Esperienze applicative del rinvio pregiudiziale interpretativo ex art. 363 bis c.p.c. – Seconda Puntata

Di Antonio Briguglio -

Proseguo il commentario alle prime esperienze del rinvio pregiudiziale alla Cassazione.

Un’altra pronuncia di ammissibilità della Prima Presidente (4 aprile 2023), annotata – come nella Prima Puntata – con esclusivo riguardo ai profili interpretativo-applicativi del nuovo art. 363 bis.

Il provvedimento in pdf

 

Il commento: due questioni in una, che fare ?

SOMMARIO: 1. Il contesto e la formulazione ambivalente della questione: insieme al sottoquesito sull’applicabilità dell’art. 281 sexies c.p.c. davanti al giudice di pace vi è quello (non del tutto scontato) sull’ambito dei “rimedi preventivi” ex art. 1 ter della “Legge Pinto”. – 2. Il meditato approccio del provvedimento presidenziale di ammissione. – 3. Riflessioni di ordine generale sulla emergenza di quesito di diritto presupposto alla rilevanza di quello principale: nella dialettica Giudice di merito/Primo Presidente. – 4. Segue: e nella dialettica Primo Presidente/Corte. – 5. Chiose residuali sulla verifica delle condizioni di ammissibilità del rinvio: “novità” e obiter della S.C.; “difficoltà” e ius superveniens; “numerosità” (con riguardo ai giudizi di fronte al giudice di pace o a quelli da “Legge Pinto”?).

1. Il contesto e la formulazione ambivalente della questione: insieme al sottoquesito sull’applicabilità dell’art. 281 sexies c.p.c. davanti al giudice di pace vi è quello (non del tutto scontato) sull’ambito dei “rimedi preventivi” ex 1 ter della “Legge Pinto”.

 

La Corte d’appello di Napoli è investita di un giudizio da “Legge Pinto” per presunta durata irragionevole di un processo svoltosi innanzi al giudice di pace. In particolare la Corte si trova a decidere sulla opposizione dell’attore (art. 5 ter  l. n. 89/2001) avverso il decreto di reiezione della domanda già emesso dal consigliere delegato (art. 3 l. n. 89/2001) e motivato sulla base del mancato esperimento, a suo tempo, da parte dell’istante del “rimedio preventivo” previsto dall’art. 1-ter, comma 1, della legge n. 89/2001, che nella specie sarebbe stato rappresentato dalla richiesta al giudice di pace di decisione immediata a seguito di discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c.[1].

La Corte napoletana rimette dunque questione pregiudiziale interpretativa così sintetizzata nel provvedimento presidenziale che ora commento:

“Se nel giudizio presupposto che si svolge dinanzi al giudice di pace, costituisca rimedio preventivo, ai sensi dell’art. 1-ter, comma 1, della legge n. 89 del 2001, la richiesta di decisione a seguito di trattazione orale, a norma dell’art. 281 sexies cod.proc.civ., o se tale rimedio non sia applicabile dinanzi al giudice di pace”.

In tal modo sintetizzata la quaestio esibisce correttamente – come dovrebbe normalmente essere (oltretutto ai sensi del c. 2 dell’art. 363 bis, da intendersi per altro senza manicheismi in punto di ammissibilità[2]) – l’alternativa interpretativa idonea oltre che alla chiarezza dell’interrogativo alla verifica della condizione della sua “difficoltà”: “o….o….”

Ma la cosa più interessante è altra. Nella formulazione di cui sopra all’“aut-aut” corrisponde un ircocervo, nel senso che la prima alternativa è la risposta ad una questione, la seconda è risposta a questione distinta. Insomma: la formulazione di interrogativo apparentemente unico disvela in realtà due quesiti (o sottoquestioni) correlati ma differenti.

