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Astensione del giudice civile e nozione di “grado del processo” ex art. 51 c.p.c. c. 1 n. 4. Ulteriori conferme dalla Suprema Corte.
Di Alessandro Mannino -
Cassazione civile., Sez. III., ( data ud. 25/05/2022) 24/10/2022, n. 31345. Sezione composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Pres. Giacomo Travaglino; Rel. Marco Rossetti; c. Enrico Scoditti e altri.
Sommario: 1. Introduzione. – 2. L’art. 51 c.p.c., – 3. La nozione di “grado del processo”. – 4. Brevi conclusioni.
1.Introduzione.
Il presente contributo prende in esame il segmento della sentenza della Sezione III Civile della Suprema Corte n. 31345 del 24/10/2022 pronunciata al termine di un complesso contenzioso insorto in materia assicurativa in cui viene trattata la questione preliminare vertente sulla sussistenza o meno, nel caso di specie, dell’obbligo di astensione, ex art. 51 n. 4 c.p.c., dei magistrati di cassazione (ex art. 51 c. 1 n. 4 c.p.c.) che avevano partecipato al precedente giudizio conclusosi con la sentenza di annullamento con rinvio[1] e che successivamente avevano composto il collegio giudicante per decidere sul ricorso per cassazione avente ad oggetto la sentenza pronunciata dal giudice di rinvio.
Per comprendere la portata della statuizione degli Ermellini appare opportuno preliminarmente focalizzare l’attenzione sulla ratio sottesa all’art. 51 c.p.c. e su alcune tra le principali questioni problematiche riguardanti la nozione di “grado del processo”.
2.L’art. 51 c.p.c.
L’art. 51 del Codice di procedura civile del 1940 traccia nel primo comma un elenco tassativo[2] di situazioni per le quali sorge, iuris et de iure, in capo all’organo giudicante l’obbligo di astenersi. Si tratta di ipotesi incentrate sulla figura del iudex suspectus e figlie, pertanto, della sensibilità mostrata dal Legislatore “verso l’esigenza a che il processo si svolga innanzi ad un giudice che non soltanto sia ab intra, ma soprattutto appaia ab extra, alle parti e alla comunità intera, sereno e rigoroso custode del compito demandatogli dall’ordinamento, dai suoi stessi concives e nel loro nome: giudicare gli interessi del prossimo con imparzialità ed equanimità, senza pregiudizii di alcun genere che possano inquinare la cognizione e la decisione sul caso”[3]. L’istituto giuridico della astensione (e parallelamente quello della ricusazione ex art. 52 e ss.) dà concretezza alla garanzia costituzionale (art.111[4]) della imparzialità del giudice quale colonna portante del giusto processo funzionale “all’accettabilità della esperienza processuale”[5]. Di diverso tenore appare invece il secondo comma dell’art. 51 che, senza delineare ipotesi tassative, disciplina l’astensione facoltativa che pone in capo al giudice non l’obbligo bensì la facoltà di astenersi e priva le parti della possibilità di poterlo ricusare[6]. Una delle maggiori problematiche legate all’art. 51 afferisce al suo anacronismo. Dalla lettura delle ipotesi di astensione delineate non si può non notare prima facie l’inadeguatezza del lessico impiegato dal Legislatore degli anni Quaranta ormai stridente con la sensibilità presente e con le disposizioni normative in vigore. Si pensi alla presenza del termine “moglie” invece di “coniuge” come se le donne non potessero accedere alla Magistratura (non è più così a decorrere dalla legge 9 febbraio 1963) e all’espressione “dal sapore arcaico”[7] del “commensale abituale”. Da qui è possibile dedurre, come è stato osservato, “l’anacronistica distonia”[8] ed il “disinteresse legislativo”[9] verso le cause di astensione previste nel codice di rito civile. L’articolo 51 non prende in considerazione circostanze ben più attuali che potrebbero giustificare l’astensione obbligatoria del giudice civile quali le unioni di fatto, le unioni civili, i rapporti di collaborazione fino ai rapporti interpersonali nati attraverso i cd social network ossia: “siti internet o tecnologie che consentono agli utenti di condividere contenuti testuali, immagini, video e audio e di interagire tra loro”[10] che in maniera sempre più preponderante hanno fatto ingresso nella quotidianità dei consociati. Tra le ipotesi di astensione obbligatoria indicate nell’art. 51 si inseriscono quelle previste dal n. 4. Il giudice ha l’obbligo di astenersi (e le parti conseguentemente potrebbero ricusarlo) “se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico”. Si tratta di situazioni connotate dalla circostanza che il giudice ha acquisito una specifica conoscenza dell’oggetto della controversia anteriormente all’instaurazione del processo (precognizione) in cui è chiamato a giudicare. Si tratta di cause che riguardano il rapporto tra il giudice e l’oggetto del processo[11] così come avviene nei casi descritti dall’art. 51 n. 1 solo che a differenza di questi ultimi che tendono ad impedire che il giudice decida in funzione di un suo personale interesse, il gruppo di motivi di cui all’art. 51 n. 4 cerca di impedire “l’ingresso (nel processo) di una opinione preconcetta del giudice sull’oggetto della causa”[12].
