Esperienze applicative del rinvio pregiudiziale interpretativo ex art. 363 bis c.p.c. – quinta puntata

Di Antonio Briguglio -

 I provvedimenti

Il commento: la pregressa esperienza giurisprudenziale sulla questione come sintomo (non imprescindibile ma significativo) dei requisiti di “numerosità” e “grave difficoltà”.

SOMMARIO: 1. Esperienza giurisprudenziale pregressa e verifica di ammissibilità del rinvio. – 2. …. con riguardo alla condizione della “serialità”. – 3. …. con riguardo alla condizione delle “gravi difficoltà interpretative” (contrasto di giurisprudenza e “gravi difficoltà”). – 4. Chiosa: magnifiche sorti e progressive del rinvio pregiudiziale (senza enfasi ma con ottimismo).

 1.Esperienza giurisprudenziale pregressa e verifica di ammissibilità del rinvio.

La Prima Presidente, con il decreto del 2 novembre 2023, dichiara inammissibile, per carenza vuoi di “numerosità” vuoi di “grave difficoltà”, un rinvio pregiudiziale milanese su questione, sicuramente “di diritto” ed apparentemente “non ancora risolta”, così individuata: «se la norma “i soci possono prenderne visione”, di cui all’ultimo periodo del terzo comma dell’art. 2429 cod. civ., deve essere interpretata nel senso che il diritto del socio di prendere visione del bilancio depositato nella sede sociale nei quindici giorni antecedenti l’assemblea non include – perché non espressamente previsto – anche quello di essere posto in condizione, con qualunque mezzo idoneo, di essere informato dell’avvenuto deposito del bilancio, od invece lo include – perché implicitamente previsto – così che il suo diritto all’informazione come base del diritto all’espressione di voto consapevole possa dirsi effettivo».

Con il quasi gemello decreto del 7 novembre 2023 è invece dichiarato inammissibile per ragioni analoghe il rinvio proveniente dal Tribunale di Lodi quale giudice della esecuzione in sede di opposizione alla medesima. Si chiedeva: «Se permane in capo al G.E. il potere di rilevare l’abusività della clausola in danno del consumatore quando il decreto ingiuntivo che integra il titolo sia divenuto esecutivo a seguito di opposizione ex art. 645 c.p.c. ancorché dichiarata inammissibile». Si voleva in sostanza sapere dalla Cassazione, come si chiarisce nella motivazione presidenziale, se i principi espressi dalla nota pronuncia delle Sezioni Unite n. 9479 del 6 aprile 2023 (conseguente alla sgangherata CGUE 17 maggio 2022, c. 693/19), sull’ultrattività del controllo circa il carattere non abusivo delle clausole contrattuali fra consumatore e professionista, si applichino anche al particolare caso in cui la opposizione a decreto ingiuntivo sia stata proposta ma sia stata dichiarata inammissibile perché tardiva.

Tono e contenuto delle parallele motivazioni presidenziali esibiscono una qualche maggior severità di filtro rispetto agli iniziali vagiti; inevitabile: trascorsa l’estate 2023, non siamo in più in fase di primissimo rodaggio ed il nuovo istituto, pur senza aver comportato alluvioni, è utilizzato in modo rilevante. Con riguardo al secondo dei due decreti, peraltro, tale maggior severità stride in qualche modo con il neppure troppo velato invito ai rinvii pregiudiziali sulle questioni conseguenziali rimaste eventualmente aperte che le stesse Sezioni Unite n. 9479 del 2023 avevano rivolto fra le righe ai futuri giudici di merito (vale a dire: “non fate da soli”)[1] .

Ma non è ciò che conta.

Più interessante è il fil rouge tracciabile – ragionando sulle motivazioni in commento – tra la verifica della condizione di “numerosità” o “serialità” (art. 363 bis, comma 1, n. 3) e quella della condizione di “grave difficoltà” della questione interpretativa [2], fil rouge rappresentato, quale sintomo non imprescindibile ma significativo, dalla esperienza giurisprudenziale di merito pregressa sulla questione; (è ovvio invece che la rilevanza del pregresso dato giurisprudenziale, questa volta concernente la stessa Cassazione, è imprescindibile per espressa volontà normativa allorché si tratti di verificare l’altra condizione della “novità” della questione).

2…. con riguardo alla condizione della “serialità”.

Muoviamo dal primo profilo, quello della idoneità della questione a porsi “in numerosi giudizi”.

