Il nodo critico degli artt. 473-bis. 38 e 473-bis. 39 c.p.c.: riflessioni sul procedimento e una proposta interpretativa

Di Beatrice Ficcarelli -

1.Osservazioni introduttive.

La Commissione presieduta dal Professor Francesco Paolo Luiso per «l’elaborazione di proposte di interventi in materia di processo civile e di strumenti alternativi» si è preoccupata, tra le altre innovazioni suscettibili di offrire una configurazione completamente nuova al processo della famiglia, che fossero dettate        disposizioni per individuare modalità di esecuzione dei provvedimenti, specialmente relativi ai minori. E’ stata invocata, in particolare, la necessità di intervenire su un “aspetto delicato e non adeguatamente disciplinato dal legislatore”[1]. Il tema della tutela attuativo/esecutiva degli obblighi a contenuto personale in ambito familiare, invero, non ha mai avuto una disciplina organica, pur potendo contare su qualche, sia pur concreta, indicazione contenuta nella normativa sostanziale, codicistica e speciale nonché, in epoca recente, su misure di coercizione indiretta; si è trattato, tuttavia, di interventi ora poco chiari, ora lacunosi, e in ogni caso, affatto organici[2].

A seguito della recente riforma del processo della famiglia, nella cornice del nuovo procedimento unitario siccome duttile, non troppo formalizzato, celere e ricco di strumenti studiati per offrire una efficace tutela dei delicati diritti e situazioni giuridiche soggettive sottostanti, il novello legislatore non poteva certamente trascurare il profilo dell’esecuzione coattiva dei provvedimenti, specialmente quelli da cui derivano obblighi a contenuto personale[3].

Al fine di comprendere il senso dei nuovi interventi dedicati all’«Attuazione dei provvedimenti sull’affidamento» di cui agli artt. 473-bis. 38 e 39 c.p.c. contenuti nella Sezione III del Capo II del nuovo Titolo IV bis del codice di procedura civile che presentano non pochi dubbi interpretativi, paiono indispensabili alcuni chiarimenti sia terminologici che di contenuto.

Intanto, pur avendosi riguardo, nella sostanza, alla tutela esecutiva dei provvedimenti a contenuto personale in ambito familiare e di conseguenza, al problema dell’effettività della tutela giurisdizionale come diritto ad una efficace tutela coattiva anche per tale tipologia di provvedimento, il legislatore, in continuità con il passato, reitera l’utilizzo dell’espressione “attuazione”, in aderenza alla linea già intrapresa per cui nel processo di famiglia sono compenetrate cognizione, cautela ed esecuzione (quest’ultima sub specie, pertanto, di attuazione) in quanto tutte affidate allo stesso giudice.

Nell’ambiente che ci riguarda, il giudice dell’esecuzione è infatti, da tempo risalente, il giudice del merito. Lo esprime a chiari termini, a far data della riforma sulla filiazione di cui al D.L. n°154/2013, l’art. 337-ter c.p.c., comma 2 ultimo capoverso c.c. (ancora in vigore) che delega il problema dell’esecuzione dei provvedimenti suddetti riguardanti minori al giudice   del merito, ritenuto più idoneo rispetto al giudice naturalmente competente per l’esecuzione sia nel caso di resistenze del minore che del genitore non collaborativo. In precedenza, lo prevedeva, con la stessa espressione l’abrogato art. 6, comma 10, della legge sul divorzio, applicabile anche al procedimento di separazione[4].

Ad ogni modo, sebbene le due norme richiamassero un procedimento di esecuzione “diretta”, il “contenitore processuale” o l’“ambiente” per far valere la violazione delle modalità di affidamento è divenuto nel tempo, come ben noto, l’ormai previgente l’art. 709-ter c.p.c. di competenza del giudice del merito, allora con rito camerale, cui in quella sede è stato affidato il potere di determinare le modalità di affidamento, nonché della gestione del la procedura che porta all’attuazione della “consegna” del figlio minore, ed anche, lo ricordiamo, di risolvere le controversie in ordine alla responsabilità genitoriale.

Più controversa, anche in virtù di argomentate pronunce della Corte di cassazione, è stata invece l’applicabilità ai provvedimenti familiari (lato sensu di condanna) dell’art. 614-bis c.p.c. nonostante la norma, soprattutto nella sua prima formulazione, abbia immediatamente mostrato la sua suscettibilità di essere utilizzata per l’attuazione degli obblighi infungibili e, di conseguenza, si fosse subito mostrata molto adatta all’“ambiente” familiare, specialmente in riferimento a provvedimenti riguardanti minori di età[5].

In sintesi, il problema diremmo attuativo-esecutivo, era risolto con la coercizione indiretta e non con l’esecuzione diretta che mira ovviamente a ottenere il bene della vita in via esecutiva (e.g. “consegna” del minore o riconduzione dello stesso al luogo di residenza dopo indebito trasferimento).

Oggi la risposta è individuata dal legislatore nelle due norme di nuovo conio di cui agli artt. 473-bis. 38 e 473-bis. 39 c.p.c introdotte per effetto del D.L. 149 del 10 ottobre 2022 (in non apparente totale continuità con le indicazioni della legge delega n°206/2021 che vedeva ancora vivere l’art. 709-ter c.p.c. di cui il decreto attuativo ha invece sancito l’abrogazione[6]).

Si tratta peraltro di una normativa cui è evidentemente delegato anche il problema dell’attuazione degli accordi raggiunti in sede e all’esito del procedimento di negoziazione assistita familiare che, nell’ottica della complessiva riforma della giustizia civile, si paleseranno in numero non inferiore alle decisioni giurisdizionali e la cui efficacia è voluta dalla legge come ad esse equivalente.

Considerata da una parte la delicatezza ed essenzialità del tema e, dall’altra, la non facile lettura delle due norme, se ne tenta qui una disamina cercando di verificare il senso che il legislatore ha inteso ad esse conferire, nonché il procedimento per le stesse individuato e costruito nell’ottica di rendere effettiva l’attuazione dei provvedimenti di carattere personale specialmente riguardanti minori.

2.L’art. 473-bis. 38 c.p.c.: la competenza ed il procedimento.

La nuova disposizione, in apertura, si concentra sul profilo della competenza per evidenziare che il procedimento deputato all’attuazione dei provvedimenti (rectius decisioni o accordi) sull’affidamento può essere sia incidentale che autonomo. Nel primo caso, il giudice competente tanto per l’attuazione dei provvedimenti sull’affidamento del minore che per la soluzione delle controversie in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale – profilo questo sul quale torneremo in seguito –, è individuato nel giudice del procedimento in corso che provvede in composizione monocratica.

