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Brevi note sulla reclamabilità dell’ordinanza di rigetto dell’istanza ex art. 649 c.p.c. (T. Roma 29 dicembre 2023)
Di Paola Licci -
1. L’ordinanza del tribunale di Roma è meritevole di essere segnalata poiché costituisce una presa di distanza dall’indirizzo finora espresso dalla prevalente giurisprudenza di merito in ordine alla reclamabilità dell’ordinanza di rigetto della richiesta di sospensione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo, ai sensi dell’art. 649 c.p.c.[1]
Con l’opposizione a decreto ingiuntivo emesso provvisoriamente esecutivo, l’opponente domandava la revoca del provvedimento monitorio, previa sospensione della sua esecutorietà. Il giudice monocratico, ritenendo non sussistenti i gravi motivi richiesti dall’art. 649 c.p.c. per ottenere la sospensione dell’esecuzione provvisoria, rigettava con ordinanza l’istanza dell’opponente. Avverso tale ordinanza, il debitore proponeva reclamo ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c.
Il tribunale di Roma in composizione collegiale, previa valutazione dell’ammissibilità del reclamo, revoca parzialmente l’ordinanza impugnata, disponendo la sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto.
A detta del collegio, diverse sono le ragioni che militerebbero in favore della reclamabilità dell’ordinanza di rigetto ex art. 649 c.p.c. e che sinteticamente (e disordinatamente) possono essere così individuate:
a) l’estensione del reclamo al provvedimento di diniego della sospensione della provvisoria esecutività risponde alla generale tendenza ad aprire la strada del reclamo ai provvedimenti sommari non cautelari e non definitivi, non assoggettabili al ricorso straordinario per cassazione;
b) l’art. 649 c.p.c. non stabilisce un divieto espresso di impugnazione dell’ordinanza che rigetta l’istanza di sospensione della provvisoria esecutività;
c)il procedimento cautelare uniforme ha carattere espansivo ed esprime principi generali dell’ordinamento, cosicché è possibile applicare le norme del rito cautelare per colmare lacune di disciplina dei procedimenti «ispirati alla medesima ratio»;
d) il provvedimento dell’art. 649 c.p.c. ha funzione e natura cautelare e pertanto gli sarebbe applicabile anche l’art. 669 terdeciesp.c.
2. Cominciamo col dire che il Tribunale di Roma invoca quale argomento a sostegno del reclamo per il provvedimento negativo dell’art. 649 c.p.c. il fatto che le riforme legislative e la giurisprudenza (anche costituzionale) tendano a generalizzare l’utilizzo del rimedio impugnatorio dell’art. 669 terdecies c.p.c., rendendolo applicabile anche al di fuori del suo ambito di operatività stabilito dall’art. 669 quaterdecies c.p.c. e, in particolare, ai provvedimenti sommari idonei ad incidere sulla situazione sostanziale delle parti[2]. Si tratta infatti di un rimedio a critica libera che consente un controllo tanto sulla validità quanto sulla giustizia della decisione impugnata e che potrebbe conciliarsi con le esigenze di celerità sottese ai provvedimenti sommari [3].
È una scelta confermata in vari contesti, come ad esempio in materia possessoria ex art. 703 c.p.c.[4], in materia di istruzione preventiva [5], in tema di consulenza tecnica preventiva ai fini conciliativi[6], con riferimento all’ordinanza di sospensione dell’art. 624 comma 2 c.p.c.[7], nonché contro i provvedimenti sulla sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo adottati dal giudice dell’opposizione pre- esecutiva [8].
L’ordinanza in commento richiama poi a supporto della propria idea anche la disciplina introdotta con la riforma Cartabia prevista dagli artt. 183 ter e quater c.p.c., in relazione alle ordinanze di accoglimento e di rigetto della domanda, le quali sono reclamabili ex lege in base all’art. 669 terdecies c.p.c. In caso di mancato reclamo o di suo rigetto, l’ordinanza (di accoglimento o rigetto) definisce il giudizio e non è ulteriormente impugnabile. Anche in queste due ipotesi di nuova introduzione, si realizza una estensione del reclamo cautelare a provvedimenti di natura sommaria non cautelare, decisori ma inidonei al giudicato, che rispondono alla finalità di ottenere rapidamente (ancorché in modo provvisorio) un titolo esecutivo, senza che vi sia necessità del periculum in mora.
