Dei giudici monocratici in Cassazione

Di Bruno Capponi -

Il nuovo art. 380 bis c.p.c.[1] disciplina un procedimento per la decisione “accelerata” dei ricorsi per cassazione inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati. Si tratta di una novità assoluta per il nostro sistema, che va considerata con attenzione.

La norma prevede che, «se non è stata ancora fissata la data della decisione» (cioè l’udienza o, più facilmente, la camera di consiglio), il presidente di sezione o un consigliere da questi delegato possa «formulare una sintetica proposta di definizione del giudizio», che viene comunicata ai difensori delle parti costituite (nostra aggiunta, sembrando ragionevole non coinvolgere nel procedimento accelerato le parti intimate ma non costituite).

Sebbene la rubrica delle norme non abbia un valore esegetico assoluto, notiamo che quella in esame parla di decisione accelerata, e che tale decisione si manifesta in forma di “sintetica proposta”. Cosa avrà ad oggetto la proposta è facile intuire: indicati i vizi del ricorso, si parlerà dell’abbandono del giudizio di legittimità, col conseguente passaggio in giudicato della sentenza impugnata. Che si tratti, da rubrica, di decisione accelerata è notazione di per sé importante: come subito vedremo, l’accelerazione del procedimento si esaurisce in questa fase preliminare e d’altra parte il provvedimento del giudice singolo somiglia molto più a una decisione che a una semplice proposta[2] perché essa conduce, ove le parti non reagiscano, all’estinzione immediata del giudizio[3].

Infatti, se nessuna delle parti si oppone (utilizziamo questa espressione a ragion veduta[4]), il ricorso si intende rinunciato e si applica l’art. 391 c.p.c.; sembra logico ritenere che i provvedimenti conseguenti saranno adottati dal presidente delegante ovvero, più facilmente, dal consigliere delegato. Se il controricorrente risulti costituito, il ricorrente sarà condannato a rifondergli le spese salvo che la rinuncia sia resa esplicita, con l’adesione delle parti interessate, secondo quanto prevede l’art. 391, comma 4 c.p.c., la cui applicazione non ci sembra incompatibile col descritto contesto di accelerazione in cui la rinuncia – novità assoluta – non richiede un’attività di parte bensì deriva da un’iniziativa del presidente o del consigliere delegato. C’è anche una misura modestamente premiale: l’art. 13, comma 1.quater.1 del D.P.R. n. 115/2002 (Testo Unico spese di giustizia), nella lezione introdotta dallo stesso decreto n. 149, prevede che in caso di definizione accelerata (cioè di rinuncia alla decisione) non si paga il raddoppio del contributo unificato. Un po’ poco, forse, se la contropartita è quella della rinuncia (implicita) al ricorso.

Dopo l’abolizione della sesta sezione[5], la funzione di filtro interno è così affidata a questo meccanismo veloce e poco dispendioso, sul quale la Corte sembra fare molto affidamento[6]; abbandonata l’idea di riconoscere un percorso privilegiato (anche) ai ricorsi manifestamente fondati, il filtro si rivolge ora soltanto agli scarti: fermo restando che, se l’improcedibilità rimanda a figure tipiche, lo stesso non può certo dirsi per l’inammissibilità: fallite e disapplicate le previsioni dell’art. 360 bis c.p.c., la Corte notoriamente fa affidamento sui suoi soliti cavalli di battaglia – soprattutto autosufficienza e specificità, anche del singolo motivo – cui ora potrebbero aggiungersi i nuovi requisiti – chiarezza e sinteticità, per come saranno intesi dalla giurisprudenza della Corte – del ricorso[7]. Dal canto suo, la nozione di “manifesta infondatezza”, a dispetto della sua pervasività (si pensi alle nuove ordinanze ex artt. 183 ter e quater), non riesce a superare l’impressione di una certa vaghezza[8]. La verità, dunque, è che il giudice singolo gode di ampia discrezionalità, spaziando dal rito (improcedibilità) al rito/merito (inammissibilità, processuale e/o “meritale”) al merito vero e proprio (manifesta infondatezza) molto sommariamente delibato. Ove si rifletta sull’esperienza buia (e forse mal digerita) dei quesiti di diritto, pensare a una Corte Suprema di giudici monocratici che intendano sfoltire i ruoli coniando inammissibilità da concetti giuridici indeterminati fa semplicemente venire i brividi.