2.1. Esemplificando una possibile varietà di casi:

a) una questione interpretativa qualsivoglia relativa all’art. 924 c.c. sugli sciami d’api migranti per campi e prati difetta di “numerosità” già in astratto per via, non già della sua intrinseca formulazione e perciò della sussistenza o meno di una esperienza pretoria o addirittura di un contrasto giurisprudenziale sulla questione specifica, bensì della evidente ed assoluta rarità che un giudizio sulle api migranti vi sia e dunque che quella disposizione (con tutte le questioni che ad essa possano inerire) trovi spazio applicativo.

b-1) Possono esservi all’opposto questioni interpretative concernenti disposizioni di nuovo conio su materia che sia essa stessa nel suo complesso intrinsecamente connotata da rilevante “numerosità” causidica, ad esempio quella assicurativa: qui occorre assegnare al nuovo istituto soprattutto una pregnante funzione preventivo-deflattiva, intesa cioè ad anticipare rispetto all’iter impugnatorio ed alla sua reiterazione, l’ultima parola della Cassazione su un contenzioso-tipo e sulla questione o questioni-tipo che lo connoteranno ai fini della soluzione in diritto. Perciò dovrà, a mio avviso, ammettersi un rinvio anche notevolmente “precorritore”, pur in carenza di esperienze giurisprudenziali che ancora non hanno avuto tempo di esplodere e perfino di formarsi (purché ben inteso la nuova disposizione si presti ad un ragionevole, anche se non particolarmente difficile, dubbio interpretativo: v. infra, 3.4, quanto si dirà riguardo all’altro requisito di ammissione con particolare riferimento a questo ed al caso successivo). È vero che una siffatta anticipazione precorritrice, la quale nella sostanza assegna alla Suprema Corte funzione di bouche de la loi immediatamente dopo che ha parlato il legislatore e perfino prima che parli con una qualche consistenza l’esercito dei giudici di merito, può spiacere ad alcuni per ragioni ideologiche [3]. Ma sul piano pratico qui vi è che la “formazione” di una giurisprudenza di merito, con o senza contrasti al suo interno, corrisponderebbe verosimilmente, illico et immediate, alla sua numerica “esplosione” sul territorio nazionale, perché il proliferare di migliaia di cause sarebbe aperto, ratione materiae appunto, per il solo fatto che un nuovo dictum legislativo connotato da un qualche margine di dubbio apre una nuova prospettiva contenziosa. Una forzatura anticipatoria del rinvio pregiudiziale pare dunque giustificata dal fine di evitare l’esplosione e l’aggravio rilevante del carico di lavoro per i giudici di merito. O se si vuole con espressione più breve: la valenza deflattiva del rinvio pregiudiziale prevale sulla sua valenza nomofilattica (sarà poi tutto da vedere quanto la iperanticipazione della pronuncia pregiudiziale possa davvero impedire l’esplosione, o solo arginarla ed in che misura).

b-2) Mutato quel che si deve, ma del tutto analogamente a quanto appena sopra, possono darsi casi in cui la fonte della potenziale notevole “numerosità” causidica, sempre in materia che ad essa intrinsecamente si presti in modo evidente, non è data dalla disposizione normativa più o meno nuova, bensì da un macro-evento: ad esempio, e pensando alla nostra recente storia giudiziaria, il black out energetico pressoché nazionale. Se all’epoca del famoso albero crollato in Svizzera, con malaugurate ripercussioni a catena fino allo spegnimento dei frigoriferi per ogni dove ed all’ammaloramento di carni di capretto, cassate alla ricotta, e financo aragoste ivi contenute, fosse stato disponibile l’attuale art. 363 bis, avrei visto senz’altro di buon occhio un rinvio pregiudiziale subitaneo, anche a esperienza o contrasti giurisprudenziali non ancora emersi e purché avente ad oggetto una questione giuridica rilevante di una qualche non effimera complessità; si sarebbero evitate, non proprio tutte, ma almeno decine e decine di migliaia di cause su larga parte del territorio nazionale, che resero felici molti giudici di pace ed ammorbarono molti tribunali togati d’appello con trascinamento di un paio di questioni di diritto rilevanti, tutt’altro che trascendentali ma di ondivaga soluzione, finché anni dopo la S.C. non mise fine, per via impugnatoria, al diluvio[4] .