A) L’uno è: se la possibilità per la parte di richiedere in giudizio innanzi al giudice di pace la decisione a seguito di discussione orale costituisca o meno “rimedio preventivo” nel senso della “Legge Pinto” di guisa che il suo mancato esperimento sia ragione di inammissibilità (rectius, a mio avviso, di infondatezza sostanziale) della richiesta indennitaria per “durata irragionevole” di quel giudizio (arg. ex 1 bis, c. 2, l. n. 89/2001)[3].

B) Il secondo è: se tale possibilità, e cioè la possibilità di invocare l’art. 281 sexies rientrante nella disciplina del processo ordinario di cognizione davanti al tribunale, sia davvero aperta anche innanzi al giudice di pace.

Allorché tali quesiti si pongono innanzi alla Corte d’appello in una causa da “Legge Pinto” (ed è evidente che essi si pongono entrambi, a seguito di opposizione dell’interessato, anche ove, come nella specie, risolti implicitamente o esplicitamente dal consigliere delegato in sede di filtro[4]) è chiaro che:

(i) la decisione finale nel senso dell’accoglimento della richiesta indennitaria passa necessariamente per la soluzione in senso affermativo di entrambi;

(ii) la decisione finale nel senso della inaccoglibilità della richiesta indennitaria può ben discendere – non essendo scritto in cielo il loro ordine logico – dalla soluzione negativa del più liquido fra i due quesiti: se ad A si risponde negativamente, è inutile e perciò irrilevante ai fini del decidere rispondere a B; e su piano logico assolutamente equivalente: se si risponde no a B, è inutile e irrilevante interrogarsi su A.

Dalla rappresentazione della Prima Presidente si evince tuttavia come la Corte d’appello, motivando sulla rilevanza del rinvio, dia per scontata la soluzione positiva del quesito A, dia per scontato cioè che, anche innanzi al GDP,  ove la disciplina procedimentale consenta alla parte di richiedere la discussione orale e la conseguente decisione accelerata, ciò costituisca un “rimedio preventivo” la cui mancata utilizzazione preclude la successiva domanda indennitaria da “Legge Pinto”[5]. Ed è proprio perciò che la Corte d’appello ritiene senz’altro rilevante il quesito B, e cioè quello relativo alla applicabilità o meno dell’art. 281 sexies c.p.c. al procedimento innanzi al giudice di pace, e su di esso in realtà concentra l’interrogativo rivolto alla Cassazione ed intende concentrare l’attenzione di quest’ultima.

2. Il meditato approccio del provvedimento presidenziale di ammissione.

A questo punto – e di là da ulteriori spunti che si traggono dalla pur scontata verifica delle condizioni di ammissibilità di tale quesito, dei quali dirò al termine – la motivazione della pronuncia presidenziale di ammissibilità è però tutt’altro che semplicistica, e sotto  ponderate locuzioni e scelte disvela raffinati insegnamenti sul modo di intendere l’art. 363 bis nella dinamica “giudice di merito/primo presidente/corte nomofilattica e ritorno”. I quali forse non torneranno utili in questo caso ma sì in generale ed in futuro. Il che attesta quel che cercavo di porre già in evidenza nella prima puntata di questo piccolo commentario, e cioè che, da un lato, la Cassazione ed in particolare l’Ufficio di Presidenza ha preso notevolmente sul serio il nuovo istituto e, ben lungi dallo svolgere quell’Ufficio mere e frettolose funzioni di vigile urbano della ammissibilità/inammissibilità dei rinvii, sta profittando delle prime occasioni per creare un reticolo di input ricostruttivi intesi al miglior funzionamento possibile del neo introdotto meccanismo; e d’altro lato che quest’ultimo è da solo assai più interessante e meritevole di studio che non la procedurina da strapazzo, la telematizzazione garibaldina, le umoristiche ordinanze allo stato degli atti, i debitori esecutati che indirizzano i compari alla vendita diretta, i presidenti di corti d’appello disperati alla ricerca di locali e relativi servizi idonei a far funzionare la confusionaria resurrezione dello zombie-istruttore, la “sinteticità” e la “chiarezza” (ed allora perché non anche la persuasività e la eleganza ?), e tutto il resto della paccottiglia di cui è fatta la “Riforma Cartabia”.

