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Dramma inconsistente (il D.M. 110/2023)
Di David Cerri -
Ho rubato Il titolo ad Achille Campanile, dall’ultima delle Tragedie in due battute [1], che appunto per la sua brevità posso riportare integralmente:
Personaggi:
NESSUNO
La scena si svolge in nessun luogo
NESSUNO
tace .
Ma in realtà avreivoluto che finisse così, mentre ora posso solo confessarmi deluso dalle reazioni dapprima allo schema di decreto attuativo del novellato art.46 disp att. c.p.c., e poi al testo del D.M. Giustizia n.110 pubblicato sulla G.U. dell’11 agosto scorso.
Una parte dell’avvocatura, e associazioni anche largamente rappresentative, finanche istituzioni apicali, hanno visto nella bozza di provvedimento una aggressione al ruolo ed alla funzione dell’avvocato civilista, giungendosi a chiedere l’abrogazione del 4° comma dell’art.46 cit., aggiunto dal D.Lgs n.149/2022 attuativo della c.d. Riforma Cartabia per il processo civile [2].
Ora, per sgombrare dal campo da inutili polemiche, dichiaro subito incondizionata condivisione di alcuni motivi che vengono addotti per giustificare cotanto risentimento: siamo (almeno io lo sono) del tutto consapevoli che l’obiettivo di una maggiore celerità dei processi non si raggiunge certamente solo con strumenti attinenti alle tecniche redazionali; tanto più convinti che non è davvero colpa degli avvocati (od almeno, non lo è in misura rilevante).
Quello che mi preoccupa è lo svolgimento di una battaglia che definirei assai più severamente che non di mera “retroguardia”, su un profilo specifico che vedeva il nostro ordinamento oggettivamente arretrato rispetto alla comune esperienza degli analoghi ordinamenti processuali occidentali; uno spreco di energie nel tentativo – destinato infallibilmente all’insuccesso – di fermare (e perché ?) uno sviluppo che definirei quasi naturale di un ramo delle competenze dell’avvocato nel processo civile: in altre parole, la capacità di esprimersi con chiarezza e brevità, a fini persuasivi e nell’interesse proprio (o meglio, del proprio cliente) e non in quello di un giudice potenzialmente svogliato o vagabondo, come temo spesso si presupponga.
Per questo motivo sono rimasto piacevolmente sorpreso nel leggere – su Il Dubbio del 29 agosto [3]– un intervento del collega Presidente del COA di Padova Francesco Rossi, significativamente titolato col riferimento alla “sinteticità degli atti” come “un’opportunità per noi avvocati”; mi pare questa l’ottica giusta con la quale valutare le novità.
Non mi dilungo certamente sull’avanzare di quel “movimento” verso l’affermazione di concisione e chiarezza nella scrittura processuale; dovrebbe (dovrebbe) essere ben noto a chiunque frequenti le nostre aule (e mi riferisco anche ai magistrati, ovviamente) che, anche a voler dimenticare la brevitas ciceroniana, le corti europee (indubbiamente influenzate dalle esperienze nordamericane [4]) ne hanno fatto un pilastro; e ben più severe, da anni, sono le previsioni del nostro codice del processo amministrativo, dove effettivamente lo “sforamento” dei limiti dimensionali può aver conseguenze tragiche per il legale (ovvio riferimento al c.5 dell’art.13 ter norme att. c.p.a.: se scrivi di più senza valida giustificazione puoi non esser letto…e non puoi impugnare solo per questo motivo).
