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Categorie processuali versus tutela del consumatore: la Cassazione chiede alla Corte di giustizia UE di esentare il giudice del rinvio dal dovere di rilevare la nullità delle clausole vessatorie.
Nota a Cass., Sez. II, ord., 26 aprile 2024, n. 11174
Di Salvatore Ziino -
Sommario: 1. La questione interpretativa sollevata dalla Corte di cassazione. – 2. I fatti di causa. – 3. Il dialogo tra le Corti. – 4. Il consumatore poteva essere tutelato anche applicando categorie del diritto interno. – 5. Le resistenze della Corte di cassazione di fronte alla giurisprudenza della Corte di Giustizia. – 6. Considerazioni conclusive.
1.La questione interpretativa sollevata dalla Corte di cassazione.
La Corte di cassazione con ordinanza n. 11174 del 26 aprile 2024 ha rimesso alla Corte di giustizia dell’Unione Europea una nuova questione interpretativa relativa alle disposizioni in materia di tutela del consumatore.
Segnatamente, la Cassazione ha chiesto alla Corte di giustizia di chiarire se le disposizioni dell’Unione Europea ostino alla applicazione dei “principi giurisprudenziali” che precludono al giudice del rinvio il rilievo della natura abusiva di una clausola contenuta in un contratto tra un professionista e un imprenditore.
L’ordinanza di rimessione costituisce un ennesimo capitolo del contrasto tra categorie processuali elaborate dalla giurisprudenza interna e principi enunciati dalla Corte di giustizia UE.
Il contrasto, come noto, è sorto a seguito della sentenza della Corte di giustizia UE, grande sezione, SPV Project-Banco di Desio, che ha affermato in capo al giudice dell’esecuzione l’obbligo di rilevare l’eventuale carattere abusivo delle clausole contenute nei contratti conclusi dai consumatori, anche se il creditore agisce in forza di un decreto ingiuntivo divenuto definitivo per mancata opposizione[1].
Con la successiva sentenza 6 aprile 2023, n. 9479 le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno stabilito le “modalità” di recepimento della decisione della Corte di giustizia ed hanno enunciato una serie di complesse regole operative per sottolineare l’autonomia delle categorie processuali interne rispetto alle “interferenze” provenienti dall’ordinamento unionale[2].
L’ordinanza offre lo spunto per alcune considerazioni sulla posizione assunta dalla nostra giurisprudenza nei confronti del principio di effettività, che sta alle base delle decisioni della Corte di giustizia in materia di tutela dei consumatori.
2.I fatti di causa.
Per una migliore comprensione della questione interpretativa sollevata dalla Corte di cassazione, appare opportuno riassumere lo svolgimento del processo e il contenuto della ordinanza di rimessione.
In forza di clausola compromissoria contenuta in un contratto preliminare di vendita immobiliare, la società promittente venditrice inizia un procedimento arbitrale contro i promissari acquirenti.
Il collegio arbitrale pronuncia la risoluzione del preliminare di vendita per inadempimento dei promissari acquirenti.
A seguito di impugnazione da parte dei promissari acquirenti la Corte d’appello di Ancona dichiara la nullità del lodo arbitrale per mancato rispetto del termine per la sua pronuncia, previsto dall’art. 820 c.p.c. e decide nel merito.
La Corte di appello:
– dichiara la risoluzione del preliminare per inadempimento dei promissari acquirenti all’obbligo di stipulare il definitivo e di pagare il saldo del prezzo;
– condanna i promissari acquirenti alla restituzione dell’immobile e la promittente venditrice alla restituzione degli acconti versati;
– dispone la riduzione della penale, che era prevista nel contratto in misura pari a tutte le somme versate dai promissari acquirenti a titolo di anticipo.
Segnatamente, la Corte di appello, ai sensi dell’art. 1384 c.c., riduce la penale ai soli interessi maturati sulle somme pagate dai promissari acquirenti a titolo di acconto.
La Corte di appello rigetta invece la domanda della società diretta ad ottenere il risarcimento degli ulteriori danni, in quanto non provati.
La società – promissaria venditrice – ricorre in cassazione avverso i capi della sentenza che avevano ridotto l’importo della penale e rigettato la domanda di risarcimento degli ulteriori danni.
I promissari acquirenti propongono ricorso incidentale avverso la pronuncia di risoluzione.