Ai sensi del secondo comma, invece, se non pende un procedimento perché esso, per esempio, è già definito o è estinto oppure si verta di un accordo di negoziazione assistita- è competente, sempre in composizione monocratica, il giudice che ha emesso il provvedimento da attuare. In caso di trasferimento del minore, invece, è competente il giudice individuato ai sensi dell’articolo 473-bis. 11, primo comma c.p.c., vale a dire il tribunale del luogo dell’ultima residenza abituale del minore medesimo prima del trasferimento.

Nell’ipotesi di procedimento incidentale, di conseguenza, il giudice competente è indubitabilmente il giudice del procedimento in corso che decide in composizione monocratica, vale a dire il giudice delegato (dal presidente del collegio). I procedimenti incidentali non paiono invero creare particolari problemi, alla stregua di quanto accadeva per i procedimenti in corso di causa di cui al previgente art. 709-ter c.p.c. che si svolgeva secondo il rito camerale.

Nel caso di procedimento autonomo, invece, la competenza è radicata in capo al giudice che ha pronunciato il provvedimento, con una formula che può essere interpretata come riferita all’ufficio giurisdizionale a cui apparteneva il giudice del provvedimento medesimo (sempre che il minore, come precisato, non abbia trasferito altrove la propria residenza abituale poichè in questo caso giudice dell’attuazione è individuato da quanto dispone ai fini della competenza territoriale l’articolo 473-bis. 11)[7]; si tratta di una interpretazione simile a quella offerta all’art. 669-decies c.p.c. relativa ai provvedimenti cautelari, là dove la norma stabilisce che l’istanza di revoca o modifica di un provvedimento cautelare concesso per un giudizio di merito mai instaurato o dichiarato estinto va proposto al giudice che ha provveduto sull’istanza cautelare da intendersi, appunto, come l’ufficio di appartenenza del giudice che ha emanato il provvedimento[8].

Per giudice deve pertanto intendersi l’ufficio giudiziario che, ove collegiale, come nell’attualità del processo della famiglia, provvederà tramite il presidente del collegio a designare un delegato[9].

Il richiamo è pertanto sempre al “giudice del merito”, formula questa peraltro indispensabile nelle ipotesi in cui si debba dare attuazione alle decisioni contenute in un accordo di negoziazione assistita, da ritenersi ricomprese nell’ambito di applicazione degli artt. 473-bis. 38 e 39 c.p.c. nonostante il silenzio del legislatore.

E veniamo al contenitore procedimentale evocato dall’art. 473-bis. 38 c.p.c.

Dalla lettura della norma può comprendersi come il legislatore abbia delineato una procedura apposita, che si caratterizza per celerità e sommarietà della cognizione (ricordandosi essere in fase esecutiva sia pur innanzi al giudice del merito) introdotta con ricorso a seguito del quale «il giudice sentiti i genitori, coloro che esercitano la responsabilità genitoriali il curatore e il curatore speciale se nominati e il pubblico ministero, tenta la conciliazione delle parti e, in difetto, pronuncia ordinanza con cui determina le modalità dell’attuazione e adotta i provvedimenti opportuni avendo riguardo all’interesse superiore del minore. Qualora nel corso dell’attuazione sorgano difficoltà che non ammettono dilazione, ciascuna parte e gli ausiliari incaricati possono chiedere al giudice, anche verbalmente, che adotti i necessari provvedimenti temporanei». Il giudice, prosegue la norma al comma 5, può autorizzare l’uso della forza pubblica con provvedimento motivato solo se assolutamente indispensabile e avendo riguardo alla preminente tutela della salute psicofisica del minore. L’intervento è posto in essere sotto la vigilanza del giudice con l’ausilio di personale specializzato, anche sociale e sanitario, il quale adotta ogni cautela richiesta dalle circostanze. Ad ogni modo, è ben chiaro come la possibilità di un intervento della forza pubblica abbia una forte efficacia persuasiva in grado di influire sulla volontà dell’obbligato inadempiente e può pertanto svolgere anche una funzione di coercizione indiretta.

Nel caso in cui sussista pericolo attuale e concreto, desunto da circostanze specifiche oggettive, di sottrazione del minore o di altre condotte che potrebbero pregiudicare l’attuazione del provvedimento, il giudice determina le modalità di attuazione con decreto motivato, senza la necessaria convocazione delle parti. Con lo stesso decreto dispone la comparizione delle parti davanti a sé nei quindici giorni successivi e all’udienza provvede con ordinanza.

Le espressioni utilizzate dal legislatore offrono alcuni indici essenziali: come già da parte di qualche autore evidenziato[10], si tratta sicuramente di un procedimento ad hoc, caratterizzato da celerità di svolgimento, che può anticipare, per le misure che non ammettono dilazione, provvedimenti temporanei anche inaudita altera parte quando vi sia pericolo attuale e concreto di sottrazione del minore o pericolo di pregiudizio nell’attuazione del provvedimento e si conclude, sentiti i genitori l’eventuale curatore del minore e il curatore speciale, in difetto di conciliazione, con pronuncia di ordinanza.

Nella disposizione spicca il richiamo alla eccezionalità dell’uso della forza pubblica, misura che deve tener conto sempre del preminente interesse del minore; si tratta di un intervento comunque assicurato con la vigilanza del giudice e con l’assistenza di personale specializzato, in ciò richiamandosi appieno le raccomandazioni della Commissione Luiso e raccogliendo in tal senso specificamente le indicazioni della legge delega[11].

Avuto riguardo alle formule utilizzate e alla specifica funzione dell’art. 473-bis. 38 c.p.c., il procedimento ci pare essere ricavato dalla cd. “esecuzione in via breve” di cui all’art. 669-duodecies c.p.c. riguardo all’attuazione dei provvedimenti cautelari aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare secondo cui «il giudice che ha emanato il provvedimento cautelare ne determina anche le modalità di attuazione e, ove sorgano difficoltà o contestazioni, dà con ordinanza i provvedimenti opportuni sentite le parti»[12].

Il meccanismo dell’“esecuzione in via breve”, adottato dal legislatore italiano in riferimento all’attuazione dei provvedimenti cautelari del genere ricordato e perciò diversi da quelli aventi ad oggetto somme di denaro,[13] postula infatti proprio l’unitarietà tra la fase della cognizione e quella della attuazione: non si tratta di due fasi distinte bensì di due fasi consecutive dello stesso procedimento, entrambe destinate allo scopo di rendere effettiva la tutela ed affidate allo stesso ufficio giudiziario[14].

Anche qui, la struttura dell’attuazione non è affidata al processo esecutivo ma è inventata volta per volta dal giudice che concede ed attua il provvedimento il quale ne stabilisce, parimenti volta per volta, le modalità di attuazione e sovrintende anche alla fase di attuazione stessa, decidendo le questioni che dovessero eventualmente sorgere. La fase di attuazione è configurata, così, come una sorta di naturale prosecuzione di quella autorizzativa, tanto che non si applicano le disposizioni sulla previa notifica del titolo esecutivo e del precetto[15].

