Giudice dell’esecuzione e professionista delegato nel d. lgs. n. 149/2022 (ancora a proposito degli artt. 534 ter e 591 ter c.p.c.)

Di Clarice Delle Donne -

Sommario.- 1.- Il contesto 2.- Il controllo sugli atti del professionista delegato: la lettura giurisprudenziale dell’art. 591 ter c.p.c. previgente…3.- Segue…e l’eterogenesi dei fini della riforma del 2015 4.- Il d. lgs. n. 149/2022 ed il (parziale) ritorno all’antico

 

1.- Il contesto

Nell’ambito del suo ambizioso disegno di riassetto formale e sostanziale dell’esecuzione forzata, il d. lgs. n. 149/2022 ha, tra l’altro, riscritto il gruppo di disposizioni regolanti la delega delle operazioni di vendita, sempre nel solco della privatizzazione dell’espropriazione.

Ribadito anche nel nuovo art. 591 bis c.p.c. il rapporto regola-eccezione tra delega delle operazioni di vendita ad un professionista[1] e gestione diretta da parte del giudice dell’esecuzione,[2] l’ultima riforma ha infatti compiuto un passo ulteriore.

Da un canto ha eliminato alcune residue ambiguità della precedente disciplina in riferimento alla predisposizione del progetto di distribuzione.

Dall’altro ha espressamente ribadito il dovere giudiziale di diligente vigilanza sull’esecuzione delle attività delegate e sul rispetto dei tempi per esse stabiliti nell’ordinanza di vendita nonchè l’obbligo di sostituzione[3] immediata del professionista in caso di non compliance, salva la prova da parte sua della ricorrenza di una causa di non imputabilità.

Quanto in particolare al primo profilo, il difetto di coordinamento tra il previgente art. 591 bis, c. 3, n. 12, c.p.c., che dà al solo professionista delegato il potere di predisporre il progetto di distribuzione, e il previgente art. 596 c.p.c., che fa invece riferimento tanto al giudice dell’esecuzione quanto al professionista[4] stesso quali soggetti legittimati alla sua formazione, viene corretto incidendo proprio sul testo dell’art. 596 c.p.c. La disposizione di nuovo conio fa infatti oggi riferimento, in modo separato e quindi più perspicuo, al professionista delegato quale soggetto cui compete, in prima battuta, la predisposizione del progetto di distribuzione (c. 1), ed al giudice dell’esecuzione per il caso in cui egli stesso gestisca la vendita (c. 4).

Sotto il secondo profilo, poiché la delega del subprocedimento di vendita rappresenta oramai la normalità, viene ribadito espressamente[5] l’obbligo di vigilanza costante ed ufficiosa del giudice, che può sfociare nella sostituzione del professionista che si sia discostato dalla lex specialis delle operazioni delegate fissata nell’ordinanza di vendita.

Sintesi e cardine del complesso rapporto tra giudice dell’esecuzione e professionista delegato è ancora l’art. 591 ter c.p.c. che, significativamente rubricato “Ricorso al giudice dell’esecuzione”, disciplina da un canto il rapporto diretto tra giudice delegante e professionista delegato in caso di difficoltà insorte nel corso delle operazioni di vendita, dall’altro il sistema generale dei controlli sugli atti compiuti da quest’ultimo.

La disposizione, completamente riformulata dal d. lgs. n. 149/2022, prevede oggi che “Quando nel corso delle operazioni di vendita insorgono difficoltà, il professionista delegato può rivolgersi al giudice dell’esecuzione, il quale provvede con decreto. Avverso gli atti del professionista delegato è ammesso reclamo delle parti e degli interessati, da proporre con ricorso al giudice dell’esecuzione nel termine perentorio di venti giorni dal compimento dell’atto o dalla sua conoscenza. Il ricorso non sospende le operazioni di vendita, salvo che il giudice dell’esecuzione, concorrendo gravi motivi, disponga la sospensione. Sul reclamo di cui al secondo comma, il giudice dell’esecuzione provvede con ordinanza, avverso la quale è ammessa l’opposizione ai sensi dell’articolo 617.”

Ragioni di coerenza sistematica hanno poi indotto, come risulta dalla Relazione illustrativa, alla modifica, altresì, dell’art. 534 ter c.p.c. dettato nel contesto della delega delle operazioni di vendita di beni mobili iscritti in pubblici registri, che oggi esibisce un contenuto sovrapponibile, ad litteras, a quello dell’art. 591 ter c.p.c. di nuovo conio. Lo stesso è accaduto per l’art. 168 disp. att.[6] c.p.c. che, disciplinante i reclami contro l’operato dell’ufficiale incaricato della vendita (nell’espropriazione mobiliare) prevede oggi la decisione con ordinanza opponibile ex art. 617, e non più inimpugnabile com’era in precedenza.

Rispetto al testo previgente ancora applicabile ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023[7] quello attuale si distingue soprattutto nella misura in cui codifica l’onere per le parti e gli altri interessati di impugnare con reclamo l’atto del professionista entro un termine perentorio e, successivamente, quello di proporre l’opposizione ex art. 617 c.p.c. avverso il provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione pronuncia sul reclamo stesso.

La portata delle innovazioni e le relative conseguenze di sistema sono notevoli perché l’introduzione di un termine perentorio per l’impugnazione degli atti del professionista delegato, e la conseguente possibilità di impugnare l’ordinanza del giudice con l’opposizione ex art. 617 c.p.c., muta completamente la logica dell’intero sistema assestatosi nella prassi applicativa.

Come chiarito dalla Relazione illustrativa, la modifica punta infatti alla progressiva stabilizzazione degli atti del professionista che dalle operazioni di vendita portano all’adozione del decreto di trasferimento da parte del giudice. Se non impugnati nei termini di decadenza o in caso di rigetto dell’impugnazione essi si stabilizzano emancipando il decreto di trasferimento da ogni forma di nullità derivata.

A differenza che nella precedente versione, scompare invece dall’art. 591 ter c.p.c. riformato, come dall’art. 534 ter c.p.c. rispetto ai beni mobili registrati, il riferimento alla impugnabilità del decreto con cui il giudice dell’esecuzione dà istruzioni al delegato su sua sollecitazione.

Resta infine sul tappeto, immutato, il dubbio se e come sia possibile impugnare il progetto di distribuzione in tutti i casi in cui la legge lascia proprio al delegato il potere di chiuderlo ordinando i conseguenti pagamenti (artt. 597 e 598, c. 1, c.p.c.)

 

2.- Il controllo sugli atti del professionista delegato: la lettura giurisprudenziale dell’art. 591 ter c.p.c. previgente…

La portata delle odierne modifiche in punto di controllo sugli atti del professionista delegato si apprezza appieno nel confronto con il testo previgente dell’art. 591 ter c.p.c. ancora applicabile, come già rilevato, ai procedimenti in corso al 28 febbraio 2023.

