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Il consulente tecnico di parte. Funzione e regime delle spese
Di Luca Di Pietro Paolo -
Sommario:1. Il caso di specie e lo svolgimento del giudizio di merito – 2. La decisione della Corte di cassazione – 3. La funzione del c.t.p. nel processo civile – 4. Il regime delle spese per l’attività espletata dal c.t.p. – 5. L’orientamento della Suprema Corte in merito alla refusione delle spese stragiudiziali – 6. Considerazioni conclusive.
Corte di cassazione, Sezione III – 15 ottobre 2024 n. 26729 – Pres. Frasca – Est. Moscarini
Le spese della consulenza di parte, la quale ha natura di allegazione difensiva, vanno comprese fra le spese processuali al cui rimborso la parte vittoriosa ha diritto, sempre che il giudice non ne rilevi l’eccessività o la superfluità, ai sensi del primo comma dell’art. 92 c.p.c. Le forme per attivare la ripetizione sono quelle della nota delle spese che il difensore deve unire al fascicolo di parte al momento del passaggio in decisione della causa
Le spese di assistenza legale stragiudiziale, diversamente da quelle giudiziali vere e proprie, hanno natura di danno emergente e la loro liquidazione, pur dovendo avvenire nel rispetto delle tariffe forensi, è soggetta agli oneri di domanda, allegazione e prova secondo le ordinarie scansioni processuali
1.Il caso di specie e lo svolgimento del giudizio di merito
La Corte di cassazione è stata recentemente chiamata a pronunciarsi su una controversia in materia di responsabilità extracontrattuale, in cui la parte vittoriosa ha lamentato il mancato rimborso delle spese sostenute per l’assistenza stragiudiziale svolta ante causam e per l’attività del c.t.p (consulente medico legale) svolta in giudizio.
Nel caso in esame, un ciclista ha dichiarato di essere stato investito da un’autovettura subendo gravi danni personali e, di conseguenza, ha citato in giudizio il proprietario, il conducente e l’assicurazione del veicolo coinvolto nel sinistro, al fine di ottenere il risarcimento dei danni patiti.
Il giudice di prime cure ha disposto una c.t.u. medico-legale, per accertare le condizioni del danneggiato e una consulenza contabile, per determinare l’ammontare del danno patrimoniale tenuto conto dell’indennizzo per danni in itinere erogato dall’INAIL.
La responsabilità del sinistro è stata attribuita per il 60% al ciclista e per il restante 40% al conducente. Infatti, dalle risultanze istruttorie è emerso quanto segue: il ciclista aveva attraversato la strada senza prestare attenzione alle vetture provenienti dalla sua destra, mentre il conducente dell’autovettura aveva mancato di adottare le necessarie cautele, nonostante avesse visto il ciclista prima dell’incidente.
Di conseguenza, i convenuti sono stati condannati a risarcire il danno non patrimoniale al danneggiato detratto l’acconto INAIL, relativo alla percentuale di responsabilità.
Il danneggiato ha proposto appello chiedendo di accertare una diversa dinamica del sinistro.
In particolare, stando alle argomentazioni del danneggiato, dalle prove documentali, dalla c.t.u. e dalle dichiarazioni del danneggiante, il giudice avrebbe dovuto ricostruire la dinamica di un tamponamento ai suoi danni, piuttosto che inquadrarla in un’investitura laterale.
Inoltre, l’appellante ha lamentato la mancata personalizzazione del danno non patrimoniale e la mancata liquidazione del danno morale accertati dalla c.t.u., nonché il mancato riconoscimento del danno patrimoniale, pur avendo il c.t.u. riconosciuto la perdita della capacità lavorativa specifica e provata la riduzione del reddito a seguito del demansionamento. L’appellante ha lamentato anche l’errata quantificazione del danno differenziale, la violazione delle regole sull’onere della prova per avere il giudice immotivatamente scelto di disattendere le risultanze della c.t.u. medico-legale e di quella contabile, nonché il mancato riconoscimento delle competenze legali per l’attività stragiudiziale e per le competenze del c.t.p.
La compagnia di assicurazioni, invece, ha proposto appello incidentale per ottenere la detrazione dal dovuto di una maggiore somma erogata dall’INAIL.
La Corte d’Appello di Milano ha accolto l’appello incidentale e rigettato l’appello principale compensando le spese.
Avverso la prefata pronuncia il danneggiato ha proposto ricorso per cassazione sulla base di otto motivi.
