Corte Costituzionale 19 gennaio 2024, n. 6: la durata (minima e massima) della liquidazione controllata alla luce del Nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza.

Di Eva Di Venuta -

1.Le ordinanze di rimessione del Tribunale di Arezzo.

Con quattro distinte ordinanze[1] aventi ad oggetto procedimenti di liquidazione controllata del patrimonio ai sensi dell’art. 268 e ss. del CCII, il Tribunale di Arezzo ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, con riferimento agli art.li 3 e 24 della Costituzione, dell’art. 142, secondo comma, CCII, nella parte in cui non prevede un limite temporale all’acquisizione dei beni sopravvenuti all’apertura della procedura concorsuale.

La richiesta di un intervento additivo della Consulta trova il proprio fondamento in quattro procedimenti di liquidazione controllata, nell’ambito dei quali i giudici aretini sono stati chiamati ad approvare dei programmi di liquidazione, la cui durata è stata arbitrariamente stabilita dai Liquidatori.

In particolare, nell’ordinanza del 3 marzo 2023, n. 48, nell’ordinanza del 7 marzo 2023, n. 49 nonché nelle successive ordinanze del 19 luglio 2023, n. 117 e dell’8 agosto 2023 n. 126, i Liquidatori hanno stabilito un arco temporale per l’acquisizione dei beni del debitore nella massa concorsuale da appena 7 mesi fino ad arrivare a 4 anni.

La convinzione dei giudici aretini circa la (presunta) lacuna normativa relativa alla durata (minima o massima!) di acquisizione dei beni nell’ambito di una procedura di liquidazione controllata del patrimonio ha indotto il Tribunale: a) ad applicare in via analogica l’art. 142, comma secondo, CCII dettato in tema di liquidazione giudiziale[2]; b) a sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 142, secondo comma, CCI, nella parte in cui non ha previsto per la liquidazione controllata un termine per l’acquisizione dei beni sopravvenuti, diversamente da quanto disposto dalla l. n. 3/12.

La richiesta di una pronuncia della Consulta risiede, inoltre, nel fatto che la mancata previsione di un limite temporale all’acquisizione dei beni di beni sopravvenuti all’apertura della procedura di liquidazione controllata comporterebbe la violazione degli art.li 3 e 24 della Costituzione.

In particolare, la norma censurata, da un lato, presterebbe «il fianco ad abusi da parte del debitore, il quale avrebbe gioco facile a sottrarsi dall’esecuzione presso terzi intentata nei suoi confronti dai creditori, con conseguente ed ingiustificabile compressione del diritto di agire di quest’ultimi», in violazione quindi dell’art. 24 Cost; dall’altro lato, invece, comporterebbe una irragionevole disparità di trattamento rispetto alla disciplina di cui godono i creditori nel caso di procedure di liquidazione disciplinate dalla vecchia legge n. 3/12, rispetto alle quali trova applicazione l’art. 14-undecies della legge n. 3 del 2012[3], in violazione quindi dell’art. 3 Cost.

A ciò si aggiunga che la mancata chiarezza circa la durata di apprensione dei beni del debitore nella massa concorsuale, potrebbe comportare un potere arbitrario dei Liquidatori che potrebbero stabilire unilateralmente e secondo la propria discrezionalità la durata di una procedura di liquidazione controllata.

In realtà tale rischio, così come la lamentata assenza di una espressa previsione normativa che preveda espressamente quale sia l’arco temporale di acquisizione, risulta essere soltanto apparente.

In fatti, la sentenza della Corte Costituzionale costituisce quel punto di partenza necessario per comprendere la (non) lacuna normativa fino ad ora tanto menzionata.

 2.La sentenza della Corte Costituzionale del 19 gennaio 2024, n. 6.

La Corte Costituzionale con la sentenza del 19 gennaio 2024, n. 6, ha dichiarato «non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 142, comma 2, del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Arezzo con le ordinanze . . . ».

In primo luogo, la Consulta ritiene che non possa trovare luogo l’applicazione, seppur in via analogica, dell’art. 142, secondo comma CCII, in considerazione del fatto che anche nella procedura di liquidazione controllata vi è la disposizione normativa che disciplina le modalità di acquisizione dei beni del debitore nella massa concorsuale.

Ed infatti, l’art. 268 prevede che possono essere compresi nella liquidazione controllata del patrimonio del debitore, gli stipendi, i salari, le pensioni nonché i proventi della propria attività, ad eccezione di quanto necessario al mantenimento proprio e dell’intero nucleo familiare[4].

Pertanto, anche nella procedura di liquidazione controllata, come in quella giudiziale, il legislatore ha previsto le modalità di apprensione dei beni nella massa concorsuale, ciò che sembrerebbe mancare è la previsione di un arco temporale relativo all’acquisizione dei predetti beni.