A mente di tale ultimo testo “Quando, nel corso delle operazioni di vendita, insorgono difficoltà, il professionista delegato può rivolgersi al giudice dell’esecuzione, il quale provvede con decreto. Le parti e gli interessati possono proporre reclamo avverso il predetto decreto nonché avverso gli atti del professionista delegato con ricorso allo stesso giudice, il quale provvede con ordinanza; il ricorso non sospende le operazioni di vendita salvo che il giudice, concorrendo gravi motivi, disponga la sospensione. Contro il provvedimento del giudice è ammesso reclamo ai sensi dell’art. 669 terdecies.”

La disposizione accomuna in un unico regime di controllo sia il decreto con cui il giudice dell’esecuzione impartisce le istruzioni richieste dal delegato sia gli atti del delegato stesso.

Entrambi sono dunque sottoposti a doppio reclamo: il primo al giudice dell’esecuzione, il secondo al collegio, nei modi e termini previsti dall’art. 669 terdecies c.p.c., avverso l’ordinanza pronunciata dal giudice dell’esecuzione in esito al primo reclamo.

La prassi applicativa ha fin da subito imposto all’attenzione il tema delle conseguenze: a) in punto di stabilizzazione del decreto reso su sollecitazione del professionista e degli atti direttamente compiuti da quest’ultimo, della mancata proposizione del reclamo; b) in punto di stabilizzazione ed efficacia dell’ordinanza resa dal giudice dell’esecuzione sul primo reclamo, della mancata impugnazione ex art. 669 terdecies c.p.c.

La giurisprudenza di legittimità, nel variegato quadro di soluzioni offerte dalla dottrina[8], ha tracciato coordinate precise secondo la logica della strutturazione in fasi del processo esecutivo, a sua volta rintracciata nell’esigenza di un ordinato e razionale svolgimento dell’esecuzione (specialmente immobiliare) in vista della stabilizzazione dei relativi atti.

La Corte ha dunque in un primo tempo[9] affermato che l’assenza di un termine perentorio per la proposizione del reclamo, sia verso il decreto con cui il giudice dell’esecuzione impartisce istruzioni al delegato sia contro gli atti di quest’ultimo, va calata proprio nel contesto della scansione in fasi dell’ espropriazione forzata.

Con la duplice conseguenza che: a) il reclamo avverso il decreto con cui il giudice dell’esecuzione impartisce istruzioni al delegato va proposto “(…) prima che queste abbiano avuto materiale attuazione con l’adozione del successivo atto del subprocedimento, avendo l’atto che le contiene esaurito la sua funzione all’interno di questo” ; b) resta impregiudicata la facoltà di qualunque interessato di proporre, per l’eventuale illegittimità derivata, reclamo avverso gli atti successivi ovvero opposizione agli atti esecutivi avverso il primo atto del giudice dell’esecuzione conclusivo della relativa fase.”

Il sistema viene dunque assestandosi nel senso che la progressione del procedimento sulla base del decreto di istruzioni o dell’atto del delegato esaurisce la funzione di questi ultimi, rendendo il reclamo contro di essi inammissibile per (sopravvenuta) carenza di interesse. Interesse che resta invece vivo rispetto all’atto successivo della serie procedimentale che, se ascrivibile al professionista, potrà a sua volta essere reclamato e, se invece ascrivibile al giudice (ad esempio decadenza dell’aggiudicatario o decreto di trasferimento), potrà essere opposto ai sensi (e nei termini) dell’art. 617 c.p.c.

Anche in riferimento alla stabilità ed efficacia del provvedimento reso in esito al primo reclamo, ed all’ordinanza resa ex art. 669 terdecies c.p.c., la Corte ha avuto varie occasioni di pronunciarsi.

Ha così stabilito, in particolare, che quello disegnato dall’art. 591 ter c.p.c. (reclamo al giudice dell’esecuzione e successivo reclamo al collegio ex art. 669 terdecies contro la relativa ordinanza) è  subprocedimento incidentale che, mettendo capo ad atti espressivi di potestà ordinatoria e di mero controllo “giustificata dalla particolare dinamica del rapporto tra giudice delegante e professionista delegato”, non ha effetti di giudicato. Ne consegue che: a) l’ordinanza collegiale pronunciata all’esito del reclamo ai sensi degli artt. 591 ter e 669 terdecies c.p.c. è inimpugnabile ex art. 111, comma 7, Cost.; b) “eventuali nullità verificatesi nel corso delle operazioni delegate al professionista, e non rilevate nel procedimento di reclamo ex art. 591-ter c.p.c., potranno essere fatte valere impugnando ai sensi dell’art. 617 c.p.c. il primo provvedimento successivo adottato dal giudice”.

L’ambiguità del principio di diritto sub b) è evidente. Dal riferimento alle nullità “non rilevate” potrebbe infatti dedursi la libera riproponibilità di motivi fondati solo su queste ultime e non invece sulle nullità già fatte valere in sede di reclamo, che restano così precluse e non si propagano agli atti successivi.

Ma che non sia così è dimostrato da un precedente passo della motivazione.

Negata definitività all’ordinanza collegiale che decide (accogliendo o rigettando) il reclamo ex artt. 591- ter e 669-terdecies c.p.c., la Cassazione afferma infatti che “(…) nell’uno come nell’altro caso [i.e. sia in caso di accoglimento, sia in caso di rigetto del reclamo], eventuali nullità verificatesi nel corso delle operazioni delegate al professionista si trasmetteranno agli atti successivi riservati al giudice dell’esecuzione, i quali soltanto potranno essere impugnati con l’opposizione agli atti esecutivi, facendo valere la nullità derivata dall’errore commesso dal professionista delegato nei limiti ed alle condizioni di cui all’art. 617 c.p.c.».

Ed è proprio questa strada, la più impervia, che viene imboccata dalla giurisprudenza, di merito[10] come di legittimità, successiva.

