservare l’impugnante nell’ufficio; la misura cautelare è conservativa sotto il profilo naturalistico, perché è come se l’amministratore fosse rimasto sempre in carica, ma anticipatoria sotto il profilo giuridico, perché l’amministratore non era più tale a seguito della delibera ed è nuovamente tale a seguito dell’ordinanza[18]. Se la revoca non viene sospesa, l’amministratore viene estromesso dalla carica, nella quale è reintegrato dalla sentenza che annulla la delibera. La sospensione non è che una reintegra anticipata rispetto alla decisione di merito[19].

La sospensione dell’esecutività della sentenza, prima del pignoramento, equivale quoad effectum alla sentenza che accoglie l’impugnazione. Riformata o cassata la sentenza di condanna, l’esecuzione forzata non può iniziare. Nella specie l’inibitoria è una riforma o cassazione provvisoria ed anticipata, perché produce questo effetto impediente prima che l’impugnazione sia accolta. Invece, se la sospensione sopravviene al pignoramento, i relativi effetti restano salvi, essendo preclusi i soli atti successivi alla sospensione. La misura in questo caso è parzialmente anticipatoria: mentre la sentenza di riforma o cassazione rende immediatamente inefficaci ex tunc gli atti esecutivi nelle more compiuti (art. 336, comma 2, c.p.c.; resta tuttavia impregiudicata l’aggiudicazione o l’assegnazione ad un terzo e quindi ad un soggetto diverso dal creditore soccombente in sede di gravame, a norma dell’art. 187 bis disp. att. c.p.c.), la sospensione non li infirma. La sentenza produce un effetto inibitorio degli atti futuri e caducatorio di quelli passati; la sospensione anticipa solo il primo.

La parte che chiede l’inibitoria ha motivo di temere che, nelle more della decisione sul gravame, l’esecuzione (non sospesa) venga iniziata e compiuta e che l’accoglimento dell’impugnazione sopravvenga all’alienazione del bene pignorato, se non alla conclusione del processo esecutivo, con il rischio di perdere definitivamente la proprietà del bene venduto od assegnato al terzo (stante il disposto dell’art. 187 bis disp. att. c.p.c.), se non anche di non poter utilmente ripetere la somma ricavata dalla vendita e di essere risarcito del danno, ove il creditore sia divenuto impossidente. Il pericolo, quindi, è in primo luogo di tardività della pronuncia sul merito, che se intervenisse dopo l’aggiudicazione o l’assegnazione non sarebbe inutile, ma non pienamente satisfattiva: la parte avrebbe diritto alla consegna del ricavato non ancora distribuito, alla restituzione di quello distribuito e, comunque, al risarcimento del danno, ma non alla retrocessione del bene espropriato. Il pericolo di infruttuosità della condanna alla restituzione ed al risarcimento opera tuttavia solo in via subordinata: il pericolo – di tardività – che l’impugnante vuole prevenire è quello di perdere la cosa espropriata.

Invece, l’impugnante che sia in condizione di pagare, con riserva, quanto dovuto in forza della sentenza non ha motivo di temere l’esecuzione forzata. Se la decisione viene volontariamente eseguita e successivamente riformata, l’appellante vittorioso ha diritto di ripetere la prestazione indebitamente compiuta; tuttavia, la restituzione può essere impedita dal fallimento o comunque dall’impossidenza dell’appellato. In questo caso la sospensione elimina il pericolo di infruttuosità dell’esecuzione della futura condanna alla restituzione: il che sembra incoerente con la natura anticipatoria della sospensione.

Quando si esegue la condanna ad un obbligo di non fare, si distrugge quanto è stato compiuto in violazione di un dovere di astensione. La sentenza che riforma la condanna alla demolizione di un edificio, eseguita in pendenza dell’appello, non ripristina magicamente la cosa distrutta; poiché trattasi di un immobile, per sua natura infungibile, non è neppure materialmente possibile la ricostruzione di un bene identico a quello demolito, che aveva una certa vetustà; nè si può imporre all’esecutante di sostituirlo con un bene nuovo, atteso che la restitutio in integrum (quale forma di risarcimento del danno in forma specifica) ha funzione reintegratoria del patrimonio leso e non deve procurare un vantaggio alla vittima; alla parte ingiustamente esecutata non resta, allora, che il risarcimento del danno. Ed ancora: la cosa mobile consegnata in esecuzione della sentenza successivamente riformata va resa all’appellante vittorioso, ma se è stata alienata ad un terzo in buona fede è irrecuperabile (art. 1153 c.c.); l’immobile rilasciato forzosamente va restituito all’appellante, che però nel frattempo ha trasferito altrove l’abitazione o l’attività e non vuole sobbarcarsi un nuovo trasloco, né per lui è agevole provare il danno sofferto per lo sviamento della clientela ecc.

Sotto il profilo funzionale, l’inibitoria è quindi una misura totalmente o parzialmente anticipatoria (anche se talora previene il pericolo di infruttuosità, piuttosto che quello di tardività): tuttavia, non lo è sotto il profilo strutturale. Dagli artt. 669 octies e 669 novies c.p.c. (nel testo modificato dalla riforma Cartabia) risulta che i provvedimenti cautelari anticipatori, compresi quelli di sospensione di atti giuridici, sopravvivono se il giudizio di merito non viene tempestivamente introdotto o successivamente si estingue[20]. Tale ultrattività non è invece predicabile in capo all’inibitoria, che non può essere disposta prima che l’impugnazione sia stata proposta (sì da non essere concedibile ante causam) ed è resa inefficace dalla sentenza che conferma, per motivi di rito o di merito, la decisione impugnata. Il regime è, dunque, quello delle misure cautelari conservative: l’estinzione del processo di gravame determina il passaggio in giudicato della sentenza impugnata (art. 338 c.p.c.) e quindi l’immediata caducazione del provvedimento di sospensione; effetto analogo produce l’estinzione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ove sia stata pronunciata l’ordinanza ex art. 649 c.p.c.; non solo il rigetto nel merito, ma anche la dichiarazione di inammissibilità o di improcedibilità del gravame determina l’infausta sorte dell’inibitoria (si può invece discutere se la dichiarazione di incompetenza del giudice d’appello conservi la sospensione in caso di tempestiva translatio iudicii). Tra l’inibitoria e la decisione sull’impugnazione il nesso di strumentalità in senso strutturale (e non meramente funzionale) non è attenuato, ma pieno, come è proprio delle cautele conservative: la sospensione non sopravvive all’estinzione.

3.Inibitoria e sequestro conservativo.Il pericolo prevenuto dall’inibitoria è quello al quale è esposto l’impugnante, se vittorioso, di non poter ottenere la restituzione del pagamento eseguito o del bene espropriato in forza del provvedimento impugnato ovvero, quando la condanna abbia ad oggetto una prestazione diversa (consegna, rilascio, fare o non fare), il pericolo di non poter ottenere la restitutio in integrum in forma specifica (perché, ad es., l’immobile è stato demolito), ma solo per equivalente pecuniario, mediante il risarcimento del danno, che però rappresenta, per sua natura, un imperfetto surrogato dell’utilità perduta.

Con un condizionale controfattuale, mi chiedo se in assenza dell’inibitoria l’impugnante avrebbe potuto invocare una misura stricto sensu cautelare. Escluso il provvedimento d’urgenza, che non può essere adottato per sospendere l’efficacia di un altro provvedimento giurisdizionale[21], deve scrutinarsi la concedibilità del sequestro conservativo.

La questione fu risolta negativamente, sotto il cessato codice (che non prevedeva la sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione, all’epoca collocato tra i mezzi straordinari di impugnazione, mentre poteva – contraddittoriamente – disporsi l’inibitoria in pendenza della revocazione straordinaria e dell’opposizione di terzo)[22], da un precedente di merito del 1937. La parte condannata in appello aveva chiesto il sequestro conservativo presso di sé della somma dovuta al creditore, allegando il pericolo che – stante l’insolvenza della parte vittoriosa – non avrebbe potuto ripeterla in caso di annullamento della sentenza, contro la quale aveva proposto ricorso per cassazione. La corte d’appello rigettava l’istanza, atteso che il ricorrente non era titolare di un credito, neppure eventuale, bensì di una pretesa restitutoria che sarebbe sorta solo con il pagamento, che il sequestro voleva impedire; l’eventuale credito restitutorio poteva venire ad esistenza solo dopo l’esecuzione della sentenza[23] ed anzi neppure allora, occorrendo l’ulteriore condizione rappresentata dall’accoglimento del ricorso per cassazione[24].

Nel vigente ordinamento processuale, l’inibitoria costituisce l’unico strumento a disposizione della parte soccombente, che non intenda eseguire la prestazione, per prevenire l’esecuzione forzata. L’impugnante non può chiedere, infatti, il sequestro di quanto dovuto alla parte vittoriosa, come pure era avvenuto in un caso, pervenuto all’esame della Cassazione nel 1988. Nella specie, il debitore era stato condannato con sentenza di primo grado, contro la quale aveva proposto appello; ricevuta la notifica del precetto, aveva chiesto alla corte d’appello – allegando il pericolo di non poter ripetere il pagamento, essendo la società creditrice in liquidazione – di ordinare il sequestro conservativo della somma precettata. La misura era stata dapprima autorizzata ed eseguita, mediante versamento su libretto di deposito bancario intestato alla creditrice e vincolato all’ordine del giudice, quindi revocata con sentenza (con la quale, all’epoca, era deciso il giudizio di convalida del sequestro, soppresso dalla riforma del 1990). La debitrice proponeva ricorso per cassazione, rigettato dalla S.C. con la seguente motivazione.

“Pronunciata sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva di condanna di un soggetto al pagamento, in favore di altro soggetto, di una somma di denaro formante oggetto di una prestazione contenuto di un rapporto obbligatorio intercorrente fra i due, viene ad esistenza un comando giurisdizionale che ha incidenza provvisoria nella realtà giuridica sostanziale, sino alla sua futura e, se acquisita, definitività, conseguenza del giudicato per mancata impugnazione o per rigetto delle impugnazioni ammesse ed esperite. In esito ad attività giurisdizionale cognitiva piena, è accertata – salva ulteriore cognizione e decisione nelle eventuali sedi di impugnazione – l’esistenza del rapporto obbligatorio fra le parti in causa, rispettivamente creditore e debitore, con la conseguente condanna di quest’ultimo al pagamento, in favore del primo, della somma di denaro oggetto della prestazione dovuta e mancata; ed è sorta, anche se in via provvisoria, l’azione esecutiva, di cui è titolare l’accertato creditore nei confronti dell’accertato debitore, per il soddisfacimento del credito a mezzo di espropriazione forzata. In siffatta situazione, è inammissibile, ed inconcepibile, che la parte condannata, con la sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva, al pagamento della somma di denaro in favore della controparte possa chiedere, ed ottenere, l’autorizzazione ad eseguire sequestro conservativo di quella somma di denaro, deducendo l’inesistenza del preteso suo debito, e quindi il suo credito alla restituzione dopo il pagamento che dovrebbe essere effettuato in esecuzione della sentenza provvisoriamente esecutiva, nonché il fondato timore di perdere la garanzia di tale suo credito. Condizione dell’azione cautelare, per l’autorizzazione al sequestro conservativo, è – oltre al periculum in mora (fondato timore di perdere la garanzia del credito) – il fumus boni iuris: la probabilità di esistenza del credito dedotto nei confronti della controparte, da accertarsi con delibazione sommaria dal giudice adito per l’autorizzazione alla misura cautelare. Ma la sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva, e perciò con incidenza provvisoria nella realtà giuridica sostanziale, ha già accertato l’esistenza del rapporto obbligatorio tra le parti, rispettivamente creditrice e debitrice, ed ha condannato quest’ultima – che poi ha chiesto la misura cautelare – al pagamento, in favore della prima, della somma di denaro oggetto del credito accertato. Il quale accertamento, in esito a cognizione piena, esclude la probabilità di esistenza del preteso credito alla restituzione dedotto dall’accertato debitore (pur se in via provvisoria), impedendo la delibazione sommaria del giudice adito per la concessione della misura cautelare: in quanto accertamento cui il giudice è pervenuto dopo completa indagine in fatto ed approfondita argomentazione in diritto, e quindi da ritenersi esatto fino ad una diversa decisione in sede di impugnazione. In realtà, la parte soccombente può esperire soltanto il rimedio della cosiddetta inibitoria”[25].

Deve verificarsi se l’impugnante possa invece chiedere ed ottenere il sequestro conservativo dei beni della controparte, beneficiaria della sentenza di condanna, dopo aver pagato, allegando: a) quanto al fumus, la probabile esistenza del suo credito restitutorio, stante l’ingiustizia della sentenza eseguita ed impugnata; b) quanto al periculum, il fondato timore di non poter conseguire la restituzione di quanto risulterà indebitamente pagato a seguito della caducazione del titolo esecutivo. È stata ritenuta ammissibile (benchè infondata per difetto del periculum in mora) l’istanza di sequestro conservativo a tutela del credito restitutorio, proposta dall’opponente a decreto ingiuntivo, avente ad oggetto le somme versate in conseguenza della provvisoria esecutività del provvedimento opposto[26]. Nella specie il credito soddisfatto dal debitore risultava da un provvedimento sommario, quale l’ordinanza ex art. 648 c.p.c., e non da una sentenza resa all’esito di un processo a cognizione piena: ma non può escludersi che le censure dell’appellante risultino assistite da un tale grado di verosimile fondatezza da indurre il giudice dell’impugnazione a ritenerne probabile l’accoglimento. E’ comunque necessario, affinchè la domanda cautelare sia esaminabile, che la parte istante provi di avere dato esecuzione al comando giudiziale a suo carico, laddove l’inibitoria serve a prevenire il pagamento. Benchè non constino precedenti, il soccombente può pagare con riserva, proporre appello, con accessoria domanda di condanna dell’appellato alla restituzione dell’indebito, e chiedere al giudice dell’impugnazione di autorizzare il sequestro conservativo dei beni della controparte, a garanzia dell’eventuale credito restitutorio. La misura cautelare, se autorizzata ed eseguita, si converte in pignoramento quando interviene la sentenza che riforma la decisione impugnata e condanna l’appellato alla restituzione.

Il diritto alla restituzione presuppone la solutio; sorge soltanto se e quando la sentenza viene riformata o cassata, anche per motivi di rito (e non quando viene sospesa, se nelle more l’impugnante ha pagato)[27]. Prima del pagamento, volontario o coattivo, non esiste una pretesa tutelabile con il sequestro conservativo[28]. Non mi sembra pertinente l’esempio del fideiussore che agisce in revocatoria (o chiede la misura cautelare) contro il debitore principale, prima di pagare il creditore, allegando il fondato timore di non poter esercitare fruttuosamente l’azione di regresso, se pagherà[29]. Premesso che il fideiussore può agire in rilievo (art. 1953 c.c.), il diritto di regresso sorge automaticamente quando il garante paga il garantito (art. 1950 c.c.). Il diritto di ripetere l’indebito, invece, è una fattispecie a formazione progressiva, che consta del pagamento e della successiva caducazione del titolo (di fonte negoziale o giudiziale) in forza del quale è stato eseguito.

Il solvens che paga con riserva un debito ancora sub iudice vanta l’aspettativa, cautelabile con il sequestro conservativo (art. 1356 c.c.)[30], di ripetere l’indebito, sottoposta alla condizione sospensiva della riforma o cassazione della sentenza impugnata (o della revoca dell’ingiunzione opposta). La fattispecie si completa con il deposito della pronuncia caducatoria, tanto che la prescrizione decennale decorre da allora, non dall’anteriore pagamento, né dal successivo passaggio in giudicato; l’immediato effetto espansivo esterno della riforma rende infatti sine titulo il pagamento, volontario o coattivo, compiuto in esecuzione della sentenza successivamente riformata; il dies a quo della prescrizione è segnato dal passaggio in giudicato della sentenza di riforma (oltre che nei giudizi instaurati in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge n. 353 del 1990, ai quali si applica il testo originario dell’art. 336, comma 2, c.p.c.) solo nei giudizi, instaurati dopo la riforma del 1990, nei quali la domanda di restituzione sia stata proposta nel giudizio di appello[31].

Ma i fatti costitutivi del diritto alla restituzione sono il pagamento ed il successivo accoglimento, anche per motivi di rito, del gravame[32]. L’appellante, condannato in primo grado, prima di adempiere non vanta nessun diritto di ripetizione verso l’appellato, bensì un’aspettativa di mero fatto alla restituzione di quanto pagherà, se la sentenza sarà riformata. Un’aspettativa di diritto viene ad esistenza con il pagamento, che rappresenta il primo elemento della fattispecie a formazione progressiva che si completa con l’accoglimento dell’impugnazione ed è, nelle more, cautelabile.

4. Inibitoria e tecnica rimediale. – L’inibitoria non salvaguarda né un diritto soggettivo, né un’aspettativa di diritto, ma un’aspettativa di fatto, che altrimenti sarebbe rimasta priva di tutela. Prima facie la misura sembra cautelare il diritto dell’impugnante a non subire un’esecuzione che, ex post, risulterebbe ingiusta, ove la sentenza impugnata, in forza della quale l’esecuzione è minacciata od iniziata, fosse riformata o cassata. Tuttavia, si è già rilevato che il diritto alla restituzione presuppone: a) il pagamento volontario o l’esecuzione forzata; b) la successiva caducazione del titolo esecutivo. L’inibitoria impedisce il primo (in verità non impedisce che la parte, nonostante la sospensione, paghi con riserva). Non è pertanto concepibile che il provvedimento cauteli un diritto – alla restituzione del pagamento indebito – del quale previene l’insorgenza.

Il diritto cautelato non può d’altronde identificarsi (diversamente da quanto può ritenersi a proposito dei provvedimenti di sospensione ex artt. 615, comma 1, e 624, comma 1, c.p.c.)[33] con quello all’integrità patrimoniale e quindi a non subire un’esecuzione ingiusta. Questo diritto non rientra nell’oggetto – né immediato, nè mediato – del giudizio di gravame. Mentre con l’opposizione all’esecuzione il debitore chiede dichiararsi l’inesistenza del diritto processuale del sedicente creditore a procedere in executivis ed accertarsi il suo diritto sostanziale all’integrità patrimoniale, minacciato o leso da un’esecuzione ingiusta, nel processo di impugnazione non vengono in rilievo né l’una, né altra situazione soggettiva. L’appellante, già convenuto soccombente in primo grado, con il chiedere al giudice ad quem che la sentenza di condanna pronunciata in favore dell’attore vittorioso venga riformata, siccome ingiusta, non domanda il riconoscimento di un diritto proprio, ma il disconoscimento di quello altrui, accertato dal giudice a quo. Se invece l’appello viene proposto dall’attore rimasto soccombente in primo grado e condannato al pagamento delle spese del giudizio, l’inibitoria della relativa statuizione, provvisoriamente esecutiva, non tutela il diritto dedotto in giudizio nei confronti del convenuto, ma soltanto previene l’eseguibilità coattiva della condanna.

L’inibitoria, quindi, non salvaguarda “in via provvisoria il diritto sostanziale dedotto in giudizio contro i pericula a cui è esposto nelle more del giudizio di merito, quanto, piuttosto, il patrimonio del debitore dai rischi dell’esecuzione del provvedimento giurisdizionale (già contenente l’accertamento pieno o sommario del diritto sostanziale, sebbene non definitivo) prima che divenga definitivo o comunque prima che su di esso si pronunci il giudice dell’impugnazione o dell’opposizione, anticipando i probabili effetti che deriveranno dalla decisione sull’impugnazione o sull’opposizione”[34]. L’anticipazione è peraltro parziale quando segua l’inizio dell’espropriazione forzata, non avendo la sospensione effetto caducatorio del pignoramento. La sospensione assicura che “l’eventuale rescissione e/o sostituzione del provvedimento impugnato avvenga re adhuc integra senza che nel tempo necessario per ottenere la rescissione e/o sostituzione l’impugnante subisca un pregiudizio grave o irreparabile”[35], così ripristinando l’antica regola appellatione pendente nihil innovandum[36].

L’inibitoria sembra insomma disposta magis imperii quam iurisdictionis. Non tutela provvisoriamente una situazione soggettiva di natura sostanziale (come le misure cautelari stricto sensu), ma risponde ad un fine diverso, di rilevanza superindividuale: quello di economia processuale, perché è contrario all’interesse pubblico che, rimosso il provvedimento impugnato, nelle more eseguito, possa rendersi necessaria un’esecuzione forzata a parti invertite, promossa dall’impugnante vittorioso, precedentemente escusso, per ottenere le restituzioni ed il risarcimento. D’altronde, nel diritto francese delle ordinanze regie l’inhibitio era “un rimedio generale a difesa della giurisdizione, utilizzato come correttivo della provvisoria esecuzione delle sentenze”[37], considerata un attentatum all’autorità del giudice dell’impugnazione, il quale avrebbe altrimenti emesso una decisione che, intervenendo dopo che la pronuncia riformata aveva prodotto effetti irreversibili, sarebbe risultata non pienamente satisfattiva per la parte vittoriosa.

Sotto un diverso profilo, l’inibitoria può essere considerata una forma di tutela di natura rimediale. Richiamando concetti noti, negli ordinamenti di Common Law il rimedio è “la concreta risposta che l’ordinamento assicura contro un torto ricevuto”, ancorchè non lesivo di un diritto soggettivo (categoria dogmatica estranea alla tradizione anglosassone), ma di un interesse (ubi remedium ibi ius)[38]. Gli ordinamenti di Civil Law tendono a mutuare da quelli di Common Law la tecnica dei rimedi, “i quali costituirebbero un piano mobile di strumenti preposti non al soddisfacimento in prima battuta di interessi giuridicamente protetti che rimane di competenza del diritto soggettivo e dei poteri e delle facoltà che lo compongono, ma al soddisfacimento in seconda battuta di un bisogno di tutela del singolo conseguente all’inattuazione di un suo interesse per un ostacolo frapposto o per la sua violazione da parte del terzo”[39]. In questa prospettiva l’inibitoria si presta ad essere inquadrata tra i rimedi che non proteggono un diritto soggettivo (come, d’altronde, le azioni possessorie), ma l’interesse dell’impugnante a non subire un’esecuzione forzata che potrebbe rivelarsi, ex post, ingiusta, se il gravame fosse accolto.

