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Esperienze applicative del rinvio pregiudiziale interpretativo ex art. 363 bis c.p.c. – quarta puntata
Di Antonio Briguglio -
Seguitano – assai istruttivi – i decreti della Prima Presidenza sul rinvio pregiudiziale.
Questa volta (decreto 6-7.9.2023) il quid iuris al quadrato, e cioè concernente lo stesso istituto del rinvio pregiudiziale, riguarda la sorte dell’ordinanza del giudice a quo emanata senza aver “sentito le parti”.
Il commento: il contraddittorio previo al rinvio pregiudiziale.
SOMMARIO: 1. Per incidens: ancora sul confine più labile tra fatto e diritto in sede di pronuncia sul rinvio pregiudiziale. – 2. “Sentite la parti costituite” (art. 363 bis, c. 1°): a) non è un capriccio; b) non vi sono sedi o modi processuali determinati e cogenti per l’audizione delle parti; c) trascurabile è l’omessa menzione della previa audizione delle parti nella ordinanza di rinvio. – 3. Le conseguenze della mancata previa audizione delle parti: due opposte posizioni possibili in ordine al suo rilievo, in termini di nullità-inammissibilità del rinvio, nella fase presidenziale. – 4. Segue: la pronuncia presidenziale (giustamente) esclude il rilievo di inammissibilità, ma al contempo rimette alle Sezioni Unite anche e proprio tale questione (oltre a quelle sostanziali poste dal giudice a quo), l’ultima parola spettando dunque alle Sezioni Unite. – 5. E’ auspicabile che le Sezioni Unite escludano il rilievo di inammissibilità, per violazione del “sentite le parti”, in qualunque fase del procedimento pregiudiziale: la menomazione non è irrimediabile né radicale: non se si pone mente all’an del rinvio. – 6. Segue: e neppure – purché ad una condizione – se si pone mente al quomodo del rinvio.
1.Per incidens: ancora sul confine più labile tra fatto e diritto in sede di pronuncia sul rinvio pregiudiziale.
Il Tribunale di Salerno rimette alla Cassazione questione pregiudiziale relativa alla eventuale nullità di contratto di mutuo bancario per indeterminatezza dell’oggetto dovuta alla omessa indicazione del regime di capitalizzazione composto degli interessi.
La Prima Presidente (nella seconda parte del decreto in commento) ritiene giustamente la quaestio rilevante, nonché nuova viste le divergenti opinioni riscontrabili in casi simili nella giurisprudenza di merito. Tali divergenze, unitamente alla intrinseca portata della questione relativa a contratti frequentissimi e standardizzati, attestano anche il requisito della sua idoneità a porsi in numerosi giudizi. Quelle stesse divergenze confermano inoltre la difficoltà del problema interpretativo.
Nel declinare con notevole specificità gli addendi di una tale difficoltà e perciò nell’incanalare almeno sul piano metodologico, ed ovviamente senza indicazioni solutorie, il successivo lavoro del Collegio, il decreto mostra a mio avviso una connotazione che avevo creduto di poter preconizzare (cfr. il mio Il rinvio pregiudiziale interpretativo alla Corte di Cassazione, in Il Processo, 2022, 947 ss., spec. 960): quando vi si sia di mezzo una pronuncia pregiudiziale, destinata perciò ad orientare oltre che la immediata decisione di un caso singolo anche la futura decisione di casi analoghi e seriali, la Suprema Corte deve essere disposta a immergere se non le mani almeno la punta delle dita nei fatti, in quei fatti “seriali” appunto che colorano la realtà socio-economica su cui il problema interpretativo si innesta e che giovano a risolvere con adeguata concretezza la questione senza farle dismettere la sua natura di quaestio iuris.
La “serialita” accentua l’importanza di ciò; la “pregiudizialità” del responso, e l’assenza perciò del letto di Procuste del sindacato impugnatorio di legittimità e dei connessi intangibili accertamenti processuali del fatto in sede di merito, agevola questo limitato sporcarsi le dita. L’equilibrio resta complesso perché, se le mani del responso pregiudiziale affondano troppo, la considerazione dei fatti di contesto, pur utili alla fissazione di un principio di diritto prospettico e non campato nell’iperuranio, può scantonare nell’area dei fatti rilevanti nel giudizio di merito a quo, e il responso pregiudiziale porre così in imbarazzo il giudice di quel giudizio o in casi limite autorizzarne l’aggiramento del principio pregiudiziale sulla base di incompatibile ricostruzione precedente o sopravvenuta di quei fatti.