Tornando sul tema la Cassazione[11] raccoglie tutte le implicazioni del precedente del 2019 stabilendo che se l’incidente ex 591 ter c.p.c. ha esito infruttuoso per il reclamante, l’ordinanza collegiale non sarà impugnabile ex art. 111 Cost., c. 7 ma resterà sempre proponibile, avverso il successivo provvedimento del giudice dell’esecuzione, l’opposizione ex art. 617 c.p.c. a mezzo della quale far valere (anche) i medesimi motivi già spesi in sede di reclamo (ex artt. 591 ter e 669 terdecies c.p.c.). Successivamente la Corte aggiunge che, in alternativa al reclamo, l’interessato può attendere il successivo atto del giudice dell’esecuzione, cui la pregressa nullità si è senz’altro propagata, e proporre direttamente opposizione agli atti esecutivi.[12]

3.- Segue…e l’eterogenesi dei fini della riforma del 2015

La lettura giurisprudenziale dell’art. 591 ter c.p.c. conferisce all’espropriazione con delega una fisionomia molto diversa da quella ascrivibile all’espropriazione direttamente gestita, nella fase di vendita, dal giudice dell’esecuzione (ipotesi peraltro residuale):[13] quest’ultima caratterizzata da un maturo sistema di stabilizzazione progressiva assicurato dall’opposizione ex art. 617 c.p.c. esperibile contro ciascun atto della serie procedimentale;[14]la prima, viceversa, afflitta dal meccanismo di propagazione delle pregresse nullità all’atto finale della serie procedimentale, segnatamente il decreto di trasferimento, imposta dall’inidoneità del doppio reclamo ex art. 591 ter c.p.c. ad attingere esiti stabili in termini di sterilizzazione dei vizi inficianti gli atti sottoposti a tali rimedi sia se in concreto esperiti che non.

Il sistema disegnato dalla giurisprudenza si è rivelato impervio e farraginoso sotto il profilo della funzionalità dell’espropriazione con delega delle operazioni di vendita senza neppure essere basato su insuperabili ragioni di sistema.

Dal primo punto di vista occorre per un attimo soffermarsi sulla storia tormentata[15] dell’art. 591 ter c.p.c. che, fin dalla versione originaria prevedeva, quale strumento di controllo tanto degli atti del delegato quanto del decreto di istruzioni del giudice dell’esecuzione, il reclamo, sia pure, come ampiamente rilevato, senza alcun termine. L’inciso finale “Restano ferme le disposizioni di cui all’articolo 617”, dopo alcune incertezze, era stato alfine letto nel senso che il provvedimento reso in sede di reclamo fosse, in entrambe le ipotesi, opponibile ex art. 617c.p.c.

E proprio in virtù di questo dispositivo “di chiusura” anche l’assenza di un termine per il reclamo ex art. 591 ter c.p.c., e quindi la intrinseca instabilità dell’atto non reclamato, venivano (almeno in parte) disinnescate. Proposto reclamo infatti o la relativa decisione veniva opposta ex art. 617 c.p.c. o si consolidava.[16]

Allo scopo di accelerare la definizione delle pendenze, nel 2015 l’opposizione agli atti esecutivi venne però sostituita con il reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c., considerato più snello e veloce per le sue caratteristiche strutturali rispetto ad un giudizio a cognizione piena quale l’opposizione dell’art. 617 c.p.c.

La giurisprudenza ha tuttavia dedotto da queste caratteristiche l’inattitudine del procedimento di “doppio reclamo” ad attingere esiti stabili, sia pure sotto il profilo della progressione della procedura. Il tutto a discapito del vero spirito della riforma del 2015, volto invece a contemperare la necessità del controllo nelle fasi delegate con la ragionevole durata dell’espropriazione.

La malintesa considerazione delle caratteristiche strutturali del reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. ha finito così per togliere ogni ragion d’essere al sistema del “doppio reclamo” codificato dall’art. 591 ter c.p.c., posto che, attivato o meno, le censure suo tramite spendibili troveranno, nella logica della giurisprudenza, solo nell’opposizione ex art. 617 c.p.c. contro il successivo atto giudiziale della serie il loro naturale ambiente decisorio.[17]

Ne consegue che sulla procedura grava un sistema di controlli tanto barocco e sovrabbondante[18] da ingenerare una vera e propria eterogenesi dei fini perseguiti dalla riforma del 2015.

Conclusione tanto più insopportabile in quanto non sufficientemente approfondita sotto il profilo sistematico.

Gli argomenti utilizzati dalla Corte non sono infatti insuperabili e scenari del tutto diversi avrebbero potuto, con ben altro fondamento ed esiti, essere schiusi.

L’errore prospettico sta tutto, a ben vedere, nel dedurre dalla sola struttura del reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. la inidoneità a decidere/incidere con efficacia di giudicato su diritti soggettivi.

Ma è il concetto stesso di giudicato su diritti ad essere evocato a sproposito nel contesto dell’espropriazione forzata. E questo per svariate ragioni.

Anzitutto gli atti delegati al professionista sono gli stessi che, in assenza di delega, dovrebbe compiere il giudice. Ne consegue che, poiché in tali casi opera l’opposizione ex art. 617 c.p.c., un meccanismo di consolidamento e sterilizzazione delle nullità non solo non è incompatibile con il procedimento di vendita forzata, ma ne favorisce anzi la funzionalità in termini di correzione dei vizi (e non solo) ai fini della ordinata e corretta progressione verso il decreto di trasferimento da un lato e la distribuzione del ricavato dall’altro.

Ne è conferma la circostanza che, da sempre, proprio l’opposizione ex art. 617 c.p.c. convive con la revoca/modifica ex art. 487 c.p.c., utilizzabile dal giudice anche d’ufficio a prescindere dal fatto che l’opposizione formale sia stata o possa essere utilizzata per gli stessi motivi e con il solo limite della esecuzione dell’atto (che ha così esaurito la propria funzione). [19]

Queste considerazioni ci consegnano un dato: e cioè che nelle procedure espropriative (ma non solo) le esigenze della stabilizzazione incarnate dagli artt. 617 ss. c.p.c. sono bilanciate con la modificabilità e revocabilità anche ufficiosa, queste ultime essendo il più elastico ed efficiente mezzo al fine di eliminare/correggere[20] prima possibile atti che, per qualsiasi ragione, si rivelino inidonei o inopportuni per le specifiche finalità esecutive.[21]

Quanto alla decisorietà quale idoneità ad incidere/decidere su diritti, e quindi al giudicato in senso tecnico, esso non dipende certo dal tipo di rimedio processuale in concreto esperibile ma dal tipo di atto che, in certi snodi, può effettivamente mostrare questa idoneità.

Sicchè, se si tratta di atti del giudice, l’opposizione ex art. 617 c.p.c., con il suo corredo impugnatorio ex art. 111, c. 7 Cost., è ambiente perfettamente idoneo alla tutela degli interessati anche nei casi in cui vengano in gioco veri e propri diritti.

Il semplice passaggio da un sistema di controlli basato sull’opposizione formale ad un sistema incentrato sul reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. non avrebbe dunque potuto, da sé solo considerato, mutare questo scenario, soprattutto in riferimento alla natura degli atti impugnabili.

Al contrario, caratterizzato da brevi termini perentori di esperibilità, proprio il reclamo sarebbe stato perfettamente idoneo ad incarnare lo stesso maccanismo di stabilizzazione apprestato dall’opposizione agli atti, al contrario di questa potendo anzi contare su una struttura deformalizzata ma al contempo foriera addirittura di una decisione collegiale (rara avis!!).