c) Infine (ma naturalmente possono ipotizzarsi anche altre sotto-varianti e su di esse riflettere), vi sono casi come quelli di cui si sono occupate le pronunce in epigrafe, casi diciamo così “normali” e perciò assai frequenti, ed è proprio per ciò che un maggior rigore nel valutare la “numerosità” della questione (rectius, ed ovviamente, la “numerosità” della potenziale ricorrenza della medesima questione in altri giudizi) si impone. La materia e la sua disciplina normativa sono tutt’altro che esoteriche ed anzi “normalmente” e sufficientemente prolifiche di contenzioso, come lo è ad esempio quella, implicata del primo decreto, dei diritti di informativa dei soci verso la società di cui la prerogativa della consultazione del bilancio prima di esprimere a riguardo il voto in assemblea (art. 2049 c.c.) fa parte. Ma così accade per moltissime altre materie e normative. È ovvio che non per tutte – e sol perché diverse dal regime giuridico degli ormai rari sciami d’api trasvolanti – si possa discorrere di “numerosità” per qualsiasi quaestio iuris le concerna, né si possa anticipare oltre misura la nomofilachia preventiva della S.C. rispetto a qualsivoglia questione senza alcuna preoccupante probabilità che essa si porrà frequentemente come problematica nel futuro, considerevole ma non esplosivo e straordinario, contenzioso che riguarderà quella materia. Occorre allora guardare soltanto alla specifica questione di diritto oggetto del rinvio pregiudiziale, come del resto l’art. 363 bis dice letteralmente di fare con riguardo a tutte le condizioni di ammissibilità del rinvio.

E ben fa dunque la prima motivazione in commento a rilevare: non può affermarsi la “numerosità”, e cioè non può essere potenzialmente assai ricorrente pro futuro la questione della interpretazione letterale (diritto alla consultazione del bilancio) o ultraletterale (diritto anche alla informativa circa il deposito del bilancio) se essa non è stata fino ad ora oggetto di esperienza giurisprudenziale e cioè non è stata mai oggetto di trattazione nelle sentenze dei giudici di merito (se non in una dello stesso tribunale rimettente – e da questo unicamente indicata nella ordinanza di rinvio – ma solo «a livello di obiter dictum»). Per numerosi che siano stati e che siano i contenziosi sui diritti di informativa dei soci, proprio il sostanziale difetto di esperienza giurisprudenziale su quella specifica questione attesta l’improbabilità che essa si ponga numerose volte.

Analogamente nella seconda motivazione in commento si rileva che «il rimettente non ha fornito sufficienti elementi che consentano di ritenere che la (…) questione sia suscettibile di porsi in numerosi giudizi, posto che la giurisprudenza di merito richiamata nell’ordinanza (…)» si riferisce a questioni diverse, e su quella oggetto del rinvio neppure «si rinvengono specifici approfondimenti nella dottrina che lo stesso Tribunale di Lodi richiama».

2.2. Vi è poi da chiosare che su tutte le circostanze “fattuali” evocate nei vari scenari sopra descritti, comprese quelle relative al dato giurisprudenziale, il giudice a quo ha l’onere di fornire elementi al primo presidente, ma è pur sempre un onere attenuato da ciò che al primo presidente non è certo impedito il ricorso al notorio, o a strumenti conoscitivi interni alla Suprema Corte [5], o perfino alla sua esperienza privata. La logica della dialettica giudice di merito/ primo presidente non è certo quella della dialettica parte/ giudice in un giudizio governato dal principio dispositivo.

3…. con riguardo alla condizione delle “gravi difficoltà interpretative” (contrasto di giurisprudenza e “gravi difficoltà”).

La esperienza pretoria pregressa torna in campo, sotto il particolare profilo del contrasto di giurisprudenza, anche quando si tratta di verificare la ulteriore condizione della “grave difficoltà” della questione interpretativa oggetto del rinvio (art. 363 bis, comma 1, n. 2).

Ancor qui est modus in rebus.

3.1. Resto convinto anzitutto che la espressione del comma secondo dell’art. 363 bis, ove si dice che «l’ordinanza che dispone il rinvio pregiudiziale (….) reca specifica indicazione delle diverse interpretazioni possibili», sia più che altro esornativa, o se si vuole rappresenti una raccomandazione di massima o la rappresentazione di un modello paradigmatico di ordinanza di rinvio [6], sebbene essa sia enfatizzata al paragrafo 5 della prima motivazione in commento.

