Brevi note sulla nuova disciplina dell’inefficacia della misura cautelare

Di Alessandro Triolo -

1.- Tra le novità più significative introdotte dalla riforma Cartabia nell’ambito del giudizio cautelare uniforme, vi è la modifica dell’art. 669-novies c.p.c. sull’istituto dell’inefficacia[1]. La novella non ha stravolto i connotati strutturali del procedimento, limitandosi a correggere alcuni profili applicativi che avevano generato numerose problematiche nella prassi. La riforma interviene sul procedimento descritto al comma 2° dell’art. 669-novies[2], tradizionalmente caratterizzato da una struttura bifasica, essendo composto da una prima fase sommaria, destinata a chiudersi con ordinanza, ed una successiva fase di merito, subordinata alla presenza di una contestazione del convenuto. Come nella disciplina previgente, la parte interessata, verificatasi una causa di inefficacia della misura, deve richiedere con ricorso la fissazione di un’apposita udienza per la trattazione della questione. Secondo l’iter ordinario il giudice, se non c’è contestazione da parte del convenuto, definisce il procedimento con ordinanza immediatamente esecutiva, disponendo i provvedimenti di ripristino. Nella nuova formulazione, invece, viene eliminata la possibilità di rinviare alla fase di merito per la decisione con sentenza, nonostante la contestazione del convenuto. La modifica, attesa da molti commentatori, era auspicabile per l’irragionevolezza di una scelta normativa di demandare l’esame di una questione abbastanza semplice, come quella dell’inefficacia, ad un processo a cognizione piena, nonché per le notevoli difficoltà che tale evenienza recava in relazione al coordinamento con altri giudizi. L’eliminazione di un second look condizionato alla mera presa di posizione della controparte appare soluzione saggia e ponderata, ma foriera di alcuni incongruenze applicative che si cercherà di delineare in questo breve scritto.

2. Prima di entrare nel cuore degli aspetti pratici, è opportuno delineare sommariamente come funzionava il procedimento per la declaratoria inefficacia anteriormente alla novella, soffermandosi sui principali temi esaminati dalla dottrina. Nella previgente disciplina, nei casi di inosservanza del termine perentorio per l’instaurazione del giudizio di merito o estinzione dello stesso, l’inefficacia doveva essere dichiarata con ordinanza dal giudice che aveva emesso la misura cautelare (anche in pendenza della relativa fase di merito[3]) ad esito di un giudizio in contraddittorio tra le parti. La natura contenziosa del procedimento si desumeva dalla previsione di una possibile contestazione del convenuto, che secondo la maggioranza della dottrina avrebbe dovuto essere sufficientemente puntuale e specifica da giustificare l’instaurazione del successivo processo a cognizione piena[4]. La contestazione del convenuto, infatti, rappresentava il discrimen tra la definizione «sommaria» del giudizio mediante l’ordinanza contenente i provvedimenti di ripristino (mantenuta nell’odierna formulazione) e la successiva fase di merito da promuovere dinanzi all’ufficio giudiziario di appartenenza del giudice deputato alla gestione della misura cautelare. Consequenzialmente, in caso di chiusura della fase sommaria in violazione dei presupposti di legge, ad esempio per omesso rinvio al tribunale nonostante la contestazione del convenuto, l’ordinanza sarebbe divenuta regolarmente impugnabile con i mezzi ordinari[5] o reclamabile ex art. 669-terdecies[6].