E torniamo così al tema della possibile decisione/incisione su diritti che, nell’espropriazione non delegata, resta sotto traccia posto che comunque ogni atto esecutivo è opponibile ex art. 617 c.p.c. sicchè il controllo della Cassazione ex art. 111 Cost., c. 7 è comunque assicurato, a maggior ragione quando una vera decisione/incisione su diritti sia in concreto occorsa.

Quid se invece gli atti esecutivi sono reclamabili invece che opponibili ex art. 617 c.p.c.?

Se si accetta la premessa che loro natura non muta se ne muta il mezzo di controllo, nulla avrebbe impedito di ammettere l’impugnabilità ex art. 111, c. 7 Cost. del provvedimento reso in sede di reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c., ovviamente solo laddove si fosse lamentata, ed in concreto riscontrata, la ricorrenza di una ipotesi (fisiologica o patologica) di decisione/incisione su diritti.[22]

La soluzione sarebbe stata anzi perfettamente compatibile con la ragionevole durata del processo posto che, al contrario di quanto accade per l’opposizione formale, il ricorso straordinario sarebbe stato ammissibile non sempre e comunque ma solo, appunto, laddove il provvedimento avesse in concreto assunto, nel caso specifico, un carattere “decisorio.”

La Corte avrebbe insomma ben potuto, fondatamente, concludere nel senso che l’esistenza del reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. esperibile in un termine perentorio fosse condizione necessaria e sufficiente perché gli atti impugnabili ed in concreto non impugnati o per i quali l’impugnazione era stata rigettata si stabilizzassero.

Tanto più che a mente dell’art. 177, c. 3, n. 3, c.p.c., applicabile al processo esecutivo in virtù del richiamo operato dall’art. 487 c.p.c., proprio la modifica/ revoca è inibita in presenza di “uno speciale mezzo di reclamo”. Sicché, in definitiva, proprio il mancato esperimento del reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. avrebbe conferito agli atti una stabilità persino maggiore rispetto a quella assicurata dall’opposizione ex art. 617 c.p.c.!

Il sistema avrebbe così potuto evolversi verso una effettiva semplificazione delle forme al contempo assicurando il controllo degli atti del delegato e la più piena tutela dei soggetti sui cui diritti tali atti avessero in concreto inciso.

4.- Il d. lgs. n. 149/2022 ed il (parziale) ritorno all’antico

Così non è stato e alle forti criticità indotte dalla lettura giurisprudenziale dell’art. 591 ter c.p.c. previgente ha dovuto porre rimedio la riforma del 2022.[23]

Oggi, come già rilevato in apertura, il reclamo avverso gli atti del delegato è esperibile nel termine perentorio di venti giorni “dal compimento dell’atto o dalla sua conoscenza” mentre l’ordinanza che decide del reclamo stesso è suscettibile di opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c.

Il sistema che ne deriva, e che ripropone uno schema già sperimentato nella storia tormentata dell’art. 591 ter, è dunque lontano anni luce da quello ancora oggi applicabile ai procedimenti in corso al 28 febbraio 2023 perché, come puntualmente rilevato dalla Relazione Illustrativa “(…) il nuovo sistema prefigura un meccanismo di progressiva stabilizzazione degli atti del delegato alla vendita (e di sanatoria dei vizi del relativo subprocedimento) che si forma prima dell’emissione del decreto di trasferimento: l’atto si stabilizza se non è impugnato nei venti giorni successivi alla sua conoscenza e, in caso di impugnazione, il meccanismo di stabilizzazione è quello generale dell’opposizione ex art. 617 c.p.c.”

Il che, a sua volta, riduce la distanza tra vendita gestita direttamente dal giudice (ipotesi oramai residuale) e vendita delegata, posto che l’atto asseritamente inficiato dal vizio nel primo caso è opponibile direttamente ex art. 617 c.p.c. essendo ascrivibile al giudice, nel secondo caso è in prima battuta reclamabile in quanto ascrivibile al delegato. In entrambi i casi, tuttavia, la mancata impugnazione nel termine perentorio dal compimento o dalla conoscenza[24] ne determina la stabilizzazione e, con essa, la sterilizzazione del vizio, che non potrà propagarsi agli atti successivi e dipendenti che, restandone immuni, potranno oramai essere impugnati solo per vizi propri.

Resta fermo, in ogni caso, il regime delle nullità cd. extraformali, che secondo la giurisprudenza hanno un funzionamento diverso da quelle inficianti i singoli atti. Esse infatti, derivando da “vizi che impediscono che il processo consegua il risultato che ne costituisce lo scopo, e cioè l’espropriazione del bene pignorato come mezzo per la soddisfazione dei creditori”[25], colpiscono ogni atto successivo della serie procedimentale in via autonoma ed originaria e sono perciò sia rilevabili d’ufficio che attraverso opposizione ex art. 617c.p.c. o reclamo verso ciascun atto della serie procedimentale.[26]

Resta altresì fermo il rapporto tra l’art. 487 c.p.c. (che sancisce il potere giudiziale di revoca-modifica delle ordinanze finché non abbiano trovato esecuzione) e l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617c.p.c., come progressivamente ricostruito dalla giurisprudenza in termini di coordinamento reciproco.

Il riformato art. 591 ter, così come il riformato art. 534 ter in riferimento ai beni mobili registrati, non reca più, invece, alcun riferimento al regime di impugnazione del decreto con il quale il giudice dell’esecuzione impartisce istruzioni al delegato su sollecitazione di quest’ultimo in ordine alle eventuali difficoltà che dovessero insorgere durante le operazioni di vendita.

Si tratta, come prontamente rilevato,[27] di una novità peraltro neppure autorizzata dalla delega, silente sul punto. La storia di queste disposizioni nelle loro varie versioni aveva infatti esibito, fino ad oggi, la costante di accomunare il regime di controllo di questo decreto e quello degli atti del professionista delegato, originariamente con il sistema del reclamo (sia pure senza termini perentori) e dell’opposizione ex art. 617c.p.c. contro la relativa ordinanza, nella disposizione ancora applicabile ai procedimenti pendenti al 28 febbraio 2023 invece con il sistema del doppio reclamo.

Quid allora?

La risposta non può che passare dalle regole generali.

Posto cioè da un lato che il decreto non è espressamente definito inimpugnabile, e dall’altro che l’opposizione agli atti esecutivi è rimedio generale e di chiusura del processo esecutivo, utilizzabile in assenza di specifico rimedio, se ne può dedurre che il decreto sarà, appunto, impugnabile ex art. 617 c.p.c. nonché, secondo la giurisprudenza, revocabile e modificabile, anche d’ufficio, finché non abbia trovato esecuzione.

La conclusione della revocabilità/modificabilità pare, nel contesto specifico, avallata altresì da due circostanze.