3.La nozione di “grado del processo”.
All’interno delle ipotesi di astensione contemplate nel n. 4 dell’art. 51 c.p.c. risulta essere stata sovente oggetto di forte dibattito la quarta ossia quella in forza della quale il giudice è chiamato all’astensione se ha conosciuto la causa “in altro grado del processo”[13]. Con la previsione di questa ipotesi si intendono contrastare potenziali forme di condizionamento del giudice chiamato a decidere la controversia; condizionamento che “può operare sia come difficoltà da parte del giudice di rivalutare obiettivamente il materiale di causa, sia come umano desiderio di non sconfessare il suo precedente operato[14]”. Ciò che rileva per questa norma non è “il peso della propria (del giudice) privata conoscenza dei fatti di causa” bensì “la conoscenza «professionale» dei fatti della causa”[15].
L’importanza di siffatta previsione normativa, nella galassia delle potenziali cause di astensione, è sottolineata dalla sua presenza in altri ordinamenti processualcivilistici. In una prospettiva comparatistica si può ad esempio evidenziare l’art. L. 111-6 del Code de l’organisation judiciaire[16]francese il cui c. 1 n. 5 dispone che la ricusazione del giudice può essere domandata: “S’il a précédemment connu de l’affaire comme juge […]”[17]. Il Legislatore francese a differenza di quello italiano non individua nel codice di rito civile[18] le ipotesi di astensione/ricusazione ma effettua un rinvio tramite l’art. 341[19] ad un altro testo normativo ( il Code de l’organisation judiciaire) e nel caso di specie sostituisce al più concreto e tangibile concetto di “grado” (che ciò nonostante, come si vedrà in seguito, ha creato in Italia non poche dissidie ermeneutiche) l’avverbio “precedentemente” aprendo le porte ad interpretazioni estensive della “conoscenza «professionale» dei fatti della causa” del giudice. Appare più simile all’impostazione normativa data dal Legislatore italiano il c. 1 n. 11 dell’art. 219 della Ley Orgánica 6/1985 in cui viene menzionato il termine “grado” (instancia). L’articolo infatti prevede come causa di astensione/ricusazione il fatto che il giudice iberico abbia “resuelto el pleito o causa en anterior instancia”[20]. Anche in Spagna, come in Francia, le ipotesi di astensione/ricusazione del giudice civile non sono contenute nel codice di rito[21] ma in un altro testo normativo. L’art. 99 de la Ley de Enjuiciamiento Civil (Legge di Procedura Civile) si limita infatti a richiamare le ipotesi di astensione del giudice civile indicate (señaladas) nelle Legge Organica 1/85. Perfino nel lontano Brasile il Código de Processo Civil[22]prevede nell’art. 144 l’astensione del giudice che abbia deciso la controversia in un altro grado del giudizio (grau de jurisdição)[23]. Si tratta di una delle ipotesi[24] che compongono l’istituto de l’impedimento e che presentano la caratteristica di essere facili da percepire, di notevole gravità e dal contenuto oggettivo a tal punto da ingenerare nell’ordinamento giuridico una presunzione assoluta di parzialità del giudice. L’impedimento non deve però essere confuso con il differente istituto della suspeição (art.145) che si fonda su una presunzione relativa di parzialità. Tale istituto giuridico è costruito su ipotesi soggettive, non facili da percepire. Anche qualora rientrasse in queste ipotesi, il giudice non può giudicare. Si fa riferimento ad esempio all’amicizia íntima o all’ inimicizia tra il giudice e le parti o i loro difensori; al rapporto di debito o credito della parte nei confronti del giudice del coniuge, del partner o dei suoi parenti; a situazioni scabrose in virtù delle quali il giudice riceve regali (presentes) da soggetti interessati alla causa; all’interesse che il giudice ha nel decidere favorendo una delle parti.