Con il reclamo è possibile richiedere un riesame dei presupposti per la concessione della misura, sicchè il controllo del collegio (rectius, del giudice individuato secondo le regole sancite dall’art. 669 terdecies c.p.c.) deve essere limitato alla verifica che i fatti costitutivi siano provati e le difese della controparte appaiano manifestamente fondate (per l’ordinanza dell’art. 183 ter c.p.c.) o che la domanda sia «manifestamente infondata» ovvero vi siano alcuni vizi dell’atto di citazione (per l’ordinanza dell’art. 183 quater c.p.c.).
Il reclamo è ammesso solo in caso di accoglimento dell’istanza, ovvero in ipotesi in cui il provvedimento incida sulla realtà sostanziale, modificandola, e non anche in caso di suo rigetto (ipotesi quest’ultima invece assimilabile a quella di diniego della sospensione dell’art. 649 c.p.c., lì dove invece è esclusa qualsivoglia impugnazione per l’ordinanza di accoglimento).
Punti di contatto tra i due provvedimenti risiedono invece nel fatto che il reclamo dell’art. 183 ter, come nel caso dell’art. 649 c.p.c., dovrebbe tendere solo alla verifica dei presupposti per l’emissione dell’ordinanza e non anche all’esame del merito della controversia. Nel caso della sospensione dell’esecuzione del decreto, il giudice del reclamo deve verificare la sussistenza dei gravi motivi, esclusi dal giudice dell’opposizione. Nell’ipotesi dell’art. 183 ter c.p.c., il collegio è chiamato ad esaminare l’esistenza dei presupposti per la concessione dell’ordinanza.
In altri termini, nell’uno come nell’altro caso si utilizzerebbe solo lo schema processuale del reclamo, soprattutto in punto di competenza, ma non i suoi motivi né la portata sostitutiva della decisione[9].
Possibile quindi anche che il reclamo esteso al provvedimento di diniego della sospensione ex art. 649 c.p.c. possa condurre a inconvenienti non dissimili da quelli evidenziati dai primi commentatori in riferimento all’art. 183 ter c.p.c., ovvero un allungamento dei tempi del giudizio di merito a causa di un procedimento incidentale, nonché un dispendio di mezzi significativo [10].
3. Se da un lato non si può negare quanto afferma il tribunale di Roma, ovvero che vi sia una generale tendenza ad estendere l’ambito di operatività del reclamo cautelare oltre il campo ad esso originariamente destinato, non si può altrettanto tacere che il reclamo è invece escluso in ipotesi in cui può rintracciarsi una funzione cautelare più forte di quella stabilita dall’art. 649 c.p.c. e che sono molto più simili all’inibitoria proposta nel corso dell’opposizione a decreto ingiuntivo di quanto non lo siano le ordinanze di accoglimento e di rigetto degli artt. 183 ter e quater c.p.c.
Il riferimento può farsi, ad esempio, all’art. 283 c.p.c.[11], modificato da ultimo dal d. lgs. 149/2022, sull’inibitoria in appello.
In primo luogo, con la riforma, cambiano i presupposti per l’ottenimento della sospensiva, non più limitati ai gravi e fondati motivi. La norma ora richiede la sussistenza del periculum in mora («pregiudizio grave e irreparabile») e del fumus («se l’impugnazione appare manifestamente fondata»). Il decreto Cartabia ha inoltre stabilito che in caso di reiezione dell’istanza, l’appellante – anche incidentale- possa riproporre la richiesta nel corso del giudizio di appello ma solo a condizione che si verifichino mutamenti delle circostanze avvenuti dopo la proposizione dell’impugnazione.
Non è invece previsto il reclamo quale strumento di controllo davanti a un giudice diverso sul provvedimento che concede o nega la sospensiva[12].