La motivazione della Prima Presidente, dunque, non tralascia affatto il quesito A per concentrarsi esclusivamente sul B, ed anzi rispecchia il carattere ambivalente, e comprensivo sia di A che di B, che sta nella stessa formulazione originaria dell’apparente unico interrogativo. Se il quesito B, interpretativo dell’art. 281 sexies in correlazione e con gli artt. 311 e 321 del codice di rito (nel testo previgente), è schiettamente processuale, il quesito A, interpretativo dell’art. 1 ter della “Legge Pinto”, concerne uno dei presupposti sostanziali per il riconoscimento del diritto all’equa riparazione da durata irragionevole[6]. Ed ecco che la Prima Presidente li sovrappone nella loro interrelazione trattandoli per un momento come una unica quaestio e chiosando: “si tratta, cioè, di una questione a confine fra diritto sostanziale e processo, al cui inquadramento concorrono il contributo della giurisprudenza costituzionale (intervenuta con diverse pronunce sull’area dei rimedi preventivi e sull’accesso all’equa riparazione) e i principi della Corte EDU”. Ed è estremamente sintomatico che, alla fine, il rinvio pregiudiziale sia affidato non ad una qualsiasi delle sezioni “generaliste” della Corte come avrebbe dovuto essere se “il tema” fosse stato solo ed esclusivamente quello “processuale della applicabilità dinanzi al giudice di pace della decisione contestuale a seguito di discussione orale”, bensì alla Seconda Sezione tabellarmente competente in materia di “Legge Pinto”, visto che quel tema processuale “è funzionale alla soluzione di una problematica che investe l’area dei rimedi preventivi e l’accesso all’equa riparazione” da “irragionevole durata del processo”. Il che a me pare un modo garbato o prudente per dire che se il quesito puramente processuale B è l’oggetto per così dire principale del rinvio, quello correlato A non deve considerarsi del tutto scontato.

In effetti che la opportunità di sollecitare la discussione orale e la decisione immediata all’esito costituiscano, non in generale ma in relazione al particolare procedimento innanzi al giudice di pace, un “rimedio preventivo” non è affatto così pacifico come può apparire. Vero è che l’art. 1 ter della l. n. 89/2001 menziona espressamente la “istanza di decisione a seguito di trattazione orale a norma dell’art. 281 sexies” qualerimedio preventivo, ma lo fa ponendo mente al procedimento innanzi al Tribunale nell’ambito della cui disciplina l’art. 281 sexies trova posto. Se invece si ritiene trapiantabile tale disposto anche nel procedimento davanti al giudice di pace (quale era configurato prima della “Riforma Cartabia” perché è a ciò che si riferisce il caso di specie), vi sarebbe forse spazio per chiedersi – in relazione ad un sistema di tutela di ascendenza CEDU e dunque pur sempre ispirato al principio di effettività – se quella apposita istanza di discussione orale, che sollecita oltretutto l’esercizio di poteri che il giudice avrebbe ex officio, comporti davvero un effettiva ed apprezzabile (e non cartacea) accelerazione rispetto al modello decisorio normale di cui all’art. 321 (testo previgente), che già prevede la discussione orale (col sacrificio della finale interlocuzione scritta fra le parti) ed il deposito della sentenza non immediata ma posticipata (formalmente) di soli quindici giorni, atteso oltretutto che il deposito (formalmente) immediato previsto dell’art. 281 sexies è de facto tutt’altro che una certezza.

Personalmente riterrei, per altro, che il dato testuale dell’art. 1 ter della “Legge Pinto”, con la qualificazione esplicita della istanza di discussione ex art. 281 sexies quale “rimedio preventivo”, finisca per prevalere su ogni altra considerazione una volta ammesso che quella istanza sia proponibile anche al giudice di pace. Ma ciò che qui più mi interessa è che in proposito la motivazione della Prima Presidente una finestra aperta la lasci.