La prima è che l’art. 591 bis c.p.c. ha enfatizzato e resa espressa (al c. 13) la vigilanza del giudice sul regolare e tempestivo svolgimento delle attività delegate e sul complessivo operato del professionista, al quale il giudice stesso può in ogni momento richiedere informazioni sulle operazioni di vendita (norma applicabile anche in caso di mobili registrati).[28]

La seconda è che le difficoltà legittimanti la richiesta di direttive al giudice da parte del delegato potrebbero ben essere, realisticamente, non solo di tipo pratico operativo (come superficialmente ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità[29]) ma anche di schietta natura processuale e riguardare profili particolarmente delicati come, ad esempio, quello dell’ammissibilità di un’offerta di acquisto o di un’offerta in aumento.[30]

Ci si può altresì chiedere se anche per gli atti del professionista delegato sia ipotizzabile una concorrenza tra revocabilità/modificabilità da parte del loro autore e reclamo ad opera delle parti, ad instar di quanto comunemente si ritiene, come già visto, per gli atti del giudice dell’esecuzione in riferimento agli artt. 487c.p.c. e 617c.p.c.

La risposta deve tenere in debito conto la circostanza che gli atti del professionista devono comunque rispettare la lex specialis fissata nell’ordinanza di vendita che reca la delega sicchè la discrezionalità del delegato è sicuramente più ristretta di quella del giudice. Non può tuttavia escludersi, o almeno così a me pare, che, ferma la reclamabilità, negli spazi lasciati liberi dall’ordinanza di vendita, nei casi cioè in cui il risultato individuato dal giudice può essere perseguito in vari modi, anche il delegato possa autocorreggere, modificando/revocando un suo precedente atto, il corso delle operazioni sia su specifica sollecitazione di parti ed interessati[31] sia ufficiosamente, con un atto a sua volta reclamabile sempre che non abbia già trovato esecuzione esaurendo così la propria funzione.

La possibilità pare invece da escludere in presenza di decreto con cui il giudice dell’esecuzione impartisce istruzioni al delegato su sollecitazione di quest’ultimo. Tale decreto deve ritenersi infatti vincolante per il delegato e solo opponibile, oggi, ex art. 617c.p.c.

Resta infine da chiarire un ultimo profilo relativo ai rapporti tra giudice dell’esecuzione e professionista delegato in ordine alla predisposizione del progetto di distribuzione del ricavato ed alla sua “chiusura”.

La legge è infatti chiara nell’annoverare tra gli atti del professionista delegato anche la formazione del progetto di distribuzione, sia pure secondo le direttive ricevute dal giudice dell’esecuzione, il quale è poi comunque chiamato ad esaminare il progetto stesso apportandovi eventuali variazioni prima che venga sottoposto alle parti.

Altrettanto chiara è la scelta di riservare al giudice dell’esecuzione le controversie distributive: l’art. 598, c. 2 c.p.c. impone infatti al professionista delegato di rimettere senz’altro gli atti al giudice dell’esecuzione, affinchè provveda ai sensi dell’art. 512 c.p.c., se vengano, appunto, sollevate contestazioni.

Sta di fatto però che spetta al professionista delegato fissare davanti a sé l’audizione delle parti per la discussione sul progetto, rispettando un determinato termine dilatorio (art. 596, c. 2, c.p.c.), e gestire svolgimento ed esiti di tale audizione.

Quid iuris, dunque, se si assuma che il professionista abbia erroneamente ritenuto ricorrente una ipotesi di mancata comparizione dando atto nel processo verbale dell’approvazione ex art. 597 c.p.c?

Ed ancora: quid iuris se si vuol contestare che il progetto è stato approvato o che sulle contestazioni è stato raggiunto l’accordo, presupposti che per l’art. 598 c. 1 c.p.c. legittimano il professionista stesso, dandone atto nel processo verbale, ad ordinare il pagamento agli aventi diritto?

Insomma: siamo ancora di fronte ad un atto del professionista, come tale sottoposto al regime dell’art. 591 ter c.p.c. o deve ritenersi comunque operante il rimedio di chiusura dell’art. 617 c.p.c. essendosi oramai esaurito il subprocedimento di vendita oggetto di delega?

La risposta sembra essere nel primo senso malgrado il processo si trovi in una fase successiva a quelle operazioni di vendita che rubrica e testo dell’art. 591 bis c.p.c. fanno oggetto di delega al professionista[32].

L’art. 596, c. 1 e 2, e soprattutto l’art. 597[33] c.p.c. costruiscono infatti la predisposizione del progetto di distribuzione e la gestione dell’audizione delle parti ai fini della relativa approvazione non come oggetto specifico di delega ma piuttosto come effetto legale automatico di quella delega o della sua mancanza.

Sicché se delega vi è anche quelle operazioni sono ex lege appannaggio del professionista delegato, in difetto di delega esse restano invece riservate al giudice dell’esecuzione.

La soluzione si presenta, laddove si applica il novellato art. 591 ter, funzionale anche ai fini della semplificazione e ragionevole durata del processo esecutivo, poiché già il reclamo, e poi l’opposizione ex art. 617 c.p.c., sono sottoposti a termine perentorio ed è dunque favorita la stabilizzazione dell’approvazione del progetto.

Nelle procedure pendenti alla data del 28 febbraio 2023 la collocazione degli eventuali vizi a valle del processo esecutivo consente di concludere nel senso che, pur essendo il congegno del doppio reclamo privo, in sé, di capacità stabilizzante, tale capacità è indotta dal fatto che, esauriti i pagamenti, il processo esecutivo si chiude. Ne consegue che o il reclamo contro il verbale che dà atto dell’approvazione del progetto è impugnato prima di questo momento o scatta, pur in assenza di termini perentori, la barriera preclusiva dell’esecuzione dell’atto che, come ampiamente chiarito dalla giurisprudenza, funge da generale barriera contro ogni ulteriore possibilità di rimettere in discussione l’approvazione/chiusura del progetto.

[1] “Il giudice dell’esecuzione (…) delega (…)”: così il c. 1 dell’art. 591 bis c.p.c.

[2] “Il giudice non dispone la delega ove, sentiti i creditori, ravvisi l’esigenza di procedere direttamente alle operazioni di vendita a tutela degli interessi delle parti”, recita il c. 2 dell’art. 591 bis c.p.c.

[3] E non più di revoca, come nel testo previgente. La disposizione che menziona in modo espresso questo complesso di poteri è il c. 13 dell’art. 591 bis c.p.c.

[4] Nel testo previgente l’ipotesi di delega delle operazioni di vendita e quella di gestione diretta da parte del giudice dell’esecuzione erano invece presupposte nel riferimento promiscuo e contestuale operato dal c. 1 tanto al giudice quanto al professionista delegato.