L’ “esecuzione in via breve” è pertanto un istituto agile, non riconducibile a schemi rigidi e preordinati, nel quale si riscopre una completa deformalizzazione e funzionalizzazione di ogni scelta del giudice alla concreta ed effettiva pratica realizzazione del contenuto del provvedimento reso.

Tali peculiarità paiono attagliarsi perfettamente al caso dell’attuazione dei provvedimenti sull’affidamento di cui all’art. 473-bis. 38 c.p.c.  relativamente ai quali, per loro natura, le difficoltà di esecuzione possono considerarsi in re ipsa. Si pensi, ad esempio, al diritto di visita del genitore non collocatario, da una parte e al comportamento ostativo dell’altro genitore che ne impedisce l’espletamento, dall’altra. Non a caso, in passato, con specifico riferimento all’esecuzione dei provvedimenti presidenziali di cui al previgente art. 708 c.p.c., ed in ragione della loro natura, da taluno riconosciuta, di provvedimenti cautelari anticipatori (con forza di titolo esecutivo), era stata prospettata, non senza critiche, l’applicabilità di tale peculiare forma di esecuzione[16]. Oggi, peraltro, oggetto di attuazione possono essere i provvedimenti indifferibili di cui all’art. 473-bis. 15 c.p.c. ed i provvedimenti temporanei ed urgenti di cui all’art. 473-bis. 22 c.p.c. la cui natura cautelare non è messa in dubbio, con ogni conseguenza in punto di procedimento attuativo[17]. Quanto poi ai provvedimenti resi all’esito del giudizio, si tratta pur sempre di provvedimenti sempre modificabili e revocabili, per cui anche per questi non paiono esservi ragioni ostative all’estensione della esecuzione in via breve (la cui applicabilità ci pare possa comunque prescindere strettamente dalla natura del provvedimento qualora il legislatore lo preveda).

Il principio per cui giudice dell’attuazione è il giudice della cognizione giustifica  perfettamente, e anzi lo conferma, quanto prescrive la seconda parte del comma 2 della sopra richiamata disposizione, per cui ogni qualvolta la titolarità o l’esercizio della responsabilità genitoriale diventa oggetto di un nuovo giudizio di cognizione, ad esempio se viene instaurato un giudizio de potestate o chiesta in sede contenziosa, come vuole l’articolo 473-bis. 29 c.p.c. la revisione dei provvedimenti contenuti nella sentenza di separazione o di divorzio, il giudice dell’attuazione diventa quello del giudizio di merito. A questo scopo, il giudice a cui è stato chiesto di attuare un provvedimento sull’affidamento o in materia di responsabilità genitoriale deve senza indugio, comunque non oltre 15 giorni, trasmettere anche d’ufficio gli atti al giudice del merito dopo aver disposto eventuali misure urgenti, misure che conservano la loro efficacia sino a quando il giudice del merito, (in composizione collegiale) provveda alla loro conferma, modifica o revoca[18].

Questa ricostruzione trova conferma nello schema di decreto legislativo contenente disposizioni correttive e di coordinamento del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, col proposito di risolvere le difficoltà applicative e i contrasti interpretativi sorti nella fase di prima attuazione della recente riforma del processo civile, nonché disposizioni di coordinamento alla (e della) legislazione vigente. L’articolo 2 dello schema, che opera in riferimento alle modifiche apportate alle disposizioni di attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, si compone di un unico comma, con il quale si è proceduto ad una modifica del secondo comma dell’articolo 38 disp. att. c.c., innovatrice solo sul piano della tecnica redazionale, per maggior chiarezza del precetto: si è sostituito, infatti, il generico richiamo ai procedimenti in materia di famiglia per l’irrogazione di sanzioni in caso di inadempienze o violazioni con il puntuale richiamo alle nuove disposizioni che contemplano tali procedimenti, gli artt. 473-bis. 38 e 473-bis. 39 c.p.c. L’articolo 38 disp. att. c.c., infatti, originariamente faceva riferimento ai procedimenti di cui all’articolo 709-ter c.p.c., le cui disposizioni con il d.lgs. n. 149 del 2022 sono state divise nei due articoli ora indicati. Del resto, come si vedrà, la possibilità che il giudice adotti d’ufficio i provvedimenti sanzionatori previsti dall’articolo 473-bis. 39 c.p.c. non esclude l’eventualità che l’adozione di tali provvedimenti sia richiesta dalla parte interessata, con autonomo ricorso. Le nuove norme che regolano il processo della famiglia conferiscono ad ogni buon conto ed in linea generale al giudice ampi poteri officiosi per cui gli stessi debbono considerarsi attuali anche in fase attuativo-esecutiva, in linea con la disposizione generale di cui all’art. 473-bis. 2 c.p.c[19].

 

2.1 segue: il problema della soluzione delle controversie in ordine all’esercizio sulla responsabilità genitoriale ed il raccordo tra l’art. 473-bis. 38 e l’art. 473-bis. 39 c.p.c.: due norme e due procedimenti o un unicum procedimentale?

 

Il richiamato esempio dell’art. 669-duodecies c.p.c. relativo alla tutela cautelare offre altre importanti indicazioni suscettibili di contribuire a sciogliere gli ulteriori nodi interpretativi che le norme sull’attuazione dei provvedimenti familiari oggi presentano.

Secondo la previgente normativa, infatti, il giudice deputato alla risoluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale[20] era il giudice adito ai sensi dell’art. 709-ter c.p.c., nell’ambito di un procedimento camerale unitario in cui il giudice medesimo, per il tramite delle numerose “misure” contemplate dalla norma, si preoccupava dell’attuazione dei provvedimenti sull’affidamento e contestualmente risolveva le controversie sull’esercizio della responsabilità genitoriale, potendo anche modificare i provvedimenti in vigore. Oggi, diversamente, a seguito dell’abrogazione dell’art. 709-ter c.p.c., ogni questione relativa alla risoluzione di dette controversie, nonchè il profilo dell’esecuzione/attuazione diretta dei provvedimenti sull’affidamento, è affidata espressamente al procedimento di cui all’art. 473-bis. 38 c.p.c.[21]; di converso, la norma successiva -che, è bene evidenziarlo, non contiene alcuna indicazione né in merito al giudice competente né al procedimento- si preoccupa di enumerare i possibili provvedimenti che il giudice può adottare «in caso di inadempienze o violazioni», enucleando una serie di variegate “misure” talune coercitive, altre non propriamente tali ma tutte con indiretta funzione coercitiva, che il giudice medesimo, anche d’ufficio, può disporre in caso di gravi inadempienze anche di natura economica o di atti che arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento e dell’esercizio della responsabilità genitoriale, sempre salva la possibilità per il giudice medesimo di modificare i provvedimenti in vigore. Si tratta, in particolare, dell’ammonizione del genitore inadempiente; della possibilità di individuare ai sensi dell’articolo 614-bis c.p.c. una somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento; della condanna nei confronti del genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da un minimo di 75 € a un massimo di 5.000 € a favore della cassa delle ammende. Oltre a ciò, il giudice può condannare il genitore inadempiente al risarcimento dei danni a favore dell’altro genitore o anche d’ufficio del minore.