Se l’“area dei rimedi preventivi” nel senso della “Legge Pinto” fosse stata già esplorata, per ciò che ci riguarda, dalla Corte di Cassazione, se si fosse davvero certi con riferimento al particolare procedimento innanzi al giudice di pace che “la manifestazione della disponibilità della parte al modello decisorio concentrato costituisce un rimedio preventivo[7], se insomma vi fosse già un chiaro precedente della Suprema Corte in risposta al nostro quesito A, la motivazione della Prima Presidente lo avrebbe verosimilmente segnalato: in caso di precedente positivo per corroborare a scanso di equivoci la rilevanza del chiedersi – quesito B – se l’art. 281 sexies si applica davanti al GDP; in caso di precedente negativo, e cioè di esclusione per qualche ragione dall’ambito dei “rimedi preventivi” da Legge Pinto della richiesta di discussione orale pur ove possibile innanzi al GDP, per escludere a mio avviso doverosamente e de plano la rilevanza dell’inerente quesito B, non dando dunque ingresso al rinvio.

Questo ipotetico secondo esito può in generale non piacere perché riduce apparentemente l’utilità nomofilattica vuoi pro futuro vuoi per il giudice a quo del rinvio pregiudiziale, nel senso che esso non darà luogo ad un responso della Corte e cioè ad un normale “precedente” della Corte e neppure darà luogo all’effetto vincolante ex art. 363 bis, u.c.. per il giudice a quo, bensì solo ad una opinio del Primo Presidente. Ma questo è in fin dei conti nella natura delle cose, o meglio nella meccanica dell’istituto, tutte le volte che un decreto presidenziale di inammissibilità del rinvio non sia soltanto la paletta rossa del vigile urbano, bensì incorpori in sé il motivato e pur sintetico richiamo a principio giuridico già affermato dalla Corte o comunque scontato (in claris non fit interpretatio).

3.Riflessioni di ordine generale sulla emergenza di quesito di diritto presupposto alla rilevanza di quello principale: nella dialettica Giudice di merito/Primo Presidente.

Sebbene le precedenti riflessioni, suscitate dal meditato wording della motivazione presidenziale in commento, siano sproporzionate rispetto al caso di specie – in primo luogo perché è appunto piuttosto difficile negare che nella logica dell’art. 1 ter della “Legge Pinto” anche la richiesta di discussione orale al GDP, una volta ammessa,  rapprenti un “rimedio preventivo” – credo che esse possano essere utili in termini generali, e da esse provo, in termini altrettanto generali, ad estrarre il seguente criterio:

“il Primo Presidente, in sede di vaglio ex art. 363 bis, c. 1 del rinvio pregiudiziale, può rilevare d’ufficio – con la conseguenza della declaratoria di inammissibilità del rinvio – anche la sussistenza di una già intervenuta soluzione ad opera della Suprema Corte ovvero, e in assenza di ciò, del carattere scontato e pacifico della soluzione, in ordine ad una questione di diritto alla stregua della quale la diversa questione prospettata con il rinvio appaia irrilevante ai fini della decisione commessa al giudice di merito, e che quest’ultima, dunque, possa essere adottata del tutto a prescindere dalla questione rinviata ed invece sulla base della già intervenuta o comunque scontata soluzione della questione presupposta”.