Con sentenza del 4 novembre 2015, n. 22550, la Corte di cassazione, dopo avere rigettato il ricorso incidentale, accoglie il ricorso proposto dalla società e annulla la pronuncia impugnata in quanto la motivazione con cui era stata diminuita la penale era apodittica e non indicava i criteri adottati per quantificare la penale.
A seguito di riassunzione, la Corte di appello di Bologna condanna i promissari acquirenti al pagamento, a titolo di penale della somma di euro 61.600,00.
I promissari acquirenti propongono ricorso per cassazione ed eccepiscono, per la prima volta, la nullità della clausola penale ai sensi dell’art. 33, co. 2, lett. f), e dell’art. 36 del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, Codice del consumo.
In particolare i promissari acquirenti lamentano che, in forza della normativa a tutela del consumatore, la Corte di appello avrebbe dovuto dichiarare di ufficio la nullità della clausola penale che imponeva il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento di importo manifestamente eccessivo e determinava un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
Nella complessa motivazione la Corte di cassazione sviluppa tre punti principali:
Innanzitutto precisa che il “giudicato implicito” derivante dalla sentenza di cassazione con rinvio impedirebbe di rilevare la nullità della clausola penale.
Per altro verso richiama la pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione europea, Grande Sezione, del 17 maggio 2022 nelle cause riunite SPV Project e Banco di Desio e della Brianza, la quale ha affermato che, in osservanza del principio di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti riconosciuti al consumatore dalla direttiva 93/13/CEE, il giudicato implicito derivante dal decreto ingiuntivo non opera nei contratti tra un professionista e un consumatore.
L’ordinanza ricorda pure le altre tre sentenze gemelle della Corte di giustizia dell’Unione europea, Grande Sezione, le quali hanno affermato che i principi posti dagli artt. 6, par 1, e 7, par 1, della direttiva 93/13/CEE e dall’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea, ostano alle norme processuali del diritto degli Stati membri (rispettivamente spagnolo, rumeno e italiano) che, in caso di intervenuta formazione del giudicato, impediscono al giudice dell’esecuzione (ovvero dell’appello) di esaminare, d’ufficio, la natura abusiva delle clausole contenute nei contratti posti a fondamento del provvedimento passato in giudicato (si tratta delle sentenze rese dalla Corte di Giustizia nelle cause C-600/19, Ibercaja Banco; C-725/19, Impuls Leasing Romania; C-869/19, Unicaja Banco, tutte depositate il 17 maggio 2022).
La Cassazione richiama pure copiosa giurisprudenza della Corte di giustizia che ha sottolineato l’esigenza di rispettare il principio di effettività della tutela consumeristica apprestata dalla direttiva 93/13/CEE, in conformità all’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, nonché la giurisprudenza interna sull’efficacia delle sentenze interpretative del diritto dell’Unione europea rese dalla Corte di Giustizia anche nel giudizio di rinvio (per tutte Cass. Sez. 5, 25 maggio 2023, n.14624).
Segnatamente, allorché il ricorso di legittimità attenga allo ius superveniens costituito da una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, la quale ha efficacia immediata nell’ordinamento nazionale e ha valenza retroattiva, esso deve essere trattato, purché non siano necessari nuovi accertamenti di fatto, salvo il limite dei rapporti esauriti (Cass. Sez. 5, 9 ottobre 2019, n. 25278; Cass. Sez. Un., 16 giugno 2014, n. 13676).
Da qui un rafforzamento del potere-dovere del giudice di rilevare d’ufficio la nullità, che ha uno scopo di deterrenza di ogni abuso in danno del contraente debole.
Dopo gli ampi richiami sulla giurisprudenza unionale, l’ordinanza però sottolinea la “completa e prolungata passività imputabile ai consumatori, che mai hanno contestato tale inefficacia, se non con il secondo ricorso in cassazione, dopo il giudizio di rinvio”.
La Corte di cassazione quindi ritiene opportuna la rimessione della questione interpretativa alla Corte di giustizia UE, alla quale viene sottoposto, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’UE, un quesito articolato in tre lettere dell’alfabeto.