In realtà sul piano contenutistico, più ancora che formale, se di fronte ad una disposizione non sussistono almeno due opzioni interpretative, la “questione”, ben prima di essere facile o difficile, semplicemente non c’è e dunque non può essere oggetto di alcun rinvio pregiudiziale [7].

Sennonché, sul piano formale, il semplice indicativo adoperato in quella espressione, non accompagnato da alcun cenno sanzionatorio in termini di inammissibilità, lascia pensare che la almeno duplice opzione interpretativa possa evincersi anche implicitamente e da una ordinanza mal fatta quanto all’ossequio al comma secondo, ma non meritevole per ciò solo di essere bocciata in limine. Così sarà sempre e senza neppure bisogno di scomodare il “fra le righe”, bensì soltanto seguendo la logica lessicale del quesito (se del caso correlativamente alla sua rilevanza rispetto al caso concreto rappresentato) in tutti i casi di semplice aut aut, e cioè quando quella logica lessicale implichi unicamente una risposta affermativa o il suo contrario. Né del resto è minimamente pensabile che una ordinanza che pur diligentemente specifichi e distintamente articoli due alternative ermeneutiche in caso in cui (con possibile rilevanza per il giudizio a quo) tertium datur impedisca alla Cassazione di imboccare, all’esito del contraddittorio innanzi ad essa, la terza o la quarta via, con la possibilità perfino che scartare entrambe le opzioni prospettate dal giudice a quo sia agevole o addirittura elementare (si pensi alla scelta fra una interpretazione letterale che conduca per palese errore o omissione del legislatore a risultati pratici intollerabili o paradossali o incostituzionali ed una determinata interpretazione adeguatrice totalmente priva di qualunque supporto), e viceversa innovativo e difficile senza l’utile ausilio della S.C. risulti proprio ricostruire una interpretazione diversa da quelle due fra ancora altre possibili. Si avrà allora che il giudice, pur rispettando alla lettera il secondo comma dell’art. 363 bis, avrà prospettato interrogativo di agevole risposta, il quale tuttavia ne suscita immediatamente altro immaginabile d’ufficio dalla Corte (o anche e già dal primo presidente) e tutt’altro che agevole; di talché condannare alla inammissibilità il rinvio parrebbe incongruo ove sussistano le altre condizioni, se non altro perché ciò esporrebbe le parti all’errore del giudice di merito, il quale potrebbe incaponirsi a scegliere una delle strade entrambe erronee.

3.2. Per l’appunto e più in generale la indicazione prescritta dal secondo comma è bensì funzionale a che si possa in sede di filtro presidenziale verificare la “grave difficoltà” della questione («test della serietà del dubbio ermeneutico» come icasticamente dicono entrambe le motivazioni presidenziali in commento), ma non è di per sé indice di grave difficoltà, per la scontata ragione che la scelta ermeneutica fra le due opzioni indicate potrebbe risultare del tutto agevole. Come accade appunto nel caso deciso con il primo decreto di inammissibilità in commento, ove il giudice a quo ha contrapposto una piana interpretazione letterale dell’art. 2429 (al socio spetta la preventiva consultazione del bilancio da approvare in assemblea) ed una ultra-letterale (al socio spetta anche di essere preavvertito del deposito del bilancio da consultare), senza però minimamente evidenziare che su di esse si sia mai ingenerata una esperienza giurisprudenziale e dunque men che meno un dialogo o contrasto di giurisprudenza, e neppure ed in modo specifico le ragioni per le quali l’interpretazione ultra-letterale dovrebbe guadagnarsi i galloni di alternativa tale da ingenerare un grave dubbio ermeneutico. Sicché il decreto presidenziale ha buon gioco nel concludere che, visto il chiaro tenore dell’art. 363 bis, comma 1, n.2, non ogni questione anche se tale, e cioè corrispondente ad almeno due soluzioni ermeneutiche, può essere sottratta al «compito di interpretare la legge, che è dovere indeclinabile di ogni giudice», “inaridendosi” così il ruolo del magistrato di merito.

3.3. Insomma delle due l’una: o il giudice a quo espone con una qualche apprezzabile specificità non solo le opposte tesi, ma anche le loro contrapposte ragioni facendone risaltare la tendenziale e seria equivalenza e dunque la difficoltà della scelta; oppure l’ammissibilità del rinvio è appesa al filo della discrezionale supplenza nomofilatticamente orientata del primo presidente, perché l’art. 363, comma 1 n. 2 sarà anche chiaro ma utilizza pur sempre un concetto indeterminato quale quello di “gravi difficoltà interpretative”.