Ma su tutto ciò sarà meglio tornare una volta a contatto con una sentenza pregiudiziale che riproponga lo sfumato scenario cui ho accennato, mentre il focus del decreto che ora si commenta è altro.
2.“Sentite la parti costituite” (art. 363 bis, c. 1°): a) non è un capriccio; b) non vi sono sedi o modi processuali determinati e cogenti per l’audizione delle parti; c) trascurabile è l’omessa menzione della previa audizione delle parti nella ordinanza di rinvio.
Accade infatti che il giudice a quo non abbia ossequiato, innanzi al rinvio, il “sentite le parti costituite” per come previsto dal comma primo dell’art. 363 bis. La Prima Presidente lo constata, rilevando che “l’ordinanza di rimessione non dà conto della previa attivazione e del contraddittorio”, ed in aggiunta riferendo che tale omissione è stata medio tempore segnalata alla Suprema Corte mediante apposita nota di una delle parti costituite e non consultate.
Dal che traggo tre osservazioni preliminari più o meno scontate.
a) Male ha fatto, indubitabilmente, il giudice a quo. Il “sentite le parti” è tutt’altro che esornativo ed invece funzionale, oltre che ad una generale corretta dialettica contraddittoria (anche) sulla quaestio iuris, allo stesso effetto utile del rinvio pregiudiziale, risultando il contrapposto o in ipotesi concorde punto di vista delle parti – ferma l’ampia discrezionalità giudiziale – essenziale tanto riguardo all’an (l’applicazione dell’art. 363 bis è comunque scelta oggettivamente dilatoria) quanto riguardo al quomodo del rinvio (e cioè alla formulazione di un quesito adeguato e pertinente).
b) Come e quando debbano essere sentite le parti il legislatore ovviamente non dice, per ciò stesso che lascia libero il giudice circa il momento in cui effettuare il rinvio; una sollecitazione nell’ormai famigerato provvedimento ex171 bis (fiore all’occhiello dei pasticci della “Cartabia”), con successiva interlocuzione scritta nelle memorie, sarebbe l’ideale per un giudice rapido e decisionista e che sia stato posto già dagli atti introduttivi in condizione di percepire l’emersione del quesito possibile oggetto di rinvio. La normalità sarà però probabilmente la segnalazione e la discussione orale alla prima udienza o in note scritte immediatamente successive ed appositamente assegnate. Ma naturalmente non può escludersi che la quaestio si definisca in modo compiuto nella mente del giudice solo all’esito dell’istruttoria, o che qualche presupposto di ammissibilità del rinvio – ad esempio la “serialità’” o la “grave difficoltà interpretativa” evidenziata da un sopravvenuto contrasto giurisprudenziale – affiori solo nel corso o in stadio avanzato della causa, fino a potersi immaginare perfino una sollecitazione ed una discussione durante la – altrimenti tendenzialmente inutile o dannosa – udienza di “rimessione in decisione” concepita, quale autentica “cadenza ad inganno” per gli osservatori europei, dagli ultimi riformatori del c.p.c.. All’opposto può ben darsi che negli atti introduttivi o nelle successive memorie prima l’attore e poi il convenuto o viceversa abbiano già spontaneamente affrontato il tema di un eventuale rinvio pregiudiziale ed che il giudice prenda dunque a riguardo autonoma decisione senza “provocare” di nuovo un contraddittorio che si è già svolto.
c) Che poi il giudice a quo nella ordinanza debba necessariamente ed espressamente dar conto di aver sentito le parti, non è a dirsi perché non lo dice il legislatore e dal suo silenzio non può rampollare un ulteriore requisito puramente formale di ammissibilità; nel caso di specie, se non fosse stato per l’apposita nota di avvertimento indirizzatale da una parte, la Prima Presidente avrebbe con ogni probabilità glissato sulla mancata menzione nell’ ordinanza della previa audizione delle parti, visto oltretutto come ha poi risolto, per quanto le competeva, riguardo a quella mancata audizione.
3.Le conseguenze della mancata previa audizione delle parti: due opposte posizioni possibili in ordine al suo rilievo, in termini di nullità-inammissibilità del rinvio, nella fase presidenziale.
Ciò precisato resta il problema nodale: quali sono le conseguenze della mancata attuazione o per lo meno provocazione del contraddittorio sul rinvio pregiudiziale innanzi al giudice a quo?
Ed il problema si scompone in due progressivi sotto-quesiti: se ciò comporti inammissibilità del rinvio rilevabile già in limine dal Primo Presidente; ed in caso contrario se la inammissibilità del rinvio possa essere rilevata o al contrario sanata nella successiva fase innanzi alla Cassazione e se quest’ultima possa dunque comunque pronunciare nel merito della questione rinviata.