La mancata possibilità di proporre reclamo è da più parti valutata come una incongruenza priva di giustificazione, vieppiù tenuto conto della tendenza cui si è accennato supra (§ 2) di allargare le maglie del reclamo ad altre forme di inibitoria come quella dell’art. 615 co. 1 c.p.c.[13]. Incongruenza che non appare colmata dalla possibilità di riproposizione dell’istanza che è subordinata all’allegazione di mutamenti di circostanze, ai sensi del secondo comma dell’art. 283 c.p.c.[14].
4.Diverse sarebbero poi le condizioni per la riproposizione della richiesta di sospensione dell’esecuzione tra l’art. 283 c.p.c. e l’art. 649 c.p.c., dal momento che quest’ultima disposizione nulla imporrebbe a riguardo.
Ed invero, come osserva l’ordinanza impugnata, la norma in esame riserva espressamente la non impugnabilità solo all’ordinanza che concede la sospensione, nulla invece disponendo per l’opposta ipotesi in cui la richiesta venga rigettata. Da qui l’idea che non si possa applicare al rigetto il regime stabilito per il provvedimento positivo che incide sulla esecutività, modificando il quadro preesistente rispetto all’opposizione[15]. Ne deriverebbe perciò quantomeno la possibilità di riproposizione dell’istanza: la non impugnabilità, e quindi la non modificabilità e non revocabilità, interessano solo il provvedimento concessivo della sospensione, restando perciò modificabile il rigetto della relativa richiesta sulla base di una nuova istanza che adduca eventuali evenienze istruttorie o comunque sopravvenute[16].
Per le stesse ragioni per cui la riproponibilità sarebbe una strada percorribile, il tribunale di Roma ritiene che l’ordinanza di rigetto sia reclamabile: la lettera dell’art. 649 c.p.c. tace in punto di rimedi, così lasciando aperta la strada anche dell’impugnazione dell’ordinanza[17]. In altri termini, l’ordinanza dell’art. 649 c.p.c. ha natura (latamente) cautelare, con conseguente applicabilità del reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c., in difetto di norma che ne sancisca in modo esplicito la non impugnabilità.
Si tratta in sostanza dello stesso argomento che le sezioni unite hanno posto a sostegno dell’estensione del reclamo al provvedimento inibitorio dell’art. 615 comma 1 c.p.c.[18].
Non può negarsi che l’interpretazione data dal tribunale abbia l’indubbio vantaggio di consentire un controllo ad opera di un altro giudice sul provvedimento di reiezione, controllo che, in caso di mera riproposizione dell’istanza non sarebbe garantito (ancorché forse quest’ultimo rimedio sarebbe già sufficiente, non essendo assoggettato ad oneri particolari come nelle ipotesi degli artt. 283 e 669 septies c.p.c.). Tuttavia, l’estensione del reclamo al rigetto della richiesta di sospensione conduce all’inevitabile conseguenza di frammentare ulteriormente, rispetto al quadro già creato dalla giurisprudenza di legittimità (e dalla legislazione), la disciplina generale dell’inibitoria, alimentando dei «sottosistemi»[19] la cui esistenza non appare supportata da una reale e concreta differenza tra i presupposti e le tipologie di sospensione. Non si comprende perché la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo debba assumere sempre un significato diverso nelle varie forme di inibitoria (in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, in sede di impugnazione, in sede di opposizione a precetto…)[20] ancorché sia quasi sempre assoggettata alla sussistenza di gravi motivi [21].
L’unica ragione allora che può giustificare la diversità di soluzioni non può che essere rappresentata dal dato letterale delle norme sulle inibitorie: il reclamo può ammettersi tutte le volte in cui non sia prevista espressamente dal codice la non impugnabilità dei provvedimenti. Sarà da sola questa una ragione valida per creare dei «sottosistemi»?