Ciò che interessa ai fini dell’analisi della pronuncia in esame è l’ottavo motivo con il quale il ricorrente ha lamentato il mancato riconoscimento del rimborso delle spese assunte per l’assistenza stragiudiziale, nonché per l’attività svolta dal c.t.p. nominato[1].
Si precisa che il ricorrente ha prodotto nel giudizio di merito la notula del legale per l’attività stragiudiziale ante causam e il deposito delle competenze del c.t.p. medico-legale.
Al riguardo, la Corte d’Appello ha ritenuto che «per le spese stragiudiziali non vi è prova dell’effettivo pagamento effettuato dall’appellante, non essendo sufficiente la mera fattura a provarne il successivo pagamento … Le spese di c.t.p. devono parimenti restare a carico della parte essendo stata una libera scelta di quest’ultima nominare un consulente di parte».
2.La decisione della Corte di cassazione
La Suprema Corte ha ritenuto infondato l’ottavo motivo di ricorso relativamente alla refusione delle spese stragiudiziali e fondato riguardo al rimborso delle spese di c.t.p. In particolare, per quanto attiene al rimborso delle spese di c.t.p., la cassazione ha ritenuto errata la valutazione effettuata dalla Corte d’Appello, affermando il carattere pacifico del diritto alla ripetizione degli onorari del c.t.p., di cui la parte vittoriosa si era fatta carico[2]. Inoltre, la Corte ha riconosciuto la natura processuale di tali spese e ha precisato che la parte vittoriosa ne ha diritto ogniqualvolta esse non siano ritenute eccessive o superflue ai sensi dell’art. 92 c.p.c.[3].
Pertanto, il collegio ha ritenuto sufficiente la produzione della notula a giustificare la debenza della somma indicata[4].
Invece, per quanto concerne le spese stragiudiziali, è stato richiamato il precedente orientamento delle Sezioni Unite secondo cui tali spese, a differenza di quelle giudiziali, hanno natura di danno emergente, ragion per cui «la loro liquidazione, pur dovendo avvenire nel rispetto delle tariffe forensi, è soggetta agli oneri della domanda, allegazione e prova secondo le ordinarie scansioni processuali»[5].
Pertanto, il collegio adito ha ritenuto insufficiente la produzione della mera fattura per l’attività stragiudiziale svolta dal legale e della notula spese del c.t.p., sempre esclusivamente in relazione all’attività stragiudiziale, in mancanza della prova dell’effettivo del pagamento.
3.La funzione del c.t.p. nel processo civile
Per un’analisi accurata della pronuncia in esame, è necessario dapprima soffermarsi sulla funzione del c.t.p. nel processo civile.
L’analisi della predetta funzione muove necessariamente dall’art. 87 c.p.c. a tenore del quale “la parte può farsi assistere da uno o più avvocati e anche da un consulente tecnico nei casi e con i modi stabiliti nel presente Codice“.
Appare significativa la scelta del legislatore di accostare la figura del c.t.p. a quella dell’avvocato, nonostante la prima contempli un’attivà distinta dalla rappresentanza legale[6].
Il c.t.p. può essere definito quale soggetto ausiliario tecnico della parte[7] che compone assieme al legale nominato il «collegio difensivo del soggetto incaricante»[8].
La funzione del c.t.p. è, quindi, strettamente legata al diritto di difesa ex art. 24 Cost. ed all’attuazione del principio del contraddittorio[9].
Come il giudice ha la facoltà di incaricare un ausiliario, per la risoluzione di una determinata questione tecnica[10], allo stesso modo la parte ha la facoltà di nominare un proprio consulente, al fine di partecipare alle operazioni peritali e replicare ai rilievi del c.t.u.
Esiste una stretta connessione tra queste due figure, in quanto la nomina di un c.t.p. è possibile solo se il giudice ha previamente disposto una consulenza tecnica d’ufficio.
Quanto detto si evince dal dettato normativo dell’art. 201, co. 1, c.p.c. ai sensi del quale “Il giudice istruttore, con l’ordinanza di nomina del consulente, assegna alle parti un termine entro il quale possono depositare la dichiarazione di nomina di un loro consulente tecnico[11]”[12].
A tal proposito, è opportuno sottolineare in primo luogo come la nomina del c.t.p. rappresenti una facoltà per la parte interessata e non un obbligo[13].
In secondo luogo, è tralatizio che il termine per la nomina dei consulenti assegnato dal giudice non è perentorio[14] e, dunque, la parte può nominare il consulente anche successivamente all’inizio delle indagini[15].
