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Il mutamento della domanda in tema di risarcimento del danno da sinistro stradale
Di Luca Di Pietro Paolo -
Sommario: 1. Il caso di specie e la posizione della Cassazione – 2. Le preclusioni nel giudizio di primo grado. Il binomio mutatio ed emendatio libelli – 3. La modificazione della domanda in appello – 4. Analisi della decisione e principio di acquisizione processuale – 5. Conclusioni.
Corte di Cassazione, Sezione III – 16 Maggio 2024, n. 13622 – Pres. Frasca – Est. Rossello
Rivendicare il diritto sulla base della dinamica accertata dal C.T.U. non implica una modifica della domanda in violazione delle preclusioni, ma solo l’invocazione del principio di acquisizione processuale per giustificare il petitum, salvo che l’invocazione non si risolva nell’avvalimento di una fattispecie costitutiva di un bene della vita diverso, dove la diversità sussiste ove muti il profilo temporale, di luogo ed i soggetti.
1.Il caso di specie e la posizione della Cassazione
La Corte di cassazione è stata recentemente chiamata a dirimere una controversia, in ambito di risarcimento del danno da sinistro stradale, concernente la modifica di domanda processuale a seguito dell’acquisizione di consulenza tecnica d’ufficio.
Nel caso de quo, il conducente di un motoveicolo citava in giudizio dinnanzi al Tribunale di Bergamo la proprietaria di altra autovettura e la società assicurativa per ottenere il risarcimento di tutti i danni subiti a causa del sinistro.
Più nello specifico, parte attrice lamentava che mentre procedeva alla guida della sua motovettura veniva urtata dall’autovettura di controparte proveniente da un’area laterale di sosta.
Nella fase istruttoria veniva espletata la consulenza cinematica e medico legale.
La domanda attorea veniva rigettata e la decisione veniva, pertanto, impugnata da parte attrice.
Tuttavia, la Corte d’Appello confermava la decisione del tribunale, adducendo la divergenza tra la dinamica del sinistro emersa dalla perizia del CTU e quella descritta dall’appellante in primo grado; la Corte riteneva, altresì, inammissibile la modificazione dei fatti costitutivi avvenuta tardivamente nella comparsa conclusionale di primo grado.
Pertanto, la parte soccombente proponeva ricorso per Cassazione lamentando l’insussistenza di mutatio libelli tra domanda introduttiva e comparsa conclusionale.
Il ricorso è stato ritenuto fondato. La S.C. ha, infatti, chiarito che la modifica della domanda non è dovuta alle allegazioni del ricorrente, ma è piuttosto conseguenza delle risultanze istruttorie (i.e. alla perizia del CTU) poste a sostegno dell’obbligazione risarcitoria, della quale sono rimasti immutati i soggetti, nonché le circostanze di tempo e di luogo.
2. Le preclusioni nel giudizio di primo grado. Il binomio mutatio ed emendatio libelli
Al fine di un’accurata analisi della pronuncia in questione è necessario soffermarsi preliminarmente sul regime delle preclusioni, nonché sulla differenza che intercorre tra mutatio ed emendatio libelli.
L’art. 163 c.p.c. stabilisce ai nn. 3-4 che l’atto di citazione deve contenere “la determinazione della cosa oggetto della domanda” e “l’esposizione in modo chiaro e specifico[1] dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni”.
Il convenuto, invece, ai sensi dell’art. 167 c.p.c. deve proporre le eventuali domande riconvenzionali, a pena di decadenza, nella comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata.
Secondo la dottrina tradizionale, da tali imposizioni discenderebbe l’onere in capo alle parti di proporre tutte le domande sin dalla fase introduttiva del giudizio[2].
Tale regola, tuttavia, non è mai sottoposta ad un’interpretazione troppo rigida, data la necessità di preservare la dinamicità del processo e di garantire un ordinato svolgimento dello stesso[3]. Invero, “un ordinamento che non consentisse di reagire alle attività altrui attraverso l’esercizio di poteri speculari, sarebbe irrimediabilmente in contrasto con la garanzia costituzionale dell’art. 24 Cost”[4].