Conclusa questa parentesi comparatistica che ha evidenziato il ricorrere anche in altri ordinamenti giuridici della previsione della precedente conoscenza della causa da parte del giudice come motivo di astensione, è opportuno tornare sulla questione di fondo del presente contributo la quale risiede nel significato da attribuire alla nozione di “grado del processo”. Se a tale espressione si applicasse una interpretazione restrittiva il pensiero correrebbe ai tradizionali gradi del processo. Il giudice che ha deciso in primo grado non potrebbe occuparsi della stessa controversia in sede di appello. Al contrario, una interpretazione estensiva di “grado” solleverebbe problemi relativi per esempio al procedimento cautelare o alla revocazione. Tradizionalmente si è sempre oscillato tra una interpretazione estensiva e una restrittiva del concetto di “grado del processo”. La giurisprudenza costituzionale, verso la fine degli anni Novanta del secolo scorso, si è espressa in senso estensivo con riguardo (inizialmente) al processo penale in cui è in gioco la libertà personale, ragion per cui è apparso preferibile garantire all’imputato in modo assoluto un giudice che potesse essere scevro da condizionamenti derivanti dalla partecipazione a fasi precedenti del processo[25]. Una siffatta interpretazione estensiva è stata poi anche estesa in ambito civilistico dai giudici della Consulta i quali hanno statuito che “l’espressione «altro grado» contenuta nell’art. 51, 1º comma, n. 4, c.p.c. non può avere un ambito ristretto al solo diverso grado del processo, secondo l’ordine degli uffici giudiziari come previsto dall’ordinamento giudiziario, ma deve ricomprendere anche la fase che, in un processo civile, si succede con carattere di autonomia, avente contenuto impugnatorio, caratterizzata da pronuncia che attiene al medesimo oggetto e alle stesse valutazioni decisorie sul merito dell’azione proposta nella prima fase, ancorché davanti allo stesso organo giudiziario, in riferimento agli art. 3 e 24 cost.”[26]. Col tempo tuttavia intorno ad un siffatto approccio interpretativo sono state sollevate numerose problematiche e ci si è ad esempio interrogati sulle sue possibili ricadute sul concreto svolgimento sul processo civile. Si è notato ad esempio che la sottrazione della decisione della causa al magistrato che di essa si è già occupato “comporterebbe una dilatazione dei tempi processuali necessari per addivenire ad una statuizione sul merito, dando luogo, così, ad un fenomeno che, tuttavia, non è trascurabile, atteso che la garanzia di ottenere giustizia in un periodo congruo è una di quelle alle quali il legislatore ha voluto dare espresso riconoscimento nel nuovo art.111 Cost.”[27]. Una interpretazione estensiva del concetto di “altro grado del processo” rischierebbe di dar vita “ad un processo che vaga da giudice a giudice per l’adozione di qualsiasi provvedimento non ordinatorio” e una tale situazione comporterebbe “una impossibilità gestionale dei ruoli e dell’ufficio, sino all’esaurimento dei giudici in organico e all’impossibilità dell’effettivo esercizio della giurisdizione”[28]. La decisione “di assicurare a tutti i costi alle parti un giudice scevro di condizionamento potrebbe far sorgere anche alcuni problemi di organizzazione giudiziaria […] specialmente in quei tribunali dotati di un numero esiguo di magistrati”[29]. Al fine di scongiurare “«bizzarre» garanzie processuali che nessun ordinamento, e meno che mai il nostro, si può permettere”[30] che arrecherebbero pregiudizio anche al buon andamento dei pubblici uffici sancito dall’art. 97 della Costituzione sarebbe opportuno restringere il perimetro del concetto di “grado” indicato nell’art.51 c.p.c.. Non bisogna commettere l’errore di “trapiantare nel processo civile, invocando il «principio» dell’imparzialità del giudice, il regime delle «incompatibilità» proprio del processo penale . […] Secondo il modello del nostro attuale processo penale, il giudice decidente dovrebbe arrivare al dibattimento in stato di «verginità cognitiva»; mentre nel