Riguardo al primo dei sottoquesiti la motivazione in commento dà anzitutto conto di due distinte antitetiche posizioni: (i) nullità assoluta, rilevabile anzitutto dal Primo Presidente, per violazione del contraddittorio ad effetto lesivo immediato consistente nella sospensione, non altrimenti immediatamente rimediabile vista l’impossibilità delle parti di interloquire col Primo Presidente; (ii) o al contrario impossibilità per il Primo Presidente di rilevare prima facie ragioni di inammissibilità diverse dalla carenza di una delle tre condizioni del rinvio enumerate dal comma primo dell’art. 363 bis, visto che ad esso il comma quarto del medesimo articolo fa rinvio quanto alla verifica commessa al Primo Presidente.
(i) La prima posizione, se si pone mente al profilo del quomodo e cioè alla configurazione del quesito ed all’inerente possibile contributo delle parti, sembra intuitivamente eccessiva, e lo è per le ragioni che più tardi dirò.
Se invece si pone mente al profilo dell’an del rinvio, e cioè al suo effetto dilatorio ed al conseguente pregiudizio per le parti, la cosa può essere più delicata. Ma tutto sommato la nullità assoluta rilevabile dal Primo Presidente mi parrebbe esclusa per tre interconnesse ragioni. La sospensione del giudizio a quo è esercizio in buona misura di potere discrezionale del giudice ed è comunque insindacabile per via impugnatoria. Per quel tanto che la discrezionalità è vincolata, e cioè quanto alla sussistenza dei presupposti del rinvio enunciati al primo comma dell’art. 363 bis, e che potrebbero e dovrebbero appunto essere oggetto di contraddittorio innanzi al giudice a quo, essi sono comunque immediatamente vagliati dal Primo Presidente; il quale rapidamente è in grado di tutelare insieme le parti dal provvisorio vulnus della dilazione e la Corte rispetto ad un lavoro inappropriato. La assenza di interlocuzione delle parti innanzi al Primo Presidente (oltretutto di fatto smentita proprio nella vicenda di cui ci occupiamo) è dunque un elemento neutro si nostri fini, perché se il Primo Presidente non ravvisa quei presupposti il vulnus dilatorio è tosto rimediato e diviene davvero relativamente insignificante a petto delle normali cadenze di un processo civile italiano, e se invece li ravvisa lo fa senza tenere minimamente conto del contraddittorio svoltosi a riguardo innanzi al giudice a quo ed il suo via libera, in considerazione del ruolo apicale e della affidabilità che gli competono, supera qualunque ipotetico diverso avviso che il giudice a quo avrebbe potuto in ipotesi maturare all’esito di un sommario contraddittorio che non si è svolto.
(ii) La seconda opposta tesi è però solo apparentemente ossequiosa del dato letterale, perché quando il comma quarto dell’art. 363 bis riserva al Presidente di verificare, ai fini della ammissibilità prima facie del rinvio, le condizioni di cui al primo comma esso potrebbe ben riferirsi anche a quelle comunque evincibili dal primo comma anche al di fuori della triplice enumerazione, e cioè ad esempio alla provenienza del rinvio da un “giudice di merito” ed alla previa audizione delle parti.
4.Segue: la pronuncia presidenziale (giustamente) esclude il rilievo di inammissibilità, ma al contempo rimette alle Sezioni Unite anche e proprio tale questione (oltre a quelle sostanziali poste dal giudice a quo), l’ultima parola spettando dunque alle Sezioni Unite.
La pronuncia in commento tuttavia finisce per aderire alla seconda prospettiva nel senso cioè che “la mancata attivazione del contraddittorio non ridonda, prima facie, nella insussistenza di un requisito di ammissibilità da dichiarare già in sede di filtro ad opera del Primo Presidente”.
Ma ciò è a dirsi in assoluto o solo in questa prima occasione ? Nel secondo senso – oltre che il sintagma un tantino ambiguo “prima facie” – parrebbe deporre la circostanza che la motivazione in commento non si contenta di dire quanto appena cennato, ma aggiunge argomento per così dire di politica giudiziaria consono in realtà solo rispetto a questo primo affiorare del problema: “D’altra parte, già in una precedente occasione, posta di fronte ad una vexata quaestio sotto il profilo dell’ammissibilità – l’estensione dell’intervento nomofilattico ex art. 363-bis cod. proc. civ. alle questioni attinenti alla individuazione della giurisdizione -, la Prima Presidenza, analogamente, ha ritenuto di non arrestarsi ad una decisione di segno negativo, rilevando come l’ammissibilità della questione, proprio per la complessità dei profili in rilievo, non potesse essere in limine esclusa (decreto 18 aprile 2023, sull’ordinanza di rinvio pregiudiziale sollevata dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Agrigento, iscritta al n. 7201 del 2023 di registro generale)” [su tale decreto e sul tema del quesito pregiudiziale interpretativo riguardante il medesimo rinvio pregiudiziale, v. il mio commento Chi decide riguardo ai quesiti pregiudiziali sul rinvio pregiudiziale ?” – Esperienze applicative del rinvio pregiudiziale ex art. 363 bis c.p.c. Prima puntata in www.judicium.it).