Dal momento della nomina il consulente ha il diritto di (a) assistere alle operazioni peritali di cui deve essere informato; (b) partecipare alle udienze e alla camera di consiglio a cui partecipi il c.t.u.; (c) presentare al c.t.u., sia a voce che per iscritto, osservazioni e/o istanze prima del deposito della relazione peritale; (d) predisporre le c.d. “note critiche” alla relazione peritale[16].
Più arduo è, tuttavia, stabilire il momento ultimo entro il quale la parte può nominare il proprio consulente.
Ad oggi, si ritiene che la parte possa nominare il proprio consulente al più tardi entro il termine per osservazioni alla bozza del c.t.u., vale a dire, fin quando vi sia attività utile da svolgere[17].
Infatti, sebbene sia vero che il c.t.p. può partecipare anche all’udienza in camera di consiglio, in caso di convocazione del c.t.u., si tratta pur sempre di un’attività accessoria che non giustifica una nomina “tardiva”[18].
È d’uopo, infine, rilevare come le osservazioni del c.t.p. costituiscano mere allegazioni difensive[19] e, pertanto, il giudice che esprime un convincimento ad esse contrario non è tenuto a confutarne il contenuto[20], ben potendo aderire alla diversa posizione espressa in seno alla consulenza tecnica d’ufficio.
In altre parole, la giurisprudenza rileva come il giudice sia esente da detta confutazione nel caso in cui il c.t.u. abbia dato atto nel proprio elaborato finale delle considerazioni del c.t.p., prendendo le distanze e confutandole[21]; al contrario, qualora le osservazioni del c.t.p. siano precise e puntuali ed il c.t.u. non si sia fatto carico, nell’ambito di un esame dialogico, di esaminarle e confutarle, un richiamo acritico alle conclusioni del consulente da parte del decidente comporterebbe un vizio di motivazione[22].
4.Il regime delle spese per l’attività espletata dal c.t.p.
Dall’analisi che precede emerge chiaramente la centralità della figura del c.t.p. nello svolgimento delle operazioni peritali.
Questi è a tutti gli effetti un ausiliario tecnico, la cui nomina è coessenziale all’esercizio del diritto di difesa costituzionalmente garantito.
È, pertanto, fisiologico ricondurre le spese sostenute dalla parte nel novero delle spese processuali ex art. 91 c.p.c. ss[23].
È evidente che se così non fosse (e dunque se i costi rimanessero in capo alla parte che lo ha nominato) verrebbe violato il fondamentale principio secondo cui la necessità di agire o difendersi in giudizio non può recare danno alla parte vittoriosa[24].
Tuttavia, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., la parte vittoriosa nel giudizio avrà diritto alla refusione delle spese del c.t.p.[25] a meno che il decidente non ne rilevi l’eccessività o la superfluità[26].
Nonostante la vaghezza della disposizione[27] – che conferisce senz’altro un ampio potere discrezionale al giudice[28] – è possibile attribuire un significato concreto a tali generiche espressioni.
Sono “spese superflue” quegli esborsi sostenuti dalla parte che non risultano indispensabili, o quantomeno utili, al raggiungimento dello scopo perseguito nel giudizio[29].
Si possono, invece, considerare “spese eccessive” ( o parzialmente superflue) quegli esborsi che, pur derivando da atti necessari per le finalità difensive, risultano sproporzionati ed esorbitanti rispetto allo scopo perseguito[30].
La distinzione tra le due tipologie di spese non è prettamente teorica, ma ha anche rilevanti implicazioni pratiche. Infatti, per la prima categoria di spese la ripetibilità è esclusa, mentre per la seconda categoria è, invece, ridotta e circoscritta all’interno di una dimensione economica appropriata[31].
La valutazione di superfluità o eccessività deve essere fatta al momento in cui viene effettuata la spesa (ex ante), non alla luce della decisione giudiziale (ex post)[32]. Se così non fosse sarebbero considerate superflue tutte le spese per attività non valutate dal giudice in sentenza.
In merito alle modalità di richiesta delle spese di consulenza di parte, le già menzionate Sezioni Unite del 2017, richiamando l’art. 75 disp att. c.p.c., hanno chiarito come la notula spese sia sufficiente a giustificare la debenza della somma indicata.
In relazione, invece, alla tempestività della richiesta il difensore deve unire la nota spese al fascicolo di parte al momento del passaggio in decisione della causa[33].
Tuttavia, non tutte le spese sostenute per il consulente tecnico di parte sono considerate spese giudiziali. Non rientrano in tale categoria le spese relative ad attività svolte al di fuori del contesto processuale, quali consulenze precontenziose o stragiudiziali.