Il quesito è contenuto nella lettera a) e con esso la Corte di cassazione chiede alla Corte di giustizia se l’art. 6, paragrafo 1, e l’art. 7 , paragrafo 1, della Direttiva 93/13/CEE e l’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea ostino all’applicazione dei “principi del procedimento giurisdizionale nazionale”, in forza dei quali le questioni pregiudiziali, anche in ordine alla nullità del contratto, che non siano state dedotte o rilevate in sede di legittimità, e che siano logicamente incompatibili con la natura del dispositivo emesso dalla Corte di cassazione, non possono essere esaminate nel procedimento di rinvio, né nel corso del controllo di legittimità a cui le parti sottopongono la sentenza del giudice di rinvio.
Nelle lettere b) e c) del quesito sono inseriti alcuni elementi che vengono sottoposti all’attenzione della Corte di giustizia, ovvero:
(b) “la completa passività imputabile ai consumatori, qualora non abbiano mai contestato la nullità/inefficacia delle clausole abusive, se non con il ricorso per cassazione all’esito del giudizio di rinvio”;
(c) la circostanza che nella controversia viene in rilievo “una clausola penale manifestamente eccessiva, di cui sia stata disposta, in sede di legittimità, la rimodulazione della riduzione secondo criteri adeguati (quantum), anche in ragione del mancato rilievo della natura abusiva della clausola a cura dei consumatori (an), se non all’esito della pronuncia adottata in sede di rinvio”.
3.Il dialogo tra le Corti.
L’ordinanza in esame ha correttamente instaurato un dialogo con la Corte di giustizia, sollevando la questione interpretativa ai sensi dell’art. 267, co. 3, TFUE, che prevede l’obbligo delle giurisdizioni nazionali le cui decisioni non sono ulteriormente impugnabili (c.d. giudice nazionale di ultima istanza) di rivolgersi alla Corte di Giustizia UE nel caso in cui sorge una questione sulla interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni dell’Unione.
La Cassazione sembra così avere superato le remore alla rimessione della questione interpretativa alla Corte di giustizia, più volte segnalate dalla dottrina e che avevano dato inizio ad una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia[3].
La Corte di giustizia ha chiarito che l’obbligo di rinvio da parte del giudice nazionale di ultima istanza viene meno soltanto se la questione non è pertinente o se la disposizione comunitaria ha già costituito oggetto di interpretazione da parte della Corte, ovvero se la corretta applicazione del diritto comunitario si impone con tale evidenza da non lasciar adito a un ragionevole dubbio[4].
In questo caso sussistono profili dubbi e la questione appare nuova: l’obbligo di leale collaborazione rendeva quindi doveroso rimettere la questione interpretativa ai giudici dell’Unione Europea.
La decisione della Corte di giustizia consentirà inoltre ai giudici interni di avere un punto di riferimento certo per il futuro.
4.Il consumatore poteva essere tutelato anche applicando categorie del diritto interno.
Alcuni passaggi della decisione richiedono un maggiore approfondimento, salvo precisare sin da ora che un diverso approccio interpretativo avrebbe potuto evitare alla Corte di cassazione di sollevare la questione interpretativa.
In primo luogo, il richiamo alla teoria del giudicato implicito non sembra idoneo a descrivere gli effetti prodotti dalla pronuncia della Corte di cassazione sui successivi gradi di giudizio.
La dottrina ha più volte manifestato dubbi sulla teoria del “giudicato implicito”[5] e comunque la teoria del giudicato implicito non appare pertinente quando si va ad esaminare gli effetti del principio di diritto enunciato della Corte di cassazione[6].
Il giudicato implicito, peraltro, impedisce in ogni caso il riesame della questione, mentre il principio di diritto è cedevole rispetto alla legge ed ai fatti sopravvenuti ed anche rispetto ad eventuali interpretazioni della Corte di giustizia, come peraltro sottolineato dalla ordinanza che si annota[7].
Tanto basta ad affermare che il vincolo derivante dalla pronuncia della Corte di cassazione ha quindi un’efficacia minore rispetto al giudicato e forse questo rilievo avrebbe consentito alla Corte medesima di riconoscere direttamente in capo al giudice del rinvio di rilevare la nullità delle clausole abusive.
Nel caso in esame, peraltro, l’unico punto sul quale si era formato un giudicato interno era il rigetto della domanda di risoluzione. Ora, nonostante la tendenza della Corte di cassazione ad ampliare le ipotesi di giudicato sulla validità del contratto[8], non sembra corretto affermare che il giudicato di rigetto di una domanda di risoluzione produca come effetto un giudicato implicito sulla validità del contratto, se nei diversi gradi di giudizio il tema della validità del contratto non è mai stato sollevato dalle parti.