E allora da pensare che se il Collegio della Cassazione, e specialmente delle Sezioni Unite, sancisse a chiare lettere che la mancata previa attivazione del contraddittorio è ragione di inammissibilità del rinvio pregiudiziale, così come se affermasse oggettivamente inammissibile un rinvio su questione di diritto inerente la giurisdizione, o soggettivamente proveniente da un arbitro o dal giudice tributario siccome estranei al novero dei “giudici di merito” di cui dice il primo comma dell’art. 363 bis, tali ragioni di inammissibilità potrebbero poi e nelle successive occasioni ben essere verificate dal Primo Presidente nella funzionale scrematura che gli compete.
Insomma la motivazione in esame sembra sovrapporre – a scopo rafforzativo della decisione di affidare al Collegio la questione di rito e cioè la quaestio iuris interpretativa sullo stesso nuovo istituto processuale – due affermazioni molto diverse fra loro: la soluzione di quella particolare questione di rito non pertiene al Primo Presidente; la soluzione di una questione di rito così delicata, nei primi mesi di vita dell’istituto, val meglio, per ragioni di opportunità, non sottrarla all’esame della Corte ed anzi delle sue Sezioni Unite.
E la conclusione dispositiva è appunto che il rinvio pregiudiziale è ammesso dalla Prima Presidente e rimesso alle Sezioni Unite soprattutto in considerazione “dell’intreccio con il problema processuale della sorte della ordinanza di rinvio adottata senza aver prima sentito le parti”.
5.E’ auspicabile che le Sezioni Unite escludano il rilievo di inammissibilità, per violazione del “sentite le parti”, in qualunque fase del procedimento pregiudiziale: la menomazione non è irrimediabile né radicale: non se si pone mente all’an del rinvio.
More solito varrà la pena di attendere ossequiosamente le Sezioni Unite e vedere come esse decideranno. Ma se non una prognosi, un auspicio è possibile (ed esso trova qualche aggancio in alcune espressioni incidentali della motivazione della Prima Presidente, che pure ha opportunamente deciso di non decidere e far decidere al plenum).
Premetto che in termini generali credo che quanto più un requisito di forma-contenuto imposto dalla legge processuale perfino di rango costituzionale, appare rivestito di sacralità (e ciò accade indubbiamente per il previo ossequio al contraddittorio anche quando esso si esprima mediante la formuletta minimalista del “sentite le parti”), tanto più la sua concreta estrinsecazione operativa va gestita anzitutto con buon senso, fino alle (pur se non oltre le) soglie del relativismo. Ho anche io plaudito alla impostazione nominalmente rigorista delle Sezioni Unite n. 36596 del 25 novembre 2021 circa il carattere autonomamente invalidante della violazione del contraddittorio, trovando anzi fin troppo timide e monche le conseguenze che da essa le Sezioni Unite hanno tratto in ordine al successivo percorso impugnatorio (cfr. Violazione del contraddittorio e sistema delle impugnazioni (mito e realtà del carattere autonomamente invalidante della violazione), in Riv. dir. proc., 2021, 27 ss.). Ma anche quella impostazione rigorista va intesa con buon senso e perciò limitata alle vulnerazioni del contraddittorio radicali ed intrinsecamente non rimediabili all’interno del “grado” (come fu in quel caso l’aver reso la sentenza senza attendere la tornata finale degli scritti difensivi accordata alle parti). E sempre alla luce del buon senso, fra l’altro, quell’orientamento delle Sezioni Unite “pre Cartabia” permane valido potendosi ben coordinare con l’apparentemente lassista nuovo testo dell’art. 101 c. 2°, c.p.c. “post Cartabia”.
Ciò premesso, non credo che il non aver consultato le parti (in qualsivoglia libera forma) previamente al rinvio pregiudiziale costituisca una radicale violazione del contraddittorio tale da giustificare il rilievo della nullità-inammissibilità del rinvio ad opera del Collegio della Cassazione cui la Prima Presidente lo abbia inoltrato.