5.L’orientamento della Suprema Corte in merito alla refusione delle spese stragiudiziali
Nel caso in esame, la Suprema Corte ha ritenuto che la mera fattura del legale e la notula delle competenze del c.t.p. (per attività non strettamente processuali) non siano sufficienti a dimostrare l’effettività dell’esborso e che, pertanto, non giustifichino il rimborso di tali spese.
L’ attività stragiudiziale, seppur svolta da un c.t.p. o finanche dallo stesso difensore, è qualcosa di “intrinsecamente diverso”[34] rispetto quella giudiziale e, di conseguenza, soggiace a regole diverse.
Infatti, è stato più volte chiarito dalla giurisprudenza[35] che le spese stragiudiziali rientrano nella nozione di danno emergente, voce risarcitoria che non solo deve essere dedotta tempestivamente in giudizio, ma richiede anche una specifica evidenza sia in merito all’anche al quantum debeatur.
Tali spese, dunque, non possono essere considerate in rebus ipsis, ma devono essere valutate in relazione al principio di utilità, necessità e congruità.
È quindi necessario dimostrare non solo l’effettività dell’esborso secondo le normali scansioni processuali, ma anche la sua concreta utilità per evitare il giudizio o, quanto meno, per garantire una tutela più celere risolvendo problemi tecnici di notevole complessità[36].
La Cassazione chiarisce che l’utilità di tale esborso, ai fini della possibilità di addebitarlo al danneggiante, deve essere valutata ex ante, ovvero considerando ciò che poteva ragionevolmente essere previsto come esito futuro del giudizio[37].
6.Considerazioni conclusive
In conclusione, chi scrive ritiene che la decisione oggetto di analisi sia ineccepibile e coerente con i precedenti, anche a Sezioni Unite, della medesima Corte di cassazione.
Tale pronuncia illustra in dettaglio il diverso regime tra le spese processuali e quelle relative alle attività stragiudiziali.
La prima tipologia di spese è sempre dovuta alla parte vittoriosa in giudizio a meno che, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., il giudice non ne rilevi la superfluità o l’eccessività. La seconda tipologia di spese, differentemente, ha natura di danno emergente e la sua liquidazione, è soggetta agli oneri di domanda, allegazione e prova secondo le ordinarie scansioni processuali.
Al riguardo, il rimborso delle spese del consulente di parte non può che rientrare nelle spese processuali, a meno che non si tratti di attività svolta al di fuori del giudizio (es. perizia stragiudiziale) il che orienta, giocoforza, per la diversa soluzione.
Il perito, infatti, al pari dell’avvocato, riveste un ruolo centrale nella difesa tecnica della parte ed è una figura di fondamentale importanza a tutela del diritto di difesa ex art. 24 Cost e l’attuazione del principio del contraddittorio, poiché a fronte dell’esigenza manifestata dal giudice di potersi avvalere di un consulente tecnico d’ufficio, le parti devono poter nominare dei soggetti dotati di analoghe competenze e che gli facciano da contraltare.
Al c.t.u. non potrà essere rimessa l’autonoma e solitaria valutazione degli aspetti posti a base dei quesiti ricevuti dal giudice, ma a cui, al contrario, sarà richiesto di esprimere una valutazione frutto del confronto (contraddittorio) con i consulenti di parte.
La distinzione tra queste due figure risiede nel fatto che il difensore assiste la parte offrendo la sua rappresentanza giuridica, mentre il consulente tecnico di parte fornisce assistenza esclusivamente in ambito tecnico-specialistico relativo alla sua area di competenza.
È evidente che, rientrando i compensi del consulente nel novero delle spese giudiziali, parte vincitrice è maggiormente tutelata, in quanto è assolta dall’onere di dover provare l’effettivo esborso, nonché di dimostrarne utilità, necessità e congruità, salva la possibilità per il decidente di rilevarne la superfluità o eccessività.
[1] Più nel dettaglio la parte ha lamentato la «Violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. in relazione agli artt. 2043 – 2056 c.c. e 91 c.p.c. nonché agli artt. 24 e 111 Cost. per mancato riconoscimento in favore del … del rimborso delle spese da lui assunte per l’assistenza stragiudiziale svolta ante causam e per l’attività del Consulente Tecnico Medico legale nominato del … nel proprio interesse».