La tutela cautelare dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi è costituzionalmente doverosa; le inibitorie, invece, rientrano nella discrezionalità legislativa, proprio perché non tutelano un diritto soggettivo. Non è previsto, ad esempio, che l’efficacia esecutiva dell’ordinanza provvisoria di rilascio sia sospendibile; il giudice può soltanto imporre una cauzione al beneficiario, a garanzia delle spese e dei danni (art. 665, comma 2, c.p.c.); per quanto consta, non si è mai dubitato della legittimità costituzionale della norma, nella parte in cui non prevede la sospendibilità dell’esecuzione. Nel rito del lavoro l’ordinanza provvisionale, pur esecutiva, non è sospendibile, ma revocabile solo con la sentenza definitiva (art. 423 c.p.c.): la norma è stata giudicata immune da censure di incostituzionalità[40].

Il divieto al quale soggiace il legislatore è solo quello dell’irragionevole disparità di trattamento di fattispecie simili: l’esecuzione della condanna alla provvisionale emessa dal giudice penale non può essere sospesa solo se ne deriva danno grave ed irreparabile, essendo sufficiente il concorso di gravi motivi, come per la sentenza civile[41].

5. Oggetto. Oggetto di possibile inibitoria sono, in primo luogo, i provvedimenti di condanna, muniti di efficacia esecutiva[42]. Va però rilevato che in pendenza dell’impugnazione per nullità del lodo arbitrale la corte d’appello può sospenderne l’efficacia (art. 830, comma 4, c.p.c.), benchè l’atto non sia stato ancora reso esecutivo a norma dell’art. 825 c.p.c.

Le sentenze dichiarative e costitutive non producono effetti prima del giudicato, salve le eccezioni previste dalla legge[43]. Tuttavia, sono sospendibili i capi condannatori accessori a tali pronunce. Inoltre, la sospensione va ammessa quando la sentenza dichiarativa o costitutiva è immediatamente efficace, benchè ancora impugnabile in via ordinaria[44].

La sentenza di rito comincia ad esplicare i suoi effetti sin da quando è pronunciata: sia nei confronti del giudice che l’ha emanata, il quale non può revocarla, né modificarla, sia tra le parti, che ne sono vincolate. Poiché la decisione è priva di effetti extraprocessuali[45], non opera la distinzione tra efficacia interna ed efficacia esterna, propria delle sole decisioni di merito, idonee al giudicato sostanziale. Non è quindi all’uopo necessario predicare la provvisoria od immediata esecutività della sentenza sul reclamo ex art. 630 c.p.c. (per quanto prima della riforma del 1990 si fosse ammessa la concessione della clausola)[46], applicandosi l’art. 282 c.p.c. alle pronunce di merito[47]: la decisione è provvisoriamente od immediatamente efficace, divenendo incontrovertibile quando acquista l’autorità del giudicato formale. Questa efficacia è però suscettibile di venire sospesa dal giudice dell’impugnazione, in applicazione estensiva degli artt. 283 e 373 c.p.c.[48]

Il giudice d’appello può sospendere, in pendenza dell’impugnazione, la sentenza che ha dichiarato l’estinzione del giudizio di primo grado[49], quando rende inefficace il provvedimento cautelare conservativo nelle more emanato (art. 669 novies, comma 1, c.p.c.) o definitivo il decreto ingiuntivo opposto (art. 653, comma 1, c.p.c.). La cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale e dell’ipoteca giudiziale, invece, è subordinata alla definitività del provvedimento dichiarativo dell’estinzione, impedita dall’impugnazione, che quindi ha effetto automaticamente sospensivo[50].

Non è una sentenza di condanna, ma è sospendibile in pendenza del ricorso per cassazione, la decisione del giudice tributario d’appello che rigetta il ricorso del contribuente contro l’avviso di accertamento esecutivo o la cartella di pagamento. Nella specie non viene inibita l’efficacia esecutiva della sentenza, ma dell’atto impositivo od esattivo impugnato.

La condanna può essere sospesa se suscettibile di espropriazione forzata o di esecuzione in forma specifica. Si è deciso che “le sentenze che accertano il diritto del lavoratore a una qualifica superiore e condannano il datore di lavoro all’attribuzione di detta qualifica non sono suscettibili di esecuzione forzata, non potendo l’attribuzione della qualifica e il conferimento delle relative mansioni avvenire senza la cooperazione del debitore; ne consegue che, pur essendo ammissibile un’azione di condanna del datore di lavoro alla prestazione di un facere infungibile, attesa l’idoneità della relativa decisione a produrre i suoi normali effetti mediante l’eventuale esecuzione volontaria dell’obbligato e a costituire inoltre il presupposto per ulteriori conseguenze giuridiche derivanti dall’inosservanza dell’ordine in essa contenuto, resta esclusa in capo al lavoratore la titolarità dell’azione esecutiva”[51]. Tuttavia, alla condanna ad una prestazione infungibile (che costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale, non caducata, né impedita dall’eventuale inibitoria) può accedere la penalità di mora ex art. 614 bis c.p.c., titolo per l’espropriazione forzata. In questo caso può essere chiesta e disposta la sospensione[52].

La sentenza che rigetta l’opposizione a decreto ingiuntivo non è di mero accertamento, ma di condanna[53], pur quando il provvedimento monitorio sia stato dichiarato provvisoriamente esecutivo ante causam (art. 642 c.p.c.) o lite pendente (art. 648 c.p.c.). In assenza di riconvenzionale del debitore opponente, l’unica domanda sulla quale il giudice provvede è quella del creditore opposto, che infatti ha l’onere di esperire il tentativo di mediazione, quando è obbligatorio, essendo attore in senso sostanziale, pena la revoca del decreto ingiuntivo[54]. La sentenza che accoglie la domanda del creditore non può che essere di condanna: il giudice d’appello può pertanto sospenderne l’esecuzione[55]. Né il contenuto della pronuncia muta se l’ingiunzione era già esecutiva, in virtù di un provvedimento anticipatorio: a seguito dell’opposizione si instaura un processo a cognizione piena, a definizione del quale il giudice ha il dovere di pronunciare sulla domanda (art. 112 c.p.c.) con sentenza idonea al giudicato sostanziale; e la pronuncia, dichiarando infondata l’opposizione, statuisce pur sempre sulla domanda di condanna proposta dal creditore, anche se formalmente convenuto. Dovrebbe altrimenti ritenersi di mero accertamento anche la sentenza che accoglie la domanda, quando in corso di causa sia stato emesso un provvedimento anticipatorio di condanna (artt. 186 bis, ter e quater, 423 c.p.c.): tesi che, per quanto consta, non è mai stata sostenuta.

E’ di mero accertamento la sentenza che rigetta la domanda, non quella che disattende, per motivi di rito o di merito, l’appello contro la decisione di condanna pronunciata in primo grado. Non è insomma da credersi – come pure si è ritenuto – che l’eventuale sospensione della sentenza di secondo grado non escluda l’eseguibilità di quella di primo grado, con la conseguenza che l’istanza ex art. 373 c.p.c. sarebbe inammissibile per difetto d’interesse[56]. La sentenza d’appello sostituisce quella di impugnata, pur quando la confermi (salvo che l’impugnazione sia definita in rito, con dichiarazione di inammissibilità o di improcedibilità dell’appello o di estinzione del relativo giudizio). Se la decisione di primo grado era di condanna, della medesima natura partecipa quella di secondo grado, che è pertanto sospendibile: tant’è vero che l’esecuzione forzata, se non ancora iniziata in forza della condanna impugnata, potrà essere promossa sulla base di quella di rigetto dell’appello[57]. Anche quando non produce effetto sostitutivo, la decisione d’appello conferma l’esecutività della sentenza di primo grado; l’inibitoria ex art. 373 c.p.c. può avere ad oggetto, pertanto, anche la pronuncia che ha definito in rito il processo d’impugnazione, chè altrimenti il ricorrente per cassazione resterebbe privo di tutela interinale.

La sentenza d’appello che riforma quella di condanna pronunciata in primo grado ha immediata efficacia espansiva esterna, rendendo improcedibile l’esecuzione forzata in corso. Il creditore rischia di perdere la garanzia del proprio credito (salvo l’esercizio dell’azione revocatoria) qualora il bene pignorato, liberato ex tunc dal vincolo esecutivo, venga alienato ad un terzo e, nel giudizio di rinvio, sia riconosciuto il suo diritto. Può pertanto sospendersi ex art. 373 c.p.c. l’efficacia della riforma[58].

Infine, benchè non sia una condanna suscettibile di esecuzione forzata, la decisione che applica a carico del notaio la sanzione disciplinare della sospensione è suscettibile di inibitoria ex art. 373 c.p.c.[59]

6. Presupposti. – Il potere sospensivo, rappresentando un minus rispetto a quello caducatorio, sarebbe spettato al giudice del gravame anche in difetto di espressa previsione di legge. Le norme che prevedono le inibitorie non conferiscono al giudice un potere, che è già immanente in quello di riforma, cassazione o revoca del provvedimento impugnato (per l’argomento a maiori ad minus), ma ne subordinano l’esercizio al ricorrere di determinate condizioni (sub specie di gravi motivi, danno grave ed irreparabile ecc.), oppure lo attribuiscono eccezionalmente ad un giudice diverso da quello competente per l’impugnazione (art. 373 c.p.c.). Ne offre conferma il rito camerale: il reclamo ha effetto sospensivo dell’efficacia del provvedimento impugnato; ma se il giudice a quo ha dichiarato immediatamente efficace il suo decreto, concorrendo ragioni d’urgenza (art. 741, comma 2, c.p.c.), il collegio può disporre la sospensione del provvedimento reclamato ad istanza dell’impugnante, benchè la legge non lo preveda espressamente, perché “nel più sta il meno”[60].

L’inibitoria, in quanto misura lato sensu cautelare, dovrebbe presupporre: a) la favorevole prognosi circa la futura pronuncia sull’impugnazione (fumus boni iuris): non si può sospendere l’esecutività o l’esecuzione della sentenza che, ad un sommario esame dei motivi di gravame, sembri destinata alla conferma; b) il pericolo che, accolta l’impugnazione senza che nelle more l’esecuzione sia stata sospesa, la prestazione eseguita (volontariamente o coattivamente) non sia utilmente ripetibile (periculum in mora): b’) perché è stato distrutto un bene infungibile; b’’) perché il bene pignorato è stato aggiudicato od assegnato ad un terzo, il cui acquisto resta salvo nonostante la successiva caducazione del titolo esecutivo, spettando all’escusso la consegna del ricavato ed il risarcimento del danno;  b’’’) perché la parte tenuta a restituire la prestazione è fallita od è divenuta impossidente[61].

Ho usato il condizionale, perché la riforma Cartabia ha modificato nei seguenti termini l’art. 283, comma 1, c.p.c.: “Il giudice d’appello, su istanza di parte proposta con l’impugnazione principale o con quella incidentale, sospende in tutto o in parte l’efficacia esecutiva o l’esecuzione della sentenza impugnata, con o senza cauzione, se l’impugnazione appare manifestamente fondata o se dall’esecuzione della sentenza può derivare un pregiudizio grave e irreparabile, pur quando la condanna ha ad oggetto il pagamento di una somma di denaro, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti”. La sospensione, quindi, sembra alternativamente (e non congiuntamente) subordinata al riscontro del fumus o del periculum (salvo quanto si osserverà in seguito circa la necessità, in ogni caso, del primo presupposto). Se la sentenza impugnata è ictu oculi affetta da errori in procedendo o in iudicando, ritualmente denunciati dall’appellante, l’esecuzione va sospesa anche se il creditore è soggetto solvibile, in condizione di restituire immediatamente quanto riscosso in forza della decisione, se riformata, o se l’esecuzione non comporta la distruzione od il rilascio di un bene.

Interpretata letteralmente, la norma pare ammettere la sospensione anche quando l’impugnazione risulti manifestamente infondata, ma dall’esecuzione derivi danno grave ed irreparabile. Se così fosse, potrebbe disporsi l’inibitoria anche in pendenza di un appello inammissibile od improcedibile. La conclusione sarebbe però assurda: l’inibitoria è strumentale alla pronuncia favorevole all’impugnante, che nella specie è preclusa da un impedimento di rito. Né la misura può adottarsi se l’appello sia manifestamente infondato, perché verrebbero incentivate impugnazioni dilatorie (in quanto intese a differire l’esecuzione), in violazione del principio costituzionale di ragionevole durata del processo[62].

Tra gli opposti della manifesta fondatezza e della manifesta infondatezza (cui vanno equiparate l’inammissibilità e l’improcedibilità) si colloca un’area intermedia nella quale il giudice deve delibare i motivi di gravame e, solo ove li ritenga verosimilmente fondati, deve valutare se l’esecuzione sia fonte di pregiudizio non solo grave, ma anche irreparabile e, quindi, insuscettibile di restitutio in integrum in forma specifica (come nel caso di aggiudicazione del bene pignorato).

Si ritiene che “il prodotto di fumus boni iuris e periculum in mora” rappresenti “un valore costante”, con la conseguenza che “quanto più alto è il primo, tanto più basso può essere il secondo, e viceversa, ma non si può mai prescindere dall’uno o dall’altro”[63]. Il nuovo art. 283 c.p.c. esclude, invece, la valutazione del danno da esecuzione quando l’appello sia manifestamente fondato, mentre nessuna inibitoria può concedersi se l’opposizione o l’impugnazione “non ha una ragionevole probabilità di essere accolta”, per mutuare l’espressione che figurava nell’art. 348 bis c.p.c.: non si sospende l’esecuzione di una condanna giusta sol perché il danno che ne deriva al soccombente è irreparabile[64]. Al contrario, se l’impugnazione è inammissibile o manifestamente infondata, il giudice dispone la discussione orale della causa e quindi l’immediato transito alla fase decisoria (art. 348 bis c.p.c. novellato). Per richiamare la metafora aritmetica del “valore costante”, se la somma di fumus e periculum deve essere pari a 100, non può concedersi la sospensione se il fumus è zero ed il periculum 100, mentre deve concedersi se il fumus è 100 ed il periculum zero. Anche l’analoga espressione dei “vasi comunicanti”[65] va intesa con questa precisazione. In ogni caso, è necessario che l’impugnazione sia favorevolmente delibata: altrimenti avrebbe ragione chi ha denunciato “la portata classista dell’attuale art. 283 c.p.c.”[66], là dove richiama “la possibilità di insolvenza di una delle parti” (dell’appellante, se la sentenza viene eseguita; dell’appellato, se non viene eseguita)[67]. L’inibitoria non può concedersi sol perché l’appellato, se soccombente, non sarebbe in condizione di restituire il pagamento, ché allora la condanna del possidente a pagare l’impossidente verrebbe sospesa pur se incensurabile. Quando sia impugnata una condanna pecuniaria, occorre in primo luogo delibare il gravame; se la prognosi sia manifestamente favorevole all’appellante, l’esecuzione va sospesa, ancorchè l’appellato versi in stato di bisogno; se il gravame non è assistito da evidente fondatezza, allora il giudice valuterà il pericolo di irripetibilità del pagamento da parte dell’appellante; il processo, per antico insegnamento, deve riconoscere diritti esistenti e non costituirne di nuovi[68], né quindi può surrogare istituti assistenziali, gravando l’appellante di una prestazione che non appaia dovuta all’appellato[69].

Benchè la legge non lo qualifichi espressamente tale, il danno deve essere altresì ingiusto[70]. Se la sentenza impugnata viene confermata, il pregiudizio che subisce l’impugnante esecutato è legittimo. L’inibitoria presuppone il probabile accoglimento del gravame, perché altrimenti si risolverebbe nel rinviare un’esecuzione giusta, anche se comporta la distruzione di un bene infungibile.

Da quanto precede, risulta che l’inibitoria della sentenza appellata non esige costantemente la valutazione del periculum in mora e, quindi, di uno dei presupposti della tutela cautelare.

Riservando al successivo paragrafo l’analisi dell’art. 373 c.p.c., che non richiede testualmente l’esame sommario dell’impugnazione e quindi del fumus boni iuris, la locuzione “gravi motivi”, che figura negli artt. 649 e 830 c.p.c. (o quella dei “gravi e fondati motivi” richiesti dall’art. 64 legge camb. e che deve ritenersi concettualmente identica: ed invero non può revocarsi in dubbio che i motivi di gravame debbano apparire prima facie fondati, non potendosi accogliere l’istanza sospensiva a fronte di ragioni che sembrino prive di fondamento e, come tali, destinate ad essere disattese dalla sentenza) è, per la sua genericità, apparentemente suscettibile di comprendere entrambi i presupposti della tutela cautelare: ma nella dottrina e nella giurisprudenza si registra la tendenza a ritenere sufficiente, alternativamente, il fumus od il periculum[71]. E’ ragionevole supporre che la valutazione del fumus assorba quella del periculum quando la sospensione segue il pignoramento; i beni del debitore sono già stati vincolati a garanzia del credito e la fase espropriativa sortirebbe effetti intangibili; il creditore è tutelato contro gli eventuali atti dispositivi (artt. 2913 ss. c.c.) ed il debitore contro la vendita o l’assegnazione. Invece, se l’inibitoria precede il pignoramento occorre un maggior tasso di probabile accoglibilità del gravame, fino al limite della manifesta fondatezza (art. 283 c.p.c.). Non esistono regole matematiche, in una materia rimessa alla totale ed insindacabile discrezionalità giudiziale: non si può escludere (o temere) che in un futuro non remoto l’intelligenza artificiale e la robotizzazione dei provvedimenti elaboreranno un algoritmo per l’esame delle inibitorie[72].

Il giudice investito dell’istanza di sospensione dell’esecuzione di sentenza impugnata con la revocazione o l’opposizione di terzo, in quanto competente a pronunciare sull’impugnazione, deve anche delibarne ammissibilità e fondatezza[73]. Si reputa necessaria, quindi, la congiunta ricorrenza del fumus e del periculum, connotato dagli estremi della gravità ed irreparabilità[74]. Tuttavia, anche nella specie possono richiamarsi le osservazioni precedentemente svolte: se l’impugnazione straordinaria appare manifestamente fondata, la sospensione va concessa, omessa l’indagine sul periculum.

7. Segue: l’art. 373 c.p.c. – Il potere inibitorio compete, di regola, al giudice che deve statuire sull’impugnazione. Proposto ricorso per cassazione, dovrebbe essere la S.C. a provvedere sull’inibitoria: ed in tal senso disponeva il testo originario dell’art. 373 c.p.c.[75] (e tuttora, nel processo penale, la Cassazione è anche giudice dell’inibitoria, a norma dell’art. 612 c.p.p.)[76]. Per sgravarla da questa incombenza (che avrebbe comportato valutazioni di merito, estranee al compito istituzionale della S.C.; ma in Germania la sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata con ricorso in revisione spetta al Revisionsgericht, a norma del § 719, comma 2, ZPO)[77], la novella del 1950 ha attribuito – stante “l’irriducibile, fierissima opposizione della Cassazione”[78] ad applicare l’art. 373 c.p.c. – la competenza al giudice d’appello, cui spetta sospendere l’esecuzione della sua sentenza.

Si assume che il giudice a quo non potrebbe, nel delibare l’impugnazione, anticipare un giudizio non proprio, bensì del giudice ad quem, riconoscendo di essere incorso in errore nel pronunciare la sentenza impugnata. La dottrina maggioritaria ritiene, pertanto, che la corte d’appello debba apprezzare esclusivamente il periculum in mora[79]; ed anche secondo la giurisprudenza di merito non si può tenere conto della fondatezza del ricorso per cassazione, essendo la valutazione giudiziale limitata al solo riscontro del danno grave ed irreparabile conseguente all’esecuzione[80].

Questa opinione non può essere condivisa, perché colloca l’art. 373 c.p.c. al di fuori del sistema. Si è già rilevato che l’inibitoria della sentenza esecutiva ex lege non ha ad oggetto un provvedimento accessorio alla sentenza impugnata, cui conferisce discrezionalmente forza esecutiva, come la vecchia clausola. La ragione che giustifica la quiescenza dell’effetto legale secondario della decisione, nelle more della pronuncia sull’impugnazione, è la prognosi di infausta sorte della sentenza gravata. Il danno che ne deriva all’impugnante è, altrimenti, secundum ius: un pregiudizio di mero fatto, che non legittima il differimento dell’azione esecutiva spettante alla parte vittoriosa nel pregresso grado. I principi di effettività della tutela giurisdizionale e di ragionevole durata del processo non tollerano che la pendenza del ricorso per cassazione, in uno alla riconosciuta gravità ed irreparabilità del danno derivante dall’esecuzione, privi temporaneamente il creditore del potere di procedere in executivis ovvero lo condizioni alla prestazione di una cauzione. E’ irragionevole che quando risulti manifesta l’inammissibilità o l’improcedibilità del ricorso per cassazione, proposto o depositato oltre i termini perentori previsti dalla legge, la corte d’appello possa concedere l’inibitoria, sol perché idonea a prevenire un pregiudizio irreversibile[81].

Se per la concessione dell’inibitoria fosse sufficiente il pericolo, allegato e provato dal ricorrente per cassazione, di non poter utilmente ripetere il pagamento in caso di accoglimento dell’impugnazione, stante l’impossidenza della controparte, allora la misura legittimerebbe la prevaricazione del ricco impugnante sul povero che ha avuto ragione in appello (beati possidentes). Così è avvenuto nel caso nel quale è stata sospesa la condanna della compagnia di assicurazione a risarcire l’ingente danno sofferto dalle vittime di un sinistro stradale, le quali versavano in “gravi difficoltà economiche”, non essendo proprietarie di immobili, né percettrici di redditi, così determinando il rischio di non poter provvedere alla restituzione delle somme eventualmente riscosse[82]. Occorre invece che il ricorso per cassazione sia probabilmente fondato; solo se l’istanza è assistita dal fumus si deve valutare il periculum, che è integrato anche dal fondato pericolo di irripetibilità del pagamento[83].