Come si ricorderà, tali misure ricalcano sostanzialmente quelle a suo tempo contemplate dal previgente art. 709-ter c.p.c., ma tra esse, per la prima volta, compare la misura coercitiva dell’art. 614-bis c.p.c., che, un tempo di controversa applicazione in materia familiare, assurge ora, in questo ambito, a rimedio principale, spiccando per potenzialità tra gli altri strumenti[22].

Ebbene, il dubbio interpretativo è se le norme di cui agli artt. 473-bis. 38 e 473-bis. 39 c.p.c. abbiano una funzione diversa evocando due diversi procedimenti oppure se facciano entrambe capo ad un unico procedimento, quello celere e ad hoc delineato dall’art. 473-bis. 38 c.p.c., in cui il giudice preoccuparsi del profilo attuativo, risolvere le controversie sull’esercizio della responsabilità genitoriale, irrogare sanzioni e adottare misure coercitive e ancora, eventualmente, modificare i provvedimenti in vigore.

La risposta, a parere di chi scrive, oltre che dalla lettura delle due norme in combinato disposto, può pervenirci, ancora una volta, in via analogica anche dalle modalità attuative dei provvedimenti cautelari relativi agli obblighi di consegna, rilascio, fare e non fare, vale a dire dal già richiamato meccanismo dell’esecuzione di via breve di cui all’art. 669-duodecies c.p.c.

Sull’indefettibile presupposto che gli artt. 473-bis. 38 e 39 fanno parte, unitariamente, della Sezione III del capo II del Titolo IV bis del libro II del codice di procedura civile, dedicata all’attuazione dei provvedimenti[23], è possibile anzitutto rilevare che l’articolo 473-bis. 39 c.p.c. niente esprime in termini né di giudice competente né di procedimento, evidentemente mutuando tali due aspetti dalla norma precedente, vale a dire l’art. 473-bis. 38 che si preoccupa di normare specificamente su entrambi questi profili.

L’art. 473-bis. 38 c.p.c. adotta per la fase esecutivo/attuativa dei provvedimenti non economici le forme dell’esecuzione in via breve sotto il controllo del giudice del merito, “ricavata” dalla normativa processuale in tema di attuazione delle misure cautelari di cui all’art. 669-duodecies c.p.c.

Nell’esecuzione in via breve la competenza del giudice della cognizione é preordinata a fare sì che, all’occorrenza, egli possa nel modo più rapido e semplice integrare e/o modificare il proprio provvedimento ovvero risolvere le difficoltà e le contestazioni sollevate dalle parti in fase di attuazione (analoghe alle difficoltà che il giudice della esecuzione deve affrontare ai sensi degli artt. 610 e 613 c.p.c.).

Del resto, nessuna disposizione normativa impedisce al giudice di determinare successivamente le modalità di attuazione di un provvedimento. L’esigenza di stabilire ex novo ovvero di modificare le modalità di attuazione già determinate in precedenza potrebbe sorgere per fatti venuti in essere anche solo al momento in cui si proceda concretamente ad attuare la misura[24].

Nel nostro caso specifico, di conseguenza, seguendo la linea ora proposta, il giudice, in sede e per il tramite del procedimento ad hoc delineato dall’art. 473-bis. 38 c.p.c., può non soltanto determinare le modalità di attuazione dei provvedimenti (profilo questo di “esecuzione diretta”) adottando ogni genere di provvedimento, anche temporaneo, nel caso si presentino delle difficoltà, ma può, giusta l’espressione di cui al comma 1, risolvere anche le controversie sulla responsabilità genitoriale, irrogare le sanzioni e le misure coercitive di cui all’art. 473-bis. 39 c.p.c., condannare al risarcimento dei danni il genitore inadempiente (profilo dell’”esecuzione indiretta”) e modificare i provvedimenti in vigore.

Diversamente, dovremmo ipotizzare che mentre l’art. 473-bis. 38 c.p.c. si preoccupa solo dei profili di esecuzione diretta con un presumibile raro utilizzo, l’art. 473-bis. 39 c.p.c. è norma autonoma, anche procedimentalmente, e deputata all’irrogazione di misure coercitive, altre sanzioni ed al risarcimento dei danni, oltre alla risoluzione delle controversie sulla responsabilità genitoriale che però il legislatore espressamente delega al procedimento di cui alla norma precedente[25]. Qualora si optasse per questa ultima soluzione, occorrerebbe pertanto rivedere il dato normativo eliminando dall’art. 473-bis. 38 c.p.c. il riferimento alla soluzione delle controversie sulla responsabilità genitoriale e individuare ex novo il procedimento ex art. 473-bis. 39 c.p.c. (sicuramente, in tale ottica, individuabile nel rito unitario a cognizione piena ai sensi dell’art. 473-bis. 12 c.p.c. la cui fisiologica durata non parrebbe però funzionale allo scopo di celerità di soluzione voluto dal legislatore).

Se tale soluzione era ipotizzabile, anche a parere di chi scrive, quando la riforma si trovava allo stato di legge delega, il decreto attuativo pare aver mutato lo scenario ed aver consegnato un unico “pacchetto” di nuove norme facenti capo ad un unico procedimento semplice e spedito, delineato solamente nella prima di esse, per dedicare la seconda all’apparato prettamente sanzionatorio, peraltro oggi esteso, dato questo di grande interesse, anche alle gravi inadempienze di natura economica, come stabilito in apertura dall’art. 473-bis. 39 c.p.c. ed attivabile non solo d’ufficio ma anche a seguito di autonomo ricorso di parte.

Considerata la natura delle controversie che possono sorgere in riferimento all’esercizio della responsabilità genitoriale e che il giudice, -anche a seguito degli obblighi di disclosure di cui all’art. 473-bis. 12 qualora il problema insorga in corso di causa-, nella maggior parte delle situazioni, in sede di attuazione dei provvedimenti, già dispone di tutti gli elementi per una loro pronta risoluzione, pare che il procedimento delineato dall’art. 473-bis. 38 c.p.c. possa essere, a tale scopo, sufficientemente garantistico, nell’ottica di un celere approntamento di tutela e salvi i successivi strumenti di controllo di cui a breve.