Il giudice singolo di Cassazione dialoga soltanto con le parti (non anche col PG): il suo provvedimento non ha nulla a che vedere con la proposta di decisione del relatore nel rito camerale[9], perché non siamo dinanzi a un adempimento che muove verso una decisione collegiale: quel provvedimento, che bypassa il collegio, è già una decisione in sé: idonea a chiudere, senza giudicare, il giudizio di legittimità.

Secondo uno schema simile al monitorio, le parti potranno opporsi alla definizione anticipata-estinzione; l’istanza scritta, da produrre entro quaranta giorni dalla comunicazione della “proposta”, deve tuttavia essere accompagnata da una nuova procura speciale (esattamente come se la prima avesse esaurito la sua funzione nella fase “sommaria”)[10], ma in questo caso la Corte, riposta la carota, impugna il bastone: il ricorso viene definito in camera di consiglio (art. 380 bis.1), il consigliere delegato “proponente” farà parte del collegio (non è prevista nessuna incompatibilità), e se il giudizio sarà definito «in conformità alla proposta», che è quanto dire alla prima decisione, troverà applicazione non soltanto la consueta misura del raddoppio del contributo unificato, ma anche l’art. 96 c.p.c., commi 3 e 4 (quest’ultimo aggiunto dallo stesso decreto n. 149 circa il pagamento alla cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria non inferiore a 500 e non superiore a 5.000 euro). Il messaggio è chiaro: il giudice monocratico propone un commodus discessus, ma se la proposta non verrà accettata (basta non far nulla) il collegio, del quale il primo farà parte, ti sanziona: non una, ma due o tre volte.

Secondo l’art. 380 bis, comma 2, l’istanza-opposizione può essere presentata dalla «parte ricorrente»; nell’espressione dobbiamo ricomprendere il controricorrente che non abbia condizionato il suo controricorso con ricorso incidentale. Sembra logico ritenere che le sanzioni risultino irrogabili a carico della sola parte che abbia chiesto la decisione, perché sarà stata sufficiente la sua sola istanza per risolvere il meccanismo di definizione accelerata che conduce all’estinzione, e che rappresenta l’obiettivo strategico della nuova norma: lo smaltimento rapido dei ricorsi-spazzatura, fermo restando che i presupposti stessi del procedimento accelerato non risultano certo scolpiti nel marmo.

Questo nuovo filtro interno, che dovrebbe liberare i ruoli della Corte dai ricorsi non decidibili, desta sincero allarme. E lecite preoccupazioni anche sulla sua tenuta costituzionale.