nostro processo civile, e tanto più in quello «monocratico», l’identità fisica del giudice decidente e del giudice istruttore, anche se autore in corso di causa di provvedimenti cautelari o anticipatorii, è del tutto naturale ed anzi auspicabile”[31]. Si è fatta progressivamente spazio l’idea “che una tutela incondizionata del diritto delle parti ad un giudice non prevenuto […] anziché giovare, nuocerebbe al processo civile”[32]e a corroborare quanto detto risulta essere di fondamentale importanza una decisione della Prima Sezione del Tribunale di Milano[33] che con “persuasiva ed efficace motivazione”[34] ha respinto un’istanza di ricusazione ai sensi degli articoli 51 e 52 primo comma presentata nei confronti di un magistrato, assegnatario come giudice unico di un giudizio di merito, il quale nella stessa controversia si era già pronunciato, in sede cautelare ante causam, sulla concessione di un sequestro. Nel respingere l’istanza, il Tribunale rileva che “l’emissione di provvedimenti d’urgenza o la partecipazione al collegio che li riesamina in sede di reclamo, da parte dello stesso giudice che debba decidere il merito della stessa, costituisce una situazione ordinaria del giudizio e non può in nessun modo pregiudicarne l’esito, né determina un obbligo di astensione o una facoltà della parte di richiederne la ricusazione”. Proseguendo con l’esame della motivazione il Tribunale afferma che “la proposta ricusazione muove da una ricostruzione del sistema processuale che, implicitamente, sembra mutuare principi ad esso non riconducibili e propri del processo penale. In quest’ultimo ordinamento, secondo l’attuale sistema, il giudice che decide deve arrivare al dibattimento senza conoscere il materiale istruttorio e la vicenda che ha coinvolto i soggetti che giudicherà, deve essere stato estraneo agli atti antecedenti del procedimento: meccanismo che esclude di per sé che il giudice possa avere una qualche precognizione, anche nel medesimo grado di giudizio, del thema decidendum”. In seno al processo civile invece “la costante cognizione, nel medesimo grado di giudizio, da parte dello stesso giudice dei vari profili in cui può atteggiarsi la vicenda processuale, anche se comportano, in corso di causa, l’adozione di provvedimenti cautelari o anticipatori, è addirittura un valore perseguito”. A proposito della revocazione, mezzo di impugnazione straordinario previsto dall’art. 395 del codice di rito, la cui domanda si propone con citazione innanzi allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza[35], è sorto qualche dubbio sul sussumere il relativo giudizio nell’alveo del “grado” rilevante ai sensi dell’art. 51 c.p.c in quanto, tra l’altro, è stato notato che la nozione di “grado” evoca l’idea di una progressione «sì che non viene spontaneo qualificare espressioni di un grado la revocazione (e l’opposizione di terzo), processi nei quali il giudizio “torna sui propri passi”»[36]. È apparsa dello stesso avviso la Corte di Cassazione che, eccezion fatta per l’ipotesi prevista ex art. 395 n. 6 (dolo del giudice) ha asserito che “secondo l’ordinamento processuale vigente non sussiste, per i magistrati che abbiano pronunciato la sentenza impugnata per revocazione, alcuna incompatibilità a partecipare alla decisione sulla domanda di revocazione (Cass. n. 19498/06, Cass. n.8180/09). In tali pronunce, che il Collegio condivide, si è affermato che è ben vero che la revocazione si propone davanti allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (art. 398 c.p.c.) – da intendersi quale stesso ufficio giudiziario – ma è possibile, tuttavia, che il collegio giudicante sia formato (in tutto o in parte) dalle medesime persone – non sussistendo, secondo l’ordinamento processuale vigente, alcuna incompatibilità, a partecipare alla decisione sulla domanda di revocazione, per i magistrati che abbiano pronunciato la sentenza impugnata per revocazione, trattandosi di errore percettivo e non già valutativo che, come tale, ben può essere riparato anche dallo stesso giudice o collegio giudicante”[37].