La norma non sembra richiedere l’audizione del minore ma, come correttamente rilevato in dottrina, si tratta anche qui di un adempimento necessario per ogni procedimento in cui devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano ai sensi dell’art. 473-bis. 4 c.p.c. L’autorità dei provvedimenti giurisdizionali deve cedere di fronte al superiore interesse del minore e ciò avviene ogniqualvolta l’attuazione del provvedi mento di affidamento gli crei grave turbamento e ne pregiudichi l’equilibrio psico-fisico. In tal caso, l’attuazione coattiva può ben essere sospesa e cedere il passo ad opportuni interventi di sostegno effettuati, ad esempio, da psicologi o da altri esperti che valgano a rimuovere l’avversione del minore nei confronti dell’affidatario o del genitore che intende esercitare il proprio diritto di visita[26].

 

3.L’opposizione di cui all’art. 473-bis. 38 ultimo comma c.p.c. ed i mezzi di impugnazione ex 473-bis. 39 ultimo comma c.p.c.: un raccordo possibile tra mezzi di controllo?

 

La ricostruzione sopra proposta può trovare conferma nella disciplina che il legislatore detta per il “controllo” dei provvedimenti attuativi.

Intanto è opportuno precisare che la legge non pone alcun obbligo in capo al giudice di determinare le modalità di attuazione contestualmente alla pronuncia del comando. Per tale motivo, gli scenari possono essere molteplici: in alcune situazioni le modalità di attuazione saranno state determinate unitamente al provvedimento stesso – con una soluzione fortemente consigliabile soprattutto avuto riguardo ai provvedimenti riguardanti minori che eliminando la possibilità di intervento sulle modalità di attuazione da parte di giudici diversi può assicurare maggiori garanzie e pieno rispetto dei criteri di economia processuale –, ovvero successivamente, da un giudice diverso, appartenente allo stesso ufficio giudiziario.  Oltretutto, se è vero che nessuna disposizione normativa impedisce al giudice di determinare successivamente le modalità di attuazione, l’esigenza di stabilire ex novo ovvero di modificare le modalità di attuazione già determinate in precedenza potrebbe sorgere, come si è già avuto modo di evidenziare, per fatti verificatesi solo al momento in cui si proceda concretamente ad attuare la misura. Si pensi al comportamento ostativo del genitore collocatario e alla necessità di fare intervenire la forza pubblica.

Il fatto poi che la determinazione delle modalità di attuazione possa avvenire in un momento successivo e ad opera di un magistrato differente da quello che l’ha concesso, potrebbe rendere meno remota la possibilità di incidere innovativamente in sede di attuazione almeno su questo limitato ma fondamentale aspetto, ove questi ritenga non idonee le modalità previste dal giudice che ha pronunciato il provvedimento[27].

Ciò posto, per far valere i vizi della suddetta fase di attuazione/soluzione delle controversie/irrogazione sanzioni/applicazione delle misure di coercizione indiretta, le parti hanno a disposizione il rimedio della opposizione, tipica del processo esecutivo ordinario secondo il dettato dell’art. 473-bis. 38 u.c. c.p.c.

È sempre stato chiaro, del resto, che nel procedimento di esecuzione in via breve possono sorgere “contestazioni” e “controversie” che nel processo esecutivo darebbero luogo alle opposizioni, cioè a giudizi di cognizione, incidentali rispetto al processo esecutivo, che hanno lo scopo di risolvere “controversie” sorte all’interno del processo esecutivo stesso. Sia il processo esecutivo sia il procedimento di esecuzione in via breve sono strutturati in modo tale da non consentire una decisione di tali controversie. Nel processo esecutivo, se sorge una qualunque controversia questa è risolta attraverso lo strumento delle opposizioni che danno luogo ad un processo di cognizione incidentale[28].

Le stesse controversie che sorgono nel procedimento di esecuzione in via breve debbono anch’esse trovare una decisione. Come è stato efficacemente affermato, il legislatore può certo disciplinare diversamente la risoluzione di tali controversie, a seconda che sorgano nel processo esecutivo oppure nel procedimento di attuazione nelle forme dell’esecuzione in via breve, ma non può far finta che nell’attuazione non si possono avere quelle stesse controversie e contestazioni, che ha previsto e disciplinato nel processo esecutivo. Non può negare alle parti la tutela dichiarativa a garanzia del principio di legalità, che vale anche per i giudici[29]. Difatti, l’art. 669-duodecies c.p.c., in riferimento all’attuazione dei provvedimenti cautelari, specifica in chiusura, che “Ogni altra questione va proposta nel giudizio di merito”.

In riferimento all’attuazione delle misure cautelari, tuttavia, è ben noto come la questione sia sempre stata altamente controversa. Anzitutto non è detto che questo meccanismo sempre funzioni perché ad esempio il processo di merito non è stato ancora proposto, o si è estinto, oppure perché il merito è deferito ad un giudice di pace, ad un collegio arbitrale o ad un giudice straniero oppure perché, in molti casi, il provvedimento cautelare è anticipatorio e non pende alcun giudizio di merito[30]. Ed allora la soluzione è stata perlopiù trovata nell’applicare analogicamente le regole vigenti all’interno del processo esecutivo per cui, ad esempio, le controversie aventi ad oggetto la validità degli atti della fase di attuazione cautelare che nel processo esecutivo sono di competenza del giudice dell’esecuzione dei sensi dell’articolo 617 c.p.c qui spettano al giudice che ha emesso il provvedimento cautelare, il quale è competente anche per la sua attuazione e quindi svolge le funzioni che nel processo esecutivo svolge il giudice dell’esecuzione[31]. Competente è, cioè, il giudice del merito[32].

Ebbene, come anticipato, nel caso dell’attuazione dei provvedimenti sull’affidamento, il legislatore detta (invece) una regola precisa ed espressa. Ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 473-bis. 38 c.p.c., l’ordinanza emanata dal giudice all’esito del procedimento ad hoc è infatti opponibile con il rito unificato (“nelle forme dell’art. 473-bis. 12”, davanti perciò al tribunale in composizione collegiale), senza, ben si noti, che siano stabiliti termini di decadenza per l’instaurazione di tale giudizio, lasciando pertanto ritenere che sia possibile sia l’opposizione all’esecuzione che agli atti esecutivi (nel nostro caso è esclusa, almeno nei suoi fondamenti normativi, l’opposizione di terzo).

Trattandosi anche qui di una forma di esecuzione in via breve, l’iter procedimentale celere e valevole per ogni profilo attuativo diretto o indiretto e per la soluzione delle controversie sulla responsabilità genitoriale non esclude pertanto l’introduzione di un giudizio secondo le regole ordinarie, potendo la parte soccombente opporsi all’ordinanza del giudice del merito nelle forme ordinarie dell’articolo 473-bis. 12 c.p.c.