Di fronte a questo criterio – che non oso definire principio di diritto (interpretativo dell’art. 363 bis) ma sì principio pragmatico-operativo – mi resta un dubbio. E il dubbio riguarda la situazione in cui nella ordinanza di rinvio il giudice di merito, proprio al fine di affermare la rilevanza dell’altra questione, abbia esplicitamente mostrato di conoscere l’insegnamento della Cassazione sulla questione presupposta e di considerarlo da lui stesso superabile o abbia esplicitamente postulato, in assenza di precedenti della S.C., soluzione eterodossa, rispetto a quanto emergente dal tenore letterale delle disposizioni di riferimento, della questione presupposta. Può anche in tal caso l’indirizzo nomofilattico non vincolante del Primo Presidente esprimersi nel modo predetto, ed anticipare autorevolmente il presumibile ma non obbligato esito impugnatorio qualora il giudice di merito, una volta che gli siano restituiti atti, perseveri nel suo atteggiamento autarchico sulla questione presupposta? O bisogna ad oltranza rispettare la libertà interpretativa del giudice di merito, condizionabile de iure solo dalla Corte collegiale e solo ove il rinvio sia ammesso ? O bisogna complicarsi la vita (o meglio complicare la vita del Primo Presidente) e distinguere fra orientamento realmente consolidato della Cassazione sulla questione presupposta e orientamento che consolidato ancora non sia, o fra soluzione della questione presupposta più o meno palesemente eterodossa e più o meno divergente dall’“in claris non fit interpretatio”?

Io sarei per semplificare, e per confermare il criterio operativo come sopra l’ho enunciato (salva l’ipotesi di precedente isolatissimo o obiettivamente perplesso sulla questione presupposta), confidando ancor qui nella prudente discrezionalità del Primo Presidente. E ciò perché il rinvio pregiudiziale è Richterklage che il giudice di merito facoltativamente rivolge alla Cassazione nel complesso delle sue articolazioni interne, esponendosi volontariamente al modulato responso proveniente da tale complesso di articolazioni, con la inerente diversità di effetti formali e/o di fatto per lui stesso e per il prosieguo della esperienza giurisprudenziale[8].

Quando allora il Primo Presidente percepisca, d’ufficio o come nel nostro caso dalla stessa impostazione della ordinanza di rimessione e della complessiva domanda di pronuncia pregiudiziale come formulata dal giudice a quo, che le quaestiones iuris potenzialmente rilevanti sono in realtà due, correlate ed in sequenza, e che sulla questione che per il giudice a quo appare presupposta ed implicitamente risolta[9] non vi è in realtà né risposta scontata né risposta già data dalla Corte, ben fa – come è ora accaduto – ad ammettere il rinvio lasciando però la finestra aperta anche sulla questione presupposta e non solo su quella che il riemettente ha immaginato come questione dubbia per così dire principale.

4. Segue: e nella dialettica Primo Presidente/Corte.

Ciò comporta poi che il criterio operativo di massima sopra enunciato quanto alla dialettica Giudice di merito/Primo Presidente vada reiterato in relazione al compito della Corte che decide sul rinvio pregiudiziale, e tuttavia mutatis mutandis e con alcuni correttivi intesi a garantire l’effetto utile[10], vuoi nel caso concreto vuoi erga omnes, di un rinvio che ha già superato la soglia della ammissibilità.

Ripercorro il criterio questa volta con specifico riguardo alla ipotesi di specie, lasciando al lettore di trarrele implicazioni generali.

Qualora dunque la Corte – e qui, non a caso ma perché così intenzionalmente indicato dalla Prima Presidente, la Sezione tabellarmente competente in materia di “Legge Pinto” – dovesse per qualche ragione convincersi che nel particolare ambito del giudizio innanzi al GDP la eventuale richiesta di decisione a seguito di discussione orale anche ove ammessa non rappresenti “rimedio preventivo”, potrà rispondere in questi meri termini al giudice remittente, orientandone la decisione finale nel senso della accoglibilità della richiesta di equo indennizzo. Ciò potrà e dovrà fare senza alcuna necessità di ribaltare formalmente la decisione di ammissibilità del rinvio della Prima Presidente[11] nella parte in cui essa si riferisce in fin dei conti anche (o, in generale, perfino se essa si riferisse solo) all’altra questione puramente “processuale” concernente l’applicabilità dell’art. 281 sexies innanzi al GDP. Le basterà, anche ex officio, individuare – dal contesto delle circostanze del caso per come emergenti dalla ordinanza di rinvio e/o dal provvedimento della Prima Presidente – nel quesito di diritto correlato e presupposto quello davvero necessario e sufficiente onde rispondere utilmente, ai fini della decisione di merito, alla domanda “interpretativa” del remittente. Mediante combinata applicazione estensiva dell’art. 363, la Corte potrà nondimeno – nell’interesse della legge e potenziando l’effetto utile del responso pro futuro – dire altresì expressis verbis se l’art. 281 sexies si applica o non si applica davanti al GDP, così precostituendo significativo precedente su quesito nuovo, giovevole non solo nei futuri giudizi da “Legge Pinto” originati da procedimenti svoltisi innanzi al GDP, ma anche e tout court in tutti i giudizi davanti al GDP.