Quando la giurisprudenza ha ammesso – già prima che l’art. 62 bis d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 fosse introdotto dall’art. 9, comma 1, lett. aa), n. 2, d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156 – la sospendibilità dell’esecuzione della sentenza della commissione tributaria regionale, impugnata dal contribuente con ricorso per cassazione, ha preteso anche il sommario esame del merito, venendo in rilievo, “da un lato, l’interesse del contribuente a non subire un danno irreparabile in conseguenza del pagamento di un tributo, che potrebbe alla fine essere giudicato come non dovuto, e, dall’altro, l’interesse dello Stato al regolare pagamento dei tributi e alle esigenze di tutela del bilancio. Tale situazione impone che i requisiti del fumus boni iuris dell’istanza cautelare e il periculum in mora, che possono giustificare l’adozione di un provvedimento di sospensione ex art. 373 c.p.c., debbano essere valutati con particolare rigore”[84]. Non s’intende perché la regola dovrebbe essere applicata solo a tutela dell’interesse erariale alla riscossione dei tributi e non anche quando il creditore, vittorioso in appello, sia un privato.

La legge non prevede che sull’inibitoria provveda il medesimo collegio che ha pronunciato la sentenza impugnata e che, quindi, dovrebbe riconoscere di essere incorso negli errori, di attività o di giudizio, denunciati dal ricorrente per cassazione. Inclinerei, al contrario, a ritenere sussistente l’obbligo di astensione, nel procedimento incidentale, dei giudici che hanno concorso a deliberare la decisione impugnata. Il noto argomento mortariano contro il “frivolo amor proprio” (addotto per escludere che il magistrato debba astenersi per non dover contraddire un suo precedente provvedimento)[85] non resiste all’art. 111, comma 2, Cost., che reclama imparzialità e terzietà del giudice in “ogni processo” e non soltanto in quello che esita in un provvedimento idoneo ad acquistare l’efficacia del giudicato: anche nel sub-procedimento ex art. 373 c.p.c., definito con ordinanza che di tale attitudine è priva, la pregressa cognizione piena non può non condizionare la delibazione del ricorso per cassazione. La tassatività delle cause di astensione è stata tacciata di “fallacia descrittivista”[86] e la natura discrezionale dei provvedimenti, di sospensione dell’esecuzione o di imposizione di una cauzione, previsti dall’art. 373 c.p.c. (unanimente dedotta dal verbo modale “può”, che figura nella disposizione)[87], non soggetti a nessuna forma di controllo impugnatorio, rende vieppiù imperiosa l’esigenza che l’istanza venga esaminata da magistrati scevri dall’inevitabile pregiudizio (nel senso letterale) derivante dall’anteriore cognizione della res iudicanda. E seppure si escluda l’applicabilità dell’art. 51, comma 1, n. 4, c.p.c., “gravi ragioni di convenienza” (per citare il capoverso) consigliano di assegnare l’istanza ad un diverso collegio della corte d’appello.

Il giudice (inteso come ufficio, non come magistrato) che ha emesso la sentenza impugnata deve quindi sommariamente esaminare il ricorso per cassazione e, solo qualora ne stimi probabile l’accoglimento, valutare il periculum in mora. Non si tratta dell’unus casus nel quale il provvedimento interinale è pronunciato da un giudice diverso da quello competente ad emettere il provvedimento definitivo, al quale il primo è strumentale: infatti, se la causa di merito è devoluta al giudice di pace, la misura cautelare deve essere chiesta al tribunale (art. 669 ter, comma 2, c.p.c.); parimenti, il giudice dell’esecuzione presso il tribunale sospende il processo esecutivo e rimette la causa al giudice di pace, se competente (art. 616 c.p.c.). Nella fattispecie dell’art. 373 c.p.c. la peculiarità è peraltro duplice, perché il giudice dell’inibitoria è non solo diverso, ma anche subordinato a quello del merito.

Il pericolo di “grave e irreparabile danno” viene inteso come “pericolo che con l’esecuzione della sentenza di appello si verifichi una definitiva e non più ripristinabile modificazione del bene giuridico oggetto dell’azione esecutiva. Il danno grave ed irreparabile va valutato: 1) soggettivamente sulla sussistenza dell’eccezionale sproporzione fra il vantaggio per il creditore procedente ed il pregiudizio irreparabile patito dal debitore a seguito dell’esecuzione della sentenza; 2) oggettivamente nella ricorrenza nella fattispecie scrutinata di un pregiudizio irreversibile ed insuscettibile di restituito in integrum nel caso in cui la sentenza venga cassata”[88]. E’ stato ritenuto grave ed irreparabile il pregiudizio derivante dall’esecuzione del provvedimento che irroga a carico del notaio la sanzione disciplinare della sospensione; infatti, il divieto di esercitare la funzione in attesa dell’esito del giudizio determinerebbe un danno non solo per il professionista, costituito dalla perdita di reddito, dallo sviamento della clientela e dalla lesione della propria reputazione, ma anche per i suoi dipendenti, che sarebbero necessariamente licenziati o sospesi dal lavoro[89]. L’esecuzione di una sentenza di condanna al pagamento di somma di denaro può essere sospesa in pendenza del ricorso per cassazione, in considerazione dell’impossibilità o estrema difficoltà di ripetizione dell’indebito pagamento in caso di accoglimento dell’impugnazione[90]. L’insussistenza dei presupposti per la sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata per cassazione non esclude la possibilità di ordinare il versamento di una cauzione (nella specie, di importo pari a quello della condanna) in caso di possibile insolvenza dell’accipiens[91]. Nel processo agrario, l’art. 11, comma 10, d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150 (che riproduce l’abrogato art. 46, ultimo comma, legge 3 maggio 1982, n. 203) prevede che “costituisce grave ed irreparabile danno, ai sensi dell’articolo 373 del codice di procedura civile, anche l’esecuzione di sentenza che privi il concessionario di un fondo rustico del principale mezzo di sostentamento suo e della sua famiglia, o possa risultare fonte di serio pericolo per l’integrità economica dell’azienda o per l’allevamento di animali”. Nella specie il periculum in mora è legalmente tipizzato: il giudice, accertato il presupposto fattuale, deve sospendere l’esecuzione della sentenza che condanna il coltivatore, senza poterla subordinare alla prestazione di cauzione da parte del concedente vittorioso in appello[92], sempre che sussista il fumus boni iuris.

8. Effetti.L’inibitoria sospende l’efficacia esecutiva o l’esecuzione del provvedimento impugnato, nelle more della pronuncia sul gravame. Costituisce «l’istituto “gemello” dell’esecuzione provvisoria, il suo contraltare ed il suo antidoto»[93]: con la precisazione che mentre l’esecuzione provvisoria è attributo esclusivo delle sentenze impugnabili con gli ordinari mezzi di gravame e, pertanto, non ancora passate in giudicato, l’inibitoria comprende anche l’esecuzione definitiva della sentenza passata in giudicato, impugnata con uno dei rimedi straordinari previsti dalla legge (artt. 401 e 407 c.p.c.). Anche l’esecuzione che si compie in forza del giudicato è provvisoria, perché il giudicato è eccezionalmente caducabile.

L’art. 373 c.p.c. non prevede testualmente la sospendibilità anche dell’efficacia esecutiva, che però viene riconosciuta, pena un’ingiustificabile disparità di trattamento rispetto all’art. 283 c.p.c.[94]. Il termine d’efficacia del precetto, notificato in forza della sentenza impugnata, è sospeso a seguito dell’inibitoria e ricomincia a decorrere, nel caso in cui la sospensione sia revocata con ordinanza non pronunziata in udienza, non dalla pubblicazione, ma dalla comunicazione del provvedimento di revoca[95].

Benchè intervenga in pendenza dell’esecuzione forzata, l’inibitoria produce comunque l’effetto di sospendere l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato e, in via consequenziale, di tutti i processi esecutivi nelle more avviati in forza del titolo sospeso[96]. Il provvedimento non rende quiescente la sola esecuzione promossa dalla parte vittoriosa, perchè allora nonostante la sospensione potrebbe promuoversi una diversa esecuzione e l’utilità della misura sarebbe vanificata. Il problema si presenta nell’espropriazione forzata, non nell’esecuzione in forma specifica, che può essere una ed unica: al creditore che abbia eseguito pignoramento immobiliare è impedito, dopo la sospensione, di procedere a pignoramento mobiliare o presso terzi o di intervenire nell’esecuzione da altri promossa, essendo temporaneamente privo di un efficace titolo esecutivo.

In caso di inibitoria parziale, il creditore può invece iniziare o proseguire l’esecuzione per quanto di ragione. E così, eseguito pignoramento presso terzi per un credito di 100, l’inibitoria per 70 renderà possibile l’assegnazione di 30. Il residuo di 70 resterà vincolato (con la conseguenza che il terzo pignorato non potrà pagare il suo creditore diretto con effetto liberatorio nei confronti del pignorante, al quale l’adempimento sarà inopponibile) fino alla pronuncia sull’impugnazione.

Se il creditore è intervenuto nell’espropriazione forzata da altri promossa, la posteriore sospensione del suo titolo esecutivo inibisce che, nella fase satisfattiva, gli venga attribuita la quota spettantegli, che resterà accantonata fino alla definizione del processo di impugnazione (anche se di durata superiore al triennio previsto dall’art. 510, comma 3, c.p.c. in favore degli interventori non titolati e contestati), il cui esito potrà imporre la revisione del progetto di distribuzione (se il credito viene dichiarato totalmente o parzialmente inesistente, l’accantonamento va ripartito tra i concorrenti di grado pari od inferiore rimasti insoddisfatti); e preclude, nell’anteriore fase espropriativa, che il creditore sospeso possa compiere atti d’impulso[97]. L’inibitoria non comporta l’esclusione del creditore dal concorso, prodotta dalla sentenza di totale riforma o cassazione della condanna. La sospensione dell’esecutività del titolo del quale è munito il creditore pignorante non impedisce che l’esecuzione sia coltivata dagli interventori titolati; la somma spettante al pignorante sarà accantonata fino alla pronuncia sull’impugnazione.

L’inibitoria opera ex nunc, non ex tunc, con conseguente salvezza degli atti esecutivi medio tempore compiuti[98]. Il provvedimento di sospensione impedisce la prosecuzione del processo esecutivo che sia già pendente, ma non rimuove gli effetti conservativi del pignoramento, non obbligando il creditore procedente a rinunciare agli atti del processo; l’inibitoria del provvedimento esecutivo di condanna non comporta la sopravvenuta illegittimità degli atti esecutivi nel frattempo compiuti, ma impone la sospensione, ai sensi dell’art. 623 c.p.c., del processo esecutivo iniziato sulla base di tale provvedimento[99].

La sospensione conserva gli atti compiuti, ma vieta al creditore di compierne ulteriori, sotto pena di nullità ex art. 626 c.p.c. L’effetto si produce fin dalle ore zero del giorno in cui l’ordinanza di sospensione è stata depositata (c.d. zero hour rule). Pertanto, è stata annullata (in accoglimento dell’opposizione ex art. 617 c.p.c. tempestivamente proposta dal debitore) l’ordinanza di assegnazione del credito pignorato, emessa dal giudice dell’esecuzione proprio il giorno il cui la corte d’appello aveva sospeso, su istanza dell’appellante, la sentenza impugnata: la misura espropriativa, infatti, non poteva considerarsi sorretta da un efficace titolo esecutivo[100].

L’inibitoria non solo non comporta la cancellazione dell’ipoteca giudiziale iscritta dal creditore sui beni del debitore, a tal fine occorrendo che l’ordine sia contenuto in sentenza passata in giudicato (art. 2884 c.c.)[101], ma neppure impedisce al creditore di procedere ad iscrizione: titolo ipotecario è, infatti, la sentenza di condanna, ancorchè non esecutiva (art. 2818 c.c.). L’ordinanza di sospensione dell’esecutività del decreto ingiuntivo opposto previene l’iscrizione, ma non cancella quella già eseguita. Mentre la sentenza di condanna è titolo ipotecario benchè non sia esecutiva (art. 2818 c.c.), l’art. 655 c.c. richiede allo scopo che l’ingiunzione sia stata dichiarata esecutiva a norma degli artt. 642, 647 o 648. Se l’efficacia esecutiva viene sospesa, il creditore, come non può procedere a pignoramento, così non può iscrivere ipoteca[102].

La generalizzazione dell’efficacia esecutiva ex lege della condanna emessa in primo grado ha privato il giudice d’appello del potere di revocare l’esecuzione provvisoria[103]. Il giudice ad quem non può eliminare un effetto prodotto direttamente dalla legge e non da una valutazione discrezionale del giudice a quo (come avveniva quando la condanna era munita della clausola): infatti, quando le uniche sentenze esecutive ex lege erano quelle civili in grado d’appello e quelle di lavoro non era prevista la revoca, ma solo la sospensione dell’esecutività.

A norma dell’art. 649 c.p.c., il giudice istruttore dell’opposizione a decreto ingiuntivo può sospenderne l’esecuzione provvisoria (concessa ex art. 642 c.p.c.), quando concorrono gravi motivi. E’ stata ripetutamente dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale della disposizione, censurata per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non prevede anche la revoca[104]. Parte della dottrina[105] e della giurisprudenza di merito[106] sono tuttavia favorevoli alla revocabilità, esclusa dalla Cassazione[107], per la quale la sospensione non ha l’effetto della revoca e quindi non infirma gli atti esecutivi compiuti in forza del provvedimento monitorio[108]. Nondimeno, se l’esecuzione provvisoria è stata revocata con ordinanza, il successivo rigetto dell’opposizione non comporta la reviviscenza della clausola[109].

Il decreto ingiuntivo rappresenta una deroga al principio del contraddittorio, venendo emesso inaudita altera parte. Perciò, di regola, non è provvisoriamente esecutivo: l’ingiunto, che non ha avuto la possibilità di difendersi nella fase sommaria, non deve subire l’esecuzione forzata sulla base di un titolo giudiziale alla cui formazione è rimasto incolpevolmente estraneo. L’immediata esecutività rappresenta un’eccezione, ammessa nei casi previsti dall’art. 642 c.p.c. L’ingiunto può essere pregiudicato dall’ipoteca iscritta o dal pignoramento eseguito ancor prima di aver potuto proporre opposizione; può ottenere la sospensione dell’esecuzione, ma non la cancellazione dell’ipoteca, subordinata al passaggio in giudicato della sentenza che revoca il decreto ingiuntivo. Il sistema accorda quindi una iperprotezione al creditore, di dubbia compatibilità con il principio costituzionale di eguaglianza delle parti nel processo. E’ vero che il creditore temerario risponde dei danni (art. 96, comma 2, c.p.c.): ma fino alla cancellazione dell’ipoteca o del pignoramento il patrimonio del debitore resta vincolato a garanzia di un credito inesistente e quegli atti, oltre a rendere di fatto inalienabile il bene ipotecato o pignorato, possono precludere l’accesso al credito bancario o comportare la revoca degli affidamenti. Il problema è quindi gravissimo, perché la durata del processo pregiudica – contro il noto canone chiovendiano – la parte che ha ragione. Tuttavia, sia il legislatore (nelle innumerevoli riforme del processo civile), sia la Corte costituzionale sono finora rimasti sordi al grido di dolore della dottrina.

Poiché l’opposizione ripristina a favore del debitore l’eguaglianza delle parti, “che l’emanazione di una condanna inaudita altera parte aveva precedentemente turbato, la logica vorrebbe che mentre dura il giudizio nulla possa essere compiuto ai danni del debitore, a meno che non ricorrano le condizioni normalmente richieste per un provvedimento cautelare. Il legislatore non è stato di questo parere, perché ha stabilito che il giudice possa autorizzare l’esecuzione provvisoria del decreto anche in casi diversi dal pericolo nel ritardo (art. 642): disposizione questa veramente improvvida, perché è poco ragionevole che l’esecuzione provvisoria possa essere concessa prima che si conosca finanche l’annuncio delle eventuali difese del debitore”[110]. Per Enrico Tullio Liebman, quindi, la clausola di provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo, concessa ante causam essendovi pericolo nel ritardo, è una misura (almeno funzionalmente) cautelare, tanto che il giudice può imporre al creditore una cauzione e quindi una contro-cautela.

Questa digressione sulla natura della clausola era necessaria, essendosi sostenuto che la revoca dell’esecuzione provvisoria, concessa stante il periculum in mora, potrebbe disporsi a norma dell’art. 669 sexies c.p.c.[111]. Si potrebbe così argomentare: il decreto dichiarato provvisoriamente esecutivo a motivo del grave pregiudizio nel ritardo è un provvedimento complesso, che consta dell’ingiunzione (che non ha natura cautelare, essendo idonea al giudicato, almeno secondo la communis opinio, ed è revocabile solo con la sentenza che accoglie l’opposizione) e della clausola di provvisoria esecuzione (che invece è una misura cautelare), analogamente alla sentenza di primo grado che, prima della novella del 1990, veniva dichiarata provvisoriamente esecutiva (ed anche in questo caso il giudice poteva onerare il creditore di prestare cauzione)[112]. Se si inquadra (in ossequio alla dottrina classica)[113] tra le misure cautelari la concessione dell’esecutività ope iudicis, quando vi è pericolo nel ritardo, la clausola è revocabile nel contraddittorio delle parti con ordinanza (anticipabile con decreto)[114]. La fattispecie sembra analoga a quella che si verificava quando la sentenza di primo grado non era esecutiva ope legis e la corte d’appello aveva il potere non solo di sospendere, ma anche di revocare la clausola con ordinanza. Il creditore che, allegando il periculum in mora, chieda dichiararsi provvisoriamente esecutivo l’emanando decreto ingiuntivo[115] eserciterebbe, insomma, due azioni: l’una sommaria di condanna, per ottenere l’ingiunzione, e l’altra cautelare[116], per conseguire l’esecuzione provvisoria, anticipatoria dell’esecuzione definitiva.

In disparte la considerazione che l’esecuzione provvisoria non si distingue concettualmente da quella definitiva (provvisorio o definitivo è il titolo, non l’esecuzione)[117], se il decreto che concede la clausola ex art. 642, comma 2, c.p.c. è una misura cautelare, allora è tale anche l’ordinanza che la conferma, modifica o revoca. Ne segue che il provvedimento dovrebbe essere reclamabile ex art. 669 terdecies c.p.c.: ma l’ordinanza è dichiarata non impugnabile dall’art. 649 c.p.c. Occorre quindi che la norma sia modificata o dichiarata incostituzionale in parte qua, come è avvenuto per l’art. 695 c.p.c.[118]

Aggiungasi che la natura lato sensu cautelare potrebbe connotare la sola clausola fondata sul pericolo di grave pregiudizio nel ritardo, non anche a quella, parimenti discrezionale, che il giudice può concedere “se il ricorrente produce documentazione sottoscritta dal debitore comprovante il diritto fatto valere” (art. 642, comma 2, c.p.c.). E va pure segnala la singolarità di un’ordinanza che – a voler applicare l’art. 669 sexies c.p.c. – conferma il decreto concessivo della clausola, ma contestualmente lo sospende.

De iure condito, la revoca sembra purtroppo inammissibile. Peraltro, non comporterebbe la cancellazione dell’ipoteca giudiziale già iscritta, a tal fine occorrendo il passaggio in giudicato della sentenza di revoca dell’ingiunzione, a norma dell’art. 2884 c.c., che però è di dubbia legittimità costituzionale, per le ragioni altrove esposte[119].

Escluderei, comunque, la revocabilità dell’esecuzione provvisoria concessa a norma dell’art. 642, comma 1, c.p.c., trattandosi di esecutività ex lege, che il giudice deve ordinare se il credito è fondato su cambiale ecc.[120] Il disconoscimento della firma in calce al titolo di credito o la proposizione della querela di falso contro l’atto pubblico costituisce motivo di sospensione, nelle more della verificazione del documento.

Il giudice adito con istanza ex art. 373 c.p.c. non è mai stato munito del potere di revoca, atteso che già nel disegno originario del codice la sentenza pronunciata in grado d’appello era esecutiva ex lege. Il ricorrente per cassazione non può pertanto conseguire la caducazione degli atti esecutivi medio tempore compiuti dal creditore. Nell’istanza di revoca è tuttavia implicitamente compresa (a maiori ad minus) quella di sospensione. Erroneamente, quindi, si è ritenuto che, chiesta la revoca dell’efficacia esecutiva della sentenza e sopravvenuto il pignoramento, l’istanza vada disattesa, non potendo produrre lo svincolo del bene o credito staggito[121]: la sospensione, pur operando ex nunc, impedisce l’assegnazione o la vendita e quindi previene il trasferimento coattivo, soddisfacendo l’interesse dell’impugnante a non soffrire l’espropriazione che – se la sentenza fosse cassata – risulterebbe ingiusta.

La sospensione dell’esecutività previene il pignoramento, ma non garantisce che il patrimonio dell’impugnante resti immune da qualunque vincolo: è certo, infatti, che non impedisce al creditore di iscrivere ipoteca giudiziale. Al contrario, proprio l’inibitoria indurrà il creditore a cautelarsi con tale mezzo, che diversamente dal pignoramento (immediatamente rimosso dalla cassazione della sentenza di condanna) resta efficace fino al passaggio in giudicato e, quindi, anche durante l’eventuale giudizio di rinvio. Per eterogenesi dei fini, la sospensione dell’esecutività può quindi aggravare la condizione del debitore, laddove la sospensione dell’esecuzione non infirma il pignoramento, che continua a garantire il creditore, il quale non ha necessità di anticipare le spese dell’iscrizione ipotecaria.

Al pericolo che il pignoramento venga compiuto nelle more della pronuncia dell’ordinanza può rimediarsi con il decreto di immediata sospensione dell’efficacia esecutiva, emanabile ex art. 351, comma 3, c.p.c. “se ricorrono giusti motivi di urgenza” oppure ex art. 373, comma 2, c.p.c. “in caso di eccezionale urgenza”[122]. Si può peraltro ritenere che, se l’istanza sia proposta prima del pignoramento, ma venga accolta successivamente, l’impugnante non debba essere pregiudicato dal ritardo con il quale il giudice ha provveduto. In questo caso la sospensione retroagisce al tempo della domanda ed implica la rimozione del vincolo esecutivo, mentre la sospensione chiesta dopo il pignoramento opera ex nunc[123]. Deve però avvertirsi che la Corte costituzionale ha incidentalmente ritenuto legittimo il divieto di revoca dell’esecuzione implicitamente contenuto nell’art. 373 c.p.c., richiamando i precedenti che ritengono immune da censure l’art. 649 c.p.c., che prevede la sola sospensione dell’esecuzione dell’ingiunzione opposta[124].