Aggiunge poi la Corte che la disposizione di cui all’art. 268 CCII, comma secondo, risulta conforme al principio sancito dall’art. 2740 cod. civ. in tema di responsabilità del debitore[5].

Una volta chiarito che l’unica norma applicabile sia quella di cui all’art. 268 CCII, la Consulta passa all’esame della lamentata mancanza del limite temporale di apprensione dei beni del debitore sopravvenuti all’apertura della procedura di liquidazione controllata.

La Corte Costituzionale propugna una interpretazione che consente di tutelare i due interessi in gioco: quello del creditore e quello del debitore[6].

Sotto il primo profilo, la procedura di liquidazione controllata, una volta aperta, deve tendere alla maggior soddisfazione possibile delle ragioni creditorie.

Sotto il secondo profilo, il diritto del creditore alla maggiore soddisfazione possibile trova il proprio limite temporale nel contrapposto interesse del debitore che è quello di ottenere l’esdebitazione[7] che, come sottolineato dalla Corte, comporta una responsabilità patrimoniale contenuta nel tempo.

Pertanto, conclude sul punto la Corte, che il termine triennale previsto per l’esdebitazione, rappresenta un limite temporale massimo per l’apprensione dei beni sopravvenuti del debitore, poiché incide sulle stesse ragioni creditorie, ma altresì, in presenza di crediti concorsuali non soddisfatti prima del triennio, costituisce al contempo il termine minimo per l’acquisizione dei beni nella massa concorsuale.

In sostanza il termine triennale è l’arco temporale massimo per il debitore, nel senso che quest’ultimo resterà sottoposto all’ apprensione dei beni fino all’esdebitazione, mentre, sotto il profilo creditorio, rappresenta l’arco temporale minimo durante il quale i creditori potranno soddisfare le proprie ragioni, nel senso che i Liquidatori «sono tenuti a prevedere un programma di liquidazione che sfrutti tutto il tempo antecedente alla esdebitazione e che, dunque, sia di durata non inferiore al triennio».

Certo è che solo nel caso in cui i creditori siano integralmente soddisfatti prima del triennio, allora il programma di liquidazione potrà prevedere l’acquisizione dei beni del debitore per un tempo inferiore al triennio.

 3.L’apparente lacuna normativa rilevata dal Tribunale di Arezzo.

Lineare, chiara e precisa è la sentenza della Corte Costituzionale nel senso che il termine massimo di apprensione dei beni nella massa concorsuale è insito nell’istituito dell’esdebitazione; istituto, questo, che rappresenta il punto cardine delle procedure di sovraidebitamento nonché la chiave di lettura che ci consente di andare oltre l’interpretazione letterale delle norme del CCII in questione.

Vero è che nelle procedure disciplinate dalla l. n. 3/2012, il legislatore aveva espressamente previsto, da un lato, una durata minima della procedura di liquidazione, nel senso che la stessa doveva essere chiusa solo con la completa esecuzione del programma di liquidazione e comunque non prima del decorso dei quattro anni; dall’altro lato, una durata massima quadriennale, quale arco temporale di apprensione dei beni del debitore nella massa concorsuale[8].

Altrettanto vero è che anche nel Nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza, il legislatore ha disciplinato la durata massima di acquisizione dei beni prendendo come punto di riferimento il termine triennale, all’esito del quale il debitore può ottenere l’esdebitazione.

Del resto, in considerazione del fatto che l’esdebitazione determina l’inesigibilità dei crediti è chiaro che, una volta ottenuta, il Liquidatore non ha più il potere di attrarre alla massa concorsuale i beni del debitore.

L’esdebitazione comporta la cancellazione dei debiti non integralmente soddisfatti all’interno della procedura che consente al debitore, da un lato, di (ri)ottenere la piena disponibilità dell’intero, dall’altro, di ricollocarsi all’interno di un sistema economico e sociale, senza il pregresso peso delle precedenti esposizioni debitorie (c.d. fresh start).

Pertanto, anche nel CCII, il legislatore ha previsto l’arco temporale di apprensione dei beni nella procedura di liquidazione controllata, ciò che cambia è solo la prospettiva: nella l n. 3/12 è stato espressamente previsto, nel Nuovo Codice è insito e collegato all’istituto dell’esdebitazione.

 4.Conclusioni.

Il legislatore, nel riscrivere la procedura di liquidazione del patrimonio, non solo ha modificato il nomen juris in “procedura di liquidazione controllata del patrimonio” ma ha consentito al debitore civile di poter ottenere la dichiarazione di inesigibilità dei propri debiti in un arco temporale inferiore a quello previsto dal precedente legislatore.

Ed infatti, ai sensi dell’art. 282 CCII, l’esdebitazione opera open legis contestualmente al provvedimento di chiusura, ancorché siano decorsi i tre anni dall’apertura della procedura[9].