Pertanto, risultano giocoforza sottratte al regime delle preclusioni tutte le domande nuove discendenti dall’attuazione del principio del contraddittorio.
Ciò è confermato dalla memoria integrativa ex art. 171-ter, n. 1, c.p.c.[5], la quale consente all’attore – a seguito di contestazione dell’esistenza del diritto pregiudiziale o di introduzione di una domanda riconvenzionale da parte del convenuto – di proporre la cd. reconventiorecoventionis.
L’art. 171-ter, n. 1, c.p.c., tuttavia, non si limita a garantire l’attuazione del principio del contraddittorio fornendo un potere di “reazione” alle avverse difese, ma consente alle parti, in ogni caso e a prescindere dallo svolgimento del processo, di “precisare o modificare le domande, eccezioni e conclusioni già proposte”[6] (il cd. “ius poenitendi”).
Se è agevole intuire cosa intenda il legislatore con il verbo “precisare” (ossia “rendere esplicito ciò che era implicito”[7]), più complesso è comprendere in quale caso ci si trovi dinanzi ad una domanda nuova o ad una mera modifica della medesima.
Nonostante la S.C. si sia pronunciata più volte in materia, nessuna delle decisioni sinora intervenute è riuscita a mettere un punto alla questione.
Un primo orientamento giurisprudenziale[8] riteneva che qualunque variazione di soggetti e di elementi oggettivi (i.e.petitum e causa petendi) comportasse un’inammissibile mutatio della domanda. Pertanto, l’emendatio veniva identificata in via residuale con qualsivoglia “cambiamento nelle difese improduttivo di effetti su uno degli elementi costitutivi dell’azione”[9].
L’orientamento è stato superato nel 2015 a seguito dell’intervento delle Sezioni Unite[10], le quali hanno ritenuto ammissibili (entro la prima memoria integrativa 183[11]) le domande fondate su fatti costitutivi diversi da quelli originari, a condizione che non si aggiungano a quelle iniziali, ma le sostituiscano e purché si pongano in un rapporto di alternatività rispetto alle prime.
La prefata pronuncia è stata accolta con favore da parte della dottrina del tempo giacché l’ammissibilità delle cd. domande “complanari” non solo non comporta alcun rischio di allungamento dei tempi processuali (essendo le nuove domande formulate nella prima memoria ex 171 c.p.c.), ma consente anche una riduzione globale dei tempi di giustizia[12].
Infine, sono intervenute nuovamente le Sezioni Unite nel 2018[13] che hanno ritenuto “ammissibile la domanda di arricchimento senza causa, proposta in via subordinata con la prima memoria ai sensi dell’art. 183, comma 6, c.p.c., nel corso del processo introdotto con domanda di adempimento contrattuale, qualora si riferisca alla stessa vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa (per incompatibilità) a quella inizialmente formulata”.
Pertanto, la novità apportata dall’enunciato orientamento rispetto al precedente risulta lapalissiana: nella prima memoria è possibile modificare la domanda, a condizione che questa sia connessa per alternatività o incompatibilità al rapporto sostanziale già devoluto con la domanda originaria, potendosi anche sommare a quest’ultima[14].
Parte della dottrina[15] ha chiarito che la relazione di alternatività tra domanda di adempimento contrattuale e di arricchimento senza causa non esclude un affiancamento delle domande. In altre parole, l’alternatività tra domande non implica necessariamente l’abbandono dell’istanza originaria.
Altri studiosi, invece, non hanno riconosciuto alla pronuncia del 2018 alcuna portata innovativa rispetto alla sentenza del 2015, data l’omessa menzione della circostanza che la domanda di arricchimento fosse stata formulata in via subordinata, rispetto a quella di adempimento contrattuale, non in sua sostituzione[16].
In definitiva, si registra un’apertura all’ammissibilità di un cumulo progressivo di domande, al fine di evitare la frammentazione in più giudizi di una medesima vicenda storica.
È stata, dunque, superata l’impostazione tradizionale[17] che riteneva il divieto di domande nuove, successive alla fase introduttiva del giudizio, una regola generale del procedimento ordinario di cognizione.
Tuttavia, non si può non constatare come, ad oggi, le soluzioni adottate dalla Cassazione non siano sufficienti a tracciare una linea di demarcazione precisa tra mutatio ed emendatio[18].