In entrambi i procedimenti, quello ad hoc e quello a cognizione piena in sede di opposizione, è poi ora confermata e sicura la possibilità per il giudice di disporre, anche d’ufficio, la misura coercitiva di cui all’art. 614-bis c.p.c., sia perché lo esprime a chiare lettere l’art. 473-bis. 39 sia perché tale profilo può risolversi in via analogica mutuandolo dal procedimento di esecuzione in via breve ex art. 669-duodecies c.p.c: anche il giudice del cautelare può prevedere misure coercitive laddove il provvedimento cautelare imponga la controparte obblighi di fare infungibili oppure obblighi di non fare. Quando, dunque, il giudice del cautelare pronuncia un provvedimento che impone alla controparte un obbligo diverso dal pagamento di una somma di denaro, ben può prevedere misure coercitive negli stessi termini in cui può farlo il giudice della cognizione[33] (ciò sebbene i provvedimenti familiari, a parere di chi scrive, dovrebbero esserne muniti già ab initio assieme al provvedimento principale alla stregua delle astreintes francesi[34]).

Le contestazioni risolvibili dal giudice dell’attuazione con ordinanza sono così riproponibili nel giudizio di merito giacchè le contestazioni debbono essere decise con sentenza in base ad una cognizione piena ed esauriente[35].

Il legislatore, conseguentemente, norma il giudizio di opposizione quale strumento deputato alla tutela dichiarativa delle “contestazioni” e delle “controversie” sorte in fase di attuazione/esecuzione.

Sebbene, come già rilevato, in linea teorica siano proponibili tutte le opposizioni esecutive (tranne quella del terzo), si tratterà, più probabilmente, nello specifico, di opposizione agli atti esecutivi specie ove si abbia riguardo alla legittimità di “singoli atti di esecuzione”[36]. Tali singoli atti possono essere infatti anche dei provvedimenti del giudice dell’esecuzione/attuazione che l’opposizione consente di censurare per qualunque aspetto, non soltanto dunque sotto il profilo formale, incluse le valutazioni meramente discrezionali. Si tratterà infatti qui di valutare non tanto l’an quanto il quomodo dell’esecuzione/attuazione[37].

Nel caso dei provvedimenti sull’affidamento, qualora il provvedimento abbia ad oggetto, ad esempio, l’attuazione del diritto di visita, poiché tra le modalità attuative l’uso della forza pubblica è solo eccezionale dovendosi sempre tener conto del preminente interesse del minore, qualora ciò sia disposto, le modalità stabilite dal giudice possono essere facilmente suscettibili di opposizione avuto riguardo al caso concreto.

Dal momento che il legislatore non precisa entro quale termine l’opposizione vada proposta, si ritiene che esso possa essere ricavato, in quanto applicato per analogia, dagli artt. 615 e 617 c.p.c., Per l’opposizione agli atti esecutivi, pertanto, il termine sarà quello di venti giorni decorrenti momento in cui l’interessato acquisisce conoscenza effettiva, non necessariamente legale o comunque integrale, dell’atto o del provvedimento, ovvero di un diverso e successivo atto che necessariamente lo presuppone[38].

E veniamo agli “ulteriori” mezzi di controllo. Il legislatore all’ultimo comma dell’art. 473-bis. 39 c.p.c. prende specifica posizione sugli stessi, affermando che i provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari (con una espressione integralmente mutuata dal previgente art. 709-ter c.p.c.).

Occorre domandarsi, pertanto, in che rapporto si pongano tra loro il giudizio di opposizione di cui all’ultimo comma dell’art. 473-bis. 38 c.p.c. e le impugnazioni previste in calce all’art. 473-bis. 39 c.p.c.

Intanto pare opportuno rilevare come sia sempre stata controversa la proponibilità del reclamo avverso l’ordinanza di attuazione delle misure cautelari poiché il reclamo non è stato adottato a rimedio di carattere generale, idoneo ad operare rispetto ad ogni possibile provvedimento intervenuto in sede cautelare. Parte della dottrina e della giurisprudenza, tuttavia, in riferimento ad esse, lo ammettono[39].

Nel caso dei provvedimenti familiari, però, l’art. 473-bis. 24 c.p.c. estende il rimedio del reclamo avverso tutti i provvedimenti temporanei messi in corso di causa che sospendono o introducono sostanziali limitazioni alla responsabilità genitoriale, nonché quelli che prevedono sostanziali modifiche dell’affidamento e della collocazione dei minori ovvero ne dispongono l’affidamento a soggetti diversi dai genitori. Nel novero di tali strumenti possono quindi rientrare anche i provvedimenti emessi ai sensi degli artt. 473-bis. 38 e 39 c.p.c[40]. Il reclamo sarebbe pertanto, almeno in tali casi, ammissibile[41].

Di converso, i provvedimenti con i quali si decidono le controversie di opposizione all’esecuzione (e di opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c.) sono soggette ai normali mezzi di impugnazione mentre il giudizio di opposizione agli atti esecutivi esclude di per sé l’appello, ammettendo solo il ricorso straordinario in cassazione ex art. 111 Cost. Peraltro, colui che agisce in opposizione può ottenere la sospensione dell’esecuzione ex art. 624 c.p.c oppure, nel caso di opposizione agli atti esecutivi ex art. 618 c.p.c.

La risposta al quesito originario può comunque ancora una volta pervenire dalla disciplina dei provvedimenti attuativi in materia cautelare da cui, come si è tentato di affermare, è stata innegabilmente mutuata l’attuazione dei provvedimenti sull’affidamento almeno nei suoi tratti procedimentali essenziali, vertendosi in entrambi i casi di esecuzione in via breve.

Il comma 4 dell’articolo 473-bis. 38 c.p.c. utilizza pressoché integralmente le stesse identiche espressioni dell’articolo 610 c.p.c. (norma dedicata all’esecuzione per consegna o rilascio rubricata “provvedimenti temporanei” e riferita alle “difficoltà” che non ammettono dilazione e che possono sorgere nel corso dell’esecuzione), specificando che se nel corso dell’attuazione/esecuzione «sorgono difficoltà che non ammettono dilazione, ciascuna parte e gli ausiliari incaricati possono chiedere al giudice, anche verbalmente, che adotti i necessari provvedimenti temporanei». Si tratta di una evidente mutuazione dal processo esecutivo. Del resto, è bene sempre ricordarlo, qui di esecuzione si tratta sia pur non devoluta al giudice dell’esecuzione bensì al giudice del merito. Analogamente il comma 6, nell’affermare come il giudice possa autorizzare l’uso della forza pubblica (sia pur con provvedimento motivato e solo se assolutamente indispensabile avendo riguardo alla preminente tutela della salute psicofisica del minore) riecheggia il contenuto dell’art. 613 c.p.c. in riferimento all’esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare nella parte in cui si fa possibile riferimento all’utilizzo della forza pubblica (ivi per il tramite dell’ufficiale giudiziario) per eliminare le difficoltà che sorgono nel corso dell’esecuzione.