Va pure considerato che la normativa comunitaria prevede la nullità della singola clausola.
La pronuncia di nullità di una singola clausola non avrebbe travolto il “giudicato implicito” sulla validità del contratto ma avrebbe inciso soltanto sulla clausola penale, la cui portata e la cui applicazione erano ancora oggetto di contestazione tra le parti perchè la precedente pronuncia della corte di appello era stata cassata per un vizio di motivazione: si era quindi in presenza di un rinvio restitutorio che lasciava del tutto integro il potere del giudice del rinvio di dichiarate la nullità della singola clausola.
La rimessione della questione interpretativa, pertanto, non appariva a rime obbligate e la Corte di cassazione avrebbe potuto fare applicazione diretta del principio di effettività della tutela del consumatore e dichiarare la nullità della clausola penale, senza alcuna necessità di sollevare la questione interpretativa.
5.Le resistenze della Corte di cassazione di fronte alla giurisprudenza della Corte di giustizia.
In alcuni passaggi si ha la sensazione che con questa ordinanza di rimessione la Corte di cassazione, pur rispettando il primato dalla Corte di giustizia nell’interpretazione delle norme comunitarie, abbia in realtà usato lo strumento del rinvio pregiudiziale per (tentare di) riaffermare la propria supremazia come giudice nazionale di legittimità, supremazia che è stata messa in crisi dalla nota sentenza della Grande Sezione della Corte di giustizia nelle cause SPV Project e Banco di Desio, che ha addossato al giudice dell’esecuzione il dovere di esaminare e rilevare di ufficio la presenza di clausole abusive contenute nei contratti con i consumatori, nel caso di esecuzione basata su decreto ingiuntivo, se il giudice del monitorio abbia omesso tale esame.
La sentenza SPV Project e Banco di Desio e della Brianza è stata depositata insieme ad altre tre decisioni “gemelle”[9] con le quali la Corte di giustizia ha chiarito che la effettività della tutela del consumatore impone il superamento di categorie e istituti dei singoli stati, che prediligono la certezza al principio di effettività.
Alcuni mesi dopo, le Sezioni Unite della Corte di cassazione con la sentenza 6 aprile 2023, n. 9479, hanno voluto riaffermare con vigore la propria funzione “nomofilattica” e la autonomia del diritto nazionale, affermando che “le categorie e gli istituti di diritto processuale interno potranno mantenere intatto il proprio fisiologico spazio applicativo là dove sia possibile rinvenire nel sistema, e fintanto che lo sia, l’apparato di tutela giurisdizionale che garantisca appieno l’effettività del diritto eurounitario, per come interpretato dalla Corte di giustizia nel suo ruolo di fonte del diritto e, dunque, nell’esercizio della sua funzione nomogenetica”.
La pronuncia delle Sezioni Unite ha limitato i poteri del giudice dell’esecuzione ed ha creato un complesso meccanismo che riapre i termini per l’impugnazione del decreto ingiuntivo, introducendo alcune forzature che sono state subito segnalate dalla dottrina[10].
La dottrina ha pure rilevato che la pronuncia ha lasciato sfornito di tutela il consumatore nel caso in cui non pende un’esecuzione[11] ed ha introdotto un meccanismo che indiscutibilmente allontana una possibile armonizzazione con gli altri paesi, perché difficilmente un avvocato francese o spagnolo potrebbe essere facilitato nell’eventuale tutela di un consumatore pregiudicato in Italia dal mancato rilievo di una clausola abusiva[12].
La Corte di giustizia, peraltro, è tornata ad attribuire al giudice dell’esecuzione il potere di verificare la natura abusiva delle clausole e pertanto non può escludersi la necessità di una nuova rimessione alla Corte di giustizia o di un ripensamento delle Sezioni Unite, che possa rendere effettiva la tutela del consumatore, svincolandolo dall’onere di attivare una opposizione tardiva al decreto ingiuntivo che è stato emesso ai suoi danni in spregio alla normativa comunitaria[13].
In questo contesto la Corte di cassazione sembra mantenere una posizione di chiusura, che pone un freno al principio di effettività della tutela del consumatore.
L’ordinanza di rimessione invoca il vincolo derivante dal principio di diritto per riaffermare una supremazia delle pronunce della Corte di cassazione a detrimento della effettività della tutela del consumatore e per raggiungere questo fine sottolinea la inerzia (id est: la colpa) del consumatore, che non si è attivato tempestivamente per fare valere la nullità della clausola penale.