E soprattutto, è diritto vivente consolidato che la sinteticità costituisca un principio essenziale anche del processo civile; e anche questo da anni: almeno sin da quando Cass., Sez.II, 04.07.2012 n.11199 invitava alla redazione di “atti sintetici, redatti con stile asciutto e sobrio”, e fino alla chiara affermazione di Cass., Sez.I, 13.04.2017 n.9570 secondo la quale (in tema di ricorso per cassazione) “ il mancato rispetto del dovere di chiarezza e sinteticità espositiva degli atti processuali che, fissato dall’art 3 comma 2 del cod. proc. amm. (secondo cui «il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica»), esprime tuttavia un principio generale del diritto processuale, destinato ad operare anche nel processo civile” (con le facili ricadute nell’ottica dei n.3 e 4 dell’art.366 c.p.c.), come poi più volte ribadito [5].
Il principio è talmente generalizzato che lo stesso C.N.F. lo ha dichiarato proprio anche del processo disciplinare (C.N.F., 06.11.2020 n.219), dopo averlo già “consacrato” nel noto Protocollo Cassazione/C.N.F. del 2015 sulla redazione dei ricorsi in materia civile e tributaria (e ribadito nella nuova versione del 2023). Il Protocollo citato e numerosi altri stipulati sul territorio, proprio sulla base della collaborazione tra avvocatura e magistratura, dovrebbero indicare la strada da percorrere; in un caso – mi riferisco alle linee guida 2017 degli Osservatori per la Giustizia Civile – vi è stato anche l’encomiabile tentativo di fornire una definizione dei due concetti di chiarezza e concisione [6]. Ed è importante sottolineare che nei documenti richiamati il richiamo è teleologicamente orientato al rispetto dei principi costituzionali di cui all’art.111: giusto processo e durata ragionevole [7].
Tornerei quindi ad esaminare con serenità, ma per confutarle, alcune obiezioni mosse in linea di principio – pare – proprio all’ idea stessa che si possano imporre limiti dimensionali: si tratterebbe (esagero) di lesa maestà del ruolo del legale (del civilista, ora: gli amministrativisti, a sentire le relazioni annuali del Presidente del Consiglio di Stato, si sarebbero adattati senza troppi traumi).
Sull’affermazione che con le nuove disposizioni non si risolvano i problemi della giustizia civile, ho già manifestato il mio scontato accordo.
Si sono però dette altre cose: per esempio che a proposito di chiarezza non sia menzionata la possibilità di inserire schemi e immagini di c.d. “legal design”; io mi chiederei invece (fatta una personale, doverosa riserva sulla congruità dell’espressione, molto di moda: ma pensiamo alla sostanza): ma dov’è vietato ?
Si è scritto anche che per tener conto delle esclusioni dal conteggio dei caratteri (v. art.4 D.M. 110) non si potrebbe ricorrere ai consueti strumenti dei word processor (come quello del conteggio dei caratteri), così che il difensore sarebbe costretto ad un conteggio manuale. Ma perché ? le singole sezioni di un testo possono tranquillamente consentire il calcolo, e si tratterà tutt’al più di fare qualche operazione di sottrazione di diversi fattori, non un dramma.
Le parole chiave: erano poche le dieci della bozza (e ora son diventate venti [8]) e soprattutto cosa sono mai ? “va inserita una frase o solo il nome degli istituti ?” [9]. Allora… una “frase” ni (non impossibile ma: a) parola chiave – b) l’uso corrente come strumento di ricerca ne viene inficiato), e per gli istituti, talvolta sarà una figura del genere a venire in ballo, talaltra sarà un sostantivo attinente alla vicenda in fatto (“stupro” non è un istituto, ma può essere la parola chiave di una lite per risarcimento danni da violenza sessuale).
Non mettiamo limiti alla Provvidenza [10]. Forse sarebbe interessante studiare meglio l’uso delle parole chiave alla luce di quanto si applica nel mondo della comunicazione, non solo (anche se prevalentemente) commerciale, sempre tenendo conto che nel nostro caso la parola chiave ha un ambito ristretto di efficacia (l’atto) ma comunque suscettibile di interpretazione semantica e non solo letterale.