Posto che il filo sarà verosimilmente sempre più esile mano a mano che sia non indifferente e costante l’afflusso di ordinanze di rinvio, va detto che la supplenza del primo presidente, rispetto alle deficienze illustrative della motivazione del rinvio, può assumere vari connotati, ancora una volta giovandosi, come si è detto quanto alla verifica di “serialità”, di acquisizioni conoscitive personali o provenienti dall’interno degli uffici. Potrà trattarsi vuoi di una considerazione diretta della disposizione e delle gravi incertezze ermeneutiche che dal suo stesso testo emergono, vuoi della notoria o percepibile emersione di un irrisolto e serio contrasto nella giurisprudenza di Cassazione  [8]   o di merito.

Di regola però proprio il giudice a quo, riferendo i termini di un contrasto di giurisprudenza[9], assolverà in modo particolarmente pregnante all’incombenza indicata dal secondo comma dell’art. 363 bis funzionalmente alla verifica della condizione prevista dal n. 2 del primo comma: ad un tempo indicherà i corni del dilemma e segnalerà la sua “gravità”. Segnalazione questa probabilmente sufficiente ove il contrasto perduri e sia attuale in Cassazione, perché – per carità: fuori da qualunque eccesso di gerarchizzazione – non si può certo negare che per il giudice di merito sia (non vietato ma quanto meno) arduo arbitrare un simile conflitto. Segnalazione invece non sempre sufficiente ove il contrasto sia tale nella sola giurisprudenza di merito e il primo presidente ritenga che si tratti di contrasto ingiustificato o non sufficientemente acuito e che perciò il giudice di merito possa “non difficilmente” sbrogliarsela da solo[10] ; conclusione questa da raggiungere per altro con particolare ponderazione e che darà facilmente luogo a motivazione presidenziale di inammissibilità essa stessa più o meno orientativa, ben inteso in modo non vincolante, per il superamento del contrasto[11] .

3.4. Resta da aggiungere che la segnalazione del contrasto giurisprudenziale è altresì requisito utile ma neppur sempre, e per forza di cose, necessario quale viatico di ammissibilità del rinvio sotto il profilo della “grave difficoltà” della quaestio. A misura che la disposizione questionata sia nuova, è scontato che la esperienza giurisprudenziale pregressa sarà irrilevante perché inconsistente o addirittura inesistente. Meno scontato è invece immaginare che nelle situazioni descritte supra sub 2.1,b-1 e b-2, ove la novità normativa o la novità del macro-evento in materia e/o contesto intrinsecamente vocati alla “serialità” dovrebbe lasciar prevalere, anche ed in primo luogo al livello del filtro presidenziale di ammissibilità, la valenza preventivamente deflattiva su quella puramente nomofilattica del rinvio pregiudiziale, ciò potrà ragionevolmente abbassare perfino la soglia della condizione di “grave difficoltà”: serve un dictum largamente anticipato della Cassazione – pur se su questione che non sarebbe poi così difficile e sulla quale si potrebbe attendere la normale elaborazione giurisprudenziale – per evitare nei limiti del possibile che quest’ultima si formi o prosegua attraverso decine di migliaia di cause contemporanee sul territorio nazionale, le quali premono come cavallette dietro l’angolo senza particolare necessità che un amletico dubbio interpretativo le solleciti.

Il che ancora una volta collega la condizione della “serialità” o “numerosità” con quella della “grave difficoltà”, nel senso che esse sono richieste entrambe, ma non sono monadi e il margine discrezionale affidato al Presidente nella loro verifica ben può consentire una valutazione contemperata; un po’ come ¬– si passi il paragone assai distante – la contemperata valutazione di fumus e periculum (anche un po’ meno di fumus se il periculum è evidentissimo e viceversa) nella esperienza concreta della discrezionalità cautelare.

 

4.Chiosa: magnifiche sorti e progressive del rinvio pregiudiziale (senza enfasi ma con ottimismo).

È inutile dire che una incentivazione propulsiva al nuovo istituto quale quella che, nuovamente in questo commento, sto immaginando ¬– avversata da molti (e può darsi che io mi stia spingendo troppo in là) – richiede efficienza tempistica, finora sicuramente riscontrabile [12] – ma occorrerà anche il riscontro della tenuta nel medio periodo –, nonché qualità contenutistica.