Nella sentenza si legge di una “completa e prolungata passività imputabile ai consumatori, che mai hanno contestato tale inefficacia, se non con il secondo ricorso in cassazione, dopo il giudizio di rinvio” e nel quesito vengono sottolineate “la completa passività imputabile ai consumatori, qualora non abbiano mai contestato la nullità/inefficacia delle clausole abusive, se non con il ricorso per cassazione all’esito del giudizio di rinvio” e il “mancato rilievo della natura abusiva della clausola a cura dei consumatori (an), se non all’esito della pronuncia adottata in sede di rinvio”.
Nel contrasto tra principio di effettività e categorie giurisprudenziali, la Corte di cassazione manifesta un giudizio di (dis)valore per la tutela del consumatore, se tale tutela può contrastare con i “principi giurisprudenziali”.
L’ordinanza non attribuisce rilevanza al fatto che il consumatore, oltre a contestare l’an debeatur, aveva sempre lamentato che l’importo della penale era eccesivo e con il secondo ricorso per cassazione aveva espressamente sollevato l’eccezione di nullità.
È vero che il consumatore aveva tardato nel sollevare l’eccezione, ma analoga “passività” era stata mostrata dai giudici dei vari gradi del processo, compresa la stessa Corte di cassazione, che non avevano rilevato la natura abusiva della clausola, sebbene abbuiano tale dovere.
6.Considerazioni conclusive.
Non possiamo prevedere quale soluzione sarà offerta dalla Corte di giustizia, ma è noto che i giudici unionali, a differenza dei giudici nazionali, vogliono assicurare un elevato livello di tutela al consumatore, tanto che il contenuto della pronuncia nel caso SPV Project e Banco di Desio non era inaspettato[14].
Il principio di effettività della tutela dei diritti dei consumatori opera in varie direzioni.
Secondo la Corte di giustizia, la necessità di garantire ai consumatori una tutela effettiva impone al legislatore precisi limiti alla possibilità di prevedere tentativi obbligatori di conciliazione nelle cause che coinvolgono i consumatori (in quel caso, controversie relative al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica) [15] e osta a una normativa nazionale che, nell’ambito della mediazione come condizione di procedibilità, richiede che i consumatori debbano essere assistiti da un avvocato e possano ritirarsi da una procedura di mediazione solo se dimostrano l’esistenza di un giustificato motivo a sostegno di tale decisione, pronunce che il legislatore e la giurisprudenza successiva sembrano avere dimenticato[16].
In ordine alle conseguenze della “inerzia” del consumatore, già nel 2002 con la sentenza 21 novembre 2002, emessa nella causa C 473/00 la Corte di giustizia ha “svincolato” l’eccezione di nullità delle clausole abusive dalla preclusioni maturate a carico delle parti, affermando che la direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, osta ad una normativa interna che, in un’azione promossa da un professionista nei confronti di un consumatore e basata su un contratto stipulato tra loro, vieta al giudice nazionale, alla scadenza di un termine di decadenza, di rilevare d’ufficio o a seguito di un’eccezione sollevata dal consumatore il carattere abusivo di una clausola inserita nel suddetto contratto.
Il principio di effettività della tutela del consumatore trova un fondamento normativo nell’art. 6, par. 1, della direttiva 93/13/CEE, la quale prevede il dovere degli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, di “fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori”.
In forza del principio di effettività occorre scongiurare il rischio concreto che i consumatori interessati non beneficino della tutela effettiva e pertanto le norme di procedura interne devono assicurare il controllo sulle clausole abusive[17].
In questo contesto si inserisce la affermazione secondo la quale i giudici nazionali devono procedere alla valutazione d’ufficio della nullità delle clausole anche quando i consumatori sono rimasti completa mente passivi, ovvero contumaci [18].
La Corte di giustizia ha pure statuito, in più occasioni, che la pronuncia del giudice superiore non vincola il giudice inferiore, se le valutazioni svolte dal giudice di grado superiore non sono conformi al diritto dell’unione come interpretato dalla Corte[19].
Con queste decisioni è già stato chiarito che il vincolo per il giudice di rinvio previsto dal diritto interno è destinato a cedere se costituisce un ostacolo alla applicazione del diritto dell’Unione Europea.
Vedremo se la Corte di giustizia confermerà, ancora una volta, la propria giurisprudenza.