Infine, le conseguenze in punto di spese. Dovremmo esser lieti che la “sanzione” sia limitata a questo aspetto. Ho ricordato poco sopra il regime del processo amministrativo (sul quale sì lo stesso C.N.F. aveva all’inizio manifestato perplessità, anche di ordine costituzionale, e a mio parere con ragione). E’ la giurisprudenza sovranazionale e costituzionale interna che per fortuna costringe il legislatore a limitare così il precipitato delle violazioni dei limiti e di altri criteri formali di redazione (lo ricordava la Commissione Luiso nei suoi lavori [11]). E poi: il regime delle spese va visto anche in funzione premiale oltre che punitiva. Mi spiego: l’art.44 del D.M. n.55/2014 prevede diversi criteri per la liquidazione, tra i quali il “pregio difensivo”; ora, poniamo che due convenuti, con posizioni identiche, si difendano con diversi avvocati dalie infondate pretese dell’attore. Vien loro riconosciuta la ragione, ma ad A vengono liquidate le spese sui valori massimi, mentre a B sui minimi: perché l’avvocato di A ha ottenuto quel risultato scrivendo poco e chiaro (mettiamo, una conclusionale di 20 pagine), mentre quello di B ne ha impiegate 70, senza un ordine argomentativo, senza rispettare altri parametri anche soltanto grafici, facendo insomma una gran confusione per dire esattamente le stesse cose che ha detto il suo collega. Non vi parrebbe corretto ?
C’era a mio parere un solo punto (anzi due, l’altro subito dopo perchè lo ritengo in fondo meno rilevante) indubbiamente errato nella bozza di D.M. filtrata a giugno: quello del divieto di note a piè di pagina.
Vero che c’è analoga norma nel processo amministrativo (posta, lo ricordo, non direttamente dal legislatore o dall’esecutivo ma da un organo amministrativo come il Presidente del Consiglio di Stato, a ciò delegato [12]), analogamente incomprensibile; ma due errori non si elidono a vicenda, e a fronte delle – queste sì – fondate proteste il Ministro ha modificato la norma come segue (e per meglio comprendere ricorro a una tavola di confronto, sottolineando nello schema le parti poi eliminate):
Schema decreto Prot.3761 del 24.05.2023
D.M. n.110/2023
Art.6 c.2
Art.6 c.2
Non sono consentite note, salvo che per la sola indicazione degli estremi dei precedenti giurisprudenziali, senza trascrizione della massima o del contenuto del provvedimento, nonché di riferimenti dottrinali, senza trascrizione per relativi testi.
Non sono consentite note, salvo che per l’ indicazione degli estremi dei precedenti giurisprudenziali nonché dei riferimenti dottrinali.
Il che dovrebbe significare – se si interpreta ragionevolmente la norma secondo l’evidente intenzione dell’autore delle modifiche:
– Si potranno citare le massime e brani delle motivazioni
– Si potrà citare la dottrina, anche brani significativi (certamente non trascrivere pagine e pagine di saggi…).
Vero è che un’interpretazione letterale sarebbe più rigorosa, e che quindi sarebbe stato meglio semplicemente cancellare questo comma. Altrove il problema non si pone (v. il caso americano delle F.R.A.P. cit. in n.4) e dovrebbe essere letto insieme a quello più generale delle citazioni, che trovano spesso nelle note a piè di pagina la sede ideale [13].
L’altro punctum dolens concerne il “trattamento” riservato al giudice.
L’art.7 del D.M.110 :
– Al c.1 richiama anche il magistrato al rispetto dei criteri di cui agli artt.2 e 6, ma “in quanto compatibili”,
– Il c.2 ripete i parametri già indicati all’avvocato per l’eventuale superamento dei limiti,
(e all’ultimo comma, nella versione definitiva in G.U., prevede una sommaria ma utile indicazione della struttura dell’atto: capi separati e numerati).