[1] In senso opposto alla decisione impugnata, ovvero contro la reclamabilità dell’ordinanza negativa dell’art. 649 c.p.c. v. ex plurimis T. Mantova, 3 settembre 2011, in Giur. It., 2012, 1102, con nota di Cariglia; T. Reggio Emilia, 23 ottobre 2012, id. , 2013, 2329; T. Lecce, 10 novembre 1993, in Foro It., 1994, I, 885; T. Bologna, 2 maggio 1995, in Giur. di Merito, 1996, I, 436; T. Venezia, 4 aprile 2000, in Foro It., 2000, I, 3644, con nota di Cea
[2] Per l’estensione del reclamo a tutti i provvedimenti sommari o anticipatori non cautelari ma destinati ad incidere sulla situazione sostanziale delle parti, v. Cipriani, Civinini, Proto Pisani, Una strategia per la giustizia civile nella quattordicesima legislatura, in Foro it., 2001, V, 81.
[3] Cfr. con riferimento al procedimento sospensivo dell’art. 624 c.p.c., Tiscini, I provvedimenti decisori senza accertamento, Torino, 2009, 180.
[4] In base alle modifiche introdotte al codice di rito dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni in l. 14 maggio 2005, n. 80.
[5] V. Corte cost. 16 maggio 2008, n. 144, in Riv. Dir. proc. con note di Ferrari e Licci nonché in questa Rivista con il commento di Delle Donne.
[6] In tal senso si è espressa di recente Corte cost. 24 ottobre 2023, n. 202, più volte menzionata dall’ordinanza in commento. Sulla sentenza della Consulta v. in questa Rivista le osservazioni di Luiso, Una sentenza buona, ma insufficiente. Si evidenzia peraltro che l’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale era stata emessa proprio dalla stessa sezione del tribunale di Roma che qui si commenta (sez. XIII civile), a riprova della convinzione del giudice romano dell’opportunità di estendere il reclamo ai provvedimenti sommari non cautelari.
[7] Così come novellato dalla riforma del 2005 del d.l. 35/2005 cit.
[8] Secondo quanto statuito da Cass. sez. un., 23 luglio 2019, n. 19889, in Rassef, 2019, 729 ss. con il dibattito A più voci sulla reclamabilità del provvedimento di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo pronunciato dal giudice dell’opposizione a precetto di Capponi, Cirulli, Farina, Monteleone, Scirpo, E. Fabiani, Guarnieri.
[10] Dispendio di mezzi però di diversa intensità rispetto a quella delle nuove ordinanze di accoglimento e di rigetto per le quali è stabilito espressamente che, in caso di accoglimento del reclamo, che si svolge innanzi al collegio del quale non può far parte il giudice che ha emesso l’ordinanza, il giudizio prosegue innanzi ad un magistrato diverso da quello che ha emesso l’ordinanza. L’impiego di tempi e risorse sarebbe perciò tutt’altro che trascurabile, soprattutto in uffici di limitate dimensioni. V. in tal senso Trisorio Liuzzi, Le nuove ordinanze definitorie (artt. 183 ter e quater c.p.c.), in La riforma del processo civile, a cura di D. Dalfino, Gli Speciali del Foro Italiano, 2023, 110; Mancini, Le ordinanze provvisorie di accoglimento e di rigetto della domanda, in Mancini, Merone, Scarpa, Il processo ordinario e semplificato di cognizione di primo grado, in La riforma del processo civile a cura di Giordano, Panzarola; Capponi, op. ult. cit., il quale osserva che la disciplina dell’ordinanza di accoglimento è mal confezionata anche quanto alla fase di controllo perché il richiamo al reclamo cautelare «non può trascinare il regime proprio della tutela cautelare; e dunque non è da escludere che avverso il provvedimento di reclamo si finisca per ammettere il ricorso straordinario (si pensi al regolamento delle spese)».
[11] Nonché le inibitorie dei titoli giudiziali, qualificate dalla legge come non impugnabili (ad es. artt. 283, 351, 373 c.p.c.)
[12] Sulla perdurante insindacabilità della decisione sulla sospensiva (dalla riforma del 1990) v. Violante, Provvedimenti sulla provvisoria esecuzione, in La riforma Cartabia del processo civile, a cura di Tiscini, Pisa, 2023, 468; Tombolini, L’inibitoria processuale della sentenza di primo grado nella prospettiva di riforma del processo civile, in Studi in onore di Bruno Sassani, Pisa, 2022, 455, 456.