Non solo la dottrina[38] ma anche la giurisprudenza di merito e di legittimità hanno dunque progressivamente virato verso interpretazioni restrittive della nozione di “grado del processo” e un contributo in tale direzione proviene anche dalla sentenza n. 31345 del 2022 oggetto della presente trattazione. Nel caso di specie veniva lamentata (come precedentemente anticipato) dal difensore delle società convenute in giudizio il presunto deficit di imparzialità del collegio giudicante perché composto da magistrati che avevano già pronunciato precedentemente la sentenza di annullamento con rinvio rivolta alla Corte di Appello. L’interpretazione estensiva della nozione di grado del processo fornita dai convenuti non ha però trovato sostegno in seno alla Suprema Corte che muovendosi nel solco tracciato da proprie precedenti decisioni[39] ha statuito che la partecipazione dei magistrati al giudizio di cassazione conclusosi con sentenza di annullamento non inficia la loro imparzialità e terzietà in caso di un successivo giudizio avente ad oggetto la sentenza pronunciata dal giudice di rinvio in quanto l’obbligo di astensione del giudice civile ai sensi dell’art. 51 c. 1 n. 4 sarebbe circoscritto solamente a tutte quelle ipotesi in cui il magistrato avesse partecipato ad una precedente decisione riguardante il merito della controversia. Di conseguenza, dunque, l’obbligo di astensione non sussisterebbe in capo al giudice in caso di svolgimento, ad esempio, di semplici attività istruttorie o in caso della decisione sulla riunione di processi. Viene profilato lo stretto collegamento sussistente tra la nozione di “grado” e il concetto di “merito” della causa escludendosi il rischio di precognizione dell’organo giudicante laddove questi non abbia precedentemente vagliato la fondatezza della domanda giudiziale. Tale assetto argomentativo su cui si basa la pronuncia oggetto del presente contributo prende le mosse dall’innovativo principio di diritto che le Sezioni Unite hanno formulato nel 2013 in forza del quale: “Qualora una sentenza pronunciata dal giudice di rinvio formi oggetto di nuovo ricorso per cassazione, il Collegio della Corte può essere composto anche con magistrati che hanno partecipato al precedente giudizio conclusosi con la sentenza di annullamento, in quanto ciò non determina alcuna compromissione dei requisiti di imparzialità e terzietà del giudice”[40]. Le Sezioni Unite hanno rimarcato il fatto, richiamando tra l’altro a supporto della propria tesi anche gli orientamenti dominanti (in relazione alla materia trattata) della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo[41], che l’ipotesi di astensione definita nell’art. 51 comma 1 n. 4 presupponesse “che il giudice avesse conosciuto il merito della causa in altro grado del giudizio, nella presunzione che la partecipazione deliberante alla sua adozione potesse rendere il giudicante meno libero di decidere in fase di impugnazione sugli errori eventualmente commessi considerato anche che la precedente cognizione aveva avuto ad oggetto il medesimo thema decidendum”. Il sindacato della Corte di Cassazione, continuano gli Ermellini nella pronuncia del 2013: “è esclusivamente di legalità e prescinde da qualsiasi valutazione di merito, riguardando l’interpretazione della norma ovvero la verifica dell’ambito della sua applicazione, al fine della sussunzione della fattispecie concreta […] in quella astratta”. Il principio di diritto delle Sezioni Unite è stato fatto proprio, qualche anno dopo, in sede di decisione da parte della Sezione Terza Civile di una istanza di ricusazione rivolta ad un consigliere di Cassazione che aveva già ricoperto il ruolo di relatore ed estensore nel precedente giudizio conclusosi con un rinvio al giudice di merito. I giudici della Suprema Corte da un lato hanno richiamato il principio di diritto enunciato nel 2013 dalle Sezioni Uniti Civili, dall’altro hanno posto in essere una puntualizzazione sottolineando che anche in caso di ricorso per cassazione improntato su un error in iudicando e non solo su un error in procedendo non sarebbe sussistito alcun obbligo di astensione in capo al giudice membro del collegio che aveva pronunciato con rinvio[42].