Come dirò tra poco, se non ci saranno conseguenze – se non per le spese – nel caso di violazioni da parte del legale, ci potranno mai essere per il giudice prolisso e confuso ? terreno minato, ovviamente, perché coinvolge inevitabilmente principi costituzionali sul ruolo della magistratura, certamente da rispettare nel massimo grado. Al di là dal fornire materiale solo parzialmente utile a colorare una impugnazione (laddove non si rientri in vizi canonici della motivazione) potrebbero esserci rilievi sulle valutazioni di professionalità: ma il lettore che mi ha seguito fin qui avrà notato il taglio prettamente concreto, e concluderà con me nel lasciare a Goethe un possibile Prolog in Himmel a questi riguardi (senza neppure un Mefistofele a disposizione).
Ma poi davvero di cosa stiamo parlando ? Torno alla questione della competenza, delle skills dell’avvocato:
– Se non sei capace di scrivere un atto in non più di 40 pagine (più o meno gli 80.000 caratteri attuali, da calcolarsi tra l’altro senza gli spazi, e detratte le parti escluse dall’art.4: quindi realisticamente non meno di una cinquantina) devi porti qualche domanda…
– Naturalmente può darsi che oggettivamente non sia possibile (e stiamo parlando dei procedimenti di valore inferiore a 500.000 euro, non proprio di tutti), ma allora puoi spiegarlo (c.1 art.4), senza contare che ci sono già “giustificazioni” ex lege: c.3 art.4 “La proposizione di una domanda riconvenzionale, di una chiamata di terzo, di un atto di integrazione del contraddittorio, di un atto di riassunzione o di un’impugnazione incidentale giustifica il ragionevole superamento dei limiti previsti dall’articolo 3” ;
– in ogni caso il giudice non ha alcuna possibilità di intervento se non condivide la tua giustificazione (cfr. c.6 art.46 disp. att. c.p.c., in aderenza al criterio direttivo della legge delega n.206/2021, art.1, c.17 lett.e) se non nel valutare il pregio delle tue difese ai fini delle spese. Se ne era accorto anche il Consiglio di Stato nel suo parere cit. in nota 10, criticando quello che ha considerato un “rischio di depotenziamento dell’incisività della previsione che introduce limiti dimensionali” e rilevando pertanto le “marcate differenze” tra processo civile e processo amministrativo: ma così, appunto, è.
Vale la pena di strapparsi i capelli ?
Credo che ci sarebbero ben altri argomenti sui quali riflettere: meritoriamente la stessa associazione che ho sopra criticato (v. n.9) lo rileva allorquando richiama l’attenzione sulla prospettiva dell’uso di strumenti di intelligenza artificiale per la redazione degli atti [14].
La discussione è in pieno corso altrove (in particolare, nei soliti U.S.A.…[15]) e dovremo affrontarla anche noi, volenti o nolenti.
La questione, in conclusione, torna ad essere ancora quella della professionalità dell’avvocato. Se a mio parere è indubbio che il rispetto dei criteri di redazione indicati dal D.M. agevolerà la scrittura di atti più comprensibili ed efficaci, è altrettanto vero che ciò comporterà un maggior lavoro del legale. Ci vuole più tempo e maggiore applicazione per scrivere un atto breve e chiaro, rispetto all’abbandonarsi a flussi di coscienza à la Joyce: e mi spiace citare anche qui un abusato detto di Pascal: “Mi scuso per la lunghezza della mia lettera, ma non ho avuto il tempo di scriverne una più breve” [16], ma corrisponde davvero alla realtà.
[1] A.CAMPANILE, Tragedie in due battute, Milano, Rizzoli, 1978.
[3] F.ROSSI, Sinteticità degli atti nel civile: io dico che le nuove norme possono essere anche un’opportunità per noi avvocati, Il Dubbio del 29.08.2023.