9. Procedimento.L’inibitoria è sempre disposta con ordinanza.

Tutte le ordinanze inibitorie sono espressamente dichiarate non impugnabili dalla legge (artt. 351, 373, 431, 447 bis, 649, 668, 669 terdecies c.p.c.) e, come tali, immodificabili ed irrevocabili da parte del giudice che le ha pronunciate (art. 177, comma 3, n. 2, c.p.c.), ad eccezione di quella prevista dall’art. 830 c.p.c., che quindi può essere revocata o modificata[125] (dubbio è se il potere correttivo sia esercitabile melius re perpensa o solo al verificarsi di mutamenti nelle circostanze).

Poiché l’inibitoria non è una misura stricto sensu cautelare, l’ordinanza che accoglie o rigetta l’istanza non è reclamabile ex art. 669 terdecies c.p.c.[126]. L’omessa previsione del rimedio è sospettabile di incostituzionalità, non potendo assumersi quale tertium comparationis l’art. 624, comma 2, c.p.c., che prevede il reclamo contro il provvedimento sull’istanza di sospensione dell’esecuzione, trattandosi di misura anche strutturalmente cautelare, emanata a tutela di un diritto soggettivo, laddove l’inibitoria protegge un’aspettativa di mero fatto. Le Sezioni unite hanno ammesso la reclamabilità dell’ordinanza ex art. 615 c.p.c. sia perché il provvedimento non è espressamente dichiarato non impugnabile, sia perché differisce funzionalmente e strutturalmente dalle inibitorie[127]: se ne deduce che il presupposto implicito nella ratio decidendi è l’irreclamabilità di tali provvedimenti[128].

La dottrina negava la riproponibilità dell’istanza rigettata[129]. Tuttavia, l’art. 283, comma 2, c.p.c., nel testo modificato dalla riforma Cartabia, prevede che l’istanza di sospensione dell’esecuzione della sentenza appellata possa essere “riproposta nel corso del giudizio di appello se si verificano mutamenti nelle circostanze, che devono essere specificamente indicati nel ricorso, a pena di inammissibilità”. E così, se l’esecuzione sia minacciata con l’intimazione del precetto, l’istanza rigettata può essere reiterata a seguito del pignoramento o dell’atto omologo dell’esecuzione in forma specifica[130]; così pure se sia proposta un’eccezione in senso lato, rilevabile d’ufficio e quindi non preclusa dal divieto di nova (ad es., l’adempimento), o sia invocato lo ius superveniens, se applicabile nei giudizi in corso (dichiarazione di incostituzionalità, legge di interpretazione autentica)[131]. Non sembra ammessa, invece, la prospettazione di nuove ragioni deducibili, ma non dedotte con l’originaria istanza. La norma è applicabile per analogia alle altre inibitorie[132].

E’ quindi irrevocabile – stando alla littera legis – la sola ordinanza che accoglie l’inibitoria ex art. 283 c.p.c., mentre quella che la rigetta non è di ostacolo alla reiterabilità dell’istanza, al ricorrere di sopravvenienze di fatto o di diritto, ritualmente allegate dall’appellante. Tuttavia, così opinando si determina un’irragionevole disparità di trattamento tra appellante ed appellato[133]. Al mutare delle circostanze, che furono valutate dal giudice nel provvedere sull’istanza, l’appellante può riproporla e beneficiare dell’inibitoria, mentre l’appellato non può invocare i nova per ottenere la revoca della sospensione. Si può fondatamente dubitare, allora, della legittimità costituzionale dell’art. 351 c.p.c., nella parte in cui dichiara non impugnabile l’ordinanza che dispone la sospensione, per violazione del principio di eguaglianza delle parti nel processo (art. 111, comma 2, Cost.). Ed analoga censura può elevarsi a carico dell’art. 373 c.p.c., sempre che non si ritenga, già de iure condito, l’ordinanza che sospende l’esecuzione della sentenza, impugnata con ricorso per cassazione, modificabile o revocabile, se successivamente cessa il pregiudizio imminente ed irreparabile o risulti che tale presupposto non esisteva neppure quando l’istanza fu accolta[134].

10. La cauzione a carico del debitore.L’inibitoria della sentenza appellata può essere subordinata al versamento di una cauzione da parte dell’appellante (art. 283, comma 1, c.p.c.)[135]. La cauzione assolve nella specie una funzione diversa da quella prevista dall’art. 669 undecies c.p.c.: il destinatario passivo della misura cautelare ha diritto al risarcimento del danno, qualora sia accertata l’inesistenza del diritto interinalmente protetto (art. 96, comma 2, c.p.c.), e la cauzione garantisce che la pretesa risarcitoria sarà soddisfatta. Il sequestro conservativo vincola i beni, mentre l’inibitoria impedisce che il vincolo esecutivo sia imposto. Nel primo caso è il debitore a subire un pregiudizio, mentre nel secondo caso è il creditore a patirlo.

La parte che non può eseguire la condanna pecuniaria, siccome sospesa, ma successivamente confermata soffre nelle more il danno da ritardato adempimento, che però è compensato dagli interessi. Invece, al pericolo che l’appellante, beneficiario della sospensione, si renda successivamente impossidente e non possa subire l’esecuzione forzata, quando la sentenza impugnata sarà confermata, si rimedia con l’imposizione di una cauzione, pari all’ammontare della somma liquidata in sentenza, a carico del debitore. Se però il creditore ha già iscritto ipoteca giudiziale sui beni del debitore, non v’è motivo perché il suo diritto sia ulteriormente garantito. Parimenti, se la sospensione interviene quando il pignoramento è già stato eseguito, ferma l’inibizione della vendita o dell’assegnazione, gli effetti del vincolo restano fermi: non sembra ragionevole, quindi, che in tal caso il debitore venga gravato anche della cauzione. In definitiva, ritengo che l’appellante, condannato in primo grado al pagamento di una somma di denaro, possa essere onerato della prestazione di una cauzione, quale condizione di efficacia della sospensione, solo se viene inibita l’esecutività della sentenza prima del pignoramento o se non è stata iscritta ipoteca giudiziale: altrimenti la cauzione si risolve in un ingiustificato aggravio a carico dell’appellante.

Se la sentenza condanna all’adempimento di un obbligo di consegnare, rilasciare, fare o non fare, la cauzione deve coprire il danno da ritardata esecuzione, mentre il pericolo che la cosa sia sottratta, danneggiata o distrutta può essere eliminato mediante il sequestro giudiziario.

Non è previsto che l’esecuzione venga subordinata a cauzione prestanda dalla parte vittoriosa in primo grado[136]. Il potere di imporre cauzione è esercitabile nei soli casi tassativamente previsti dalla legge[137]. Si tratta, infatti, di un onere economico che limita l’effettività della tutela giurisdizionale.

Nella disciplina delle inibitorie la cauzione non è mai obbligatoria. Invece l’art. 64 r.d. 14 dicembre 1933, n. 1669 prevede che l’opposizione al precetto, intimato in forza di cambiale, “non sospende l’esecuzione”, ma “il presidente del tribunale (…), su ricorso dell’opponente che disconosca la propria firma o la rappresentanza, oppure adduca gravi e fondati motivi, può, con decreto motivato non soggetto a gravame, esaminati i documenti prodotti, sospendere in tutto o in parte gli atti esecutivi, imponendo idonea cauzione”. Invece, a norma dell’art. 65 legge camb., in pendenza dell’opposizione il giudice “può anche concedere su richiesta del debitore, quando concorrano gravi ragioni, la sospensione della esecuzione, imponendo, se lo ritenga opportuno, idonea cauzione”.

La cauzione è quindi obbligatoria ex art. 64 (opposizione a precetto), facoltativa ex art. 65 (opposizione all’esecuzione). Si è dubitato della legittimità costituzionale della prima norma, in quanto, con il subordinare la sospensione dell’efficacia esecutiva della cambiale alla prestazione di cauzione da parte dell’opponente, discrimina i cittadini abbienti da quelli non abbienti, che non possono assolvere tale onere, pur quando l’opposizione sia manifestamente fondata. La questione è stata giudicata infondata, non sussistendo «insuperabile incoerenza fra la limitazione del potere di sospensione dato al presidente del tribunale o al pretore competente per valore dall’art. 64 della legge cambiaria ora impugnato, e il più ampio potere riconosciuto al giudice dalle discipline sopra richiamate, relative rispettivamente alla sospensione disposta dal giudice dell’opposizione al precetto cambiario, ai sensi dell’art. 65 stessa legge, e a quella disposta dal giudice dell’esecuzione (in via generale, ma anche, nel sistema normativo considerato, nel caso di opposizione all’esecuzione cambiaria proposta dopo l’inizio dell’esecuzione stessa), discipline le quali considerano entrambe la cauzione come condizione soltanto “facoltativa” della sospensione. In tali evenienze ricorre infatti una situazione diversa, di minore aggravio per il creditore cambiario esecutante, o perchè, pur trattandosi di opposizione proposta prima dell’inizio dell’esecuzione (art. 65 legge cambiaria), il giudice dell’opposizione ha comunque una più ampia e approfondita cognizione degli elementi di causa (come è dimostrato fra l’altro da ciò, che, mentre l’art. 64 postula la ricorrenza di “gravi e fondati” motivi, cioé di motivi fondati all’evidenza, l’art. 65 parla soltanto di “gravi ragioni”, cioè di motivi rivelatisi fondati a un migliore esame), ovvero perchè, trattandosi di opposizione proposta dopo l’inizio dell’esecuzione, il creditore cambiario ha comunque conseguito gli effetti vantaggiosi del pignoramento»[138].

La Corte costituzionale si pronunciò, tuttavia, prima che al giudice dell’opposizione a precetto fosse conferito il potere di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo (art. 615, comma 1, c.p.c.); l’art. 64 legge camb., prevedeva, eccezionalmente, che il presidente del tribunale potesse inibire il pignoramento; parve ragionevole che questo potere fosse esercitabile soltanto imponendo all’opponente una cauzione, non più necessaria dopo il pignoramento, stante la sopravvivenza del vincolo alla sospensione. “Malgrado le più forti esigenze che nel caso dell’esecuzione dei titoli cambiari (e assimilati) ostano alla sospensione, questa, nel sistema normativo considerato, può essere disposta – pur nel concorso di limitate ipotesi (disconoscimento della firma o della rappresentanza, “gravi e fondati motivi”) – prima dell’inizio dell’esecuzione, a differenza da quanto è previsto per tutti gli altri titoli esecutivi di formazione non giudiziale (…). Indubbiamente ciò importa una considerevole menomazione di tutela per il creditore cambiario, menomazione che abbisogna di un compenso ai fini del riequilibrio, in conformità degli artt. 24 e 3 Cost., fra la posizione del creditore e quella del debitore cambiario. E tale compenso il sistema considerato trova appunto in ciò che la sospensione viene subordinata alla condizione “necessaria” della cauzione”[139].

La decisione è stata severamente criticata da Andrea Proto Pisani, che l’ha ritenuta “affetta da singolare superficialità, mancanza di consapevolezza della gravità dei problemi implicati dalla questione e totale ignoranza dei precedenti specifici esistenti nella giurisprudenza della Corte”[140]. Comunque, ora che il potere inibitorio è stato attribuito, in via generale, al giudice dell’opposizione a precetto, sembra irragionevole che l’efficacia esecutiva di un titolo di formazione privata sia sospendibile per “gravi motivi” anche senza cauzione, prima del pignoramento, mentre per sospendere la vis executiva della cambiale (che è parimenti un titolo non giudiziale) non solo si richiedano “gravi e fondati motivi”, ma sia altresì necessario che l’opponente garantisca, mediante la cauzione, il pagamento della cambiale, se la sentenza rigetterà l’opposizione.

Il creditore ha il diritto, in forza del provvedimento esecutivo, di esigere la prestazione: il suo interesse è soddisfatto dal pagamento immediato, non dalla cauzione, che gli sarà devoluta dopo la sentenza di rigetto del gravame. Il processo deve tutelare la parte che ha ragione, non quella che dispone di maggiori mezzi; l’art. 3, comma 1, Cost. enuncia il fondamentale principio di eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, “senza distinzione (…) di condizioni personali e sociali” (e quindi anche patrimoniali); l’art. 24, comma 3, Cost. prevede che siano “assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione”: e la tutela giurisdizionale deve essere effettiva, sì da garantire alla parte vittoriosa il conseguimento di quanto le è dovuto, talchè l’esecuzione forzata non può essere inibita o sospesa sol perché il debitore solvibile offre di depositare, a titolo di cauzione, la somma spettante al creditore, in attesa che la sentenza impugnata sia confermata.

Giova a tal proposito rammentare che l’art. 98 c.p.c. attribuiva al giudice il potere di imporre all’attore, non ammesso al patrocinio a spese dello Stato, una cauzione per le spese processuali rimborsande al convenuto in caso di soccombenza, quando vi fosse fondato timore che la condanna potesse restare ineseguita (cautio pro expensis), pena l’estinzione del giudizio. La norma – applicabile anche nei giudizi di appello e di opposizione a decreto ingiuntivo, nei quali l’estinzione, in conseguenza dell’omessa prestazione della cauzione da parte dell’appellante o dell’opponente, determinava la formazione del giudicato, sì da “provocare conseguenze di eccezionale gravità rispetto all’esercizio di diritti che l’art. 24 Cost. proclama inviolabili” – è stata dichiarata incostituzionale, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., sul rilievo che nella specie si aveva “riguardo proprio, seppure non esclusivamente, a quelle condizioni soggettive, personali o sociali, che l’art. 3 Cost. impone di considerare non influenti ai fini della tutela della eguaglianza giuridica”. Dagli artt. 3 e 24 Cost. la Corte dedusse che “il principio, secondo il quale tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi e la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, deve trovare attuazione uguale per tutti, indipendentemente da ogni differenza di condizioni personali e sociali. Né sembra dubbio che l’art. 98 c.p.c., prevedendo la imposizione della cauzione a carico di chi non sia ammesso al gratuito patrocinio e nella ipotesi che vi sia fondato timore che l’eventuale condanna nelle spese possa restare ineseguita, ricollega l’applicazione dell’istituto alle condizioni economiche dell’attore, con la conseguenza che, se questi possiede un patrimonio di qualche entità, la misura prevista dalla disposizione non può essere disposta”[141].

Nelle successive decisioni la Corte ha peraltro avvertito che l’istituto della cauzione nel processo civile non è, in quanto tale, contra Constitutionem. Nel dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 624 c.p.c., nella parte in cui attribuisce al giudice il potere di imporre cauzione in caso di sospensione dell’esecuzione, la Corte ha rilevato l’essenziale differenza fra tale misura e l’incostituzionale cautio pro expensis: se la cauzione non viene prestata il provvedimento di sospensione diventa inefficace, ma il processo non si estingue. Non è quindi impedita la pronuncia sul merito, che invece l’art. 98 c.p.c. precludeva – stante la mors litis – quando l’attore non avesse versato la cauzione. Inoltre, l’imposizione della cauzione non dipende dalle condizioni economiche dell’attore, ma dalla “valutazione delle ragioni delle parti”[142].

E’ stata disattesa anche la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1171, comma 2, c.c., in tema di denuncia di nuova opera, là dove faculta il giudice, che vieti o permetta la continuazione dell’opera, ad ordinare “le opportune cautele: nel primo caso, per il risarcimento del danno prodotto dalla sospensione dell’opera, qualora le opposizioni al suo proseguimento risultino infondate nella decisione del merito; nel secondo caso, per la demolizione o riduzione dell’opera e per il risarcimento del danno che possa soffrirne il denunziante, se questi ottiene sentenza favorevole, nonostante la permessa continuazione”.  La Corte ha osservato che “la imposizione di un onere, che sia tale e di tanta misura da rendere presumibilmente impossibile lo svolgimento delle attività processuali, é in evidente contraddizione logica con la funzione del processo e con il principio sancito nell’art. 24 Cost.; ma la conclusione deve essere, invece, del tutto diversa, se la prestazione richiesta abbia lo scopo e produca l’effetto di assicurare il migliore esercizio dei poteri processuali e la rispondenza di questi a quella funzione, se l’imposizione presupponga l’esistenza di un provvedimento precedente, anche suscettibile di impugnazione e di riforma, che consegua ad una cognizione, sia pure sommaria, dell’organo pubblico e, infine, se essa sia fondata su presupposti oggettivi e non abbia riguardo a quelle condizioni soggettive, personali o sociali, che l’art. 3 Cost. impone di considerare non influenti ai fini della tutela dell’eguaglianza giuridica (…). É principio fondamentale della retta amministrazione della giustizia che chi promuove un processo (o una fase di questo) o, più ancora, intende provocare un provvedimento atto a modificare la situazione degli interessi coinvolti nel giudizio, debba affrontare una responsabilità, che si chiama appunto responsabilità processuale. Sarebbe in contrasto con la funzione del processo una struttura di questo che fosse regolata in modo da consentire l’eventuale abuso delle misure giudiziarie ai fini dell’utile di una sola parte, mossa da intenti defatigatori o addirittura ricattatori, e pertanto non meritevole di tutela giuridica. I procedimenti per denuncia di nuova opera o di danno temuto sono fra quelli, nei quali non può escludersi a priori un pericolo simile; e pertanto la previsione della imposizione di cautele – anche se intesa come necessaria, quale é considerata da una parte della giurisprudenza e della dottrina – non si può considerare in contrasto con la funzione del processo, ma piuttosto come un mezzo opportuno nella maggior parte dei casi ad assicurarla”[143].

Queste decisioni non sembrano conformi al principio di effettività della tutela giurisdizionale. Non è sufficiente, a rendere immuni gli art. 624 c.p.c. e 1171 c.c. da fondati sospetti di incostituzionalità, per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost., rilevare che, se la cauzione non è prestata, il processo non si estingue, ma il provvedimento di sospensione dell’esecuzione o della nuova opera diviene inefficace. Nel primo caso, infatti, non sarà impedita l’intangibile vendita forzata; nel secondo caso, quando la nuova opera sia suscettibile di pregiudicare un diritto fondamentale della persona, quale la salute od addirittura la vita, l’impossibilità di assolvere l’onere economico precluderà la tutela cautelare di un diritto soggettivo che, nell’ordinamento costituzionale, prevale su quello della controparte all’esercizio dell’attività d’impresa. L’art. 41, comma 2, Cost. vieta che la pur libera iniziativa economica privata possa “svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Se il mio confinante sta costruendo una centrale elettrica alimentata a carbone in violazione delle norme edilizie ed ambientali, il provvedimento con il quale il giudice sospende i lavori (accogliendo il ricorso con il quale allego il pericolo che, se la centrale entrasse in esercizio, le immissioni di fumi in atmosfera potrebbero nuocere gravemente al mio organismo, causando l’insorgenza di tumori), imponendomi una cauzione di un milione di euro (a garanzia del danno sofferto dal costruttore a causa della ritardata entrata in esercizio dell’impianto), che non sono in condizione di versare, mi preclude l’accesso alla tutela cautelare non solo e non tanto del diritto di proprietà, ma anche e soprattutto del diritto alla salute.

Ritengo, quindi, che l’art. 1171, comma 2, c.c., l’art. 669 undecies c.p.c. e le norme che, in materia di inibitoria, facultano il giudice ad imporre cauzione debbano essere rese oggetto di interpretazione costituzionalmente orientata: l’onere non può essere imposto quando la misura cauteli un diritto fondamentale della persona. E’ iniquo, peraltro, che il debitore, opponente all’esecuzione, venga onerato della cauzione dopo aver subito il pignoramento, che non è rimosso dalla sospensione.

Si è proposta un’interpretazione ancor più radicale delle citate disposizioni, “nel senso che il giudice non possa esercitare il potere di imporre cauzione a danno di soggetti non abbienti i quali non siano in grado di prestarla”[144]. A tal fine, tuttavia, sarebbero necessarie previe indagini patrimoniali sul beneficiario della misura, incompatibili con la celerità propria del procedimento cautelare e del sub-procedimento di inibitoria. Mi sembra certo, invece, che il ricorrente ammesso al patrocinio a spese dello Stato non possa essere gravato della cauzione: lo vietava anche l’incostituzionale art. 98 c.p.c.[145].

Gli artt. 431, 447 bis, 649, 650 e 830 c.p.c. non prevedono la cauzione. Non è tuttavia impedito all’istante di offrirla, senza che peraltro ne risulti condizionata la discrezionalità del giudice nel provvedere sull’istanza. L’offerta di cauzione, infatti, non attribuisce all’impugnante il diritto all’inibitoria: non vincola, in diversi termini, il giudice a sospendere l’esecutività o l’esecuzione della sentenza impugnata[146].

L’offerta di cauzione non dispensa il giudice, che sia richiesto di una misura anche lato sensu anticipatoria o cautelare, dall’obbligo di accertare il fumus boni iuris, rendendo superflua (ove la cauzione sia congrua, corrispondendo all’ammontare delle restituzioni, delle spese e dei danni) soltanto l’indagine sul periculum in mora. E tale regola vale — in ossequio al principio di eguaglianza delle parti nel processo — sia che il provvedimento venga invocato dal creditore che intenda munirsi di titolo esecutivo (come nel caso deciso dalla sentenza n. 137/84 della Corte costituzionale), sia che l’istanza provenga dal debitore che voglia sottrarsi all’esecuzione forzata (come nelle inibitorie). In sintesi, l’offerta di cauzione da parte dell’impugnante non è irrilevante, ma insufficiente ai fini della sospensione dell’esecutività, che va negata se la contestazione appare infondata.