A tale ultimo riguardo occorrerà grande equilibrio ed attenzione nell’esercizio della ampia discrezionalità da parte dell’ufficio di Presidenza, e soprattutto grande qualità delle sentenze della Suprema Corte in risposta al rinvio, e che cioè esse siano solide, non estemporanee ed altamente persuasive, e non invece imbarazzanti per la stessa Cassazione futura. In una Corte così oberata, e compatibilmente con i vincoli tabellari (sempre in qualche misura adeguabili), si compongano dunque i collegi e si scelgano i relatori, quando vi è di mezzo una pronuncia pregiudiziale, come si facevano i cast e si sceglievano i tenori alla Scala (di una volta). Su tale versante fino ad ora vi è assai poco da obiettare ed anzi vi è da compiacersi (anche le prime pronunce pregiudiziali, a seguito di alcuni dei decreti presidenziali di ammissione che ho commentato, sono pregevoli), ma ancor qui occorrerà una perdurante tenuta.

[1]  Cfr. in proposito la Terza puntata di questo commentario Quattro modi e quattro stili per dichiarare la inammissibilità del rinvio pregiudiziale per difetto di “difficoltà” o di “novità” della questione interpretativa; nomofilachia presidenziale nella declaratoria di inammissibilità, in Il Processo, 2023, 531 ss., spec. 544 nota 8.

[2]Nella Terza puntata, cit. alla nota precedente, mi ero piuttosto occupato (531-532) del rapporto simbiotico fra la condizione delle “gravi difficoltà interpretative” e quella della “novità” della questione.

[3] Si veda già la mia replica in proposito nella Postilla che ha concluso le prime tre puntate di questo commentario, ora in Il Processo, 2023, 560 ss.

[4] Per considerazioni analoghe circa il carattere “immanente” della “numerosità” in casi del genere, e con riguardo anche al medesimo esempio, cfr. SGROI, Il rinvio pregiudiziale alla Cassazione, in AA.VV. La Cassazione civile riformata, Bari, 2023, 27, nel testo e in nota.

[5] Cfr. in proposito opportunamente SGROI, Il rinvio pregiudiziale in Cassazione, cit., 27.

[6] Cfr. BRIGUGLIO, Il rinvio pregiudiziale interpretativo alla corte di Cassazione, in Il Processo, 2022, 961.

[7] Sulle declinazione dell’in claris non fit interpretatio in relazione al rinvio pregiudiziale ex art. 363 bis (anche in confronto con l’uso che della theorie de l’acte clair ha fatto la Corte di Giustizia), ed in particolare in relazione al provvedimento presidenziale ed alle sue possibili conseguenze ­– anche in caso di inammissibilità del rinvio – nel giudizio a quo, v. la Terza puntata di questo commentario, Quattro modi e quattro stili per dichiarare la inammissibilità del rinvio pregiudiziale, cit., 535 ss.

[8] Sul profilo della perdurante “novità” della questione ove il contrasto in Cassazione non sia ancora risolto v., con utili richiami anche al passaggio dal testo della legge di delega al testo dell’articolo del c.p.c. introdotto, nonché intelligenti puntualizzazioni, SGROI, Il rinvio, cit., 24 ss.

[9] «Indicatore oggettivo di gravi difficoltà interpretative»: così SGROI, Il rinvio, cit., 27.

[10] Cfr. quanto osservavo già in Quattro modi e quattro stili, cit., 535.

[11] In generale del carattere didascalico o addirittura ultra-didascalico della motivazione presidenziale di inammissibilità del rinvio, ai fini della soluzione del dubbio interpretativo ritenuto nella stessa motivazione non particolarmente grave e difficile, mi sono occupato sempre in Quattro modi e quattro stili, cit., 536 ss.

[12] Allo stato è possibile verificare, confrontando i relativi dati di pubblicazione, che fra l’arrivo della ordinanza di rinvio a piazza Cavour e il provvedimento presidenziale sono intercorsi nella maggioranza dei casi solo 10/20 gg. ca., in qualche caso un mese ca. ovvero non più di un paio di mesi, a fronte dei 90 gg. previsti dall’art. 363 bis, comma 3. Fra il provvedimento presidenziale di ammissione e la sentenza della S.C., nei quattro episodi fino ad ora censibili, sono intercorsi 3/4 mesi o al massimo quasi 5 ma con l’estate di mezzo, tempi da Tribunale Federale elvetico. Fino ad ora si sono avuti 14 decreti di inammissibilità e 14 ammissioni.