Da ultimo, anche una recente ordinanza della Suprema Corte si è mostrata in linea con i precedenti orientamenti affermando che “secondo la giurisprudenza di legittimità, qualora una sentenza pronunciata dal giudice di rinvio formi oggetto di un nuovo ricorso per cassazione, il collegio può essere composto come nel caso all’esame – anche con magistrati che abbiano partecipato al precedente giudizio conclusosi con la sentenza di annullamento, ciò non determinando alcuna compromissione dei requisiti di imparzialità e terzietà del giudice (Cass., sez. un., 25/10/2013, n. 24148; Cass. 29/02/2016, n. 3980), nè sussiste, pertanto, alcun obbligo di astensione a loro carico ex art. 51 c.p.c., comma 1, n. 4 e ciò a prescindere dalla natura del vizio che ha determinato la pronuncia di annullamento, che può consistere indifferentemente in un error in procedendo o in un error in iudicando, atteso che, anche in quest’ultima ipotesi, il sindacato è esclusivamente di legalità, riguardando l’interpretazione della norma ovvero la verifica del suo ambito di applicazione, al fine della sussunzione della fattispecie concreta, come delineata dal giudice di merito, in quella astratta (Cass., 18/07/2016, n. 14655)”[43].
4.Brevi conclusioni.
La Suprema Corte, tornata a soffermarsi recentemente su una delle ipotesi caratterizzanti l’astensione del giudice civile, istituto giuridico di forte rilievo che garantisce “sia l’indipendenza del singolo giudice, sia il prestigio della sua funzione”[44], riafferma graniticamente, in linea con precedenti pronunce, l’esigenza di evitare interpretazioni troppo late della nozione di “grado del processo” che non gioverebbero alla celerità e alla speditezza del processo civile risultando preferibile, allo scopo di assicurare maggiore efficienza alla dimensione processuale, tenere saldamente legato il concetto di grado del processo all’effettivo esame del merito della domanda proposta.
Siffatto orientamento giurisprudenziale appare in perfetta sintonia con l’ordinamento giuridico nazionale[45] che attribuisce alla Suprema Corte una preminente funzione di legittimità. Trattandosi di un giudice di legittimità e non di merito[46] “la corte non giudica il fatto, ma esclusivamente come a quel fatto, così accertato dai giudici di merito, sia stato dagli stessi applicato il diritto”[47]. È chiamata a verificare “se a quel fatto è stato correttamente applicato il diritto, ossia se sia stata correttamente scelta e applicata la specifica regola o lo specifico principio che governa quel fatto. In tal modo il giudizio della corte di legittimità si limita alla verifica sulla corretta applicazione, e prima ancora interpretazione, delle regole e dei principi di diritto ai casi della vita”[48]. Il suo giudizio è “essenzialmente di diritto ossia un giudizio inteso a controllare la puntuale applicazione della legge […] ad opera dei giudici, che sono dunque i primi e diretti destinatari del controllo di legalità”[49]. Innanzi alla Suprema Corte si possono far valere soltanto errores in iudicando o in procedendo[50] che hanno viziato il giudizio di merito; giudizio che invece mira ad “accertare le vicende oggetto di causa, in modo da condurre ad una decisione concreta sull’accaduto, che viene ricostruito nella sentenza che, decidendolo, lo definisce”[51]. A differenza del giudice di appello il Supremo Consesso non può effettuare direttamente il giudizio rescissorio che spetterà al giudice di rinvio innanzi al quali si aprirà una nuova fase processuale[52]. Il ricorso per Cassazione in definitiva è “essenzialmente un rimedio di legalità […] Funzione