La fase di merito, invece, si svolgeva secondo le forme della cognizione piena, potendo la parte proporre nuove domande (benché connesse all’oggetto del giudizio), come quelle ripristinatorie o risarcitorie, anche per sanzionare eventuali condotte illegittime poste in essere dall’avversario. In virtù dell’estrema semplicità dell’accertamento, parte della dottrina suggeriva l’opportunità di applicare lo schema del processo sommario di cognizione[7], essendo superfluo un esame esauriente e completo su una questione di rilevanza meramente processuale. La pronuncia conclusiva assumeva le forme di una sentenza di accertamento dell’inefficacia della misura, regolarmente impugnabile ed impropriamente qualificata come «provvisoriamente esecutiva»[8]. Infine, una previsione alquanto oscura e contraddittoria consentiva l’emanazione in corso di causa di provvedimenti di revoca o modifica ex art. 669-decies della misura ormai inefficace; l’opinione maggioritaria, non mancando di rilevare l’ermeticità della disposizione, riteneva che essa attribuisse al giudice un potere di anticipare la declaratoria di inefficacia tramite l’emanazione di misure interinali per evitare contestazioni meramente pretestuose[9]. Fortunatamente, seguendo le avvedute indicazioni della dottrina, la novella ha eliminato anche tale inciso dipanando qualsiasi sforzo interpretativo per sgrovigliare il contenuto della norma.

3 (segue). L’adozione del processo ordinario di cognizione, implicante una possibile seconda o terza fase di gravame, aveva indotto parte della dottrina ad interrogarsi sui possibili rapporti conflittuali tra il procedimento ordinario per la dichiarazione di inefficacia e altri giudizi. L’ipotesi più frequente consisteva nella contemporanea pendenza con il giudizio di merito promosso ad esito della fase cautelare, sia nei casi strumentalità attenuata che necessaria, essendo l’inesistenza del diritto cautelando, pronunciata con sentenza anche non passata in giudicato, una espressa causa di inefficacia della misura. Il conflitto andava risolto nel senso che la riforma della sentenza che avesse negato la sussistenza dei presupposti della cautela avrebbe imposto una chiusura in rito per sopravvenuto difetto di interesse del giudizio medio tempore pendente sull’inefficacia (sia in fase «sommaria» che di merito). Una volta resa inefficace la misura, invece, un tale esito avrebbe determinato la riviviscenza automatica del provvedimento o suggerito l’emanazione di un nuovo provvedimento in corso di causa da parte del giudice del merito. Se per ventura nel giudizio di merito fosse stata eccepita l’estinzione, si sarebbe potuta ingenerare una necessità di coordinamento con il procedimento per la dichiarazione dell’inefficacia instaurata a motivo dell’estinzione. L’opinione preferibile, avallata anche da isolata giurisprudenza[10], consigliava la sospensione ex art. 295 c.p.c. della causa pregiudicata (ossia quella relativa all’inefficacia) in attesa della decisione sull’estinzione del giudizio di merito[11].

Un’altra direttrice di coordinamento concerneva l’attuazione della misura cautelare in forza dei provvedimenti di ripristino concessi d’ufficio nell’ambito del procedimento ex art. 669-novies. Ove questa fosse stata già iniziata, l’emanazione della sentenza dichiarativa dell’inefficacia avrebbe imposto un arresto immediato della procedura, tanto in sede endo-esecutiva quanto in fase oppositiva. Di converso, il ribaltamento della pronuncia, in appello o in cassazione, avrebbe permesso una riassunzione del procedimento di attuazione o la possibilità di agire nuovamente in executivis sulla base del medesimo titolo. Le maggiori perplessità, tuttavia, riguardavano l’inadeguatezza degli ordini di ripristino dinanzi a misure cautelari ad effetti irreversibili, come alcune tipologie di esecuzione in forma specifica. Una soluzione per dirimere questa grave complicazione andava nel senso di consentire la cumulabilità della domanda risarcitoria conseguente all’irreversibilità degli effetti della cautela oppure di rinviare alla fase di merito, anche in assenza di contestazione, per la decisione sull’an debeatur e la quantificazione del danno[12].

L’ultimo profilo atteneva alle conseguenze derivanti dalla caducazione del comando cautelare in sede di revoca/modifica o di reclamo. Da un lato si ammetteva pacificamente che la revoca del provvedimento cautelare, o la modifica in senso peggiorativa, avrebbe reso la dichiarazione sull’inefficacia superflua, imponendo una definizione del procedimento con cessazione della materia del contendere. Dall’altra, la situazione opposta, ossia quella relativa alla ricezione dell’ordinanza/sentenza dichiarativa dell’inefficacia (ancorché non-definitiva) nei procedimenti ex artt. 669-decies 669-terdecies, non appariva somigliante ed anzi suscitava molteplici dubbi interpretativi[13]. Secondo l’opinione preferibile, parzialmente dissonante rispetto all’orientamento maggioritario, la sentenza dichiarativa, potendo ancora essere riformata, non avrebbe potuto spiegare alcun effetto sulla pendenza del reclamo, il quale avrebbe dovuto proseguire impassibile sino alla decisione finale sul comando cautelare[14].