[4] al cui proposito mi piace ricordare le discussioni chi si svolsero tra avvocatura, magistratura ed accademia a proposito della proposta di abbreviare i parametri di lunghezza degli atti nel processo federale d’appello – Rule 32 Federal Rules Appellate Procedure/F.R.A.P. – a dimostrazione di quanto il tema fosse vissuto come rilevante. Per un parziale riepilogo v. il Memorandum a cura di C.SIMONS per il Judicial Council of California (07.12.2018), link https://www.courts.ca.gov/documents/aac-20181212-rs-materials.pdf ; la norma completa di aggiornamenti si legge in https://www.law.cornell.edu/rules/frap/rule_32 . L’impulso nel sistema USA viene formalizzato dalla Corte Suprema, v. https://www.supremecourt.gov/orders/courtorders/frap16_j92i.pdf .
[5] Da Cass., Sez. trib. , 21.03.2019 , n. 8009 a Cass. Sez. trib., n.22406 e Sez.III n.22379 entrambe del 25.07.2023.
[6] Sarà consentito il richiamo a D.CERRI, La scrittura degli atti processuali ed il Protocollo d’intesa C.N.F. / Cassazione sulla redazione dei ricorsi, e ID., Le Linee Guida 2017 degli Osservatori sulla Giustizia Civile sulla redazione degli atti in maniera chiara e sintetica, entrambi in www.judicium.it , anche per i riferimenti.
[7] Trovo esemplari al riguardo le considerazioni del Primo Presidente Pietro Curzio nella Relazione illustrativa al Programma di gestione della Cassazione per il 2021: e rinvio anche qui a D.CERRI, Il Programma di gestione della Cassazione per il 2021: chiarezza e concisione nel linguaggio del giudice (e delle parti), in www.giustiziainsieme.it .
[8] Nel Protocollo Cassazione/C.N.F. del 01.03.2023 cit. erano (sono) rimaste dieci…
[10] Dissento quindi dal Consiglio di Stato, parere del 07.06.2023 sullo schema di D.M. più volte cit., secondo il quale avrebbe dovuto specificarsi che le parole chiave “devono indicare [NDR apparentemente solo] le questioni di diritto oggetto della domanda”.
[11]Proposte normative e note illustrative, a cura della c.d. Commissione Luiso, sub III. Proposte in materia di processo civile, §8 Principio di sinteticità.
[12] Vedremo che uso farà il Primo Presidente della S.C dei poteri di cui all’art.8, c.4, peraltro limitati alla redazione delle specifiche tecniche degli schemi informatici.
[13] Utile sarebbe anche per noi, per es., un suggerimento come quello che si rinviene nella Rule 32.1 F.R.A.P.: “Se una parte cita un’opinione giudiziaria, un’ordinanza, una sentenza o altra disposizione scritta che non è disponibile in una banca dati elettronica pubblica, la parte deve depositarne e notificarne copia con l’atto nel quale è citato”.
[14] Anche se non mi è chiarissimo il riferimento a testi “machine readable”. L’ IA può essere utilizzata per creare/integrare/migliorare testi, nel nostro caso atti processuali; il momento della “lettura” di tali atti – da parte degli altri legali – potrebbe ancora servirsene per evidenziare fallacie o veri e propri errori giuridici; da parte del giudice, invece, sarei preoccupato se questi affidasse a una “macchina” un’interpretazione non limitata ad una cognizione testuale; e del resto non mi parrebbe neppure consentito secondo le previsioni dell’AI Act europeo (la Proposta di Regolamento COM(2021)206), oggetto degli attuali (al momento in cui si scrive) triloghi a Bruxelles (per l’ultima volta rinvio a D.CERRI, I giuristi pratici e l’Intelligenza Artificiale, § 5, in uscita sul n.2/2023 de La Nuova Giurisprudenza ligure, https://ordineavvocatigenova.it/liste/ngl.html ).
[15] Giusto per avere un’idea v. M.SHOPE, The AI Writing Assistant Handbook for Law (February 11, 2023), https://ssrn.com/abstract=4364693 . Tutti i siti citati sono stati consultati da ultimo il 1 settembre 2023.