di tale rimedio è dunque quella di rendere immune il giudizio che, in contrapposto a quello di cassazione, si chiama di merito, da errori che possono viziarlo”[53]. Solo eccezionalmente la Corte di Cassazione non è solo giudice del rescindente ma anche del rescissorio ossia quando non risultino necessari ulteriori accertamenti né una nuova valutazione degli accertamenti compiuti dal giudice del merito[54]. In tali ipotesi la Suprema Corte si discosta dalla sua prima e originaria funzione di nomofilachia e il suo giudizio assume la natura di una vera e propria terza istanza. Tornando alla questione oggetto del presente contributo si era sostenuta l’incompatibilità di alcuni consiglieri della Cassazione che avevano precedentemente cassato con rinvio una sentenza del giudice di appello e che poi avevano composto il collegio giudicante che avrebbe dovuto pronunciarsi sul ricorso vertente sulla sentenza del giudice di rinvio. Alla luce delle considerazioni fatte appare assolutamente condivisibile la decisione della Suprema Corte di non ritenere incompatibili quei magistrati ex art. 51 c. 1 n. 4 c.p.c. Avendo infatti essi cassato con rinvio la sentenza del giudice di appello non si sono in alcun modo espressi sul merito della causa e consequenzialmente non sorge alcuna suspicio che il magistrato “si senta psicologicamente legato all’opinione espressa nel precedente grado del giudizio”[55].
[2] Sulla tassatività delle ipotesi previste dall’art. 51 c.p.c. sembrano essere concordi la dottrina maggioritaria e la giurisprudenza v. A. Tedoldi, Astensione, ricusazione e responsabilità dei giudici, Commentario del Codice di Procedura Civile [a cura di] Sergio Chiarloni, Libro primo: Disposizioni generali art. 51-56, Zanichelli, Bologna, 2015, pag. 49 e ss.
[3] A. Tedoldi, Astensione, ricusazione e responsabilità dei giudici, Commentario del Codice di Procedura Civile [a cura di] Sergio Chiarloni, Libro primo: Disposizioni generali art. 51-56, cit. pag.54.
[5] C. Consolo, Terzietà ed imparzialità nella dinamica dei processi non penali, in Foro it, 2012, pag.22.
[6] L’art. 51cpv. intende comunque ricomprendere tutte le situazioni, non rientranti tra quelle tracciate nel primo comma, dalle quali possa derivare un rischio per la serenità del giudizio v. A. Tedoldi, Astensione, ricusazione e responsabilità dei giudici, Commentario del Codice di Procedura Civile [a cura di] Sergio Chiarloni, Libro primo: Disposizioni generali art. 51-56, cit. pag. 278 e ss.
[7] C. Glendi, Astensione e ricusazione del giudice, il Corriere giuridico 12/2013, pag. 1600, in Pluris, cita C. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, Torino, 2012, pag. 237.
[8] C. Glendi, Astensione e ricusazione del giudice, cit. pag. 1600.
[9] C. Glendi, Astensione e ricusazione del giudice, cit. pag. 1600.
[11] A. Tedoldi, Astensione, ricusazione e responsabilità dei giudici, Commentario del Codice di Procedura Civile [a cura di] Sergio Chiarloni, Libro primo: Disposizioni generali art. 51-56, cit. pag.133.
[12] L. Dittrich, Incompatibilità, astensione e ricusazione del giudice civile, Cedam, Padova, 1991, pag.137.
[13] Più netta la formulazione contenuta nell’art. 116 n. 9 nel codice di rito civile del 1865 che prevedeva l’obbligo di astensione del giudice che avesse conosciuto della causa come giudice di prima istanza. Sulla genesi della formulazione dell’art. 51 n. 4 v. A. Tedoldi, Astensione, ricusazione e responsabilità dei giudici, Commentario del Codice di Procedura Civile [a cura di] Sergio Chiarloni, Libro primo: Disposizioni generali art. 51-56, cit. pagg. 148-157.