4.La riforma sembrerebbe a primo acchito aver dipanato tutti gli interrogativi posti dalla dottrina in relazione alla disciplina della fase di merito instaurata ex art. 669-novies. In realtà, la nuova formulazione, benché più scarna e sintetica, non si esime da alcune osservazioni critiche. Innanzitutto, la norma sembrerebbe limitare la trattazione della questione dell’inefficacia ad una mera presa d’atto del giudice che ha emesso il provvedimento, quasi come un provvedimento di volontaria giurisdizione, essendo eliminato il riferimento alle contestazioni del convenuto. A nostro avviso, l’espunzione dell’inciso non farebbe tramutare la natura contenziosa del procedimento, dovendo comunque essere assicurato un adeguato contraddittorio sulla causa di inefficacia, alla stregua di quanto stabilito dall’art. 669-sexies c.p.c., anche in relazione ai motivi addotti dal ricorrente. In questo senso, ci sembra che il legislatore abbia deciso di trasferire (o meglio limitare) il dibattito argomentativo sull’inefficacia, esemplificato da una possibile contestazione del convenuto, dalla fase di merito a quello propriamente sommaria. Una tale regressione, tuttavia, imporrebbe un aumento delle garanzie processuali assimilabili alla fase di merito, come il potere di assumere prove e formulare altre domande (come quelle risarcitorie), sicché è opportuno che il nuovo procedimento ex art. 669-novies, sguarnito di una possibile cognizione di merito, divenga meno sommario di quanto lo fosse prima.

Eliminato il riferimento alle contestazioni del convenuto, si rafforza l’idea che la contumacia non sia idonea a consentire l’emanazione di un provvedimento par default, dovendo il giudice valutare la fondatezza dei motivi di ricorso e la sussistenza di una effettiva causa di inefficacia.

La norma, tuttavia, trascura l’ipotesi del diniego dell’istanza, rimanendo silente circa la forma e il contenuto del rigetto. La soluzione migliore, a nostro avviso, è che il giudice provveda sempre con ordinanza, disponendo sulle spese di lite a favore della parte vittoriosa.

La conservazione di una certa tendenza contenziosa e contraddittoria del procedimento si evince anche dalla tipologia di provvedimento conclusivo. La riformulazione legislativa, infatti, mantiene il riferimento ad un’«ordinanza esecutiva», immediatamente attuabile quanto ai provvedimento di ripristino. Se il legislatore avesse voluto diminuire le garanzie delle parti, avrebbe potuto convenientemente prevedere la non impugnabilità del provvedimento. Ed invece, si deve ritenere che, nel silenzio della norma, il provvedimento possa essere oggetto di gravame se emesso al di fuori dei presupposti di legge; a guisa dell’orientamento invalso, esso dovrebbe assumere la forma di una sentenza regolarmente impugnabile con i mezzi ordinari e straordinari. Questa soluzione, tuttavia, non mi pare confacente al modello prescelto dal legislatore per il riesame delle statuizioni nel giudizio cautelare, ossia il reclamo ex art. 669-terdecies. Tale soluzione non contrasta con l’auspicabile aumento delle garanzie processuali delle parti, nonché all’evenienza di consentire la formulazione di domande diverse, come quelle risarcitorie, che possono incidere su diritti soggettivi. Anche le domande risarcitorie, infatti, specialmente se formulate in conseguenza di una situazione di fatto irreversibile, acquistano quel carattere d’urgenza che giustifica una cognizione sommaria e la decisione tramite ordinanza. In ogni caso, nulla viete al ricorrente, leso dall’impossibilità di attuare la misura, di instaurare una autonomo giudizio di merito per ottenere il risarcimento del danno. Si deve ritenere, pertanto, che l’ordinanza, sia in caso di accoglimento che di rigetto, possa essere convenientemente impugnata tramite l’esperimento del reclamo ex art. 669-terdecies.