11. La cauzione a carico del creditore. – In altri casi la cauzione può invece gravare sulla parte vittoriosa, che resiste all’impugnazione. Così dispongono gli artt. 373 e 669 terdecies, ultimo comma, c.p.c.: se non sospende l’esecuzione, il giudice la subordina all’assolvimento di un onere da parte del creditore, a garanzia del diritto della controparte (se l’impugnazione sarà accolta) alla restituzione del pagamento ed al risarcimento del danno[147]. Il giudice imporrà la cauzione quando la situazione patrimoniale del creditore sia tale da indurre a fondatamente dubitare della capacità di costui di provvedere alla restitutio in integrum, nell’ipotesi di cassazione della sentenza impugnata. Come notava già Giuseppe Chiovenda, subordinare l’eseguibilità forzata della sentenza impugnata alla prestazione di cauzione equivale a sospenderla, quando la parte vittoriosa non sia in grado di versare una somma che deve corrispondere almeno a quella provvisoriamente dovutale (ma restituenda al debitore, se vittorioso nel giudizio di impugnazione) e, forse, comprendere anche interessi, spese e danni[148].

Nella fattispecie dell’art. 373 c.p.c., la cauzione è quindi misura alternativa alla sospensione, discrezionalmente disponibile dal giudice a carico della parte vittoriosa nel giudizio di merito. Si tratta di una novità introdotta dalla riforma del 1950 e che non ha riscontro nell’omologa inibitoria dei capi civili della condanna penale, impugnata con ricorso per cassazione. In dottrina si è sostenuto che sospensione e cauzione proteggono interinalmente diritti diversi. Se viene sospesa l’esecuzione, il provvedimento conserva lo stato di fatto, per l’eventualità che venga definitivamente accertata, nel giudizio di rinvio conseguente alla cassazione della sentenza impugnata, l’inesistenza del diritto accertato dal giudice d’appello. “Il provvedimento con cui è disposta la prestazione di una congrua cauzione presuppone invece l’esecuzione forzata della sentenza di appello, e tende quindi non a prevenire il danno derivabile dall’esecuzione, ma a cautelare il futuro diritto della parte che abbia fondatamente impugnato la sentenza di appello al risarcimento del danno eventualmente causato dall’esecuzione della sentenza. In altri termini, mentre il provvedimento c.d. principale, al quale il provvedimento cautelare di sospensione dell’esecuzione appare legato da un nesso di strumentalità, è costituito dalla sentenza con cui il giudice di rinvio, in seguito all’eventuale cassazione, rigetta la domanda accolta dal giudice di appello, il provvedimento principale, di cui il provvedimento cautelare d’imposizione di una cauzione tende a garantire preventivamente l’efficacia, non coincide con la futura sentenza dichiarativa dell’inesistenza del diritto realizzato esecutivamente dalla parte vittoriosa in appello, e neppure con una concomitante condanna dell’esecutante alla rimessione in pristino stato – dato che, per definizione, non è possibile una riduzione in pristino, qualora all’esecuzione consegua la distruzione o disintegrazione di un bene fungibile – ma s’identifica, invece, con la condanna della parte che ha provocato l’esecuzione forzata, ed è poi rimasta soccombente nel giudizio di cassazione e nel successivo giudizio di rinvio, al risarcimento dei danni causati all’altra parte dall’esecuzione ingiustamente effettuata a suo carico”[149].

Si assume, a fondamento della riferita opinione, che l’art. 373 c.p.c. “non ammette la sospensione dell’esecuzione di una sentenza di condanna al pagamento di una somma di denaro, non tanto perché non possa qualificarsi irreparabile, verificandosi determinate situazioni di fatto, anche il danno derivante dall’esecuzione di una tale sentenza, quanto perché lo stesso art. 373 c.p.c., consentendo in questa ipotesi l’imposizione di una cauzione, ha opportunamente conciliato gli opposti interessi delle due parti, ponendo a disposizione della parte, che tema di essere ingiustamente assoggettata all’esecuzione forzata della sentenza di appello, un mezzo pienamente idoneo a garantire preventivamente l’efficacia dell’eventuale futura sentenza di condanna della parte escutante alla restituzione della somma da essa conseguita in base ad una sentenza, poi cassata”[150].

In verità una simile distinzione non è rinvenibile nel testo dell’art. 373 c.p.c.: tuttavia, l’imposizione della cauzione a carico del creditore pecuniario risulterebbe maggiormente afflittiva della sospensione. Infatti, se è impugnata sentenza di condanna al pagamento, la sospensione ne inibisce l’esecuzione forzata o ne vieta la prosecuzione, secondo che intervenga prima o dopo il pignoramento; il creditore, nel primo caso, può comunque iscrivere ipoteca giudiziale sui beni del debitore, mentre nel secondo caso gode degli effetti conservativi del pignoramento (artt. 2913 ss. c.c.); non può ottenere l’immediata soddisfazione del suo diritto, che però è garantito dall’ipoteca o dal pignoramento. Se invece l’eseguibilità viene subordinata a cauzione, il creditore deve costituire un deposito pecuniario (di ammontare non inferiore a quello della somma da lui immediatamente esigibile, ma potenzialmente restituenda) ed altresì assumersi l’onere di anticipare le spese dell’espropriazione forzata, che potrebbe risultare totalmente o parzialmente infruttuosa, anche a causa dell’intervento di terzi creditori. La misura, quindi, risulta addirittura più onerosa della sospensione.

Per la condanna suscettibile di esecuzione in forma specifica, invece, la cauzione può risultare utile al creditore, che abbia urgenza di conseguire la consegna od il rilascio. L’onere corrisponde al risarcimento del presumibile danno sofferto dall’esecutato nel tempo in cui è stato privato della disponibilità della cosa, mobile od immobile. Più gravosa è la cauzione in caso di distruzione dell’opera compiuta in violazione di un obbligo di non fare, dovendo essere garantito al debitore, qualora sia accertata l’inesistenza del diritto del creditore, il valore del bene eliminato. Se viene eseguito un obbligo di fare, la cauzione deve coprire il costo della rimessione in pristino.

      

[1] In argomento v. G. CHIOVENDA, Sulla provvisoria esecuzione delle sentenze e sulle inibitorie, in Saggi di diritto processuale civile, II, Milano, 1993 (rist.), pp. 301 ss.; ID., Ancora sulla provvisoria esecuzione delle sentenze e sulle inibitorie, ivi, pp 323 ss.; ID., Sulla facoltà del giudice d’appello di subordinare ad una cauzione l’esecuzione provvisoria concessa dal primo giudice, ivi, pp. 349 ss.

[2] G. CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile2, I, Napoli, 1960 (rist.), pp. 242 ss.; P. CALAMANDREI, Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, in Opere giuridiche, a cura di M. Cappelletti, IX, Napoli, 1983, pp. 188 ss.

[3] V. l’indagine, anche storica, di G. CHIOVENDA, Sulla provvisoria esecuzione, cit., pp. 301 ss.

[4] C. CALVOSA, In tema di provvedimenti cautelari innominati, in Riv. dir. proc., 1949, II, pp. 210 ss. Secondo l’A., le inibitorie “sono veri e proprii provvedimenti cautelari, distinti dai nominati per una loro minore intensità, ma pur sempre provvedimenti cautelari” (p. 212), adottati in ragione della “necessità di costituire uno stato di conservazione onde impedire che il presunto titolare del diritto possa subire danno irreparabile dal mutamento dello stato di fatto sia per effetto di un’attività della controparte sia per effetto di un provvedimento giurisdizionale” (p. 215). Le inibitorie sono caratterizzate dalla “precarietà”, dalla sommarietà della cognizione e dalla strumentalità. Poiché l’art. 683, comma 2, c.p.c. (secondo il quale il sequestro diventava inefficace se con sentenza passata in giudicato era dichiarato inesistente il diritto a cautela del quale era stato concesso) “è norma di carattere generale, la quale, dettata dal legislatore per il sequestro, riproduce un principio generale relativo a tutti i provvedimenti cautelari” (p. 218), l’inferenza del sillogismo era che “la sospensione della esecuzione della sentenza opposta di terzo permane sino alla sentenza definitiva ancorchè, in primo grado, sia stata respinta la opposizione del terzo (…). Invero, a proposito della sentenza di primo grado che abbia respinto l’opposizione del terzo, si riproduce la stessa situazione giuridica che si verifica quando, rigettata la domanda di merito, il sequestro, concesso nella procedura di primo grado od anteriormente al giudizio, permane ove la sentenza di primo grado venga impugnata” (p. 219).

[5] Riporto il testo originario dell’art. 282 c.p.c.: «1. Su istanza di parte, la sentenza appellabile può essere dichiarata provvisoriamente esecutiva tra le parti, con cauzione o senza, se la domanda è fondata su atto pubblico, scrittura privata riconosciuta o sentenza passata in giudicato, oppure se vi è pericolo nel ritardo. 2. L’esecuzione provvisoria deve essere concessa, sempre su istanza di parte, nel caso di sentenze che pronunciano condanna al pagamento di provvisionali o a prestazioni alimentari, tranne quando ricorrono particolari motivi per rifiutarla».

[6] Sulla “funzione lato sensu cautelare” della clausola, se concessa in ragione del pericolo nel ritardo, v. F. CARPI, La provvisoria esecutorietà della sentenza, Milano, 1979, pp. 49 ss., che tuttavia negava – del tutto condivisibilmente – trattarsi di misura anche strutturalmente cautelare, in quanto, a tacer d’altro, fondata sulla cognizione piena, anziché sommaria, del diritto controverso.

[7] A. CONIGLIO, Riflessioni in tema di esecuzione provvisoria delle sentenze, in Scritti giuridici in onore di Francesco Carnelutti, II, Padova, 1950, p. 290.

[8] Sotto il codice abrogato (come sotto quello vigente fino alla riforma del 1990), il riesame della clausola da parte del giudice d’appello era soggetto ad “una sola limitazione logica”, coerente con la natura dell’inibitoria: “poiché questa è naturalmente separata dal giudizio sul merito della sentenza appellata (cioè sull’esistenza del rapporto giuridico dichiarato), così l’inibitoria non deve pregiudicare l’esame di merito, non deve affermare l’inesistenza del rapporto giuridico dichiarato in primo grado, ma ammettendolo come esistente, affermerà l’inesistenza dei presupposti speciali dell’esecuzione provvisoria (…)”. E così, ad es., “se anche il debito esiste, esso non risulta dalla scrittura riconosciuta” (G. CHIOVENDA, Sulla provvisoria esecuzione, cit., p. 308).

[9] S. SATTA, Commentario al codice di procedura civile, II, 2, Milano, 1966, p. 349.

[10] Sulla distinzione tra effetti principali ed effetti secondari della sentenza v. E.T. LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile. Principi5, Milano, 1992, p. 270. I primi sono quelli dichiarativi, costitutivi o di condanna propri della decisione; i secondi “sono disposti dalla legge come conseguenza immediata e automatica di taluno degli effetti principali. Gli effetti secondari non sono oggetto di domanda delle parti, né di apposita pronuncia, poiché non dipendono da proprie condizioni, né da un’autonoma valutazione del giudice, ma seguono ex lege al prodursi dell’effetto principale a cui accedono” (ad es., la sentenza di condanna costituisce titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale). L’insigne processualista colloca l’efficacia esecutiva della sentenza di condanna, “che è un’efficacia costitutiva di contenuto processuale”, tra gli effetti principali della decisione (p. 269). Tuttavia, attualmente l’esecutività è conferita dalla legge, non dal giudice; non richiede l’istanza di parte, né un provvedimento del giudice (diversamente da quanto avveniva prima della riforma del 1990, con la concessione della c.d. clausola: v. infra nel testo). L’efficacia esecutiva ex lege non rappresenta, d’altronde, un carattere indefettibile della condanna: l’art. 205 r.d. 11 dicembre 1933 n. 1775 prevede che le sentenze del tribunale regionale delle acque pubbliche possano essere dichiarate esecutive ad istanza di parte, salvo che siano pronunciate a carico dell’amministrazione statale. Sulla legittimità costituzionale della disposizione, censurata dal giudice a quo con riferimento agli art. 3 e 24 Cost., v. Corte cost., 10 marzo 2006, n. 101, in Giust. civ., 2007, I, p. 1585, che ha escluso “l’esistenza di un principio costituzionale di necessaria esecutorietà provvisoria delle sentenze di primo grado”.

[11] L’esecuzione provvisoria è stata inquadrata tra gli effetti, propri della sentenza soggetta a gravame, “che servono a preparare o preservare la situazione finale e l’interesse giuridico ad esse relativo, qualificandosi come effetti preliminari”; serve a prevenire “il pregiudizio che il ritardo della realizzazione dell’interesse giuridico in corso di accertamento potrebbe comportare” (A. FALZEA, Efficacia giuridica, in Enc. dir., XIV, Milano, 1965, p. 508).

[12] F. CARPI, La provvisoria esecutorietà, cit., p. 275.

[13] Cass., 25 febbraio 2005, n. 4060.

[14] Cass., 3 luglio 2015, n. 13774.

[15] Cass., 16 giugno 2017, n. 15004.

[16] Cass., Sez. un., 3 giugno 1997, n. 4954. In tal senso v. già Cass., Sez. un., 6 novembre 1984, n. 5603, in Foro it., 1985, I, c. 2056.

[17] G. IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l’inibitoria nel processo civile, ed. agg., Milano, 2010, pp.  432 ss. Sulla funzione anticipatoria delle inibitorie v. già F. CARPI, La provvisoria esecutorietà, cit., pp. 241 ss.

[18] Per considerazioni parzialmente analoghe in tema di sospensione dell’esecuzione della deliberazione impugnata ex art. 2378 c.c. v. U. COREA, La sospensione delle deliberazioni societarie nel sistema della tutela giurisdizionale, Torino, 2008, pp. 216 ss.

[19] Nota F. CARPI, La provvisoria esecutorietà, cit., p. 247 a proposito delle ipotesi di sospensione dell’efficacia di atti collegiali impugnati (artt. 23, 1109, 2378 c.c.) come “vi sia un elemento finalistico, che le accomuna fra loro e con gli altri casi di inibitoria dell’esecutorietà di provvedimenti giudiziali, e cioè l’anticipazione di un aspetto del provvedimento di merito allo scopo di conservare la situazione precedente l’atto impugnato. Il giudice (…) arresta l’efficacia o l’esecutorietà, a seconda dei casi, per impedire che il mutamento che si verificherebbe nel mondo giuridico, a seguito di quella sentenza, provvedimento od atto, di cui è chiesto l’annullamento, arrechi pregiudizio (…) a colui o coloro che chiedono nel frattempo giustizia”. Mediante la sospensione della sentenza impugnata “viene attuata l’anticipazione dell’effetto ablativo del provvedimento finale di merito per ciò che riguarda l’efficacia o l’esecutorietà dell’atto impugnato, a scopo conservativo della situazione sostanziale delle parti, e quindi cautelare”. Il provvedimento sospensivo “non è autonomo né fine a se stesso”, ma eroga “una tutela interinale, strumentale, di modo che la sua struttura è quella dei provvedimenti giurisdizionali interlocutori” (op. cit., p. 323).

[20] Per effetto della modifica dei commi 6 e 8 dell’art. 669 octies c.p.c., il regime di strumentalità attenuata è stato esteso “ai provvedimenti di sospensione dell’efficacia delle delibere assembleari adottati ai sensi dell’art. 1137, quarto comma, del codice civile” ed ai “provvedimenti cautelari di sospensione dell’efficacia delle deliberazioni assunte da qualsiasi organo di associazioni, fondazioni o società”.

[21] L. MONTESANO, I provvedimenti d’urgenza nel processo civile, Napoli, 1955, pp. 46 s.; A. PROTO PISANI, I provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c., in Appunti sulla giustizia civile, Bari, 1982, pp. 364 s.; F. TOMMASEO, I provvedimenti d’urgenza. Struttura e limiti della tutela anticipatoria, Padova, 1983, p. 185; G. ARIETA, I provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c.2, Padova, 1985, pp. 93 ss.

[22] A norma dell’art. 520 c.p.c. 1865, il ricorso per cassazione non sospendeva l’esecuzione della sentenza impugnata, salvo che nei casi di arresto personale e di querela di falso (G. IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione, cit., pp. 77 ss.).

[23] Mi riferisco ad App. Bologna, 11 gennaio 1937, della quale dà conto D.L. BIANCO, in Riv. dir. proc. civ., 1938, II, pp. 77 s., osservando adesivamente che il sequestro conservativo a mani proprie presuppone due crediti reciproci, contemporaneamente esistenti. “Ma, nel caso nostro, questa duplicità e contemporanea esistenza è assolutamente impossibile, perché: o c’è il credito della parte vittoriosa (oggetto del sequestro), e allora vuol dire che la parte condannata non ha ancora pagato, e quindi manca la (possibilità della) sussistenza del credito a suo favore (scopo del sequestro); oppure c’è la eventualità del credito della parte condannata, ma allora vuol dire che essa ha pagato, e quindi manca il credito della parte vittoriosa, perché il pagamento lo ha estinto”.

[24] Cfr. A. CONIGLIO, Il sequestro giudiziario e conservativo3, Milano, 1949, p. 51, testo e nt. 1, per il quale “nessun caso è più originale” di quello deciso dalla corte bolognese.

[25] Cass., 25 giugno 1988, n. 4293.

[26] Trib. Bari, 2 febbraio 2012, in Foro it., 2013, I, c. 1046, con nota di M. BRUNIALTI. Nella specie, in pendenza dell’opposizione a decreto ingiuntivo la creditrice otteneva dichiarazione di esecutività ex art. 648 c.p.c. del provvedimento monitorio e, in esito ad espropriazione presso terzi, si rendeva assegnataria del credito vantato dalla debitrice verso il terzo pignorato. La debitrice, deducendo la probabile fondatezza dell’opposizione ed il fondato timore di non poter utilmente ripetere il pagamento coattivo (stante la deficitaria situazione patrimoniale della creditrice), chiedeva ed otteneva dal giudice istruttore il sequestro conservativo dei beni della creditrice fino alla concorrenza della somma pagata, a cautela del suo diritto alla ripetizione dell’indebito. La creditrice proponeva reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c., accolto dal collegio sull’assorbente rilievo che il periculum in mora non poteva ritenersi provato mediante la produzione del rapporto informativo, redatto da una società specializzata, circa la situazione patrimoniale della reclamante. Nella motivazione, il tribunale dà peraltro conto della cautelabilità mediante il sequestro conservativo del credito restitutorio vantato dall’opponente a decreto ingiuntivo, il quale abbia subito l’esecuzione forzata nelle more del giudizio a seguito dell’adozione del provvedimento ex art. 648 c.p.c. “Dalla consolidata giurisprudenza di legittimità e di merito si sostiene tradizionalmente che per legittimare la concessione del sequestro conservativo occorre l’esistenza di un credito, anche non liquido od esigibile, purché attuale, ossia non meramente ipotetico o eventuale, tale dovendo intendersi, ovviamente, non il credito già accertato, ma quello, per esempio restitutorio, che, a prescindere dalla maggiore o minore verosimiglianza o probabilità di fondatezza (il che integra la separata e successiva indagine sul fumus boni iuris della cautela richiesta), si colleghi ad un rapporto giuridico già esistente tra le parti e portato alla cognizione del giudice. D’altro canto, se è largamente ammessa in dottrina e giurisprudenza la tutelabilità in sede cautelare del credito condizionale, sempreché assistito dalla probabilità del verificarsi della condizione, non si vede quale superiore ragione giuridica vieti di estendere la tutela in discorso anche alle mere ragioni di credito che discendono da un rapporto obbligatorio pendente, ovvero subordinato al verificarsi di un evento futuro e incerto o sub iudice (cfr. Cass.28 gennaio 1994, n. 864), come deve ritenersi accada in relazione al diritto alla restituzione vantato dal debitore opponente per le somme già attribuite in via esecutiva al creditore opposto, ancorché condizionato all’accoglimento anche parziale dell’opposizione”. Né rileva in contrario il precedente deciso da Cass., 25 giugno 1988, n. 4293, perché “tale posizione interpretativa, peraltro pienamente condivisibile, nega solo la tutelabilità cautelare delle ragioni del debitore già condannato con sentenza di primo grado, a tal fine opportunamente valorizzando l’accertamento a cognizione piena, ancorché non definitivo, contenuto nella pronuncia di merito, che «in quanto accertamento cui il giudice è pervenuto dopo completa indagine in fatto ed approfondita argomentazione in diritto, e quindi da ritenersi esatto fino ad una diversa decisione in sede di impugnazione», è tale da inibire in radice il contrastante apprezzamento sommario del fumus boni iuris necessario per la concessione della misura cautelare. A diverse conclusioni può e deve invece pervenirsi in relazione al pagamento eseguito in forza di un decreto ingiuntivo dichiarato provvisoriamente esecutivo, cui, all’interno del primo stadio della cognizione piena sul credito (il giudizio di opposizione ex art. 645 c.p.c.), non è possibile riconoscere una forza di accertamento, ossia di incisione nella realtà giuridica sostanziale, pari alla sentenza di primo grado e tale quindi da inibire in assoluto una favorevole valutazione del fumus boni iuris finalizzata alla cautela per sequestro del controcredito restitutorio che il debitore opponente ritiene gli sarà riconosciuto all’esito del giudizio di merito, atteso che, a ben guardare, il titolo «provvisorio» di cui è munito il creditore opposto scaturisce da nient’altro che da una prima delibazione sommaria in contraddittorio circa la meritevolezza delle ragioni di quest’ultimo, concentrata essenzialmente nella verifica negativa della prova scritta inizialmente offerta dall’opponente o della pronta soluzione dell’opposizione (art. 648 c.p.c.), ovvero dell’insussistenza di «gravi motivi» (art. 649 c.p.c.)”.