Sotto il profilo strettamente ordinamentale, l’introduzione del giudice singolo in Cassazione sembra contrastare con l’art. 106 Cost. (anche nelle relazioni tra il comma 2 e il comma 3), mentre l’art. 67 ord. giud. è chiarissimo nell’affermare che la Cassazione giudica sempre in composizione collegiale. Il meccanismo dell’art. 380 bis, laddove attribuisce a un giudice singolo il potere di definire il giudizio di legittimità avviandolo verso l’estinzione senza una istanza di parte, sembra non tener conto della chiara portata dei testi che abbiamo sopra richiamati. Non ci sembra possa sostenersi[11] che il giudice singolo si limiterà a fare una semplice proposta che le parti saranno libere di accettare o meno, perché: (a) il giudice singolo è, nella fase di definizione accelerata, del tutto svincolato da un collegio, a differenza di quanto avvenuto finora per l’ordinanza opinata; (b) se il giudice singolo fosse latore di una mera “proposta” il processo di legittimità non potrebbe estinguersi senza una chiara e formale manifestazione di volontà delle parti; (c) se una fase del procedimento non fosse esaurita (e si tratta, non a caso, di quella che ispira la rubrica stessa della norma: “decisione accelerata”), non si spiegherebbe la necessità del rilascio di una nuova procura speciale; (d) il passaggio da una fase di definizione accelerata alla fase di decisione “ordinaria” (camerale) è reso ancor più chiaro nella progressione dal premio (trascurabile) alle sanzioni (pesanti): chi intende contrastare il “consiglio” del giudice singolo sa che avrà davanti una strada in salita, che facilmente condurrà verso esiti infausti; (e) mentre la rinuncia agli atti richiede un’esplicita manifestazione di volontà delle parti (art. 390 c.p.c.), nel contesto della decisione accelerata il semplice silenzio delle parti conduce all’estinzione: effetto quindi prodotto non altro che dal provvedimento del consigliere delegato, autorizzato a chiudere in rito il giudizio di legittimità per ragioni di rito, di rito/merito e di schietto merito; (f) quello stesso provvedimento continuerà ad avere effetti anche nel seguito del giudizio, se è vero che il collegio, laddove riscontri che il giudizio va definito “in conformità alla proposta”, applica (non “può applicare”) le sanzioni. Decisione, pre-decisione, opinamento, delibazione, proposta: la si chiami come si vuole, sta di fatto che siamo dinanzi a un pronunciamento del giudice monocratico che neppure l’opposizione delle parti potrà risolvere, e che finisce per condizionare anche la decisione finale del collegio.

Il provvedimento del giudice singolo – gli indici sopra indicati paiono ineluttabili – è dunque una decisione vera e propria, una anticipazione di giudizio (perfettamente idonea a definirlo) che dovrebbe produrre una vera e propria incompatibilità del consigliere proponente a far parte del collegio giudicante, qualora la parte, nonostante tutto, intenda richiedere una decisione nel merito del ricorso. E invece, par di capire che quello stesso consigliere che ha tentato di sbarrare la strada al ricorrente, facilmente farà da relatore nella camera di consiglio.

Il respingimento dei ricorsi in sede di legittimità assume quindi un volto nuovo, e si tratta senz’altro di un volto feroce. Un volto – la considerazione è scontata – che spaventerà i più deboli, i peggio assistiti, gli straccioni della giustizia civile. Ci stiamo lentamente abituando all’idea – che contrasta con gli artt. 3, 24 e 111 Cost. – che chi chiede giustizia potrà essere severamente sanzionato non tanto perché l’ha chiesta male o avrebbe potuto non chiederla, quanto perché ha tentato di far uso di una risorsa limitata – ma non certo per responsabilità dei ricorrenti – che, ora come ora, va riservata soltanto a determinate controversie che possano consentire alla Suprema Corte di svolgere le funzioni “nomofilattiche”[12] che hanno ormai preso il sopravvento sullo jus litigatoris, vale a dire sulla garanzia costituzionale[13].

Invece di assistere a simili contorcimenti, non sarebbe meglio mettere mano con serietà all’art. 111, comma 7, Cost.?

È proprio vero quanto va ripetendo[14] l’amico Giuliano Scarselli: mala tempora currunt.

[1] Nel testo varato dal d.lgs. n. 149/2022, in vigore «anche per i giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023 per i quali non è stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio»: così l’art. 35, comma 7 dello stesso decreto n. 149, recante le norme transitorie, non modificate dall’art. 1, comma 380, della legge 29 dicembre 2022, n. 197.

[2] La mente corre a quella di Don Vito Corleone ne Il Padrino: «gli farò un’offerta che non potrà rifiutare».

[3] Nel linguaggio comune così come in quello giuridico una proposta richiede un’accettazione, di norma espressa e non per facta concludentia. L’art. 390 c.p.c. richiede infatti la forma scritta per la rinuncia al ricorso principale o incidentale, che deve provenire dalla parte personalmente e dal difensore o anche soltanto da quest’ultimo se «munito di mandato speciale a tale effetto». L’adesione alla rinuncia, di cui all’art. 391, comma 4, c.p.c., presuppone anch’essa un atto scritto.