Di conseguenza pare potersi affermare che il provvedimento reso dal giudice all’esito del giudizio intentato ai sensi del combinato disposto degli artt. 473-bis. 38 e 39 c.p.c. si concluda con un provvedimento sicuramente reclamabile qualora il provvedimento di cui si tratti sia provvisorio, appellabile in caso di provvedimento finale emesso all’esito di un giudizio di opposizione all’esecuzione o solo ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. nel caso di opposizione agli atti esecutivi.

Non può escludersi infatti il concorso fra questi diversi strumenti di controllo in senso lato del provvedimento: è ben possibile quindi che, posto in attuazione il provvedimento, questo venga attaccato contemporaneamente sia con il reclamo che con le opposizioni esecutive.

In particolare, alla stregua di quanto accade per il controllo dei provvedimenti emessi in fase di attuazione di un provvedimento cautelare, per valutare se procedersi anche con il reclamo oppure avvalersi esclusivamente del rimedio delle opposizioni, occorre domandarsi se le modalità attuative possano considerarsi esercizio diretto del potere di emanazione del provvedimento o meno.

Quando modificando le modalità si incide in realtà sul contenuto oggettivo del comando, si concreterebbe un nuovo esercizio della potestà del giudice, contro cui le parti interessate dovrebbero essere legittimate ad opporsi con il rimedio del reclamo; ciò perché una volta concessa una misura cautelare, ogni provvedimento teso alla modifica ovvero alla revoca è ammissibile solo ove solo ove ricorre l’ipotesi prevista dall’articolo 669-decies c.p.c. cioè il mutamento delle circostanze ovvero a seguito del rimedio previsto dall’articolo 669-terdecies c.p.c. Di contro, ove il provvedimento non comporti alcuna modifica del contenuto oggettivo del comando, potrebbe escludersi la possibilità di reclamo[42].

In altre parole, in riferimento al caso dell’attuazione dei provvedimenti sull’affidamento pare possibile sostenere che se il giudice, in sede di attuazione/esecuzione, non operi alcuna modifica sul contenuto del comando e in assenza di mutamenti delle circostanze, resterebbe esperibile soltanto il rimedio delle opposizioni esecutive di cui all’articolo 473- bis. 38 ultimo comma c.p.c., lasciandosi operabile anche il reclamo negli altri casi, vale a dire quando si modifichi il provvedimento (per esempio integrandolo, sostituendolo o revocandolo del tutto), si risolvano le controversie che sorgono in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale ai sensi dell’art. 473-bis. 38 c.p.c. e tutte le ipotesi in cui adottino le misure di cui all’art. 473-bis. 39 c.p.c.

4.Gli strumenti sanzionatori di cui all’art. 473-bis. 39 c.p.c.: profili critici.

 

Nessuna (nuova o nuovissima) questione particolare pare sorgere in merito alla qualità e tipologia sanzioni enucleate all’art. 473-bis. 39 se non il fatto, di grande rilievo e dai più in passato auspicato, della loro disponibilità anche nel caso di gravi inadempienze di natura economica. Tale rimedio deve pertanto aggiungersi ai preziosi strumenti ridefiniti dal legislatore per l’attuazione dei provvedimenti a contenuto patrimoniale di cui agli attuali artt. 473-bis. 36 e 37 c.p.c[43].

Come rilevato, il legislatore ha inteso non soltanto conservare, sia pure con significative variazioni, le sanzioni già previste dall’articolo 709-ter c.p.c. ma anche affidare l’esecuzione dei provvedimenti nell’interesse dei minori alle misure di coercizione indiretta previste dall’articolo 614- bis c.p.c. (che a seguito della rinovellazione della norma per effetto della riforma Cartabia, sono disponibili, non a caso, anche dal giudice dell’esecuzione). Si tratta, come noto, di misure ordinate lungo un asse di intensità compulsiva crescente in ossequio al principio di proporzionalità[44] che danno corpo alla cosiddetta “esecuzione indiretta”, facente capo ad un sistema di sanzioni che il genitore obbligato ha l’interesse di evitare ottemperando spontaneamente al contenuto precettivo del provvedimento pronunciato nei suoi confronti. Se questo non avviene, il giudice può non soltanto modificare anche d’ufficio i provvedimenti in vigore ma anche sanzionare con quanto prevede la norma in commento. Di particolare rilievo è l’autonomia che il legislatore pare abbia inteso conferire al rimedio del risarcimento del danno di cui al penultimo comma dell’art. 473-bis. 39, la qual cosa, come si vedrà, può comportare qualche problema in ordine al procedimento.

Se prima era in dubbio la natura punitiva o risarcitoria del risarcimento del danno di cui al secondo comma del previgente art. 709-ter c.p.c., con la riforma sono accresciuti gli indici normativi favorevoli alla tesi risarcitoria. Difatti, la possibilità di condannare il genitore inadempiente al risarcimento dei danni a favore dell’altro genitore o del minore figura separatamente al secondo comma dell’articolo 473-bis. 39 c.p.c. e la stessa relazione illustrativa alla riforma Cartabia pone un solco tra il risarcimento e le altre sanzioni, osservando che la loro natura sanzionatoria assimilabile tipicamente a quella di natura penale di tali provvedimenti ne consente la cumulabilità con il risarcimento del danno previsto dal successivo quarto comma dell’articolo in esame. Come in precedenza sostenuto in dottrina, quindi, l’articolo 473- bis. 39 c.p.c. ha l’effetto di consentire la proposizione al giudice della crisi familiare di domande di risarcimento del danno fondate sull’illecito endofamiliare indicato dal primo comma dell’articolo 473-bis. 38 c.p.c. e la pretesa dovrà pertanto derivare quantomeno anche dalla violazione di precedenti provvedimenti o accordi a questi equiparati disciplinanti l’esercizio della responsabilità genitoriale[45]. Il giudice avrà pertanto già nella maggior parte dei casi elementi di conoscenza e prova (tra cui eventualmente la consulenza tecnica) su cui fondare la propria decisione risarcitoria.

Ebbene, nella prospettiva del procedimento delineato dall’art. 473-bis. 38 c.p.c. a valere anche per l’irrogazione delle sanzioni di cui all’art. 473-bis. 39 c.p.c. compreso il risarcimento del danno effettivo, può porsi il problema della sommarietà della cognizione di detto procedimento, sebbene il giudizio di opposizione ai sensi dell’art. 473-bis. 12 c.p.c. soccorra successivamente in via eventuale quale sede per accertare compiutamente il danno con cognizione piena ed esauriente e salva la possibilità di reclamo. Peraltro lo schema di decreto correttivo e di coordinamento del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149 interviene, come si è anticipato, anche sull’ambito di applicazione delle norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie e, in modifica dell’ art. 473-bis c.p.c. a tale ambito di applicazione deputata, afferma, tra le altre cose, che le disposizioni di cui al Titolo IV bis c.p.c. si applicano anche alle domande di risarcimento del danno conseguente a violazione dei doveri familiari, salvo che la legge disponga diversamente; con ciò potendosi intendere il richiamo, sotto ogni profilo procedimentale, agli artt. 473-bis . 38 e 39 c.p.c.