[5] Anche se non ve ne sarebbe stato bisogno appartenendo il controllo costante alla dinamica fisiologica del rapporto tra delegante e delegato. La modifica meglio si comprende, dunque, alla luce dell’opportunità di rendere espressa la prescrizione di sollecita sostituzione del professionista riottoso, laddove la previgente disposizione puntava il faro sul solo profilo della revoca dell’incarico piuttosto che su quello dell’individuazione di un nuovo delegato.

[6] Sul punto v. De Propris, Sottosezione 4.4, Delega delle operazioni di vendita, in La Riforma Cartabia del processo civile. Commento al d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, a cura di Tiscini, Pisa, 2023, 725 ss; Cavuoto, Il ricorso al giudice dell’esecuzione ex art. 591 ter c.p.c. dopo le più recenti riforme (d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149), in corso di stampa in Rass. es. forz., 2023.

[7] L’art. 35, c. 1 del d.lgs. 149/2022, come da ultimo sostituito dall’art. 1, c. 380 della legge 29 dicembre 2022, n. 197, dispone appunto che le modifiche introdotte dall’art. 3, c. 42, lett. b) “hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti”.

[8] Tutte variamente tendenti ad individuare un termine preclusivo per il reclamo, vuoi in applicazione analogica delle disposizioni di cui agli artt. 737 ss o 617 c.p.c., vuoi facendo riferimento alla figura generale della decadenza da esaurimento della fase: v., amplius, la ricognizione effettuatane da Cavuoto, Op. loc. ult. cit., ove anche i relativi riferimenti bibliografici.

[9] Cass. 18 aprile 2011, n. 8864, in Foro it., 2013, I, 1664.

[10] V., ad esempio, Trib. Napoli, 30 novembre 2020, in www.inexecutivis.it, secondo cui “in tema di impugnazione degli atti del professionista delegato alle operazioni di vendita nominato ex art. 591 bis c.p.c., il reclamo al Collegio avverso l’ordinanza con la quale il giudice dell’esecuzione abbia deciso sul ricorso contro un atto del professionista ai sensi dell’art.591 ter c.p.c. è inammissibile od improcedibile qualora il giudice abbia posto in essere l’atto successivo previsto nella sequenza procedimentale di legge, atteso che – trattandosi del controllo su d’una attività meramente ordinatoria – la decisione del Collegio non potrebbe incidere direttamente né sull’attività posta in essere dal professionista delegato (in quanto oramai assorbita dallo sviluppo successivo del procedimento), né sull’atto successivo del giudice dell’esecuzione (in quanto soggetto ad autonoma e necessaria impugnazione con lo strumento dell’opposizione ex art. 617 c.p.c.)”; Trib. Civitavecchia 14 gennaio 2021, n. 46, secondo cui “il decreto di trasferimento, emesso all’esito della attività liquidatoria, potrebbe essere opposto ex art. 617 c.p.c. anche per le ragioni che attengono ai vizi dell’attività delegata sia che tali vizi siano già stati contestati con il rimedio di cui all’art. 591 ter c.p.c. sia che non siano stati oggetto di contestazione.”; Trib. Roma 3 maggio 2023 (inedita) che ha dichiarato la cessazione della materia del contendere, per sopravvenuta carenza di interesse, in un giudizio di reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. avverso il provvedimento reso dal giudice dell’esecuzione ex art. 591 ter c.p.c. per essere medio tempore intervenuto il successivo atto del giudice dell’esecuzione (decreto di trasferimento), unico a poter essere oramai impugnato, e solo ex art. 617 c.p.c.

[11] Cass. 9 maggio 2019, n. 12238, in Riv. dir. proc., 2020, 869, con nota di Abete, L’ordinanza ex artt. 591 ter e 669 terdecies c.p.c.: brevi spunti; in Rass. esecuzione forzata, 2020, 917, con nota di Santagada G., Inammissibilità del ricorso per cassazione avverso l’ordinanza collegiale che decide il reclamo ex art. 591 ter e 669 terdecies c.p.c.: una non condivisibile ricostruzione del sistema dei rimedi esperibili avverso gli atti del professionista delegato.

[12] Cass. 14 luglio 2022, n. 22240; Cass. 9 maggio 2022, n. 14542.

[13] Non sfuggita alla dottrina: v. ancora, per i relativi riferimenti, Cavuoto, Op. loc. ult. cit. e Santagada G., Inammissibilità del ricorso per cassazione avverso l’ordinanza collegiale che decide il reclamo ex artt. 591-ter e 669-terdecies c.p.c.: una non condivisibile ricostruzione del sistema dei rimedi esperibili avverso gli atti del professionista delegato, cit., 2020, 924 ss.

[14] Ed al netto, naturalmente, delle nullità insanabili, idonee in quanto tali ad inficiare autonomamente ogni atto successivo della serie procedimentale sino all’ultimo: v. amplius infra.

[15] La disposizione nasce infatti nel 1998, anno nel quale l’ordinamento sperimenta la delega ai notai delle operazioni di vendita con incanto (in virtù della legge 3 agosto 1998, n. 302, recante appunto “Norme in tema di espropriazione forzata e di atti affidabili ai notai”). Nella stagione di riforme del 2005/2006 l’ambito applicativo viene poi ampliato in termini soggettivi (si allarga la platea dei professionisti delegabili) ed oggettivi (il tipo di vendita e le operazioni delegabili) e l’art. 591 ter c.p.c. assume il seguente tenore: “Quando, nel corso delle operazioni di vendita, insorgono difficoltà, il professionista delegato può rivolgersi al giudice dell’esecuzione, il quale provvede con decreto. Le parti e gli interessati possono proporre reclamo avverso il predetto decreto nonché avverso gli atti del professionista delegato con ricorso allo stesso giudice, il quale provvede con ordinanza; il ricorso non sospende le operazioni di vendita salvo che il giudice, concorrendo gravi motivi, disponga la sospensione. Restano ferme le disposizioni di cui all’articolo 617”.

[16] V. in tal senso, ad esempio, Luiso, I rapporti fra notaio delegato e giudice dell’esecuzione, in Riv. es. forz., 2000, 5 ss, per il quale “(…) se la nullità è fatta valere con il reclamo, si verifica la stessa situazione (…): l’ordinanza con il giudice dell’esecuzione respinge il reclamo, se non opposta, diviene stabile ed impedisce che la nullità si ripercuota sugli atti a valle. Viceversa, se il reclamo non è utilizzato, la nullità rimane rilevante e può essere fatta valere contro l’atto finale, cioè il decreto di trasferimento(…)”.

[17] O restano precluse dall’inutile spirare dei termini per l’opposizione ex art. 617 c.p.c.