[14] L. Dittrich, Incompatibilità, astensione e ricusazione del giudice civile, cit. pag. 144.
[15] L. Dittrich, Incompatibilità, astensione e ricusazione del giudice civile, cit. pag. 146.
[23] “Há impedimento do juiz, sendo-lhe vedado exercer suas funções no processo: […] 2. de que conheceu em outro grau de jurisdição, tendo proferido decisão”.
[24] Per esempio rientra tra queste ipotesi il fatto che egli stesso o il coniuge siano stati parte nella causa oltre ad altre tassativamente previste.
[25] C. Cost. 31.5.1996, n. 177; C. Cost. 20.5.1996, n. 155; C. Cost. 24.4.1996, n. 131; C. Cost. 15.9.1995, n. 432.
[36] M. Fabiani, Garanzia di terzietà e imparzialità del giudice ed efficienza del processo § 10, 23 giugno 2010 in www.judicium.it.
[37] Cass. civ., Sez. lavoro, Sentenza, 09/10/2017, n. 23498.
[38] Si vedano anche ex multis: R. Maruffi la quale afferma che occorrerebbe non ritenere il giudice civile “automaticamente incompatibile, ma chiedersi, piuttosto, se sia più congeniale al conseguimento di una tutela giurisdizionale effettiva, il mantenimento del giudice già investito della controversia, oppure il suo cambiamento” [L’art.111 Cost. e l’incompatibilità del giudice nel processo civile, cit. pag. 1183]; L. Dittrich che suggerisce “per così dire «tornare al giudizio»: e solo nel contraddittorio delle parti e nella concreta analisi delle singole situazioni di fatto sarà possibile accertare, senza fuorvianti automatismi, l’idoneità soggettiva del giudicante e, con essa, il rispetto del processo al canone fondamentale della imparzialità del giudicante, senza appesantire il rito civile di aprioristiche, quando per buona parte inutili, ipotesi generali di incompatibilità”[ La precognizione del giudice e le incompatibilità nel processo civile, in Riv.dir.proc, 2002, pag. 1174].
[39]Ex multis: Cass. civ., Sez. Unite, Sent., (data ud. 08/10/2013) 25/10/2013, n. 24148; Cass. civ., Sez. III, Ord., (data ud. 20/04/2016) 18/07/2016, n. 14655; Cass. civ., Sez. III, Ord., (data ud. 15/09/2020) 25/01/2021, n. 1542
[41] Nella sentenza n. 24148 si rimarca come: “L’orientamento della Corte Europea dei diritti dell’uomo sembra essere nel senso che natura e finalità proprie del giudizio d i legittimità siano tali da escludere la possibilità dei cosiddetti “effetti pregiudicanti”, i quali sono da circoscrivere in via esclusiva a i giudizi di merito”.
[42] Cass. civ., Sez. III, Ord., (data ud. 20/04/2016) 18/07/2016, n. 14655.
[43] Cass. civ., Sez. III, Ord., (data ud. 15/09/2020) 25/01/2021, n. 1542.
[45] In tal senso appaiono centrali l’art. 65 del Regio decreto n. 12 del 1941e l’art. 111 c. 7 della Costituzione. Ai sensi del primo: “La corte suprema di cassazione, quale organo supremo della giustizia, assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni; regola i conflitti di competenza e di attribuzioni, ed adempie gli altri compiti ad essa conferiti dalla legge” mentre il secondo recita: “Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra”
[46] Sulle caratteristiche dei giudizi di legittimità e merito si osservi ex multis: P. Gianniti, C. Sabatino, Le inammissibilità nel giudizio civile di legittimità, Cedam, Padova, 2022, pag. 41 e ss.
[47] P. Gianniti, C. Sabatino, Le inammissibilità nel giudizio civile di legittimità, cit. pag. 46.
[48] P. Gianniti, C. Sabatino, Le inammissibilità nel giudizio civile di legittimità, cit. pag. 47.
[49] C . Mandrioli, A. Carratta, Diritto processuale civile I, nozioni introduttive e disposizioni generali, ventesima edizione, Giappichelli, Torino, 2017, pag. 535.