[1] Si tratta della sentenza della Corte di giustizia, grande sezione, 17 maggio 2022, emessa nelle cause riunite C-693/19 e C-831/19, SPVProject e Banco di Desio e della Brianza, sulla quale, v. E. D’Alessandro, Il decreto ingiuntivo non opposto emesso nei confronti del consumatore dopo Corte di giustizia, grande sezione, 17 maggio 2022 (cause riunite C-693/19 e C-831/19, causa C-725/19, causa C-600/19 e causa C 869/19): in attesa delle Sezioni Unite, in questa Rivista, 2 novembre 202; S. Caporusso, Decreto ingiuntivo non opposto e protezione del consumatore: la certezza arretra di fronte all’effettività, in Giur. it., 2022, 2113 ss.; Id., La tutela del consumatore esecutato: riflessioni a margine della sentenza «SPV/Banco di Desio» del 17 maggio 2022, in Aa. Vv., La tutela del consumatore esecutato in prospettiva europea, a cura di D. Longo, Bari, 2023, 183 ss.
[2] In questo senso, anche se con accenti diversi, si vedano i commenti alla decisione delle sezioni unite. Per tutti A. Carratta, Le Sezioni Unite della Cassazione tra nomofilachia e nomopoiesi. A proposito della sentenza n. 9479 del 2023, in Riv. es. forzata, 2023, 336 ss.; C. Consolo, Istruttoria monitoria ‘‘ricarburata’’ e, residualmente, opposizione tardiva consumeristica ‘‘rimaneggiata’’ (specie) su invito del g.e., in Giur. it., 2023, 1054 ss.; G. Costantino, Clausole vessatorie e stabilità dei rapporti giuridici, in Inexecutivis, 12 aprile 2023, che considera la pronuncia delle Sezioni Unite “una complessa opera di ingegneria processuale”; P. Farina, Le sezioni unite rispondono alla Corte di giustizia creando un nuovo istituto. L’opposizione ultra-tardiva a decreto ingiuntivo e l’effettività della tutela consumeristica, in Foro it., 2023, I, 1474.
[3] Per alcuni casi e anche per richiami, L. Derqui, Obbligo di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE e rimedi interni alle violazioni del diritto UE da parte del giudice nazionale di ultima istanza: il caso dei “chiropratici”, in Dir. pratica trib. Int., 2021, 1304 ss.; e D.P. Domenicucci, Il meccanismo del rinvio pregiudiziale: istruzioni per l’uso sulla procedura di infrazione, in Contr. e impresa Europa, 2014, 32 ss. Come è noto, dopo l’avvio della procedura la legge 27 febbraio 2015, n.18 ha modificato la legge 13 aprile 1988, n. 117 sulla responsabilità dei magistrati, introducente tra le ipotesi di colpa grave la violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione europea ed ha stabilito che ai fini della determinazione dei casi in cui sussiste la violazione manifesta del diritto dell’Unione europea “si deve tener conto anche della mancata osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267, terzo paragrafo, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea”: sul tema F. Bonaccorsi, La nuova legge sulla responsabilità civile dello Stato per l’illecito del magistrato, in Danno e resp., 2015, 445 ss.
[4] Per tutte per tutte CGUE, 6 ottobre 1982, Cilfit, C-283/81. Per ulteriori richiami, si veda la dottrina richiamata alla nota precedente.
[5] Anche per richiami A Panzarola, Contro il cosiddetto giudicato implicito, in questa Rivista 2019, 307 ss. di recente E. Bertillo, Sui rapporti tra c.d. giudicato implicito e provvedimento monitorio non opposto, in Riv dir. proc., 2023, 1035 ss.
[6] G. F. Ricci, Il giudizio civile di cassazione, 3° ed., Torino, 2019, 574 ss.
[7] A. Carratta – C. Mandrioli, Diritto processuale civile, III, 29° ed., Torino, 2019, 518 ss.
[8] Nel testo si fa riferimento alle note sentenze Cass., sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242 e Cass., sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26243, pubblicate, tra l’altro, in Giur. it., 2015, 70, con nota di I. Pagni, Nullità del contratto – il “sistema” delle impugnative negoziali dopo le sezioni unite.