[18] Nota giustamente Santagada G., Inammissibilità del ricorso per cassazione avverso l’ordinanza collegiale che decide il reclamo ex artt. 591-ter e 669-terdecies c.p.c.: una non condivisibile ricostruzione del sistema dei rimedi esperibili avverso gli atti del professionista delegato, cit., 938, che l’atto del delegato “(…) potrebbe costituire oggetto, nell’ordine, di: i) un primo vaglio da parte del g.e. in sede di reclamo ex art. 591-ter c.p.c., ii) un secondo controllo da parte del collegio in sede di reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c., quale rimedio impugnatorio esperibile contro l’ordinanza del g.e. che decide il primo reclamo, iii) un ulteriore controllo da parte del giudice dell’opposizione agli atti ex art. 617 c.p.c., proposta contro il decreto di trasferimento e per finire iv) un vaglio di legittimità, in sede di ricorso straordinario ex art. 111, 7° comma, Cost., sempre esperibile contro la sentenza che decide il giudizio di opposizione(…)”.

[19] V., ad esempio, Cass. 6 dicembre 2011, n. 26185. Il coordinamento avverrebbe, stando alla giurisprudenza, in questo senso: i due rimedi sono concorrenti sempre che l’ordinanza (ma le conclusioni sono estensibili al decreto) non abbia trovato esecuzione e i termini per l’opposizione ex art. 617 siano pendenti; resta proponibile solo quest’ultima se l’ordinanza ha ricevuto esecuzione e solo la modifica-revoca ex art. 487 c.p.c. se invece sono spirati i termini per l’opposizione ma l’ordinanza non è stata ancora eseguita; l’ordinanza resta infine intangibile se sono spirati i termini ex art. 617 c.p.c. e ha già trovato esecuzione. V. in proposito le acute considerazioni di Storto, Il potere di revoca delle ordinanze del GE: la Cassazione mette alcuni punti fermi ed evidenzia un contrasto di giurisprudenza, in Corr. Giur., 2003, 902 ss., per una compiuta ricostruzione dei profili critici legati, anche sul piano sistematico, alla tesi della convivenza tra i due rimedi oramai prevalsa in giurisprudenza (come in dottrina). V. altresì, per ulteriori considerazioni, Bina, Sub art. 487, in Commentario del codice di procedura civile a cura di Comoglio, Consolo, Sassani, Vaccarella, Torino, 2013, VI, 249 ss, ove anche ulteriori riferimenti giurisprudenziali.

[20] Con efficacia retroattiva: v. amplius Storto, Il potere di revoca delle ordinanze del GE: la Cassazione mette alcuni punti fermi ed evidenzia un contrasto di giurisprudenza, cit., 905, ove anche opportuni riferimenti al diverso modo di operare della revoca degli atti amministrativi

[21] V., ad esempio, Oriani, voce Opposizione all’esecuzione, in Dig. disc. priv., 1995, 614, ma già Furno, Disegno sistematico delle opposizioni nel processo esecutivo, Firenze, 1942, 122, per il quale la revoca rappresenta «lo strumento più elementare e più flessibile per l’autocorrezione del processo, per l’eliminazione cioè da esso ma attraverso di esso sia di precedenti non erronee ma superate valutazioni di ogni genere – di rito e di merito – sia di errori di apprezzamento sia di nullità”

[22] Il rilievo che negli atti del delegato siano rintracciabili profili di decisorietà è, in effetti, attestato in dottrina: v. in proposito le considerazioni di Santagada G., Inammissibilità del ricorso per cassazione avverso l’ordinanza collegiale che decide il reclamo ex artt. 591-ter e 669-terdecies c.p.c., cit., 932, e di Abete, L’ordinanza ex artt. 591 ter e 669 terdecies c.p.c., cit., 877 ss. Non ritengo però, a differenza di quest’ultimo A. (di cui pure condivido i rilievi in ordine al possibile carattere decisorio degli atti del professionista e delle conseguenti decisioni in esito ad impugnazione ex art. 591 ter c.p.c.) che il punto debole della decisione di legittimità del 2019 stia nella negazione, in sé, della ricorribilità per cassazione ex art. 111, c. 7, Cost, dell’ordinanza resa in sede di reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. Da tale punto di vista infatti nessun vulnus è dato riscontrare per gli interessati posto che nella logica del meccanismo ricostruito dalla Corte la piena tutela si persegue impugnando, ex art. 617 c.p.c. (con conseguente strascico impugnatorio proprio ex art. 111, c. 7 Cost.), il primo atto del giudice previsto dalla legge per vizi derivati. Il punctum dolens sta invece, come rilevo nel testo, nell’aver inopinatamente svuotato di capacità stabilizzante il reclamo.

[23]  Si tratta in particolare dell’art. 3, c. 42, lett. b), del d.lgs. 149/2022, con cui è stata attuata la delega, contenuta nell’art. 1, c. 12, lett. l), della l. 206/2021, attraverso l’integrale sostituzione dell’art. 591 ter c.p.c. (a parte che per la rubrica). La Delega, a sua volta, imponeva di “prevedere un termine di venti giorni per la proposizione del reclamo al giudice dell’esecuzione avverso l’atto del professionista delegato ai sensi dell’art. 591 ter del codice di procedura civile e prevedere che l’ordinanza con cui il giudice dell’esecuzione decide il reclamo possa essere impugnata con l’opposizione di cui all’articolo 617 dello stesso codice.”

[24] Che può anche essere successiva all’atto stesso ed in particolare indotta dal compimento dell’atto successivo della serie procedimentale, caso nel quale la reazione oppositiva andrà agganciata proprio al momento della conoscenza dell’atto successivo: amplius, sul punto Cavuoto, Il ricorso al giudice dell’esecuzione ex art. 591 ter c.p.c., cit.,  anche per i riferimenti alla giurisprudenza di legittimità oscillante intorno all’alternativa tra conoscenza legale e conoscenza di fatto. Ne consegue che chi si oppone oltre il termine di cui all’art. 617, comma 2, c.p.c. lamentando il vizio derivato dall’omessa notifica di un atto presupposto, ha l’onere di provare quando, di fatto, ha avuto conoscenza di tale atto e di quelli conseguenti, posto che l’opposizione è tempestiva solo se proposta nel termine di venti giorni da tale sopravvenuta conoscenza di fatto (così, più o meno testualmente, Cass., 9 maggio 2021, n. 7051; Cass., 27 luglio 2017, n. 18723).

[25] Così Cass. S.U.27 ottobre 1995, n. 11178, seguita da Cass.1settembre 1999, n. 9212 e dalla successiva giurisprudenza, per i cui principali riferimenti v. Capponi, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, Torino, 2020, spec. 130 ss e passim nonché Cass. 6 dicembre 2022, n. 35878 su cui amplius infra, la nota successiva.