Per quanto concerne le problematiche di coordinamento con altri giudizi, la norma sembrerebbe aver risolto molti dei quesiti prospettati brevemente supra, ma qualche dubbio permane, anche di notevole rilevanza. Ci si potrebbe domandare infatti cosa accada se, dichiarata l’inefficacia a motivo dell’estinzione del giudizio di merito, la questione venga riformata dal collegio dopo il reclamo ex art. 308 c.p.c. e il processo venga così riassunto. Salvo l’operare dell’istituto della sospensione per pregiudizialità, riteniamo che il beneficiario della cautela debba richiedere l’emanazione di una nuova misura, a meno di considerare che l’ordinanza dichiarativa sia tamquam non esset e l’originaria misura riacquisti ipso iure la propria efficacia. Quanto, infine, all’emanazione della dichiarazione di inefficacia a reclamo pendente, riteniamo che, eliminata la possibilità di una cognizione ordinaria e la necessità di un coordinamento applicativo, possano finalmente sussistere i presupposti per una declaratoria in rito per sopravvenuto interesse ad impugnare, salvo che non si dia prova (e non è da escludere) che l’ordinanza dichiarativa sia stata reclamata e pertanto sia ancora suscettibile di riforma.

[1] La proposta di modifica era contenuta nei lavori iniziali della commissione «Luiso». Secondo i componenti della commissione «la differenziazione operata dal secondo comma dell’articolo 669-novies c.p.c. non appare sistematicamente corretta, in quanto tutti i provvedimenti che disciplinano situazioni giuridiche in via cautelare hanno forma di ordinanza, ed è fonte di notevole aggravio per l’attività giurisdizionale obbligando il giudice alla concessione dei termini per la definizione del thema decidendum e del thema probandum e, infine, dei termini per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica. L’intervento si propone, dunque, lo scopo di armonizzare e semplificare la disciplina, attraverso una modifica del secondo comma dell’articolo 669-novies c.p.c. Viene, così, ad essere previsto che, in entrambi i casi indicati dal primo comma della medesima disposizione, il giudice, dopo avere convocato le parti e garantito il contraddittorio sull’istanza, provvede con ordinanza avente efficacia esecutiva». La proposta è confluita dapprima nell’art. 1, 17°, lettera r) della legge delega 26 novembre 2021, n. 206 e poi mantenuta dal legislatore delegato.

[2] La norma ricomprende le ipotesi di mancata instaurazione o estinzione del giudizio di merito, alle quali bisogna aggiungere la mancata esecuzione del sequestro ex art. 675 c.p.c. nonché la mancata richiesta di esecutorietà della sentenza o del lodo straniero. Per i casi di mancata prestazione della cauzione e inesistenza del diritto cautelando, invece, il comma 3° stabilisce che l’inefficacia debba essere dichiarata nella stessa sentenza o, in mancanza, con apposita ordinanza.

[3]Andolina I., Profili della nuova disciplina dei provvedimenti cautelari in generale, in Foro it. 1993, II, 75-76, Attardi A., Le nuove disposizioni sul processo civile e il progetto del Senato sul giudice di pace, Milano 1991, 247. In senso opposto Arieta G., Le tutele sommarie, il rito cautelare uniforme, i procedimenti possessori, in Trattato di diritto processuale, Padova 2005, III, 882-883.