Giunte le parti alla discussione davanti al Collegio, il pregiudizio relativo alla dilazione dell’iter processuale di merito e cioè all’an del rinvio (ed in ipotesi a suo tempo rimediabile attraverso un previo contraddittorio che avesse convinto il giudice a quo a non rinviare) all’evidenza è già evaporato. La Corte è pronta a decidere nel merito della questione rinviata e dunque a far riprendere il giudizio a quo, al contempo dettando un principio di diritto utile a questo ed ai futuri giudici. Conseguire, mediante una pronunci di mero rito che bocci il rinvio per violazione del contraddittorio, solo il primo e non anche il secondo risultato mi parrebbe prossimo al puerile.
E neppure – sempre in nome del buon senso – vi è da augurarsi che fra breve le Sezioni Unite, onde evitare l’imbarazzo, rispondano: “per questa prima volta transeat, ma da ora in poi sia il Primo Presidente a rimettere gli atti al giudice a quo se sia avvede che la parti non sono state sentite previamente al rinvio”. Al che il Primo Presidente dovrebbe di fatto aggiungere ad una dilazione già verificatasi di una novantina di giorni o poco meno (v. art. 360 bis, c. 3°) una altra consecutiva e presumibilmente ben più lunga dilazione dovuta alla circostanza che, dopo la restituzione degli atti, il giudice a quo convocherà le parti e nove volte su dieci confermerà comunque la sua originaria intenzione di rivolgersi alla Cassazione tornando ad effettuare il rinvio, questa volta ammissibile. Tanto vale allora non perdere tempo. O se si vuole tanto vale adeguare con buon senso la sacralità del rispetto iniziale del contraddittorio in un particolarissimo procedimento incidentale “da giudice a giudice” finalizzato ad un apporto nomofilattico che è anche nell’”interesse della legge”.
Ed è proprio ciò, credo, che la motivazione in commento esprime ed auspica – pur rimettendo formalmente al plenum, come si è visto, anche questione interpretativa dell’art. 363 bis la cui soluzione potrebbe consistere nella condanna pro futuro e già in fase di filtro presidenziale di tutti i rinvii pregiudiziali non preceduti dalla consultazione delle parti – quando adombra che una tale condanna “non considererebbe il carattere incidentale del rinvio, in relazione all’esercizio di un potere officioso del giudice attribuito nell’interesse obiettivo della esatta interpretazione del diritto”.
6.Segue: e neppure – purché ad una condizione – se si pone mente al quomodo del rinvio.
Subito prima – sulla medesima lunghezza d’onda – la motivazione della Prima Presidente annota sempre incidentalmente: “del resto, una valutazione irrimediabilmente negativa nella fase del filtro farebbe venire meno l’eventuale possibilità del recupero ex post nella successiva scansione procedimentale, visto che il rinvio è, secondo il codice, destinato al rito in pubblica udienza e prevede termini per memorie”.
Il che – e cioè la massima esplicazione del contraddittorio possibile in Cassazione, una volta che il quesito pregiudiziale sia stato inoltrato al Collegio – conferma la sicura e consecutiva rimediabilità della previa menomazione del contraddittorio, e perciò il suo carattere tutt’altro che radicale, anche ove si ponga mente non all’an bensì al quomodo del rinvio, e porta a negare che quella menomazione possa condurre alla declaratoria di inammissibilità del rinvio non solo in fase presidenziale ma anche e soprattutto una volta che il quesito sia giunto al Collegio. In tal sede la iniziale menomazione del contraddittorio sarà insomma pienamente recuperabile, mercé la interlocuzione scritta ed orale delle parti prima che la Corte decida.
Ad una condizione però. Riguardo al quomodo del quesito pregiudiziale non si tratta solo di recuperare il contributo (contraddittorio) delle parti al contenuto ed all’atteggiarsi del responso interpretativo della Corte; il che è assolutamente ovvio. Si tratta piuttosto di recuperare ex post il contributo (contraddittorio) delle parti alla corretta e adeguata formulazione (ad opera del giudice a quo) di un quesito interpretativo davvero funzionale alla decisione della controversia concreta.
Perciò si può sorvolare sull’ originaria pretermissione del “sentite le parti” solo a condizione che la Corte sia poi disposta, all’esito del loro contraddittorio innanzi a se, a riformulare e adeguare il quesito. Di modo insomma che questa volta il rimedio alla originaria menomazione del contraddittorio profitti della ben maggiore elasticità del principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato in un procedimento incidentale “da giudice a giudice”.