3.La modificazione della domanda in appello
Nel caso de quo la modificazione della domanda non è avvenuta entro la prima memoria 171-ter c.p.c., bensì nella comparsa conclusionale e poi riproposta in sede di gravame. Pertanto, è necessario focalizzarsi sulla modificazione della domanda in appello.
Al riguardo, l’art. 171-ter c.p.c. non contiene alcun esplicito divieto di domande nuove appaiabile a quello contenuto nell’art. 345 c.p.c. Infatti, quest’ultima disposizione sancisce che “nel giudizio d’appello non possono proporsi domande nuove e se proposte devono essere dichiarate inammissibili d’ufficio”; la norma chiarisce altresì che “possono (…) domandarsi gli interessi, i frutti gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata, nonché il risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza stessa” (cd. domande “consequenziali”). Dalla lettura a contrario del menzionato divieto di domande nuove in appello si ricava l’ammissibilità di una modificazione della domanda.
Di conseguenza la distinzione tra mutatio ed emendatio libelli in sede di gravame assume un rilievo ancor più pregnante rispetto al primo grado.
In merito a ciò, secondo parte della dottrina[19], devono ritenersi nuove tutte quelle domande che se proposte in sede d’appello sarebbero dichiarate inammissibili e, dunque, riproponibili in un secondo e autonomo giudizio.
Tale rilievo fa emergere la stretta correlazione tra domanda nuova e giudicato “nel senso che una domanda intanto potrà essere ritenuta nuova in quanto non sia già compresa nell’oggetto del primo processo e quindi nei limiti oggettivi dell’emendata sentenza”[20].
Devono perciò ritenersi modificate tutte quelle domande comprese nei limiti oggettivi della domanda precedente. Di conseguenza, qualora dette domande vengano riproposte in un secondo autonomo giudizio, sarà rilevato, anche d’ufficio dal giudice, il precedente giudicato[21].
Da ciò ne consegue che la linea di demarcazione tra mutatio ed emendatio va ricercata nei limiti oggettivi del giudicato.
Si rileva, ad abundantiam, che l’art. 2909 c.c. stabilisce che “l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”(giudicato sostanziale) e che tale accertamento va circoscritto nei limiti obiettivi degli elementi costitutivi. In altre parole, l’accertamento si limita alla causa petendi (titolo dell’azione) e al petitum mediato (bene della vita che ne forma oggetto), coprendo il dedotto ed il deducibile. Dunque, non solo le questioni di fatto e di diritto esplicitamente investite nella decisione – in quanto fatte valere in via di azione o eccezione – ma anche tutte le questioni che, seppure non dedotte in giudizio, costituiscono presupposto logico ed indefettibile della decisione[22].
In conclusione, mentre l’unica deroga ammessa dall’art. 345 c.p.c. al divieto di nova in appello è identificabile con la possibilità di proporre le domande consequenziali, per quanto riguarda l’emandatio libelli, attività che sfugge al divieto sovra menzionato, è necessario esaminare i vari orientamenti giurisprudenziali che si sono susseguiti nel tempo, diversificando le modificazioni concernenti il petitum e la causa petendi.
Per quanto attiene alla prima categoria, la giurisprudenza tende a negare alla parte la possibilità di richiedere in appello un quantum maggiore rispetto a quanto richiesto in primo grado, mentre ne ammette la riduzione[23].
La Corte di cassazione ha, inoltre, ammesso la modifica, per la prima volta in appello, della domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre ex art. 2932 c.c. in domanda di accertamento dell’avvenuto effetto traslativo in base al contratto dall’art. 345 c.p.c.[24].
Per quanto concerne, invece, la modificazione della causa petendi, molteplici sono le pronunce in tema di diritti autoderminati che confermano la possibilità di fondare su diverso titolo la domanda avente ad oggetto un diritto assoluto in sede d’appello, a patto che non venga mutato il petitum[25].
4.Analisi della decisione e principio di acquisizione processuale
Nel caso in esame, la Cassazione ha ritenuto che non si sia trattato di modifica della domanda attraverso fatti allegati dalla parte, bensì dell’invocazione delle risultanze istruttorie (CTU) a sostegno del medesimo diritto risarcitorio nel quale sono rimasti immutati i soggetti, nonché le circostanze di tempo e di luogo.