[27] La fattispecie è stata esaminata da Trib. Palermo, 7 aprile 2021, in www.dejure.it. L’appellante chiedeva l’inibitoria, ma pagava il dovuto prima dell’emissione dell’ordinanza sospensiva. Agiva quindi in via monitoria contro l’appellato, per la ripetizione del preteso indebito. Il decreto ingiuntivo è stato revocato, atteso che “nessun diritto di credito può sorgere in capo alla parte appellante in forza dell’ordinanza di sospensione emessa dal giudice d’appello ai sensi degli artt. 283 e 351 c.p.c. È evidente, infatti, che il provvedimento con il quale il giudice d’appello sospende l’efficacia esecutiva o l’esecuzione (se già iniziata) della sentenza di primo grado, stante la sua natura interinale e non decisoria, non può generare l’effetto dichiarativo o la costituzione di un diritto in capo all’appellante che ha impugnato la sentenza, in quanto tale effetto può derivare solo dalla sentenza di appello che riforma la stessa sentenza di primo grado”. Si consideri che nella specie l’appello veniva rigettato, pendente l’opposizione a decreto ingiuntivo; se fosse stato accolto, la riforma della sentenza avrebbe reso indebito il pagamento: per l’accoglimento della domanda è infatti sufficiente che il diritto esista al tempo della decisione. Nel senso che l’inibitoria non attribuisce all’appellante il diritto alla restituzione dell’anteriore pagamento, neppure se eseguito con espressa riserva di ripetizione in caso di accoglimento dell’istanza di sospensione, v. App. Palermo, 15 febbraio 2017, in www.dejure.it.

[28] “La legittimazione a chiedere il sequestro conservativo spetta solo a chi sia titolare di un credito attuale, ancorché non esigibile. Non è, pertanto, legittimato l’eventuale erede di un soggetto nel caso in cui beni di quest’ultimo abbiano formato oggetto di alienazione da parte dell’erede legittimo, non configurandosi tra dette parti un rapporto in virtù del quale alla prima possa essere attribuita la qualifica di creditore dell’altra” (Cass., 28 gennaio 1994, n. 864, in Giust. civ., 1994, I, p. 1203). “A legittimare la concessione del sequestro conservativo occorre l’esistenza di un credito, anche se non liquido od esigibile, purchè attuale, ossia non meramente ipotetico od eventuale” (Cass., 20 novembre 1970, n. 2445, in CED Cassazione, rv. 348697-01).

[29] A proposito dell’azione revocatoria, si ritiene che la legittimazione spetti anche al titolare di un credito meramente eventuale, come quello del fideiussore che non abbia ancora pagato il creditore e, quindi, non abbia ancora acquistato il diritto di regresso nei confronti del debitore principale (R. NICOLO’, Dell’azione revocatoria, in Commentario del codice civile, a cura di A. Scialoja-G. Branca, Bologna-Roma, 1959, pp. 205 ss.). Tali considerazioni sono state estese al sequestro conservativo, che con la revocatoria condivide la natura di mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale (R. CONTE, Il sequestro conservativo, in AA.VV., I procedimenti sommari e speciali, a cura di S. Chiarloni-C. Consolo, II, 2, Torino, 2005, pp. 1001 ss.).

[30] “Quando il completamento della fattispecie viene a dipendere dall’avveramento di fatti giuridici futuri, il diritto assicura una particolare tutela all’interesse che il soggetto ha a che la fattispecie si completi e a che consegua gli effetti a questa ricollegati dalla legge. Si individuano così due elementi essenziali al fine della configurabilità della situazione in esame: in primo luogo, il fatto, che funge da elemento che perfeziona la fattispecie, deve essere solo futuro, non essendo necessario che sia anche incerto. In secondo luogo, è indispensabile che il verificarsi dell’evento suddetto non dipenda dalla volontà dei soggetti tra cui si è instaurato il rapporto giuridico” [R. NICOLO’, Aspettativa (diritto civile), in Enc. giur., III, Roma, 1988, p. 2].

[31]  Cass., 4 ottobre 2022, n. 28778. Per intendere il principio occorre richiamare la precedente conforme massima: “Il termine di prescrizione del diritto alla restituzione delle somme pagate in esecuzione della sentenza di condanna di primo grado, riformata in appello, comincia a decorrere, ai sensi dell’art. 2935 c.c., dalla data di pubblicazione della sentenza di riforma in ragione dell’immediata efficacia di quest’ultima, ed è interrotto dalla notifica dell’atto di appello, con effetti permanenti fino al passaggio in giudicato, solo a condizione che in tale atto (o successivamente, in caso di esecuzione avviata dopo la proposizione dell’impugnazione) sia stata espressamente formulata la richiesta di restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado; in assenza di tale domanda, infatti, non può operare automaticamente l’effetto interruttivo previsto dal combinato disposto degli artt. 2943 e 2945 c.c., in quanto il diritto alla restituzione non ha alcuna correlazione con lo specifico rapporto controverso in appello, trovando la sua fonte in un fatto nascente dal processo (l’avvenuta esecuzione di un titolo giudiziale poi riformato), che potrebbe del tutto mancare (o, comunque, sopravvenire) al momento dell’impugnazione, con la conseguenza che tale fatto deve essere autonomamente portato alla cognizione del giudice di appello” (Cass., 25 ottobre 2018, n. 27131: nella specie, la S.C. ha confermato la statuizione del giudice di merito, che aveva ritenuto prescritto il diritto alla restituzione di somme pagate in esecuzione di una sentenza definitivamente riformata, in quanto la relativa domanda era stata formulata per la prima volta mediante un autonomo giudizio, instaurato dopo più di dieci anni dalla pubblicazione della sentenza di riforma). Prima della modifica dell’art. 336, comma 2, c.p.c., l’efficacia esecutiva della condanna alla restituzione, pronunciata dal giudice d’appello, era invece subordinata al passaggio in giudicato della pronuncia (Cass., Sez. un., 9 maggio 1991, n. 5186).

[32] “La domanda di restituzione, a seguito di riforma in appello, delle somme versate in esecuzione della sentenza di primo grado, in considerazione della natura soltanto provvisoria della esecuzione, può essere proposta nella stessa fase di gravame (…). A tal fine non rileva se la riforma della sentenza sia avvenuta per ragioni di rito o di merito, atteso che il potere del giudice di condannare la parte alle restituzioni deriva, in applicazione delle norme sopra richiamate, da motivi di economia processuale e trova fondamento nell’accoglimento dell’appello e non nella natura della decisione” (Cass., 13 luglio 2004, n. 12905; adde Cass., 30 ottobre 2020, n. 24171). Se la sentenza è riformata o cassata siccome affetta da errores in procedendo, l’esecuzione forzata nelle more compiuta risulta ingiusta per difetto sopravvenuto di titolo esecutivo, non per accertata inesistenza del diritto sostanziale. Ad es., cassata con rinvio la sentenza per pretermissione di un litisconsorte necessario, la parte ha diritto all’immediata restituzione del pagamento, anche se nella successiva fase rescissoria potrà essere condannata. L’esecuzione in corso diventa improcedibile e la parte vittoriosa potrà promuoverne una nuova, in forza del nuovo titolo esecutivo costituito dalla decisione di condanna emessa in sede di rinvio.

[33] M. CIRULLI, La sospensione del processo esecutivo, Milano, 2015, pp. 108 ss.

[34] A. CARRATTA, Procedimento cautelare uniforme, in AA.VV., I procedimenti cautelari, a cura di ID., Bologna, 2013, pp. 96 s.

[35] A. PROTO PISANI, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, p. 393.

[36] Sull’origine della regola nel diritto romano-imperiale ed in quello comune e sulle relative eccezioni v. G. CHIOVENDA, Sulla provvisoria esecuzione, cit., pp. 311 ss.; F. CARPI, La provvisoria esecutorietà, cit., pp. 23 ss.; G. IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione, cit., pp. 24 ss.

[37] G. CHIOVENDA, Sulla provvisoria esecuzione, cit., p. 312.

[38] A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti4, Milano, 2003, pp. 13 ss.

[39] S. MAZZAMUTO, Dell’esecuzione forzata, in Commentario del codice civile e codici collegati Scialoja-Branca-Galgano, a cura di G. De Nova, Bologna, 2020, p. 19.

[40] Corte cost., 26 maggio 1981, n. 76.

[41] Corte cost., 27 luglio 1994, n. 353.

[42] E’ sospendibile ex art. 401 c.p.c. anche l’esecuzione della condanna pronunciata dalla S.C. in sede di cassazione sostitutiva, se impugnata con la revocazione (Cass., 17 settembre 2015, n. 18300, in Giur. it., 2016, p. 2618, con note di A. MARCHESELLI e G. RICCI; in Riv. dir. proc., 2016, p. 1682, con nota di T.M. PEZZANI).

[43] Sul tema v., anche per i necessari riferimenti, M. CIRULLI, La caducazione del contratto tra cognizione ed esecuzione, I, in Rass. es. forz., 2022, pp. 671 ss.

[44] “L’interdizione e l’inabilitazione producono i loro effetti dal giorno della pubblicazione della sentenza” (art. 421 c.c.). A mio avviso, anche la sentenza che accoglie l’opposizione all’esecuzione produce immediatamente effetto caducatorio degli atti esecutivi compiuti ed impone la cancellazione della trascrizione del pignoramento (M. CIRULLI, Le opposizioni nel processo esecutivo, Milano, 2018, pp. 292 ss.). A norma dell’art. 51 c.c.i.i. (già art. 19 l.fall.), proposto reclamo contro la sentenza che dichiara aperta la liquidazione giudiziale, “la corte di appello, su richiesta di parte o del curatore, può, quando ricorrono gravi e fondati motivi, sospendere, in tutto o in parte o temporaneamente, la liquidazione dell’attivo, la formazione dello stato passivo e il compimento di altri atti di gestione. Allo stesso modo può provvedere, in caso di reclamo avverso la omologazione del concordato preventivo o degli accordi di ristrutturazione dei debiti, ordinando l’inibitoria, in tutto o in parte o temporanea, dell’attuazione del piano o dei pagamenti”.

[45] Così, a tacer d’altri, E.T. LIEBMAN, Manuale5, cit., p. 268; A. ATTARDI, Diritto processuale civile, I, Padova, 1994, p. 431; S. MENCHINI, Regiudicata civile, in Dig. civ., XVI, Torino, 1997, pp. 417 ss.

[46] Secondo G. MARTINETTO, Gli accertamenti degli organi esecutivi, Milano, 1963, p. 273, l’ordinanza dichiarativa dell’estinzione diventava esecutiva se non reclamata o se il reclamo fosse stato dichiarato inammissibile, con pronuncia di primo grado dichiarata provvisoriamente esecutiva o resa in appello: “invero tali sentenze, essendo dotate di efficacia esecutiva, vengono a legittimare la realizzazione del contenuto dell’ordinanza di estinzione del processo esecutivo”.

[47] Nel testo vigente prima della riforma Cartabia, l’art. 669 novies, comma 2, c.p.c. prevedeva che, ove fosse sorta contestazione circa l’inefficacia della misura cautelare, il giudice provvedesse con sentenza “provvisoriamente esecutiva”: ma non era esecutiva la dichiarazione di inefficacia, bensì l’accessoria condanna ripristinatoria. L’impropria formula legislativa valeva, piuttosto, a rendere la sentenza di primo grado, fin dalla pubblicazione, produttiva dell’effetto immediatamente caducatorio del provvedimento cautelare, senza che a tal fine fosse necessario attendere il passaggio in giudicato (S. RECCHIONI, Diritto processuale cautelare, Torino, 2015, pp. 740 ss.; E. VULLO, Dei procedimenti cautelari in generale, in Commentario del codice di procedura civile, a cura di S. Chiarloni, Bologna, 2017, 312 s.). L’ordinanza che dichiara l’estinzione del giudizio di merito rende inefficace il sequestro conservativo, ancorchè sia ancora impugnabile; la sentenza che, in caso di contestazione, dichiara l’inefficacia e condanna al ripristino è immediatamente esecutiva; il giudice d’appello può sospendere ex art. 283 c.p.c. l’esecutività della pronuncia (Cass., Sez. un., 16 luglio 2012, n. 12103, in Corr. merito, 2013, p. 167, con nota di G. TRAVAGLINO).

[48] M. CIRULLI, Natura cognitiva del reclamo ex art. 630 c.p.c.: inquadramento sistematico e conseguenze applicative, in Riv. es. forz., 2022, pp. 736 ss., spec. 742.

[49] La mors litis è dichiarata con sentenza appellabile: a) nel caso previsto dall’art. 307, ultimo comma, c.p.c.; b) se il collegio rigetta il reclamo contro l’ordinanza del giudice istruttore dichiarativa dell’estinzione (art. 308, comma 2, c.p.c.). Nel secondo caso l’appello è soggetto al rito camerale ex art. 130 disp. att. c.p.c.: va pertanto proposto con ricorso (Cass., Sez. un., 8 ottobre 2013, n. 22848, in Foro it., 2013, I, c. 3101, con nota di C.M. BARONE; ivi, 2014, I, c. 2503, con nota di A. PROTO PISANI; in Riv. dir. proc., 2014, p. 1546, con nota di A. TEDOLDI). Non è previsto un sub-procedimento di inibitoria. E’ da ritenersi che la sospensione sia concedibile con il provvedimento con il quale il collegio “autorizza le parti a presentare memorie, fissando i rispettivi termini”. Ha contenuto sostanziale di sentenza appellabile l’ordinanza con la quale il tribunale in composizione monocratica dichiara l’estinzione. Nella specie l’appello è soggetto al rito ordinario, con conseguente applicabilità dell’art. 351 c.p.c.

[50] La cancellazione dell’ipoteca va infatti eseguita “quando è ordinata con sentenza passata in giudicato o con altro provvedimento definitivo emesso dalle autorità competenti” (art. 2884 c.c.). Invece la cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale si esegue quando “è ordinata giudizialmente con sentenza passata in giudicato (…) o il processo sia estinto per rinunzia o per inattività delle parti” (art. 2668, commi 1 e 2, c.c.). Si ritiene, tuttavia, che la cancellazione sia ineseguibile prima che il provvedimento dichiarativo dell’estinzione sia divenuto definitivo (R. TRIOLA, sub art. 2668, in Commentario del codice civile. Della tutela dei diritti, a cura di G. Bonilini-A. Chizzini, I, Milanofiori Assago, 2016, pp. 236 s.; P. BOERO, La cancellazione, in Trattato della trascrizione, diretto da E. Gabrielli-F. Gazzoni, III, Milanofiori Assago, 2014, pp. 220 s.).

[51] Cass., 27 marzo 2018, n. 7576.

[52] Si discute se, concessa l’inibitoria e successivamente rigettata l’impugnazione, la parte vittoriosa abbia diritto alla penale liquidata dalla sentenza confermata, anche per il periodo in cui l’efficacia ne è rimasta sospesa. Lo esclude C. CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile11, II, Torino, 2017, pp. 522 ss., che riconosce alla parte vittoriosa, per tale periodo, il diritto al risarcimento del danno.

[53] E. GARBAGNATI, Il procedimento d’ingiunzione, Milano, 1991, p. 223.

[54] Cass., Sez. un., 18 settembre 2020, n. 19596, in www.judicium.it., con nota di M. MAGLIULO; in Corr. giur., 2021, p. 559, con nota di M. STELLA; in Giur. it., 2021, p. 338, con nota di V. AMENDOLAGINE.

[55] In argomento v. G. MICCOLIS-B. CAPPONI-M. FARINA-A. TEDOLDI-U. COREA-C. DELLE DONNE, A più voci sul regime della sentenza che rigetta l’opposizione a decreto ingiuntivo, già provvisoriamente esecutivo ex artt. 642 o 648 c.p.c., e della relativa inibitoria, in Rass. es. forz., 2021, pp. 435 ss.

[56] App. L’Aquila, 28 luglio 2004, in P.Q.M., 2004, 2/3, p. 39, con nota di M. CIRULLI ha perciò dichiarato inammissibile l’istanza ex art. 373 c.p.c. contro sentenza di rigetto dell’appello avverso decisione di condanna. Secondo la pronuncia, è sospendibile l’esecuzione della sola condanna pronunciata in appello; l’eventuale inibitoria della decisione di rigetto dell’appello non si estende alla condanna confermata. In tal senso anche App. Roma, 22 gennaio 2018, in Riv. es. forz., 2018, p. 615, con nota di R. MARTINO; App. Bologna, in Riv. es. forz., 2015, p. 96, con nota di R. VACCARELLA.

[57] Cass., 14 novembre 2022, n.  33443; Cass., 13 novembre 2018, n. 29021.

[58] S. CHIARLONI, Appello (diritto processuale civile), in Enc. giur., II, Roma, 1995, p. 24; M. CIRULLI, Effetti della riforma o della cassazione della sentenza di condanna sul processo esecutivo in corso, in Giusto proc. civ., 2016, pp. 1223 ss.; S. SORACE, Brevi riflessioni sull’ambito oggettivo dell’inibitoria ex art. 373 c.p.c., in www.judicium.it, 25 luglio 2024.

[59] App. Palermo, 15 febbraio 2019, in Not., 2019, p. 179; App. Cagliari, 23 dicembre 2013, ivi, 2014, p. 84; App. Bologna, 5 ottobre 2011, ivi, 2012, p. 223.

[60] V. ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile3, IV, Napoli, 1964, p. 467. In tal senso (soggiungendo che prima della proposizione del reclamo il potere sospensivo spetta al medesimo giudice, monocratico o collegiale, che ha dichiarato esecutivo il provvedimento, e che in tal caso il reclamo non ha effetto sospensivo) anche G.A. MICHELI, Camera di consiglio (diritto processuale civile), in Enc. dir., V, Milano, 1959, p. 996; F. MAZZACANE, La giurisdizione volontaria nella attività notarile6, Roma, 1986, p. 73; L. LAUDISA, Camera di consiglio (diritto processuale civile), in Enc. giur., V, Roma, 1988, p. 7; G. ARIETA, Procedimenti in camera di consiglio, in Dig. civ., XIV, Torino 1996, p. 457; E. VULLO, I procedimenti in camera di consiglio, in AA.VV., Diritto processuale civile, diretto da L. Dittrich, IV, Milano, 2019, p. 4970. Nella giurisprudenza edita ha ammesso la sospensione dell’efficacia del decreto, dichiarato immediatamente esecutivo dal tribunale, di revoca degli amministratori e sindaci di società di capitali e di nomina di amministratore giudiziario ex art. 2409 c.c., fino alla decisione sul reclamo camerale App. Roma, 10 agosto 2000, in Soc., 2001, p. 438, con nota di A. PATELLI.

[61] Questo è uno dei possibili significati dell’espressione “anche alla possibilità di insolvenza di una delle parti”, che a norma dell’art. 283, comma 1, c.p.c. deve essere valutata ai fini della concessione o del diniego dell’inibitoria, pur quando la condanna ha ad oggetto il pagamento di una somma di denaro. La legge vuole intendere che l’esecuzione è sospendibile se l’appellato è insolvente (in senso atecnico: può essere impossidente, o possidente ma gravato da ipoteche e pignoramenti; paradossalmente il creditore fallito non può essere, invece, considerato insolvente, perché le somme riscosse dalla procedura per effetto di provvedimenti provvisoriamente esecutivi e non ancora passati in giudicato non sono ripartibili in sede concorsuale, a norma dell’art. 227, comma 3, c.c.i.i.) e quindi non può restituire il pagamento indebito. Al contrario, il rischio che l’appellante diventi insolvente (nel senso che non può adempiere le sue obbligazioni verso terzi) nelle more del giudizio può costituire una valida ragione per negare l’inibitoria (G. BALENA, Il processo ordinario di cognizione, in G. BALENA-M. BOVE, Le riforme più recenti del processo civile, Bari, 2006, p. 112).

[62] Per la sufficienza, invece, dell’uno o dell’altro presupposto, v. A. RONCO, Il giudizio di appello (e le disposizioni sulle impugnazioni in generale), in Giur. it., 2023, pp. 726 s., secondo il quale, come nella fattispecie dell’art. 373 c.p.c., il giudice d’appello potrebbe sospendere “anche solo al ricorrere del rischio di danno”. Anche S. BOCCAGNA, Le nuove norme sulle impugnazioni in generale e sul giudizio di appello, in Riv. dir. proc., 2023, pp. 658 s. considera ormai superata la logica dei c.d. vasi comunicanti (sulla quale v. infra), talchè «il livello massimo, rispettivamente, di fumus e di periculum, rappresentato dalla manifesta fondatezza dell’impugnazione e dal pregiudizio grave e irreparabile, sia richiesto solo allorchè la sospensione si fondi “alternativamente” su uno solo dei due presupposti». G. PIROTTA, Recenti applicazioni della sospensione ex art. 283 c.p.c. dopo la riforma Cartabia, in Dir. proc. civ. it. comp., 2025, 1, p. 5 ritiene che “l’alternatività di fumus e periculum abbia contemperato la severità complessiva dell’accertamento, legittimando persino sospensive funzionali ad impugnazioni totalmente infondate”: ma nella nt. 15 ritiene l’inibitoria non concedibile quando l’appello sia manifestamente infondato, benchè dall’esecuzione possa derivare danno grave ed irreparabile.

[63] F. AULETTA, Diritto giudiziario civile2, Bologna, 2020, p. 398.

[64] Sostanzialmente in termini A. TEDOLDI, Impugnazioni in generale e appello, in AA.VV., Il processo civile dopo la riforma Cartabia, a cura di A. Didone-F. De Santis, Milano, 2023, pp. 289 s. (per il quale “è sufficiente il fumus appellationis a fondare l’inibitoria, chè l’esecuzione di una sentenza ingiusta e manifestamente erronea è malum in se; quando l’erroneità della sentenza impugnata e la fondatezza prima facie dell’appello non siano evidenti ictu oculi, la sussistenza di un serio periculum in mora, declinato in termini di pregiudizio grave e irreparabile, anche per il rischio di insolvenza (lato sensu) di una delle parti (…), l’inibitoria andrà concessa, salvo che l’appello appaia manifestamente infondato e dilatorio”); E. ODORISIO, L’appello, in AA.VV., Diritto processuale civile, II, a cura di G. Ruffini, Bologna, 2024, p. 414 (il quale osserva che se l’appello è manifestamente infondato la sentenza va eseguita, benchè ne derivi danno grave ed irreparabile, mentre la manifesta fondatezza del gravame può – ma a mio avviso deve – giustificare l’inibitoria benchè difetti l’estermo del pregiudizio).