[4] In tal senso Frus G., Le riforme del processo civile, a cura di Chiarloni S., Bologna 2017, sub art. 669-novies, 730. Contra, nel senso dell’ammissibilità di una contestazione meramente generica Curti M., Sulla procedura per la declaratoria di inefficacia del provvedimento cautelare, in Nuova giur. civ. comm. 2000, 330. In generale la dottrina riteneva che la contumacia non equivalesse a mancata contestazione (ex multis Proto Pisani A., La nuova disciplina dei procedimenti cautelari in generale, in Foro it. 1991, V, 76.). In senso contrario Merlin E., La sopravvenuta inefficacia del provvedimento cautelare, in Il processo cautelare, a cura di Tarzia G., Saletti A., Padova 2008, 450, nt. 68.

[5] Vullo E., Commentario del codice di procedura civile, a cura di Chiarloni., Bologna, 2017, sub art. 669-novies, 309-310, Cecchella C., Il processo cautelare, Torino 1997, 136-137. Si esprime per il ricorso diretto in cassazione Verde G., Codice di procedura civile, a cura di Verde G., Di Nanni L., Torino, 1993, sub art. 669-novies, 496.

[6] In tal senso Sassani B., La riforma del processo civile, a cura di Sassani B., Consolo C., Luiso F. P., Milano 1991, sub art. 669-novies, 490; Recchioni S., op. cit., 763; Merlin E., op. cit., 450. In giurisprudenza Cass. civ., 12 maggio 1997, 4113, in Foro it. 1998, I, 1542, con nota di Balena G., Provvedimenti sommari esecutivi e garanzie costituzionali.

[7] Così Recchioni S., op. cit., 739-740. La giurisprudenza, invece, prediligeva anche l’applicazione delle forme camerali, Trib. Trani, 4 luglio 2000, in Giur. mer. 2001, 898, Trib. Piacenza, 5 maggio 1995, in Foro it. 1995, I, 1441.

[8] Recchioni S., op. cit., 740-741, osservava che «in realtà, tale precisazione parrebbe superflua, specie quanto agli ordini restitutori eventualmente pronunciati nella sentenza stessa, ove si considera che la riforma del 1990, ribaltando la regola previgente, ha stabilito che tutte le sentenze sono provvisoriamente esecutive».

[9] Una parte della dottrina, come Proto Pisani A., op. cit., 77, Frus G., op. cit., 732, propendeva per questa tesi. In senso parzialmente diverso Recchioni S., op. cit., 744-745, secondo cui la norma individuava un meccanismo di inibitoria atto a neutralizzare i danni conseguenti alla durata necessaria per la dichiarazione di inefficacia, tramite un potere di anticipazione degli effetti del provvedimento (tramite, ad esempio, la sospensione dell’efficacia esecutiva della misura cautelare). In senso ancora diverso Attardi A., op. cit., 247 ss.

[10] Pret. Vallo Lucania, 27 novembre 1998, in Giur. mer. 1999, 744.

[11] Così Recchioni S., op. cit., 742, Arieta G., op. cit., 1036.

[12] Così mi sembra Recchioni S., op. cit., 752. Contra Arieta G., op. cit., 1017, secondo cui in questi casi il procedimento dovrebbe concludersi con una presa d’atto dell’impossibilità di ripristinare la situazione precedente. In quest’ultimo senso Cass. civ., 22 novembre 2001, n. 14755, in Giust. civ. 2002, I, 355.

[13] Si vis Trib. Roma, sez. imprese, 22 giugno 2021, in Riv. dir. proc. 2022, 1417 ss., con nota di Triolo A., Sui rapporti tra reclamo e inefficacia della misura cautelare.

[14] Contra Recchioni S., op. cit., il quale sosteneva che «la dichiarazione d’inefficacia della misura cautelare elimina la ragione del contendere anche nella fase di reclamo ovvero sul sub-procedimento di modifica o revoca del provvedimento, perché di nessuna utilità è la caducazione, modifica o revoca di un provvedimento ormai dichiarato privo di efficacia giuridica». Tale ricostruzione, per quanto plausibile, non considerava il fatto che, una volta chiusa in rito la fase di reclamo e riformata la sentenza dichiarativa dell’inefficacia, il reclamante avrebbe potuto subire un grave pregiudizio al proprio diritto d’impugnazione, potendo essere irragionevolmente compulsato dalla misura dichiarata nuovamente efficace.