[26] Ma pur sempre nel termine perentorio previsto dalla legge, che è quello di venti giorni dal compimento dell’atto o della sua conoscenza previsto tanto per il reclamo contro gli atti del delegato dall’art. 591 ter c.p.c. tanto per l’opposizione agli atti esecutivi contro la successiva ordinanza. Su questi profili si sofferma, da ultimo ed in riferimento specifico all’opposizione agli atti esecutivi, Cass. 6 dicembre 2022, n. 35878, la quale ribadisce, sulla scia di Cass. 15 luglio 2016, n. 14449, che “va escluso in radice che si possa ipotizzare una opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell’art. 617 c.p.c. del tutto svincolata dal termine perentorio che la disposizione prevede, e cioè senza termini”. Precisa in particolare la Corte che “Alla luce di questo fondamentale principio devono essere lette le decisioni che – in presenza di determinati difetti degli atti del processo esecutivo o comunque di situazioni invalidanti che si risolvono in nullita’ non sanabili – hanno ammesso la rilevabilita’ del vizio con l’opposizione ex  art. 617 c.p.c. anche dopo il decorso del termine decadenziale. Tali situazioni – di per se’ considerate gravi ed eccezionali (Cass., Sez. III, Sentenza n. 14449 del 15 luglio 2016, si riferisce al difetto dello ius postulandi o della rappresentanza o della capacita’ di agire; Cass., Sez. VI-3, Ordinanza n. 21379 del 15 settembre 2017, Rv. 645708-01, e Cass., Sez. VI-3, Ordinanza n. 10945 del 08 maggio 2018, Rv. 648540-01, riguardano la nullita’ del pignoramento immobiliare per mancata o incompleta identificazione del bene staggito; Cass., Sez. III, Sentenza n. 2043 del 27 gennaio 2017, concerne l’ipotesi di giuridica inesistenza del soggetto nei cui confronti e’ stato eseguito il pignoramento) – non implicano affatto la facolta’ di esperire l’opposizione agli atti esecutivi senza il rispetto del termine prescritto, bensi’ la possibilita’, per il giudice dell’esecuzione, di rilevare ex officio (eventualmente su istanza ex art. 486 c.p.c.) un vizio determinante l’improseguibilita’ dell’esecuzione e quella, per la parte interessata, di impiegare il rimedio ex art. 617 c.p.c. per i successivi atti del processo esecutivo in cui il vizio insanabile si riproduca, ma pur sempre nel termine perentorio decorrente dal giorno in cui essi siano compiuti o conosciuti e, comunque, entro gli sbarramenti preclusivi correlati alla conclusione delle singole fasi del processo (Cass., Sez. U, Sentenza n. 11178 del 27 ottobre 1995, Rv. 494405-01)”. In dottrina sono stati avanzati anche altri esempi di rilevabilità d’ufficio di vizi particolarmente gravi perché in grado di inficiare di nullità insanabile il decreto di trasferimento, come la completa omissione delle formalità pubblicitarie prescritte nell’ordinanza di vendita: v., in tal senso, D’Alonzo, La nuova disciplina dell’esecuzione forzata. Considerazioni a prima lettura, in Riv. es. forz., 2022, 1, 12, nonché Auletta A., Il ricorso al G.E secondo la novellata disciplina di cui all’art. 591 ter  c.p.c.: una prima lettura.

[27] Cavuoto, Il ricorso al giudice dell’esecuzione ex art. 591 ter c.p.c., cit.

[28] In virtù del richiamo operato (in riferimento alla delega ed agli atti conseguenti) all’art. 591 bis c.p.c. in quanto compatibile (come è da ritenere, mi sembra, nel caso di specie) da parte dell’art. 534 bis c.p.c.

[29] A partire da Cass. 9 maggio 2019, n. 12238 cit., che sul presupposto che le difficoltà in discorso sarebbero solo di carattere materiale -operativo ha fondato la ricostruzione del sistema di controlli ex art.591 ter c.p.c. previgente in termini sostanzialmente privi di carattere preclusivo delle contestazioni suo tramite sollevate. Ma l’argomento ritorna anche nelle sentenze successive: v. ad esempio, per un accenno in tal senso, Cass. 9 maggio 2022, n. 14542, cit. Diversamente si è invece orientata la dottrina che, sulla base di un dettato normativo generico (e non limitato al carattere solo materiale), ha preferito annoverare tra le difficoltà anche quelle di carattere giuridico, in particolare riguardanti l’esegesi delle disposizioni applicabili alle attività delegate e condizionanti le relative scelte operative: v., ad esempio, e senza pretese di completezza, Bove, La liquidazione forzata, in Balena e Bove, Le riforme più recenti del processo civile, Bari, 2006, 239 e già Oriani, Il regime degli atti del notaio delegato alle operazioni di vendita nell’espropriazione immobiliare (art. 591 ter c.p.c.), in Foro it., 1998, V, spec. 402.

[30] Cavuoto, Op. loc. ult. cit.

[31] La platea degli interessati al reclamo diversi dalle parti del processo esecutivo va ricostruita avvalendosi della giurisprudenza consolidatasi in tema di opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. In particolare (Cass. 10 ottobre 1996, n. 8857, ripresa da Cass. 7 febbraio 2022, n. 1653) occorre che vi sia, nel caso concreto, sia un  collegamento processuale tra la posizione del terzo e le attività svolte nel procedimento di espropriazione che uno specifico e concreto pregiudizio sostanziale derivante dal vizio denunciato.  Il che porta a concludere che l’interessato diverso dalle parti è tendenzialmente colui che ha presentato una offerta che possa giudicarsi valida, altrimenti nessun vantaggio egli ricaverebbe dall’accoglimento dell’opposizione. Secondo Auletta A.,  Il ricorso al G.E secondo la novellata disciplina di cui all’art. 591 ter  c.p.c.:, cit., “Laddove si faccia questione della illegittimità dell’aggiudicazione a chi abbia presentato una c.d. offerta minima, l’offerente escluso dovrà, in alternativa: a) dimostrare di aver presentato una offerta valida (e quindi illegittimamente esclusa); b) che ricorrevano i presupposti (invero particolarmente stringenti) per disporre la ripetizione dell’esperimento di vendita (come disciplinati dall’art. 572 c.p.c.). In definitiva, una diversa (e più ampia) perimetrazione dell’ambito dei soggetti legittimati porterebbe alla vanificazione della ratio del rimedio, per come riformato, e quindi a trasformare lo stesso in una sorta di strumento di controllo democratico della legittimità degli atti del procedimento di vendita”.

[32] Contra Cavuoto, Il ricorso al giudice dell’esecuzione ex art. 591 ter c.p.c. , cit., proprio facendo leva su questa circostanza.

[33] A mente di tale ultima disposizione la mancata comparizione per la discussione sul progetto di distribuzione “innanzi al professionista delegato o all’udienza innanzi al giudice dell’esecuzione” nel caso di gestione diretta da parte sua, importa approvazione del progetto.