[65] A proposito dell’art. 283 c.p.c., nel testo anteriore alla riforma Cartabia, C. CONSOLO, Spiegazioni11, cit., II, p. 522 interpretava la locuzione “gravi e fondati motivi” nel senso di “rendere più severa la delicata verifica devoluta in limine gravaminis al giudice di appello, e avvalora ulteriormente l’impostazione per cui prognosi di fondatezza della prospettiva di una sostanziale riforma e ponderazione dei rispettivi pregiudizi e pericula devono avvenire entrambe e, all’occorrenza, bilanciarsi secondo la metafora dei “vasi comunicanti” (l’appello, cioè, deve essere serio e minaccioso e il pregiudizio non banale e/o normale; ma al crescere dell’un elemento l’altro può attenuarsi, anche se mai del tutto)”. Analogamente per F.P. LUISO, Diritto processuale civile10, II, Milano, 2019, p. 409 “la fattispecie sospensiva riguarda da un lato il pregiudizio che l’adempimento arrecherebbe alla parte condannata, dall’altro il fumus di fondatezza dell’appello. I due elementi si bilanciano a vicenda; quanto più forte è il pregiudizio, tanto meno è necessario che l’appello si riveli fondato; quanto più la delibazione dell’appello lo fa apparire fondato, tanto meno è necessario il pregiudizio derivante dall’esecuzione”. Per un non diverso argomentare cfr. G. VERDE, Diritto processuale civile5, II, Bologna, 2017, p. 211, per il quale “assume rilievo decisivo la prognosi sulla sorte dell’impugnazione (nel senso che quanto più appare prima facie fondata l’impugnazione, tanto più deve essere concessa la sospensione), mentre minore finisce con l’essere la considerazione da riservare al danno derivante dall’esecuzione (che, nella misura in cui si appalesa prima facie giusto, non è un danno rilevante)”.

[66] V. GAETA, L’inibitoria sempre più classista, in www.giustiziainsieme.it., 18 luglio 2023, § 5.

[67] Sul punto v. le considerazioni, anteriori alla riforma ma di persistente attualità, di G. IMPAGNATIELLO, I provvedimenti sull’esecuzione provvisoria, in Giur. it., 2019, p. 458.

[68] “Il processo (a parte i casi di sentenze costitutive, i quali del resto attuano anch’esse un preesistente diritto dell’attore al mutamento giuridico) non può servire, consapevole il giudice, a fabbricare nuovi rapporti giuridici: esso serve ad accertare e attuare rapporti precostituiti o ad accertare che non furono costituiti” (G. CHIOVENDA, Sulla “eccezione”, in Saggi di diritto processuale civile, cit., I, p. 154).

[69] Disento, quindi, da A. RONCO, Il giudizio di appello, cit., p. 727 quando afferma che, “proprio in relazione alla possibile insolvenza di una delle parti, viene naturale osservare (anche se il rilievo non tocca direttamente la riforma) che, attraverso il grimaldello di questo requisito, il vittorioso in primo grado, se povero, si direbbe sempre esposto a veder differire sino all’esito dell’appello o, addirittura, del ricorso per cassazione, l’attuazione coattiva del diritto che gli è stato riconosciuto. Ad evitare questa odiosa implicazione, sarà quindi necessario prendere in esame comparativo anche il pregiudizio che il differimento dell’esecuzione potrebbe recare al nostro indigente (ed eventualmente anche alla sua famiglia): ed evitare la sospensione quando tale pregiudizio sia da ritenersi (su una scala di valori etici e sociali, la cui articolazione vedrà in prima linea la saggia valutazione del giudice) meno accettabile del rischio di infruttuosità della condictio indebiti”. A voler condividere questo ragionamento, il giudice richiesto dell’inibitoria dovrebbe sempre negare la misura quando fosse in contestazione un credito retributivo, che serve a garantire al prestatore un’esistenza libera e dignitosa (art. 36 Cost.): ma l’assunto è contrario al diritto positivo, che ammette la sospensione, pur subordinandola (proprio in ragione della natura del credito) alla sussistenza di un gravissimo danno per il datore di lavoro appellante (art. 431, comma 3, c.p.c.).

[70] F.P. LUISO, Diritto10, cit., II, p. 409; G. VERDE, Diritto5, cit., II, p. 211

[71] Informate rassegne sull’interpretazione dell’art. 649 c.p.c. possono leggersi in R. CONTE, Del procedimento d’ingiunzione, in Commentario del codice di procedura civile, a cura di S. Chiarloni, Bologna, 2012, pp. 379 ss.; A. RONCO, Procedimento per decreto ingiuntivo, in AA.VV., I procedimenti sommari e speciali, a cura di S. Chiarloni-C. Consolo, I, 1, Torino, 2005, pp. 461 s.

[72] Non sarebbe una novità: già nel 1986, negli Stati Uniti, un giudice si affidava ad un’equazione per concedere o negare la tutela cautelare (R. PARDOLESI, Analisi economica del diritto, in Dig. civ., I, Torino, 1987, p. 316).

[73] Ma a commento dell’art. 401 c.p.c. S. SATTA, Commentario, cit., II, 2, p. 343 afferma che “nel procedimento di sospensione non si può giudicare sull’ammissibilità della revocazione, salva la discrezionalità del giudice nel concedere la sospensione” (analoga osservazione circa la “irrilevanza della sospensione sulla ammissibilità dell’opposizione” è ripetuta a margine dell’art. 407: p. 368).

[74] In termini, con riferimento all’art. 401 c.p.c., v. M. RUSSO, Della revocazione, in Commentario del codice di procedura civile, a cura di S. Chiarloni, Bologna, 2018, pp. 180 ss.; con riferimento all’art. 407 c.p.c. v. G. OLIVIERI, Opposizione di terzo, in Dig. civ., XIII, Torino, 1995, p. 127 (contrario alla reclamabilità del provvedimento, che “pur avendo una funzione anticipatoria non è assimilabile – neppure in via analogica – ai provvedimenti cautelari”); C. CECCHELLA, L’opposizione del terzo alla sentenza, Torino, 1995, p. 155 (che invece ammette la reclamabilità ex art. 669 terdecies c.p.c. dell’ordinanza, in quanto “lato sensu strumentale agli effetti della sentenza di merito”). Conforme la giurisprudenza: “L’art. 407 c.p.c., nell’attribuire al giudice dell’opposizione il potere di disporre la sospensione del provvedimento impugnato rimanda alla disciplina di cui all’art. 373 c.p.c. La fattispecie regolata da tale disposizione subordina la sospensione della sentenza alla ricorrenza del grave ed irreparabile danno derivabile dalla sua esecuzione, in tal modo ponendo l’accento non solo sul fumus boni iuris bensì sulla gravità del pregiudizio che potrebbe derivare alla parte” (Trib. Palermo, 19 settembre 2016, in www.dejure.it). Anche nel caso esaminato da App. Roma, 7 gennaio 1994, in Foro it., 1994, I, c. 1186 l’inibitoria fu negata per difetto di fumus.

[75] “1. La corte di cassazione, con ordinanza pronunciata in camera di consiglio su istanza di parte, sentito il pubblico ministero, può sospendere l’esecuzione della sentenza soggetta a ricorso, quando dall’esecuzione stessa può derivare grave o irreparabile danno. 2. L’istanza di sospensione deve essere proposta nel ricorso contro la sentenza o con apposito ricorso, contenente, in caso di sentenza parziale, la dichiarazione di cui all’art. 361 se non è stata già fatta. 3. L’apposito ricorso deve essere proposto nelle forme ordinarie entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza”.

[76] “A richiesta dell’imputato o del responsabile civile, la corte di cassazione può sospendere, in pendenza del ricorso, l’esecuzione della condanna civile, quando può derivarne grave e irreparabile danno. La decisione sulla richiesta di sospensione della condanna civile è adottata dalla corte di cassazione con ordinanza in camera di consiglio”.

[77] “Se è proposto ricorso in revisione contro una sentenza dichiarata provvisoriamente esecutiva, il tribunale di revisione dispone, su istanza, che l’esecuzione forzata sia provvisoriamente sospesa se essa arrecherebbe al debitore un pregiudizio irreparabile e non vi sia un interesse prevalente del creditore. Le parti devono rendere credibili i presupposti di fatto”.

[78] V. ANDRIOLI, Le riforme del codice di procedura civile, Napoli, 1951, p. 125.

[79] V. ANDRIOLI, Commento3, cit., II, p. 556; S. SATTA, Commentario, cit., II, 2, p. 257; R. VACCARELLA, Esecutività della sentenza e inibitoria, in R. VACCARELLA-B. CAPPONI-C. CECCHELLA, Il processo civile dopo le riforme, Torino, 1992, p. 287; E. VULLO, Considerazioni in tema di irreparabilità del danno ai fini della sospensione dell’esecuzione della sentenza d’appello, in Giur. it., 1996, I, 2, cc. 251 ss. Predicano, invece, la necessaria estensione del sindacato giudiziale al fumus boni iuris C. CONSOLO, È sempre grave ed irreparabile – ex art. 373 c.p.c. – il danno conseguente al rilascio forzato di un immobile (o di un fondo) adibito ad attività di impresa?, in Giur. it., 1986, I, 2, c. 183; G. IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione, cit., pp. 514 ss.; F.P. LUISO, Diritto10, cit., II, p. 469; B. CAPPONI, L’art. 373 c.p.c. sul riflesso dell’art. 283 c.p.c., in www.judicium.it, 11 ottobre 2023, p. 7.

[80] Trib. Savona, 4 dicembre 2018, in www.dejure.it; App. Roma, 30 maggio 2018, ivi; App. Milano, 16 gennaio 2017, in Corr. giur., 2018, p. 340, con nota di V. SCOGNAMIGLIO; App. Torino, 3 gennaio 2017, in Foro it., 2017, I, c. 2079, con nota di A. PALMIERI; App. Torino, 23 marzo 2010, in Foro it., 2011, I, c. 223, con nota di G. IMPAGNATIELLO [“la fattispecie in esame, a differenza di quella (solo apparentemente omologa) di cui all’art. 283 c.p.c. non comporta alcuna valutazione di fondatezza nel merito dell’impugnazione (fumus), non potendo quest’ultima essere demandata allo stesso giudice che ha emanato la sentenza gravata e che, per ciò solo, si è spogliato di ogni potere di delibazione sulla controversia; spettando invece tale potere, in via esclusiva, alla adita corte di legittimità”]; App. L’Aquila, 28 luglio 2004, in P.Q.M., 2004, 2/3, p. 39, con nota di M. CIRULLI; App. Salerno, 21 luglio 2003, in Giur. it., 2004, p. 310, nota di L. NEGRINI.

[81] Anche N. GIUDICEANDREA, Le impugnazioni civili, II, Milano, 1952, p. 302 “non esclude che il collegio (…) possa tener conto dell’eventuale irritualità del ricorso per cassazione e della mancanza del fumus boni iuris nei riguardi della fondatezza del ricorso, sebbene la legge non preveda in modo espresso tale indagine meramente incidentale”. E, con rilievo di carattere generale, L.P. COMOGLIO, L’esecuzione provvisoria della sentenza di primo grado, in AA.VV., Le riforme della giustizia civile, a cura di M. Taruffo, Torino, 1993, p. 379 ritiene insostenibile «che, laddove di solo “danno” si parli (con aggettivazioni più o meno cariche di “gravità”), il fumus del mezzo d’impugnazione si renda addirittura inapprezzabile, facendo spazio alla decisiva considerazione dei “pregiudizi” patrimoniali derivabili dall’esecutività e/o dall’esecuzione (o, per contro, dalla sospensione concessa)». Con specifico riferimento all’art. 373 c.p.c., F.P. LUISO, Diritto10, cit., II, p. 469 è dell’avviso che la gravità del danno debba valutarsi “nell’ottica di un possibile annullamento della sentenza impugnata. Se la sentenza fosse confermata, il danno del soccombente magari potrebbe essere enorme, ma sarebbe comunque legittimo, perché secundum ius”.

[82] App. Torino, 3 gennaio 2017, in Foro it., 2017, I, c. 2077, con nota di A. PALMIERI. La pronuncia suscitò l’indignazione di S. RIZZO, I parenti delle vittime sono poveri. E il giudice congela il risarcimento, in Corriere della Sera, 6 marzo 2017, p. 18 e la censura di F. LAFFAILLE, La justice doit se méfier de pauvre, il est impécunieux, in Dalloz, 2017, 865 (i richiami sono dell’Annotatore).

[83] Perché, ad es., la società vittoriosa in appello, creditrice di € 345.382,62, è inattiva, non è proprietaria di immobili ed ha depositato gli ultimi due bilanci in perdita, talchè “in considerazione della situazione di incapienza patrimoniale e dell’entità della somma cui la ricorrente è stata condannata, sussiste il concreto pericolo di irripetibilità delle somme da versare in esecuzione della sentenza impugnata” (App. Roma, 13 novembre 2019, in www.dejure.it); oppure perché la sentenza d’appello ha condannato il soccombente, ricorrente per cassazione, al pagamento delle spese processuali in favore di una società cancellata dal registro delle imprese e di una persona fisica proprietaria di immobili gravati da ipoteche (App. Bari, 30 settembre 2010, in Foro it., 2011, I, c. 223, con nota di G. IMPAGNATIELLO).

[84] Cass., 24 febbraio 2012, n. 2845, in Dir. prat. trib., 2012, p. 740, con nota di G. CORASANITI; in Corr. giur., 2013, p. 671, con nota di C. GLENDI.

[85] L. MORTARA, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile2, II, Milano, s.d., p. 487, nt. 1.

[86] A. TEDOLDI, Dell’astensione, della ricusazione e della responsabilità dei giudici, in Commentario del codice di procedura civile, a cura di S. Chiarloni, Bologna, 2015, pp. 53 ss.

[87] V., in luogo d’altri, R. MARENGO, La discrezionalità del giudice civile, Torino, 1996, pp. 197 ss.

[88] App. Roma, 1° settembre 2023, in www.dejure.it. Anche nel processo penale, ai fini dell’accoglimento dell’istanza di sospensione dell’esecuzione della condanna civile, è necessario che ricorra “un pregiudizio eccessivo per il debitore, che può consistere nella distruzione di un bene non reintegrabile ovvero, se si tratta di somme di denaro, nel nocumento derivante dal palese stato di insolvibilità del destinatario della provvisionale, tale da rendere impossibile od altamente difficoltoso il recupero di quanto pagato, nel caso di modifica della condanna” (Cass. pen., Sez. IV, 28 settembre 2022, n. 927; Sez. V, 18 dicembre 2017, n. 19351; Sez. IV, 2 febbraio 2016, n. 28589; Sez. IV, 5 luglio 2006, n. 30019).

[89] App. Palermo, 15 febbraio 2019, cit.; App. Cagliari, 23 dicembre 2013, cit.; App. Bologna, 5 ottobre 2011, cit.

[90] App. Roma, 13 novembre 2019, cit.; App. Bari, 30 settembre 2010, cit.

[91] App. Torino, 23 marzo 2010, in Foro it., 2011, I, c. 223 con nota di G. IMPAGNATIELLO. Nella specie, a fronte della condanna della banca ricorrente a pagare € 13.544.980,56, è stata imposta alla creditrice (una società fiduciaria in liquidazione con sede a San Marino) una cauzione di € 14.500.000,00.

[92] App. Brescia, 9 novembre 2001; Id., 24 novembre 1995, in Giur. agr., 2007, p. 360.

[93] G. IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione, cit., p. 374.

[94] Per la sospendibilità dell’efficacia esecutiva ex art. 373 c.p.c. v. App. Torino, 3 gennaio 2017, in Foro it., 2017, I, c. 2077, con nota di A. PALMIERI (la pronuncia trae conforto da Cass., 10 aprile 2008, n. 9360, che pur non pronunciandosi espressamente sul punto “implicitamente ha ammesso la possibilità di sospendere l’esecuzione della sentenza a fronte della notifica del precetto”); App. Salerno, 21 luglio 2003, in Giur. it., 2004, p. 310, nota di L. NEGRINI.

[95] Cass., 10 aprile 2008, n. 9360, in Riv. dir. proc., 2009, p. 816, con nota di A.A. ROMANO.

[96] B. CAPPONI, Diritto dell’esecuzione civile7, Torino, 2023, p. 417. In giurisprudenza v., in senso conforme, App. Potenza, 3 dicembre 2021, in www.dejure.it: “Ben può l’appellante chiedere e ottenere l’inibitoria dell’efficacia esecutiva anche in presenza di una esecuzione già pendente, essendo il provvedimento funzionale a scongiurare non solo la prosecuzione dell’esecuzione già iniziata, ma anche l’inizio di ulteriori e diverse esecuzioni sulla base del medesimo titolo esecutivo giudiziale”.

[97] A.A. ROMANO, Espropriazione forzata e contestazione del credito, Napoli, 2008, pp. 342 ss.; A.M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata8, Milano, 2023, p. 830 (che però sembra inclini a ritenere applicabile l’art. 510, comma 2, c.p.c.: ma in tal caso sarebbe operante il limite cronologico triennale). Contrario all’accantonamento P. LAI, L’intervento del creditore non titolato nell’espropriazione singolare, Roma, 2014, pp. 297 ss.

[98] B. CAPPONI, Diritto dell’esecuzione civile7, cit., p. 417; G. IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione, pp. 391 ss.

[99] Cass., 4 giugno 2013, n. 14048.

[100] Cass., 19 novembre 2014, n. 24637.

[101] Cass., 18 ottobre 2018, n. 26104.

[102] V. ANDRIOLI, Commento3, cit., IV, p. 88.

[103] V. però la contraria opinione di R. VACCARELLA, Esecutività della sentenza e inibitoria, cit., pp. 283 s., che tuttora ammette la revoca (conformi G. MONTELEONE, Esecuzione provvisoria, in Dig. civ., Agg., I, Torino, 2000, p. 371; L. COMPARATO, Il potere giudiziale di revoca dell’efficacia esecutiva della sentenza ex art. 373 c.p.c., in Giur. it., 2021, p. 92; possibilista S. CHIARLONI, in AA.VV., Provvedimenti urgenti per il processo civile, cit., p. 160; nel senso che la sospensione rende inefficaci gli atti compiuti v. già S. SATTA, Commentario, cit., II, 2, p. 257). Non ha avuto seguito (se non da parte della pressochè coeva Cass., 12 febbraio 2013, n. 3280, redatta dal medesimo estensore) Cass., 8 febbraio 2013, n. 3074, in Foro it., 2013, I, c. 2900, con nota di N. MINAFRA, che ha enunciato il seguente principio di diritto: “Il potere di cui all’art. 283 c.p.c., quanto alla sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado, comprende anche la possibilità che il giudice dell’appello sospenda l’esecutività con effetti non solo de futuro, ma anche di rimozione dell’esecuzione già compiuta o per la parte già eseguita”. La decisione è stata criticata da B. CAPPONI, Vecchie riemergenti questioni in tema di inibitoria del titolo giudiziale, in Rass. es. forz., 2021, p. 1091, sul rilievo che la caducazione degli atti esecutivi è prodotta dalla sentenza di riforma o cassazione, non dall’ordinanza di sospensione (fuori del caso previsto dall’art. 624, comma 3, c.p.c.), ma approvata da C. CONSOLO, Spiegazioni11, cit., I, p. 323.

[104] Corte cost., 15 maggio 2001, n. 134, in Corr. giur., 2001, p. 814, con nota di C. CONSOLO; Corte cost., 4 dicembre 2000, n. 546, in Foro it., 2001, I, c. 736, con nota di C. CEA; Corte cost., 30 aprile 1998, n. 151, in Giur. cost., 1998, p. 1147; Corte cost., 17 giugno 1996, n. 200, in Riv. dir. proc., 1997, p. 282, con nota di R. CONTE; in Foro it., 1997, I, c. 389, con nota di G. SCARSELLI.

[105] R. VACCARELLA-B. SASSANI, «Revoca» e sospensione dell’esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo opposto, in Giur. it., 1995, IV, pp. 273 ss.; I. ANDOLINA-G. VIGNERA, I fondamenti costituzionali della giustizia civile. Il modello costituzionale del processo civile italiano2, Torino, 1997, pp. 149 ss.; G. SCARSELLI, Ancora sulla legittimità costituzionale dell’irrevocabilità con ordinanza della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo, in Foro it., 1997, I, cc. 389 ss.; E. ZUCCONI GALLI FONSECA, La provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, pp. 175 ss., § 7; A. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile5, Napoli, 2012, p. 560; R. CONTE, Del procedimento d’ingiunzione, cit., pp. 373 ss.; E. GABELLINI, La provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo nel prisma del giusto processo: le questioni aperte, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, pp. 1039 ss., § 9. Nel senso che, “ordinata la sospensione, cadono tutti gli atti compiuti in base alla già concessa esecuzione provvisoria” v. M.T. ZANZUCCHI, Diritto processuale civile5, a cura di C. Vocino, Milano, 1962, p. 371. Auspica, invece, un intervento legislativo od una pronuncia di incostituzionalità, “essendo probabilmente votati all’insuccesso gli sforzi (pur nobilmente ed elegantemente condotti) di quella dottrina che, già attualmente, vorrebbe considerare insito nella lettera dell’art. 649 c.p.c. il potere del giudice dell’opposizione di revocare la provvisoria esecutorietà concessa al decreto ex art. 642 c.p.c.”, A. RONCO, Procedimento per decreto ingiuntivo, cit., p. 466.

[106] Trib. Messina, 15 febbraio 2005, in Foro it., 2005, I, c. 1227; Trib. Roma, 27 novembre 2003, in Giur. merito, 2004, p. 699; Trib. Ancona, 18 febbraio 2003, in Foro it., 2003, I, c. 1589; Trib. Alessandria, 13 maggio 1997, in Giur. it., 1998, p. 54, con nota di S. ZIINO; Trib. Vercelli, 17 marzo 1993, in Foro it., 1994, I, c. 1225, con nota di M. MONNINI. Per la revocabilità dell’esecuzione definitiva, conferita ex art. 647 c.p.c. sull’erronea premessa che contro l’ingiunzione non era stata proposta opposizione, con conseguente ordine di cancellazione dell’ipoteca giudiziale iscritta ex art. 655 c.p.c., v. Trib. Larino-Termoli, in Foro it., 2003, I, c. 285, con nota di C. CEA.