[4] V. anche R. Frasca, Considerazioni sulle proposte della Commissione Luiso quanto al processo davanti alla Corte di Cassazione, in www.giustiziainsieme.it dal 7 giugno 2021, il quale, criticando la scelta della Commissione, ha osservato che questa «avrebbe dovuto proporre un’innovazione più radicale, cioè quella dell’adozione di una  vera e propria ipotetica ordinanza provvisoria motivata succintamente ed enunciante la soluzione di inammissibilità, di improcedibilità, di infondatezza del ricorso, con la previsione della comunicazione alle parti costituite e l’assegnazione di un termine per la proposizione di un’opposizione motivata ad istanza della parte interessata, da decidersi dal collegio in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1, in mancanza della quale semmai dovrebbe scattare il meccanismo di dichiarazione dell’estinzione».

[5] G. Costantino, De profundis per la sezione filtro della Cassazione civile, in Quest. Giust. on line dal 16 novembre 2022.

[6] M. Acierno – R. Sanlorenzo, La Cassazione tra realtà e desiderio. Riforma processuale e ufficio del processo: cambia il volto della Cassazione?, in Quest. Giust. trim., n. 3/2021, speciale su La riforma della giustizia civile secondo la legge delega 26 novembre 2021, n. 206, 96 ss.; F. De Stefano, La riforma prossima ventura del giudizio di legittimità – note a lettura immediata sulla legge 206/21, in www.giustiziainsieme.it dal 13 dicembre 2021. Assai esplicita la relazione tematica del Massimario n. 96 del 6 ottobre 2022, su PROCEDIMENTO CIVILE – IN GENERE. Lo schema di d.lgs. adottato in attuazione della l. n. 206 del 26 novembre 2021, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata – Il giudizio dinanzi alla Corte di cassazione – Novità normative.

[7] Chiaramente in tal senso F. De Stefano, La riforma del processo civile in Cassazione. Note a prima lettura, in www.giustiziainsieme.it dall’11 gennaio 2023.

[8] V., ad es., G. Scarselli, I punti salienti dell’attuazione della riforma del processo civile di cui al decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 149, in www.giustiziainsieme.it dal 15 novembre 2022: «l’inammissibilità della domanda per manifesta infondatezza, che al momento esiste solo per il ricorso per cassazione ex art. 375 n. 5 c.p.c., può suscitare a mio parere dubbi se estesa ad un giudizio di merito, soprattutto quando riferita al diritto di difesa … deve rilevarsi che la manifesta infondatezza è concetto giuridico vago, e quindi le norme, nella sostanza, rimettono alla discrezionalità del giudice il proseguimento o meno del processo».

[9] N. Picardi, L’ordinanza opinata nel rito camerale in Cassazione, in Giusto processo civ., 2008, 322 ss.

[10] Cfr. F.M. Giorgi, Riforma del processo civile in Cassazione: unificazione dei riti camerali e procedimento accelerato (focus sulle controversie lavoristiche), in Giust.civ.com dal 14 dicembre 2022, il quale sottolinea che il legislatore ha dimenticato di precisare su quale atto potrà essere apposta la nuova procura speciale, che quindi dovrà avere forma notarile.

[11] Cfr. F. De Stefano, op. loc. cit.

[12] Ci permettiamo di rinviare al nostro La nomofilachia tra equivoci e autoritarismi, in www.judicium.it dal 6 luglio 2022 e in corso di pubblicazione sulla Rassegna dell’esecuzione forzata.

[13] Il conflitto tra jus litigatoris e jus constitutionis, ai sensi, rispettivamente, degli artt. 111, comma 7, Cost. e 65 ord. giud. è ben messo in luce da G. Costantino, op. cit., part. 7 ss.

[14] Da ultimo in www.judicium.it, 29 novembre 2022.