Ciononostante, la Corte ha aggiunto che “la mera invocazione di modalità sinistro temporalmente e localmente rimasto lo stesso e coinvolgente gli stessi soggetti implica una modificazione legittima della domanda”. Ha precisato, inoltre, come tale statuizione non sia contrastante con la giurisprudenza antecedente in tema di modifica di domanda in appello, giacché in quel caso la modifica dei fatti costitutivi del sinistro si basava su allegazioni di parte.
A sostegno di quanto affermato la Corte ha invocato una precedente pronuncia del 2005[26] a tenore della quale si può parlare di domanda nuova quando gli ulteriori elementi dedotti in secondo grado comportano una modifica sostanziale dei fatti costitutivi della domanda. La modifica deve, dunque, essere tale da rendere la domanda “per la sua intrinseca essenza” sostanzialmente diversa da quella fatta valere in primo grado (sulla quale non è stato svolto in quella sede contraddittorio).
In nuce, la Cassazione da un lato invoca il principio di acquisizione processuale[27] per giustificare la modifica della domanda, dall’altro precisa che l’invocazione di modalità diverse (non modificative di luogo, soggetti e tempo) comporta una modificazione legittima della domanda.
Sicché, non è immediato comprendere se la Corte abbia ritenuto la modifica della dinamica ammissibile solo in forza del diritto di acquisizione processuale ovvero in ragione della generale ammissibilità della emendatio libelli in sede di appello.
Soffermandoci sulla prima parte della statuizione, la S.C. richiama il principio di acquisizione, in forza del quale il giudice può porre a fondamento della propria decisione fatti che emergono dall’espletamento delle attività istruttorie o più precisamente e genericamente da atti legittimamente acquisiti durante il corso del processo[28].
Pertanto, non è contestabile che il giudice possa porre a fondamento della propria decisione le risultanze di una CTU.
D’altronde, la ratio della richiesta di consulenza cinematica è quella di far accertare con precisione la dinamica del sinistro da un soggetto che detiene determinate competenze tecniche che non hanno gli operatori di diritto. Pertanto, risulterebbe irrazionale non consentire alla parte di “aggiustare il tiro” modificando la modalità del sinistro inizialmente prospettata negli atti introduttivi a seguito della relazione peritale, ove ciò ovviamente non comporti uno stravolgimento della domanda.
Più complesso è, invece, stabilire se in appello (o più precisamente dopo la prima memoria 171-ter c.p.c.) sia possibile modificare la modalità del sinistro senza invocare il principio di acquisizione.
Il precedente del 2005 richiamato dalla sentenza in commento[29] riguardava un caso di modifica di domanda in appello, ove la parte aveva in primo grado fondato la domanda sull’esistenza di una buca profonda non segnalata; in appello, invece, la parte aveva fondato la medesima domanda sull’idoneità della buca a costituire insidia in senso tecnico, adducendo che questa fosse “ricolma d’acqua per una precipitazione e che il luogo era scarsamente illuminato”. La Corte aveva ritenuto tale modificazione una mutatio libelli, data l’introduzione di nuovi elementi fattuali (scarsa visibilità e la circostanza che la buca fosse ricolma di acqua) che andavano ad integrare la diversa figura dell’insidia stradale. È, quindi, immediatamente evincibile che – nonostante non vi sia stata alcuna modifica di tempo, di soggetti e di luogo – la domanda è stata comunque dichiarata inammissibile.
5.Conclusioni
Si ritiene che la S.C. – nonostante la laconicità nella descrizione fattuale[30]– abbia correttamente considerato lecita la modificazione della domanda in quanto sorretta dal principio di acquisizione processuale. Infatti, il processo deve potersi adattare alla realtà che emerge in corso di giudizio e, dunque, non sarebbe stato ragionevole negare alla parte la possibilità di invocare le risultanze della CTU.
Tale decisione, tuttavia, non ha alcuna portata innovativa rispetto al precedente del 2005, in quanto implicitamente continua a negare alla parte che alleghi nuovi fatti la possibilità di modificare la dinamica del sinistro.