[2] Al riguardo, la cassazione ha ritenuto che «Quanto alle spese per l’assistenza in giudizio da parte di un esperto è tralatizio, invece, il principio secondo cui sono ripetibili dalla parte vittoriosa gli onorari del consulente tecnico da essa assunto (Cass. n. 1626 del 1965; conf. n. 625 del 1972)».
[3] La pronuncia richiama i precedenti «Cass. n. 3716 del 11/06/1980: conf. Cass. n. 10173 del 2015, n. 84 del 2013, n. 6056 del 1990, n. 625 del 1972, n. 1626 del 1965».
[4] La Corte ha, infatti, ritenuto errata l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui «le spese di CTP devono parimenti restare a carico della parte essendo stata una libera scelta di quest’ultima nominare un consulente di parte».
[5] Cass., S.U., 10 luglio 2017, n. 16990. Al riguardo v. anche Cass. 13 marzo 2017, n, 6422, secondo cui la spesa sostenuta per l’attività stragiudiziale è risarcibile se può essere ritenuta l’utilità di tale esborso sulla base di una valutazione ex ante, cioè in vista di quello che poteva ragionevolmente presumersi essere l’esito futuro del giudizio.
[6] Al riguardo v., B. Rados, P. Giannini, La consulenza tecnica nel processo civile, Milano, 2013, p. 52. L’A. ritiene che il giudice debba operare una trasposizione del sapere scientifico nel più ampio alveo della logica-giuridica, finendo i due schemi nel coincidere nella globale valutazione finale. Da tale considerazione si evince come la figura del c.t.p. rivesta un ruolo non dissimile da quello dell’avvocato, ma mentre il primo opera esclusivamente nel campo del sapere scientifico, il secondo in quello più ampio della rappresentanza legale.
[7] Si v. M. Rossetti, Il C.T.U («l’occhiale del giudice»), Milano, 2012, p. 272, secondo cui Il c.t.p. rappresenta uno dei poli della dialettica processuale, relativamente alle indagini tecniche affidate al c.t.u.
[8] Così M. Bove, Il consulente tecnico di parte, in “La consulenza tecnica d’ufficio, funzione, oggetto e sindacabilità” a cura di S. Patti e R. Poli, Torino, 2024, p. 97.
[9] Al riguardo, V. Ansanelli, La consulenza tecnica nel processo civile, Milano, 2011, p. 242, definisce i c.t.p. soggetti «professionalmente qualificati nella materia oggetto di consulenza tecnica d’ufficio, considerati alla stregua di “difensori tecnici” con la specifica funzione di assistere le parti nell’integrazione – sotto il profilo tecnico-specialistico – delle proprie attività di difesa».
[10] L’art. 61 c.p.c. stabilisce che “Quando è necessario, il giudice può farsi assistere, per il compimento di singoli atti o per tutto il processo, da uno o più consulenti di particolare competenza tecnica”. Al riguardo M. Bove, op. cit., p. 99, ritiene che il giudice possa nominare un «c.t.u. solo quando egli deve utilizzare conoscenze che, non solo non possiede, ma per così dire può permettersi di non possedere» poiché «al giudice è istituzionalmente richiesto un duplice ordine di conoscenze generali: quelle tecniche relative alla scienza giuridica e quelle non tecniche che appartengono alla cultura dell’uomo medio che vive in una comunità in un certo momento storico».
[11] Seppur l’art. 201 c.p.c. faccia testualmente riferimento ad “un consulente tecnico” utilizzando il singolare, non v’è dubbio che la parte abbia la facoltà di nominare più consulenti tecnici. È possibile, infatti, che la consulenza investa più rami del sapere e che il c.t.p. non ritenga di avere sufficienti competenze tecniche in una determinata materia.
[12] In passato è stata sollevata dinnanzi alla Corte costituzionale questione di incostituzionalità dell’art. 201 c.p.c. per violazione degli art. 3 e 24. Cost., nella parte in cui la norma non consente alla parte di nominare un consulente di parte, allorché non sia stata disposta una c.t.u. La Corte. Cost., 13 aprile 1995, n. 124, ha ritenuto la questione infondata dato che «le consulenze di parte, pur inerendo all’istruzione probatoria, non costituiscono mezzi di prova ma semplici allegazioni difensive a contenuto tecnico, prive di autonomo valore probatorio; che coerentemente, dunque, la norma impugnata autorizza la nomina dei consulenti tecnici di parte solo nel caso di nomina del consulente tecnico d’ufficio, le cui funzioni parimenti sono preordinate, non ad accertare fatti rilevanti ai fini della decisione, bensì ad acquisire elementi di valutazione ovvero a ricostruire circostanze attraverso una specifica preparazione, a scopo di controllo sugli elementi di prova forniti dalle parti e in funzione ausiliaria del giudice; che peraltro rimane sempre salva la possibilità di produrre in causa perizie stragiudiziali, integranti anch’esse semplici mezzi di difesa come le deduzioni e argomentazioni dell’avvocato».