Specularmente, e sempre in nome di una ragionevole estensione della potestà ex art. 363, la Corte che ritenga invece la istanza di discussione orale “rimedio preventivo” potrà affermarlo motivatamente ed expressis verbis (piuttosto che semplicemente lasciarlo intendere o sussurrarlo in obiter), prima di replicare al quesito necessario e sufficiente alla decisione di merito in ordine alla applicabilità dell’art. 281 sexies davanti al GDP.

5.Chiose residuali sulla verifica delle condizioni di ammissibilità del rinvio: “novità” e obiter della S.C.; “difficoltà” e ius superveniens; “numerosità” (con riguardo ai giudizi di fronte al giudice di pace o a quelli da “Legge Pinto”?).

 

Su tale ultimo quesito – il quesito B della nostra schematizzazione nonché quello in definitiva particolarmente attenzionato dalla Corte d’appello remittente – si concentra nella seconda parte della motivazione, e nonostante la finestra aperta sull’altro quesito, la Prima Presidente nel riscontrare le note condizioni ex art. 363 bis, c. 1.

Queste le chiose di ordine generale che mi sembrano più significative.

5.1.      La novità della quaestio non è esclusa dal riscontro di un obiter neppure se proveniente dalle Sezioni Unite. Prescindendo qui dal valore, in un sistema a precedente persuasivo, di certi obiter meditati ed intenzionali nonché rivolti palesemente al futuro[12], è certo che prima di dire già risolta la questione e perciò inammissibile il rinvio sulla base di un obiter pur siffatto – consegnando così al futuro della evoluzione giurisprudenziale solo un semi obiter (del Primo Presidente) sull’obiter – ce ne corre. Ancor più sicura è la irrilevanza dell’obiter puramente accidentale e non meditato, pur quando proveniente dalle Sezioni Unite, dovuto a semplici ragioni di completezza espositiva e senza il minimo aggancio al ragionamento argomentativo che ha condotto al principio di diritto ed alla ratio decidendi. Tale era all’evidenza quello in discorso: le Sezioni Unite del 1 agosto 2012, n. 13794 si occupavano ex professo della giuridica esistenza della sentenza ai fini del decorso del termine di impugnazione in un caso di iato fra data di deposito e data di pubblicazione, e solo per avventura ed alquanto distrattamente rappresentavano, con velleità di completezza appunto, la relativa fase decisoria come comprensiva della eventuale “discussione orale (art. 281 sexies cod. proc.civ.)”.

5.2.      La “difficoltà” della questione interpretativa è attestata richiamando non solo le divergenze di indirizzo riscontrate all’interno della stessa Corte d’appello remittente quanto alle ricadute in tema di equa riparazione della questione medesima, ma in primo luogo i corni del dilemma: da una lato (una parte de) la prassi, la apparente irragionevolezza che la modalità “più aderente ai principi di oralità, immediatezza e concentrazione” sia impedita proprio “nell’ambito delle liti minori”, ed il rinvio ex art. 311 c.p.c. alle disposizioni relative al procedimento davanti al tribunale; d’altro lato la “circostanza che la fase decisoria davanti al giudice di pace sia già” appositamente “regolata dall’art. 321 cod. proc.civ.” con previsione comunque della discussione orale e del successivo deposito della sentenza entro quindici giorni[13], unitamente al fatto che proprio il rinvio ex art. 311 non vale per ciò che sia già regolato.