Infatti, il discrimen tra il caso analizzato dalla corte nel 2005 e il caso analizzato nel 2024 si rinviene nel fatto che nel primo la modifica della domanda è fondata su un’allegazione di parte, mentre nel secondo sulle risultanze istruttorie.
Orbene, da una lettura coordinata delle due pronunce emerge come in realtà “la mera invocazione di modalità di sinistro temporalmente e localmente rimasto lo stesso coinvolgente gli stessi soggetti implica una modificazione [il]legittima delle domande” a meno che non sia fondata sul principio di acquisizione processuale.
Ciononostante, la modificazione in questione, anche se fondata su allegazione di parte, difficilmente potrà essere ritenuta “domanda nuova”, ma piuttosto si tratterebbe di una mera modificazione (con variazioni attinenti alla causa petendi) ritenuta inammissibile in appello[31].
A ben vedere, infatti, la modificazione della dinamica del sinistro non comporta alcuna modifica del thema decidendum (che rimane l’obbligo di risarcire i danni causati a titolo di RCA), bensì del thema probandum, ossia il diverso oggetto della prova che la parte offre in giudizio.
Inoltre, attenendoci alla menzionata dottrina[32], se la domanda venisse riproposta in un nuovo giudizio sarebbe di certo possibile rilevare il precedente giudicato.
Il diverso approccio della Corte nelle due ipotesi non può che trovare fondamento nel diritto di difesa e nel principio del contraddittorio.
Infatti, la modifica della domanda da parte dell’appellante, sorretta dalla sola allegazione di fatti, comporterebbe un disorientamento dell’appellato, il quale si troverebbe gravato da ulteriori oneri di difesa, con conseguente alterazione dello svolgimento del procedimento.
Quando, invece, la modificazione è conseguenza delle risultanze di una CTU non è rinvenibile alcuna lesione al diritto di difesa o del contradditorio della parte, la quale ha (o avrebbe) potuto partecipare alle operazioni peritali.
[1] La formula “in modo chiaro specifico” è stata introdotta dal d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 149.
[2] Si veda, E. Vullo, Sull’ammissibilità di domande nuove nel corso del processo ordinario di cognizione di primo grado, in Studium Iuris, 2002, pp. 317 ss. Tale regola generale, tuttavia, è stata messa in discussione dalla dottrina a seguito della Cass., S.U., 15-6-2015, n. 12310 la quale ha aperto alle cd. “domande complanari”, su cui si rinvia più ampiamente, ai riferimenti sub nota 11.
[3] Al riguardo, v. S. Ricci, I nuovi confini del binomio mutatio – emendatio libelli come ridisegnato dalla Corte di cassazione a sezioni unite del 2015, in Judicium, 2015.
[4] Così, F. P. Luiso, Diritto processuale civile, II, Milano, 2023, p. 33 ss.
[5] Art. 171-ter, n.1, c.p.c., “Le parti, a pena di decadenza, con memorie integrative possono: 1) almeno quaranta giorni prima dell’udienza di cui all’articolo 183, proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto o dal terzo, nonché precisare o modificare le domande, eccezioni e conclusioni già proposte. Con la stessa memoria l’attore può chiedere di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo, se l’esigenza è sorta a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta”.
[6] Si v. A. Motto, Le sezioni unite sulla modificazione della domanda giudiziale, in Foro italiano, 2015, fasc. 10, p. 3193.
[7] Così B. Sassani, Lineamenti del processo civile italiano, Milano, 2023, p. 266.
[8] Tra le numerose Cass., 28-1-2015, n. 1585; Cass., 27-7-2009, n. 17457; Cass., civ. 20-4-2006, n. 9247.
[9] Così G. Olivieri, La mutatio e l’emendatio libelli in tema di responsabilità, in il giust. proc. civ., 2021, III, p. 615 ss.