[13] Così, M. Rossetti, op. cit., p. 273. L’A. ritiene che sia logico che in caso di omessa nomina del c.t.p. sia consentito al difensore muovere osservazioni critiche relativamente all’elaborato del c.t.u., come confermato dalla Cass., sez. l., 23 febbraio 1994, n. 1811, tuttavia, non sono mancate pronunce di segno opposto. Al riguardo v. anche C. Piccoli, A. Sarteanesi, Il ruolo del CTU e CTP nelle nuove professioni sanitarie, Milano, 2020, p. 361 ss. secondo cui – seppure la nomina del c.t.p. non sia un obbligo per la parte, bensì una mera facoltà al fine di arricchire le proprie allegazioni difensive – è altamente sconsigliabile non avvalersi di tale facoltà specialmente nell’ambito della responsabilità sanitaria.
[14]Ex plurimis Cass. 4 dicembre 2014, n. 25662; Cass. 19 agosto 1964, n. 2337.
[15] Si v. N. Picardi, Commento al codice di procedura civile, a cura di R. Vaccarella, Milano, 2021, p. 1592.
[18] Così G. Franchi, La perizia civile, Padova, 1959, p. 348. Al riguardo, M. Bove, op. cit., p. 112, ritiene che se il contradditorio non si sia svolto per negligenza di una parte, questa « non può poi recuperare un’attività che aveva non solo il diritto, ma anche l’onere di svolgere».
[19] M. Bove, op. cit., p. 118, ad avviso dell’A., infatti, sarebbe più preciso parlare di “argomentazioni tecniche”, in quanto possono essere implicitamente disattese.
[20]Ex plurimis Cass. 9 aprile 2021, n. 9483; Cass. 6 agosto 2015, n. 16552; Cass. 18 aprile 2001, n. 5687.
[24] Al riguardo v. F. P. Luiso, Diritto processuale civile, I, Milano, 2024, p. 434. L’A. evidenza che se l’attore per vedersi concessa la tutela richiesta (o simmetricamente il convenuto per il rigetto della domanda) devesse subire l’esborso di determinate somme, non godrebbe di un effettivo diritto di difesa.
[25]Ex plurimis Cass., S.U., 10 luglio 2017, n. 16990; Cass. 11 marzo 2015, n. 10173; Cass. 11 giugno 1980, n. 3716.
[26] Al riguardo, F. Lazzaro, M. Di Marzio, Le spese nel processo civile, Milano, 2010, p. 800, osserva come l’esclusione delle spese ritenute superflue o eccessive si pone in correlazione con la natura compensativa delle spese di lite e non con quella sanzionatoria, dato che la corresponsione di spese eccessive o superflue comporterebbe un arricchimento ingiustificato del vincitore ai danni del soccombente.
[27] G. Scarselli, Le spese giudiziali civili, Milano, 1998, p. 229, ritiene che «si tratta, infatti, di una espressione volutamente elastica, usata dal legislatore proprio per attribuire, nella determinazione dei casi, una certa libertà discrezionale al giudice, libertà che, ove fosse oltre misura compressa dalle indicazioni dell’esegeta, non sarebbe più tale».
[28] La decisione del giudice in merito alla superfluità o eccessività è insindacabile in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui alla base della motivazione vengano poste illogiche o contraddittorie ragioni.
[34] Cass., 4 novembre 2020, n. 24481; Cass., S.U., 10 luglio 2017, n. 16990.
[35] Al riguardo v. S. Argine, Utili (e definitivi) chiarimenti della Suprema Corte in tema di spese di assistenza stragiudiziale, in Danno e responsabilità, n. 4, 2018, p. 491 ss.
[36] Ne è un perfetto esempio, in tema di RCA, la Cass. 14 febbraio 2019, n. 4306, la quale ha ribadito il costante orientamento della Suprema Corte, secondo cui sono dovute le spese di assistenza legale sostenute dalla vittima solo nel caso in cui il sinistro presentava particolari problemi giuridici, ovvero quando essa non abbia ricevuto la dovuta assistenza tecnica e informativa dal proprio assicuratore.