Non privo di rilevo è poi che la Prima Presidente si ponga di fronte l’attuale art. 321 c.p.c., il quale, novellato dal d.lgs. 149/2022, richiama ora espressamente l’art. 281 sexies per il procedimento innanzi al GDP.

Se un dubbio ermeneutico del rimettente fosse superato da una legge formalmente e sostanzialmente interpretativa, il decreto del Primo Presidente dovrebbe negare l’ammissibilità del rinvio per evidente “non difficoltà” (coincidente addirittura con la insussistenza) della superata questione ermeneutica.

Ma se dubbi vi sono sulla portata della legge formalmente interpretativa o sul fatto che una sopravvenuta legge non interpretativa possa esserlo “sostanzialmente” e cioè offrire o non offrire all’interprete elementi di ricostruzione della portata della previgente legge (si rammenti la vicenda della novellazione dell’art. 115), ben fa il Primo Presidente a limitarsi, come nella specie, a rappresentare che la novità normativa si applica solo pro futuro. Donde la implicita assunzione della “numerosità” dei giudizi ancora pendenti nei quali la questione ermeneutica sulla vecchia legge può porsi, nonché la piena libertà per il successivo Collegio della Cassazione, chiamato a risolvere la questione, di valorizzare come confermativa o viceversa leggibile a contrario la novellazione, ovvero di ignorarla come neutra.

5.3.      Infine, proprio quanto alla suscettibilità della questione di porsi in numerosi giudizi, mi pare particolarmente ponderato ed opportuno che essa sia affermata non solo ed implicitamente con riguardo a tutti i giudizi “vecchio rito” innanzi al GDP, ma specialmente ed esplicitamente con riguardo ai giudizi da “Legge Pinto” nei quali, riguardando la asserita irragionevole durata un procedimento innanzi al GDP, si è posta o potrà porsi come incidentalmente rilevante ai fini della decisione sulla accoglibilità della domanda di ristoro la questione della applicabilità o meno dell’art. 281 sexies in quel procedimento.

Intravedo in ciò non già un ossequio al tenore dell’art. 363 bis, c.1, n. 3, perché non sta scritto affatto che i “numerosi giudizi” debbano essere di oggetto del tutto analogo a quello del giudizio a quo[14], quanto piuttosto ulteriore sintomo della finestra che l’ordinanza presidenziale apre al Collegio nel senso di una eventuale risposta in termini di interpretazione della “Legge Pinto” e della nozione di “rimedio preventivo”, e non di interpretazione degli artt. 281 sexies, 311 e 321 c.p.c.. Senza contare che perfino un approccio statistico alla buona lascia immaginare che i giudizi da “Legge Pinto” davanti alle Corti d’appello, in cui si ponga la questione in discorso, siano ben più numerosi di quelli (“vecchio rito”) innanzi al GDP in cui si ponga con valenza decisoria la medesima questione (quanti in realtà sollecitano l’applicazione del 281 sexies innanzi ai giudici di pace e quanti – e come poi? – impugnano la sentenza del giudice di pace per avere o non aver consentito con quella applicazione ?).

[1] Si rammenta che, nel testo applicabile ratione temporis, l’art. 1 ter comma 1, della l. n. 89/2001 prevede  inter alia che “nelle cause in cui non si applica il rito sommario di cognizione [oggi, a seguito, del d.lgs. n. 149/2002 tale riferimento è sostituito da quello al “rito semplificato di cognizione”], ivi comprese quelle in grado di appello, costituisce rimedio preventivo proporre istanza di decisione a seguito di trattazione orale a norma dell’art. 281-sexies del codice di procedura civile”.

[2] V. se vuoi il mio Il rinvio pregiudiziale interpretativo alla Corte di Cassazione in Il Processo, 2022, 947, spec. 961.