È evidente, dunque, la portata innovativa della norma in questione nella parte in cui, a differenza delle procedure di sovraindebitamento disciplinate dalla l. n. 3/12, non prevede più il termine quadriennale, quale durata della procedura di liquidazione, nonché il provvedimento di chiusura della procedura senza il quale l’esdebitazione non poteva essere richiesta[10]!

Ed allora viene meno anche la disparità di trattamento lamentata dal Tribunale di Arezzo in considerazione del fatto che, da un lato, l’arco di temporale di apprensione deve essere letto in combinato disposto con l’istituto dell’esdebitazione e quindi non può profilarsi alcuna lacuna normativa, dall’altro, perché nessun trattamento in peius è stato previsto per il debitore che oggi può ritornare a rivestire un ruolo attivo all’interno del tessuto economico e sociale dopo tre anni contestualmente al provvedimento di chiusura della procedura di liquidazione controllata del patrimonio.

della liquidazione patrimoniale, dall’altro, l’arco temporale dell’apprensione dei beni del debitore nella massa concorsuale.

[1] La prima ordinanza è del 3 marzo 2023 n. 48; la seconda ordinanza è del 7 marzo 2023, n. 49; la terza ordinanza è del 19 luglio 2023, n. 117 e la quarta ordinanza è dell’8 agosto 2023, n. 126.

[2] Art. 142, secondo comma, CCII prevede espressamente che: «sono compresi nella liquidazione giudiziale anche i beni che pervengono al debitore durante la procedura, dedotte le passività incontrate per l’acquisto e la conservazione dei beni medesimi»

[3] Che prevedeva la durata massima di 4 anni.

[4] L’art. 268 CCII, comma 4, lett. b) prevede espressamente: «Non sono compresi nella liquidazione: b) i crediti aventi carattere alimentare e di mantenimento, gli stipendi, le pensioni, i salari e ciò che il debitore guadagna con la sua attività nei limiti, indicati dal giudice, di quanto occorre al mantenimento suo e della sua famiglia»

[5] In particolare, si legge nella sentenza della Corte Costituzionale che: «Del resto la possibilità di ascrivere alla procedura della liquidazione controllata anche i beni sopravvenuti, salvo le eccezioni indicate dall’art. 268, comma 2, CCII, si pone in pena sintonia con quanto dispone, in generale, l’art. 2740 del codice civile, in base al quale «il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri»

[6] Afferma la Consulta che: «L’apertura della liquidazione controllata introduce, in particolare, «il concorso dei creditori sul patrimonio del debitore» (art. 151 CCII, richiamato dall’art. 270, comma 5, dello stesso CCII), i cui beni compresi nella procedura devono soddisfare le ragioni creditorie.

[7] L’istituto dell’esdebitazione nella procedura di liquidazione controllata è disciplinata dall’art. 282 CCII, il quale prevede che: «Per le procedure di liquidazione controllata, l’esdebitazione opera di diritto a seguito del provvedimento di chiusura o anteriormente, decorsi tre anni dalla sua apertura».

[8] l’art. 14quinquies, quarto comma, prevedeva che «La procedura rimane aperta sino alla completa esecuzione del programma di liquidazione e, in ogni caso, ai fini di cui all’articolo 14-undecies, per i quattro anni successivi al deposito della domanda».

La predetta norma, dunque, doveva essere letta in combinato disposto, sia, con l’art. 14nonies, quinto comma, secondo cui: «accertata la completa esecuzione del programma di liquidazione e, comunque, non prima del decorso del termine di quattro anni dal deposito della domanda, il giudice dispone, con decreto, la chiusura della procedura», sia con l’art. 14undecies, a mente del quale «i beni sopravvenuti nei quattro anni successivi al deposito della domanda di liquidazione di cui all’art. 14 ter costituiscono oggetto della stessa ….».

[9] L’esdebitazione non viene, tuttavia, concessa automaticamente nel senso che, ai sensi del secondo comma dell’art, 282 CCII, l’esdebitazione non opera nelle ipotesi previste dall’articolo 280 nonché nelle ipotesi in cui il debitore ha determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave e mala fede.

[10] Nelle procedure disciplinate dalla l. n. 3/12, l’istanza per l’esdebitazione poteva essere richiesta solo dopo la chiusura della procedura di liquidazione. In particolare, ai sensi dell’art. 14terdecies, l. n. 3/12, «Il giudice, con decreto adottato su ricorso del debitore interessato, presentato entro l’anno successivo alla chiusura della liquidazione, sentiti i creditori non integralmente soddisfatti e verificate le condizioni di cui ai commi 1 e 2, dichiara inesigibili nei suoi confronti i crediti non soddisfatti integralmente. I creditori non integralmente soddisfatti possono proporre reclamo ai sensi dell’articolo 739 del codice di procedura civile di fronte al tribunale e del collegio non fa parte il giudice che ha emesso il decreto».