[10] Secondo la Cass., S.U., 15-6-2015, n. 12310, “La modificazione della domanda ammessa a norma dell’art. 183 c.p.c., può riguardare anche uno o entrambi gli elementi identificativi della medesima sul piano oggettivo (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti in ogni caso connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, e senza che perciò solo si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte ovvero l’allungamento dei tempi processuali. Ne consegue che deve ritenersi ammissibile la modifica, nella memoria all’uopo prevista dall’art. 183 c.p.c., della iniziale domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto in domanda di accertamento dell’avvenuto effetto traslativo”.
[11] A seguito della riforma Cartabia prima memoria 171-ter c.p.c.
[12]Così C. Consolo, Le S.U. aprono alle domande “complanari”: ammissibili in primo grado ancorché (chiaramente e irriducibilmente) diverse da quella originaria cui si cumuleranno, in il cor. Giur., 2015, p. 961, ritiene che le Sezioni Unite del 2015 abbiano fatto “cadere” il preconcetto che la mutatio libelli sia sempre inammissibile.
[14] R. A. Scarpa, Il nuovo confine tra emendatio e mutatio libelli, in Judicium, 2022, IV, p. 504.
[15] Si veda al riguardo M. Golia, Mutatio libelli e cumulo progressivo di domande alternative subordinate: il rvirement delle Sezioni Unite sull’azione generale di arricchimento, in riv. trim dir. proc. civ., 2020, I, p. 359 ss.
[16] Novella, Arricchimento senza causa le Sezioni unite di nuovo sui confini dell’emendatio libelli, in Giur.it, 2019, 8-9, p. 1848 ss.
[17] Menzionata precedentemente all’inizio del par. 2.
[18] Così, R. A. Scarpa, op. cit., p. 523, sostiene nelle conclusioni che “i concetti di mutatio ed emendatio libelli, oggetto della domanda, del processo e del giudicato, si diffrangono nel contrasto di ricostruzioni eterogenee e così si dissolvono”.
[19] Si v. B. Gambineri, Mutatio ed emendatio libelli in appello, in riv dir. proc, 2019, III, p. 692 ss.
[23] Al riguardo si veda Cass., 25-11-2005, n. 24858, che ha ritenuto inammissibile chiedere per la prima volta in appello l’attribuzione di interessi accessori non richiesti in primo grado.
[25] Per analisi di maggiore casistica si veda B. Gambineri, op. cit., p 694 ss.
[26] Cass., 30-6-2005, n. 13982, “Si ha domanda nuova, inammissibile in appello, quando i nuovi elementi, dedotti innanzi al giudice di secondo grado, comportino il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato, modificando l’oggetto sostanziale dell’azione ed i termini della controversia, in modo da porre in essere una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado e sulla quale non si è svolto in quella sede il contraddittorio”.
[27] Si rammenta che la modifica della domanda è avvenuta, in sede di comparsa conclusionale, successivamente all’espletamento della CTU.
[28] Si veda F. P. Luiso, Diritto processuale civile, II, cit., p. 45.
[29] La Cass., 16-5-2024, n. 13622 ha ritenuto che “Quanto osservato non è contraddetto dalla giurisprudenza (ndr. Cass., 30-6-2005, n 1392) che si è occupata della modifica della domanda in appello, atteso che essa riguarda la modifica dei fatti costitutivi del sinistro sulla base di allegazioni della parte e non in forza di deduzioni emergenti dall’istruzione e che debbano considerarsi secondo il principio di acquisizione”.
[30] La S.C., infatti, si limita ad evidenziare che non c’è stata alcuna modifica concernente i soggetti, il tempo e il luogo, senza tuttavia illustrarci quale sia stata l’effettiva modifica.
[31] Al riguardo, E. Merlin, Ammissibilità della mutatio libelli da “alternativa sostanziale” nel giudizio di primo grado, in riv. dir. proc., 2016, p. 818, ritiene che vi sia la tendenza della giurisprudenza “… ad equiparare meccanicamente l’allegazione di nuovi fatti principali all’introduzione di una domanda nuova secondo una rigida equazione che non è affatto obbligata. Se si conviene, infatti, che il ruolo della causa petendi è puramente strumentale rispetto alla identificazione del «diritto sostanziale» fatto valere, non pochi sono i casi in cui al variare dei fatti, anche principali, non corrisponde affatto la diversità del diritto e che possono perciò essere ricondotti ad una mera «modifica» della domanda”.