[3] Ai sensi del quale “chi pur avendo esperito i rimedi preventivi di cui all’art.1-ter, ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale a causa della irragionevole durata del processo ha diritto ad una equa riparazione”: dal che pare evidente come il  mancato esperimento del “rimedio preventivo” costituisca ragione di insussistenza del diritto indennitario e dunque di infondatezza della relativa domanda (e non di inammissibilità processuale).

[4] Secondo quanto previsto dagli artt. 3 e 5 ter della “Legge Pinto”, il ricorso è esaminato in prima battuta dal presidente della Corte d’appello o da un consigliere da questi delegato, ed ove sia respinto la domanda non può essere riproposta, ma alla parte interessata è data opposizione alla Corte d’appello.

[5]La Corte d’appello motiva sulla rilevanza della sollevata questione, la quale è presentata come un indispensabile antecedente logico-giuridico influente sull’esito del thema decidendum del processo di merito pendente tra le parti. Al riguardo, il giudice a quo osserva che la domanda di equa riparazione è stata dichiarata inammissibile dal consigliere delegato della Corte d’appello per il mancato esperimento del rimedio preventivo, consistente nella proposizione dell’istanza di decisione ex art. 281-sexies cod. proc. civ. La Corte di Napoli sottolinea, inoltre, che parte opponente ha censurato il decreto di inammissibilità contestando l’applicabilità della disciplina dell’art. 281-sexies cod. proc. civ. ai giudizi dinanzi al giudice di pace e, di conseguenza, la necessità del rimedio preventivo. Il giudice rimettente considera, infine, che aderendo alla soluzione interpretativa circa la compatibilità del modulo decisorio ex art. 281-sexies cod. proc. civ. con il procedimento davanti al giudice di pace, l’opposizione sarebbe destinata ad essere rigettata, laddove, optando per l’opposta tesi, l’opposizione potrebbe essere accolta”.

[6] V. supra alla nota 3 ed al richiamo della stessa.

[7] La frase appena virgolettata è della stessa Prima Presidente, subito sopra il passaggio dinanzi trascritto sempre nel testo, ma non credo esprima una certezza specifica quanto piuttosto una semplice possibilità in termini generali

[8] In fin dei conti, per il giudice del merito che poteva andare autarchicamente per la sua strada “in diritto” ed ha invece deciso di rinviare, è come a tennis. Se fai una palla corta da fondo campo e segui a rete, non ti puoi stizzire più di tanto quando l’avversario raggiunge la tua palla corta e ti supera con un lob: tu l’as vuolu George Dandin.

[9] Presupposta – ben inteso – non per intrinseco ed immutabile ordine logico, bensì proprio perché considerata implicitamente e liquidamente risolta (v. anche retro al par. 1).

[10]  Espressione questa notoriamente maturata dalla cultura euro-unionale ed anche con specifico riferimento al rinvio pregiudiziale alla CGUE, e dunque convenientemente utilizzabile nel nostro contesto.

[11] Sulla “vincolatività attenuata” del provvedimento del Primo Presidente per il Collegio poi investito del rinvio v. la prima puntata di questo commentario “Chi decide riguardo ai quesiti pregiudiziali sul rinvio pregiudiziale?”, www.judicium.it, par. 3.

[12] Ricordate il gigantesco obiter che in Cass. Sez. Un. 3 agosto 2000, n. 527 inaugurò la lunga parentesi privatistica in ordine alla natura, e con ben minore pregnanza in ordine all’efficacia, del lodo arbitrale rituale?

[13] Profilo questo che – come si è detto (retro par. 2) – merita attenzione anche in relazione all’altra sottoquestione relativa alla interpretazione dell’art. 1 ter della “Legge Pinto”.

[14] Potendo insomma ben essere la identica questione meritevole di rinvio pregiudiziale destinata a porsi in altri e numerosi giudizi dall’oggetto più disparato.