[9] L’ordinanza che viene commentata parla di “decisioni gemelle”
[10] Per tutti, A. Carratta, Le Sezioni Unite della Cassazione tra nomofilachia e nomopoiesi. A proposito della sentenza n. 9479 del 2023, in Riv. es. forzata, 2023, 336 ss.; P. Farina, Le sezioni unite rispondono alla Corte di giustizia creando un nuovo istituto. L’opposizione ultra-tardiva a decreto ingiuntivo e l’effettività della tutela consumeristica, in Foro it., 2023, I, 1474);
[11] L. Baccaglini, Il decreto ingiuntivo emesso nei confronti del consumatore: le ricadute sul piano della cognizione e dell’esecuzione alla luce delle Sezioni Unite, in Nuova giur. civ. comm., 2023, 946 ss.
[12] P. Biavati, L’armonizzazione del diritto processuale civile in Europa: una messa a punto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2023, 769 ss.
[13] Cfr. la sentenza della Corte di giustizia 4 maggio 2023 nella causa C-200/21, BRD Groupe Société Générale SA, annotata da B. Capponi, Nuovi spunti dalla giurisprudenza europea sulla tutela del consumatore (a volte ritornano), in Giustizia insieme, 1 maggio 2023, e Corte di Giustizia 29 febbraio 2024, causa C 724/22, Investcapital. Il rinvio pregiudiziale relativo a questo secondo procedimento e la sua rilevanza per il diritto interno erano stati prontamente segnalati da S. Caporusso, Le Sezioni Unite tra potere nomogenetico della Corte di Giustizia e autonomia processuale degli Stati membri, nota a Cass., sez. un., 6 aprile 2023, n. 9479, in Riv. dir. proc., 2023, 251, e da S. Vincre, La Corte di giustizia e le Sezioni Unite della Cassazione sulle nullità consumeristiche, in Riv. dir. proc., 2023, 1510.
[14] E. D’Alessandro, Il decreto ingiuntivo non opposto, emesso nei confronti del consumatore dopo Corte di giustizia, grande sezione, 17 maggio 2022 (cause riunite C-693/19 e C-831/19, causa C-725/19, causa C-600/19 e causa C- 869/19): in attesa delle Sezioni Unite, in www.judicium.it e R. Pardolesi – B. Sassani, Clausole abusive nei contratti B2C, decreto ingiuntivo non opposto, giurisprudenza eurounitaria e sezioni unite: meta-realtà e diritto a metà, in Foro it., 2023, I, 1486 ss.
[15] Corte di giustizia, 18 marzo 2010, cause riunite C-317/08, C-318/08, C-319/08 e C-320/08, Telecom Italia, in Giur. it., 2010, 2585 (s.m.) con nota di C. Besso, Obbligatorietà del tentativo di conciliazione e diritto all’effettività della tutela giurisdizionale. La pronuncia della Corte di giustizia è stata sostanzialmente ignorata dalla nostra giurisprudenza (anche costituzionale), salvi i richiami da parte di Cass., S.U., 28 aprile 2020, n.8241, che ha mitigato le conseguenze del mancato esperimento del procedimento di mediazione in questa materia, subordinando la sanzione della improcedibilità alla previa assegnazione di un termine per l’esperimento del procedimento di mediazione.
[16] Corte giustizia 14 giugno 2017, causa C-75/16, Banco Popolare, in Nuova giur. civ. comm., 2017, 1631, con nota di F. Ferraris, A.D.R. e consumatori: rapporti e interferenze.
[17] Per tutte Corte di giustizia, 14 giugno 2012, C-618/10, Banco Espanol de Credito.
[18] Corte di giustizia, 17 maggio 2018, C-147/16, Karel de Grote.
[19] Per tutte Corte di giustizia, Grande sezione, 15 gennaio 2013, C-416/10, Slovenská inšpekcia životného prostredia, in Int’l Lis, 2012/2013, 24 (s.m.), con nota di G. Raiti, Dopo Elchinov ed Interedil, Krizan: ribadita l’incompatibilità con il diritto dell’Unione del vincolo processuale interno all’enunciato in iure della Corte superiore; Corte di giustizia, 20 ottobre 2011, C-396/09, Interedil Srl in liquidazione, relativa agli effetti prodotti da una sentenza della Corte di cassazione in materia di giurisdizione; Corte giust. UE, Grande Sezione, 5 aprile 2016, causa C-689/13, Puligienica Facility Esco SpA, ha affermato principi analoghi con riferimento alle sentenze del Consiglio di Stato. In dottrina,