[13] Così Capponi, Prime note sul maxi-emendamento al d.d.l. n. 1662/S/XVIII, in Giustizia insieme, 2021.
[14] La Corte costituzionale (253/1994), con riferimento ai provvedimenti cautelari negativi, ebbe modo di precisare che il meccanismo di riproposizione dell’istanza dell’art. 669 septies c.p.c. – che prevede la facoltà di riproporre l’istanza al medesimo giudice in caso di rigetto della domanda – non rappresenta un valido strumento di tutela alternativo al reclamo, atteso che i due rimedi si pongono su livelli di efficacia differenti e richiedono minori o maggiori oneri per la parte che intenda avvalersene, proprio perché subordinano la nuova domanda a sopravvenienze o a nuovi elementi di fatto e di diritto.
[15] Speculare condizione è stabilita nell’art. 648 c.p.c. per l’ipotesi di richiesta concessione della provvisoria esecuzione nel caso di decreto ingiuntivo precedentemente non munito di esecutività. Noti sono gli incidenti di costituzionalità che hanno interessato la disposizione. Si ricordano Corte cost. 65/1996, 428/2002, 306/2007.
[16] In tal senso T. Reggio Emilia, 15 luglio 2022; T. Fermo, 12 ottobre, 2007, in Giur. It., 2008, 1999. In senso contrario T. Reggio Emilia 1° giugno 2021. Sulla riproponibilità dell’istanza di sospensiva in corso di causa v. Ronco, Struttura e disciplina del rito monitorio, Torino, 2000, 495. In senso contrario v. Andrioli, Commento al codice di procedura civile, IV, Napoli, 1964, 87.
[17] Il tribunale peraltro osserva che, considerato il tenore letterale della disposizione, si rende possibile per il giudice di merito offrire una interpretazione costituzionalmente orientata, evitando l’incidente di costituzionalità. In tal senso si esprime Corte cost. 178/2023.
[18] V. supra nota 8. Per l’assimilazione del provvedimento inibitorio dell’art. 615 comma 1 c.p.c. e quello dell’art. 649 c.p.c. v. Farina, A più voci, 776, in particolare nota 21.
[19] Così Cass. sez. un., 23 luglio 2019, n. 19889, cit.
[20] Ci si dovrebbe anche interrogare sulla effettiva differenza tra la disciplina stabilita dall’art. 648 c.p.c., per il caso in cui venga concessa la provvisoria esecuzione, avverso la quale non è ammesso rimedio, e quella dell’art. 649, per l’ipotesi in cui venga rigettata l’istanza di sospensione e invece venga ammesso il reclamo. Il tribunale di Roma sottolinea che, mentre nell’art. 648 c.p.c., in conformità a quanto statuito dalla Consulta, con la non impugnabilità dell’ordinanza che concede la provvisoria esecuzione si mira a indurre l’opponente ad una particolare esaustività dell’opposizione, cosicché l’ordinanza avrebbe natura solo latamente cautelare, nell’art. 649 c.p.c. non sarebbe ravvisabile analoga funzione (cioè di indurre l’opponente a dimostrare la fondatezza dell’opposizione) ma emergerebbe solo la funzione prettamente cautelare dell’istituto. Ci sembra invece che, anche nell’ottica della ricerca di un modello unitario di inibitoria del titolo esecutivo, non siano rintracciabili significative differenze, dal momento che, tanto nell’art. 648 c.p.c. quanto nell’art. 649 c.p.c., l’opponente che voglia impedire l’evolversi dell’esecuzione forzata dovrà dimostrare la fondatezza delle proprie difese. Non appare perciò giustificabile la differenza di disciplina in punto di rimedi.
[21] Cfr. Capponi, A più voci, cit., il quale osserva che le inibitorie e le sospensioni sul titolo esecutivo servono a inibire o anche solo a controllare il progredire dell’esecuzione forzata. Vista l’identità di fini, esse non possono non rispondere a un modello unitario, specie considerato che la legge processuale individua i relativi fenomeni mediante l’uso di identiche espressioni, salvo poi diversificare (ingiustificatamente) la disciplina in punto di rimedi.