[107] Cass., 7 maggio 2002, n. 6546.

[108] Cass., 3 maggio 1991, n. 4866.

[109] Cass., 18 dicembre 2007, n. 26676.

[110] E.T. LIEBMAN, In tema di esecuzione provvisoria del decreto d’ingiunzione, in Riv. dir. proc., 1951, II, p. 80 (i corsivi nel testo sono miei).

[111] Ritiene G. SCARSELLI, Ancora sulla legittimità costituzionale, cit., cc. 389 ss. che “il provvedimento in questione possa a tutti gli effetti qualificarsi come misura cautelare: infatti, lo stesso fonda la sua esecutività sul pericolo nel ritardo e trova la sua legittimazione in una prova dei fatti costitutivi che non potrà in ogni caso considerarsi sotto la soglia del c.d. fumus boni iuris. In queste ipotesi il magistrato non avrà fatto altro che concedere – inaudita altera parte – un provvedimento cautelare al creditore. Alla fattispecie dovrebbe seguire, pertanto, una applicazione diretta della disposizione generale prevista dall’art. 669 sexies c.p.c. in forza della quale, in prima udienza, il giudice istruttore è legittimato a confermare, modificare o revocare con ordinanza il provvedimento cautelare concesso senza contraddittorio”. Nel dichiarare inammissibile il reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. avverso il provvedimento con cui il giudice istruttore ha negato la revoca della provvisoria esecuzione, concessa in sede di pronuncia del decreto ingiuntivo, si è affermato che la clausola è revocabile, in applicazione del principio generale di revocabilità dei provvedimenti resi nel corso di procedimenti con contraddittorio differito, principio generale di cui espressione diretta è l’art. 669 sexies c.p.c. (Trib. Arezzo, 28 luglio 1999, in Foro it., 2000, I, c. 2699).

[112] Per l’analogia delle due fattispecie v. E. GARBAGNATI, Il procedimento d’ingiunzione, cit., pp. 117 s.; S. SATTA, Commentario, cit., IV, 1, p. 65, i quali concordemente rilevano che l’art. 642 c.p.c. non reputa sufficiente il pericolo nel ritardo, che a norma dell’art. 282 c.p.c. poteva giustificare l’esecuzione provvisoria della sentenza, ma richiede un grave pregiudizio, stante la sommarietà del procedimento, che giustifica anche la possibile imposizione al ricorrente di una cauzione.

[113] G. CHIOVENDA, Istituzioni2, cit., I, pp. 242 ss.; P. CALAMANDREI, Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, cit., pp. 188 ss.

[114] Cass., 13 marzo 2012, n. 3979, in Riv. dir. proc., 2013, p. 1234, con nota di F. UCCELLA ha ritenuto applicabile al sub-procedimento di sospensione l’art. 669 sexies, comma 2, c.p.c., con la conseguenza che la sospensione può disporsi con decreto, soggetto a conferma, modifica o revoca con ordinanza.

[115] Ad es., perché il debitore è sottoposto ad espropriazione forzata, nella quale il creditore ha urgenza di intervenire munendosi del titolo esecutivo prima che sia disposta la vendita o l’assegnazione (art. 499, comma 2, c.p.c.).

[116] O due azioni sommarie, di ingiunzione (“normativa senza giudizio”) e di attribuzione dell’esecutività, quindi di formazione del titolo esecutivo (S. SATTA, Commentario, cit., IV, 1, p. 62; conforme G. TOMEI, Procedimento di ingiunzione, in Dig. civ., XIV, Torino, 1996, p. 578, per il quale “i caratteri dell’azione proposta, anche se fondata sul pericolo nel ritardo, non possono che essere quelli della sommarietà, in quanto il provvedimento del giudice attribuisce immediatamente al creditore il bene prezioso della esecutività, salva la sospensione, o la revoca con la sentenza che accoglie l’opposizione”).

[117] “L’esecuzione è provvisoria nel momento in cui la si concede, dopo è una esecuzione come tutte le altre” (S. SATTA, Commentario, cit., IV, 1, p. 92). L’esecuzione della sentenza passata in giudicato si fonda su un titolo definitivo, che però può cadere se viene accolta un’impugnazione straordinaria. L’esecuzione del decreto ingiuntivo munito della clausola si fonda su un titolo provvisorio, che però diventa definitivo se non viene proposta opposizione.

[118] Corte cost., 16 maggio 2008, n. 144.

[119] M. CIRULLI, La caducazione del contratto, cit., I, pp. 699 ss. Anche ad avviso di R. CONTE, Del procedimento d’ingiunzione, cit., pp. 463 ss., spec. 467 “senza dubbio il disposto dell’art. 2884 c.c. costituisce un’anomalia”: ma l’A. dubita che la norma possa essere dichiarata incostituzionale assumendo quale tertium comparationis l’art. 669 novies c.p.c. Ritengo invece che ad una misura lato sensu cautelare, quale l’ipoteca giudiziale, non possa riconoscersi maggiore stabilità di una misura stricto sensu cautelare, quale il sequestro conservativo, nè del pignoramento, che la caducazione del titolo esecutivo rende immediatamente inefficace (art. 336, comma 2, c.p.c.).

[120] La norma, infatti, “obbliga il giudice ad autorizzare l’esecuzione provvisoria del decreto, chiesta dal ricorrente, quando il credito fatto valere con la domanda d’ingiunzione sia fondato” sui documenti ivi indicati (E. GARBAGNATI, Il procedimento d’ingiunzione, cit., p. 112; l’A. aggiunge – p. 117, nt. 331 – che nella specie non può essere imposta cauzione a carico del creditore).

[121] App. Milano, 24 settembre 2020, in Rass. es. forz., 2021, p. 1081, con nota di B. CAPPONI; in Giur. it., 2021, p. 90, con nota di L. COMPARATO.

[122] Il testo della disposizione è stato così riformulato dall’art. 1, comma 4, lett. g), d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164, in vigore dal successivo 26 novembre: “Il presidente del collegio ordina con decreto la comparizione delle parti in camera di consiglio davanti all’istruttore, se nominato, o davanti al collegio. Quando l’appello è proposto al tribunale, il giudice fissa l’udienza davanti a sè. Con lo stesso decreto, se ricorrono giusti motivi di urgenza, può essere provvisoriamente disposta l’immediata sospensione dell’efficacia esecutiva o dell’esecuzione della sentenza; in tal caso, con l’ordinanza non impugnabile pronunciata all’esito dell’udienza in camera di consiglio il collegio o il tribunale conferma, modifica o revoca il decreto”. Si è voluto così esplicitare che “davanti alla corte d’appello l’udienza per la decisione sulla sospensiva sarà tenuta dall’istruttore, quando il presidente ha deciso di nominarlo, o davanti al collegio quando viceversa egli ha ritenuto, ai sensi dell’art. 349-bis, di disporre la trattazione davanti al collegio” (relazione illustrativa, p. 17), fermo restando che sull’istanza provvede il collegio con ordinanza non impugnabile. La sospensione inaudita altera parte è invece riservata al presidente del collegio od al giudice del tribunale.

[123] Per analoga conclusione, a proposito dell’istanza ex art. 615, comma 1, c.p.c., v. M. CIRULLI, La sospensione del processo esecutivo, cit., pp. 183 ss.

[124] Corte cost., 4 dicembre 2000, n. 546, in Foro it., 2001, I, c. 736, con nota di C. CEA.

[125] App. Roma, 23 agosto 2011; Id., 23 marzo 2011, in Riv. arb., 2012, p. 599, con nota di C. SANTINI; in www.judicium.it, con nota di U. COREA.

[126] Non ammettono il reclamo, sulla premessa dell’inapplicabilità degli artt. 669 bis ss. c.p.c. alle inibitorie, A. PROTO PISANI, La nuova disciplina del processo civile, cit., pp. 393 ss.; G. COSTANTINO, in AA.VV., Provvedimenti urgenti per il processo civile, a cura di G. Tarzia-F. Cipriani, Padova, 1992, p. 420, sul rilievo che i provvedimenti inibitori, “pur avendo una funzione genericamente anticipatoria ed essendo fondati sul periculum in mora, non possono essere assimilati, neppure al fine della applicazione analogica, ai provvedimenti cautelari: chi invoca tutela è, in ogni caso, il destinatario di un provvedimento giudiziale e deve trovare nell’ambito della disciplina del procedimento nel quale è coinvolto gli strumenti per la protezione del suo diritto”; G. VERDE, in G. VERDE-L.F. DI NANNI, Codice di procedura civile, Torino, 1993, p. 448; C. CONSOLO, sub art. 669 quaterdecies, in C. CONSOLO-F.P. LUISO-B. SASSANI, Commentario alla riforma del processo civile, Milano, 1996, pp. 736 ss.; ID., Spiegazioni11, cit., II, p. 588; E. MERLIN, Procedimenti cautelari ed urgenti in generale, in Dig. civ., XIV, Torino, 1996, p. 431; A. SALETTI, L’ambito di applicazione della disciplina cautelare uniforme, in AA.VV., Il processo cautelare4, a cura di G. Tarzia-A. Saletti, Padova, 2011, p. 668; A. CARRATTA, Procedimento cautelare uniforme, cit., pp. 94 ss.; E. VULLO, Dei procedimenti cautelari, cit., pp. 703 ss.; B. CAPPONI, Diritto dell’esecuzione civile7, cit., pp. 419, 429.

Favorevoli alla reclamabilità delle inibitorie ex art. 669 terdecies c.p.c., invece, G. BALENA, Il processo ordinario di cognizione, cit., p. 114, che altrimenti denuncia l’incostituzionalità dell’art. 283 c.p.c. per violazione dell’art. 3 Cost., assumendo quale tertium comparationis l’art. 624, comma 2, c.p.c.; G. OLIVIERI, Riforma del procedimento cautelare, reclamabilità dell’inibitoria e opposizione all’esecuzione, in Giusto proc. civ., 2007, pp. 23 ss.; R. GIORDANO, Sulla reclamabilità del provvedimento di inibitoria dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, in Giur. merito, 2009, pp. 2456 ss.; G. IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione, cit., pp. 542 ss., spec. 551 ss.

In giurisprudenza, l’inammissibilità del reclamo contro l’inibitoria in grado d’appello è costantemente affermata (Cass., 25 febbraio 2005, n. 4060, in Foro it., 2005, c. 2376; App. Catania, 4 marzo 2009, in Giur. merito, 2009, p. 2455, con nota di R. GIORDANO; App. Bari, 11 settembre 2006, in Giusto proc. civ., 2007, p. 485, con nota di G. IMPAGNATIELLO; App. Catania, 10 novembre 2003, in Giur. merito, 2004, p. 213; App. Lecce, 18 maggio 1996, in Corr. giur., 1997, p. 957, con nota di U. VOLPE). Controversa, invece, è la reclamabilità dell’ordinanza ex art. 830 c.p.c. (per la negativa v. App. Venezia, 21 febbraio 2018, in Giur. it., 2020, p. 151, con nota di M. VISCONTI; App. Milano, 15 dicembre 2006, in Corr. giur., 2007, p. 1007, con nota di M. MARINELLI; per l’affermativa v. App. Roma, 10 luglio 2014, in Giur. it., 2015, p. 439, con nota di A. FABBI).

[127] Cass., Sez. un., 23 luglio 2019, n. 19889, in Rass. es. forz., 2019, p. 729, con note di B. CAPPONI, M. CIRULLI, M. FARINA, G. MONTELEONE, S. SCIRPO, E. FABIANI, M.L. GUARNIERI. In motivazione, §§ 28 ss. si sottolinea che con l’opposizione a precetto non si impugna il titolo esecutivo. Se questo è di natura giudiziale, l’opponente non può allegare fatti impeditivi, modificativi od estintivi del credito anteriori alla relativa formazione, ma solo fatti successivi: ma, nella specie, non viene in contestazione il provvedimento. Se il titolo è di natura stragiudiziale, con l’opposizione “a stretto rigore non si impugna, se non in via descrittiva o atecnica, il contratto o il negozio o il provvedimento”. La seconda affermazione (diversamente dalla prima) è difficilmente condivisibile: il debitore che eccepisce l’insufficiente bollo della cambiale contesta, infatti, proprio un vizio di costruzione del titolo di formazione privata; la domanda di nullità, annullamento ecc. del contratto-titolo esecutivo è un’impugnativa negoziale, che la parte interessata avrebbe potuto proporre prima della notifica del precetto, davanti al giudice territoriamente competente ex artt. 18 ss. c.p.c. Tuttavia, è sufficiente rilevare che la sospensione, da parte del giudice dell’opposizione a precetto, dell’esecutività del titolo giudiziale, in forza del quale è stato intimato il precetto, non presuppone la delibazione degli eventuali vizi del provvedimento (deducibili con l’impugnazione), ma dell’idoneità dei fatti sopravvenuti ad estinguere, totalmente o parzialmente, il credito ivi riconosciuto. Solo l’inesistenza è possibile materia sia dell’impugnazione che dell’opposizione. Le Sezioni unite qualificano la sospensione ex art. 615, comma 1, c.p.c. “provvedimento cautelare, benchè sui generis” e delle norme sul rito cautelare uniforme ritengono applicabile il solo art. 669 terdecies c.p.c.; escludono la revocabilità e modificabilità del provvedimento ex art. 669 decies c.p.c. ed affermano la competenza del giudice di pace a pronunciarlo. Salva la reclamabilità, dovrebbe quindi applicarsi il regime delle ordinanze istruttorie, con la conseguenza che il provvedimento sarebbe revocabile e non sopravviverebbe all’estinzione del giudizio, nonostante le Sezioni unite ne riconoscano l’effetto di “anticipare l’effetto finale proprio dell’azione di cognizione cui accede quale misura interinale, cioè la declaratoria di inesistenza (anche per fatti sopravvenuti o anche solo parziale) di tale diritto di agire in executivis”: tuttavia, la sentenza non trae queste ulteriori conclusioni. La ricostruzione delle Sezioni unite non mi ha convinto, perché disegna un quid medium tra inibitoria e cautela (M. CIRULLI, L’ircocervo, in www.judicium.it, 31 luglio 2019).

[128] Ma secondo B. CAPPONI, Diritto dell’esecuzione civile7, cit., p. 419 “ammettere il reclamo contro il provvedimento inibitorio pronunciato dal giudice dell’opposizione a precetto (com’è ormai jus receptum) rende ancor meno giustificabile l’assenza di controlli contro l’inibitoria (e la sospensione) pronunciata dal giudice dell’impugnazione”.

[129] V. ANDRIOLI, Commento3, cit., II, p. 555; S. SATTA, Commentario, cit., II, 2, p. 258; F. CARPI, La provvisoria esecutorietà, cit., p. 295, nt. 205. In giurisprudenza, la reiterabilità in corso di causa dell’istanza di sospensione già tempestivamente proposta e rigettata è stata esclusa da App. Napoli, 17 aprile 1997, in Giur. merito, 1997, p. 102, con nota di F. D’ALONZO, ma ammessa da Trib. Caltanissetta, 14 novembre 2003, in Corr. giur., 2004, p. 1348, con nota di G. RAITI.

[130] Contra: App. Roma, 28 giugno 2024; App. Catania, 26 giugno 2024 (i provvedimenti sono citati da G. PIROTTA, Recenti applicazioni, cit., p. 13).

[131] La sopravvenienza può concernere anche la possibile insolvenza di una delle parti (A. RONCO, Il giudizio di appello, cit., p. 727) ovvero essere integrata dalle prove assunte o rinnovate nel giudizio d’appello (S. BOCCAGNA, Le nuove norme, cit., p. 659): in sintesi, può essere processuale od extraprocessuale ed anche anteriore alla proposizione dell’impugnazione, ma allora incolpevolmente ignorata dall’appellante.

[132] Per l’estensione della regola della riproponibilità, introdotta dal nuovo testo dell’art. 283 c.p.c., “considerato il prototipo dell’inibitoria”, all’art. 373 c.p.c., che “non può considerarsi del tutto estraneo a valutazioni, per quanto sommarie, circa la fondatezza dell’impugnazione”, v. B. CAPPONI, L’art. 373 c.p.c. sul riflesso dell’art. 283 c.p.c., cit., p. 7.

[133] Rilevata anche da B. CAPPONI, Diritto dell’esecuzione civile7, cit., p. 420, nt. 12; L. SALVANESCHI, L’appello riformato, in www.judicium.it., 2 maggio 2023, § 8; A. RONCO, Il giudizio di appello, cit., p. 727; G. PIROTTA, Recenti applicazioni, cit., pp. 15 s., che tuttavia riferisce il contrario orientamento espresso da App. Napoli, 27 settembre 2024. Per la revocabilità dell’ordinanza sospensiva, ma in applicazione dell’art. 669 decies c.p.c., sulla premessa della natura cautelare del provvedimento, v. E. ODORISIO, L’appello, cit., pp. 415 s.

[134] E. REDENTI, Diritto processuale civile2, II, Milano, 1957, p. 433; C. CONSOLO, Spiegazioni11, cit., II, p. 588.

[135] Anche l’art. 668, ultimo comma, c.p.c. prevede che, proposta opposizione dopo la convalida dello sfratto, il giudice possa sospendere l’esecuzione “per gravi motivi imponendo, quando lo ritiene opportuno, una cauzione all’opponente”.

[136] C. CONSOLO, Spiegazioni11, cit., II, p. 522; G. IMPAGNATIELLO, I provvedimenti, cit., pp. 458 s.  Favorevoli, invece, G. VERDE, Diritto5, cit., II, p. 227, con dichiarata forzatura “della lettera della legge (…), per evitare un’ingiustificata disparità di trattamento”; A. TEDOLDI, Impugnazioni in generale e appello, cit., p. 286.

[137] Cass., 23 novembre 1999, n. 12967.

[138] Corte cost., 28 dicembre 1990, n. 587, in Corr. giur., 1991, p. 435, con nota di B. CAPPONI; in Riv. dir. proc., 1993, 317, con nota di M. FABBRI.

[139] Corte cost., 28 dicembre 1990, n. 587, cit.

[140] A. PROTO PISANI, Provvedimenti in tema di tutela sommaria, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1992, p. 317.

[141] Corte cost., 29 novembre 1960, n. 67, in Giust. civ., 1960, III, p. 209, con nota di L. BIANCHI D’ESPINOSA; in Riv. dir. proc., 1961, p. 285, con nota di V. DENTI; in Giur. it., 1961, I, 1, c. 273, con nota di A. PIZZORUSSO; in Riv. trim. dir. proc. civ., 1961, p. 283, con nota di A. GUALANDI; in Giur. cost., 1960, p. 1197, con nota di S. SATTA. La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dal tribunale di Chieti.

[142] Corte cost., 26 aprile 1962, n. 40, in Giur. cost., 1962, p. 318.

[143] Corte cost., 3 luglio 1963, n. 113, in Giust. civ., 1963, III, p. 219.

[144] A. PROTO PISANI, Provvedimenti in tema di tutela sommaria, cit., p. 319.

[145] Ma nel processo penale anche l’imputato ammesso al gratuito patrocinio è stato talora assoggettato al versamento della cauzione in conseguenza dell’applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale, sul rilievo che “l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato non fornisce automaticamente la prova dello stato di indigenza, atteso che il beneficio, sempre suscettibile di revoca, viene concesso sulla base di una dichiarazione sostitutiva di certificazione proveniente dalla parte interessata” (Cass. pen., Sez. II, 17 maggio 2012, n. 33530). Una successiva pronuncia ha tuttavia statuito che “l’impossibilità economica di far fronte all’obbligo della cauzione imposta in sede di applicazione della misura di prevenzione personale è deducibile anche nel giudizio penale ai fini della responsabilità per il reato costituito dall’inosservanza di tale obbligo, ed incombe al giudice il dovere di accertare la reale condizione economica dell’imputato nel momento in cui si è verificata l’inottemperanza, quando quest’ultimo ha adempiuto all’onere di allegare circostanze idonee a rappresentare la sua situazione di impossidenza” (Cass. pen., Sez. I, 4 luglio 2014, n. 34128: nella specie, la S.C. la Corte ha affermato che l’onere di allegazione può essere soddisfatto mediante la produzione di certificazioni redatte ai fini dell’ammissione al gratuito patrocinio).

[146] Vale anche la regola contraria: il giudice non è tenuto a dichiarare provvisoriamente esecutivo ex art. 648 c.p.c. il decreto ingiuntivo opposto, sol perché il creditore ha offerto cauzione (Corte cost., 4 maggio 1984, n. 137, in Foro it., 1984, I, c. 1775, con nota di A. PROTO PISANI; in Giur. it., 1985, I, 1, c. 397, con nota di C. CONSOLO; in Nuove leggi civ. comm., 1985, p. 585, con nota di C. BALBI; in Giust. civ., 1984, I, p. 2029, con nota di C. CECCHELLA). Sul tema e.v. E. GARBAGNATI, La dichiarazione d’incostituzionalità dell’art. 648, 2° comma, c.p.c., in Riv. dir. proc., 1985, pp. 1 ss.; P. MARZOCCHI, Nuove prospettive in tema di decreto ingiuntivo: cauzione, esecuzione provvisoria e prestazioni professionali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1985, pp. 824 ss.; A. PROTO PISANI, Il procedimento d’ingiunzione, ivi, 1987, pp. 291 ss., spec. 303 ss.

[147] E. GARBAGNATI, In tema di imposizione di una cauzione ex art. 373 cod. proc. civ., in Riv. dir. proc., 1961, pp. 295 ss.; G. IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione, cit., pp. 518 ss. In giurisprudenza v. App. Torino, 23 marzo 2010, in Foro it., 2011, I, c. 223, con nota di G. IMPAGNATIELLO.

[148] G. CHIOVENDA, Sulla facoltà del giudice d’appello di subordinare ad una cauzione l’esecuzione provvisoria concessa dal primo giudice, cit., p. 350.

[149] E. GARBAGNATI, In tema di imposizione di una cauzione, cit., p. 299.

[150] E. GARBAGNATI, In tema di imposizione di una cauzione, cit., p. 301, nt. 1.