[1]   V. le Proposte normative e note illustrative in www.giustizia.it, 135.

[2]   Sull’esigenza di una riscrittura dell’esecuzione forzata in forma specifica sulla base dei bisogni di tutela esecutiva dei diritti su beni immateriali, dei diritti della personalità e dei rapporti obbligatori al fine di garantire a livello di effettività la tutela specifica delle situazioni di vantaggio diverse dai diritti reali di godimento a cui l’esecuzione in forma specifica stessa si attaglia v. Proto Pisani, La tutela giurisdizionale dei diritti della personalità: strumenti e tecniche di tutela, in Foro it., V, 1990, 1 ss. Sui profili evolutivi e criticità del tema ci si permette di rinviare ai nostri L’esecuzione dei provvedimenti relativi ai minori: l’esperienza italiana e francese a confronto, in Fam. dir., 2016, 83 ss. e Il programma di riforma della giustizia familiare e la tutela esecutiva dei diritti personali: la modifica dell’art. 709-ter c.p.c., in Scritti in onore di Bruno Sassani, a cura di R. Tiscini e F.P. Luiso, Tomo I, Pisa, 2022, 811 ss. Plurime sono state le condanne nei confronti dello Stato italiano da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo proprio per non essersi i nostri tribunali adoperati con mezzi attuativi adeguati in riferimento ai provvedimenti familiari aventi ad oggetto obblighi personali. Mentre le pronunce più risalenti si appuntavano sulla violazione dell’art. 8 CEDU che tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare adducendo che lo Stato italiano si era limitato ad adottare misure stereotipate, solamente (o quasi) attivando i servizi sociali, è dell’aprile 2021 la sentenza con cui la Corte medesima ha condannato il nostro Stato al risarcimento a padre e figlio dei danni subiti per non aver attuato mezzi idonei e rapidi a far eseguire in concreto la decisione del giudice che disponeva il ripristino della relazione padre-figlio, a causa della condotta ostativa della madre, evidenziando però – è questo il dato di interesse – che i giudici, in  quel caso, non solo avevano assunto “misure automatiche e stereotipate”, delegando  completamente la gestione della famiglia ai servizi sociali, ma, piuttosto, che non avevano messo in atto “l’arsenale giuridico previsto dal diritto italiano” che, secondo la Corte, avrebbe permesso ai giudici stessi di assumere decisioni per far rispettare le  proprie disposizioni e soprattutto per far rispettare l’articolo 8 della CEDU. V., rispettivamente, i casi Piazzi c. Italie del 2 novembre 2010 e Lombardo c. Italie del 29 gennaio 2013 (entrambi in https://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22documentcollectionid2%22:[%22GRANDCHAMBER%22,%22CHAMBER%22]}) e R.B. et M. c. Italie del 22 aprile 2021, in https://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22documentcollectio nid2%22:[%22GRANDCHAMBER%22,%22CHAMBER%22]}.

[3]    Limitatamente alla più risalente dottrina e senza pretesa di esaustività, sulla questione v. Vaccarella, Problemi vecchi e nuovi dell’esecuzione forzata dell’obbligo di consegna dei minori, in Studi in onore di Carnacini, II, Milano, 1984, 1509 ss.; Carpi, Il giudice civile e i conflitti in materia di famiglia, ivi, 115 ss.; E. Silvestri, Sull’attuazione coattiva dell’affidamento della prole, in Riv. dir. proc., 1982, 336 ss.; Fornaciari, L’attuazione dell’obbligo di consegna  di minori. Contributo alla teoria dell’esecuzione forzata in forma specifica, Milano, 1991; Carpi- Graziosi, voce Procedimenti in materia di famiglia, in Dig. disc. priv., sez. civ., XIV, Torino, 1996, 550 ss.; Danovi, L’attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento e alla consegna dei minori tra diritto vigente e prospettive di riforma, in Dir. fam. e pers., 2002, 530 ss.; Tommaseo, L’attuale panorama normativo sull’esecuzione dei provvedimenti in materia di famiglia e di minori, in Stud.    Iur., 2004, 1529 ss.; Graziosi, L’esecuzione forzata dei provvedimenti in materia di famiglia, in Diritto processuale di famiglia, a cura di Graziosi, Torino, 2016, 229 ss.

[4] Mi permetto, al proposito, di rinviare al nostro L’esecuzione dei provvedimenti relativi ai minori: l’esperienza italiana e francese a confronto, in Fam. dir., 2016, 100 ss.

[5] Mi riferisco soprattutto a Cass. ord. 6471/2020 su cui, se si vuole, anche in riferimento specifico all’art. 614-bis c.p.c., v. Ficcarelli, Misure coercitive e diritto-dovere di visita del genitore non collocatario, in Fam. dir., 2020, 335 ss.

[6] Sull’attuazione dei provvedimenti sull’affidamento nel momento in cui la riforma si trovava allo stato di legge delega si veda, se si vuole, il nostro Il programma di riforma della giustizia familiare e la tutela esecutiva dei diritti personali: la modifica dell’art. 709-ter c.p.c., in Scritti in onore di Bruno Sassani, cit., 811 ss.

[7] V. Tommaseo, Sull’attuazione dei provvedimenti della giustizia familiare, in Fam. dir., 2023, 978.

[8] V. Tommaseo, Sull’attuazione dei provvedimenti della giustizia familiare, cit., 978, in richiamo di Merlin, La revoca e la modifica, in Il processo cautelare, V ed., a cura di Tarzia – Saletti, Milano, 2015, 472.

[9] Come giustamente rilevato, l’interpretazione degli artt. 473-bis. 38 e 473-bis. 39 c.p.c. risente del diverso quadro ordinamentale con cui le norme menzionate si confronteranno nel tempo ovvero come debbano essere interpretate ad oggi e come debbano essere intese con il nuovo ufficio giudiziario, vale a dire il Tribunale unico della famiglia che, come noto, si articolerà in una sezione circondariale, monocratica, ed una sezione distrettuale, collegiale. Così Donzelli, L’attuazione dei provvedimenti, in La riforma del processo e del giudice per le persone, per i minorenni e per le famiglie, Il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n°149, a cura di Claudio Cecchella, Torino, 2023, 155 ss.

[10] V. Cecchella, La riforma del processo in materia di persone, minorenni e famiglie, dopo il d.lgs. n.149/2022, in questionegiustizia.it.

[11] V. ancora, se si vuole, il nostro Il programma di riforma della giustizia familiare e la tutela esecutiva dei diritti personali: la modifica dell’art. 709-ter c.p.c., in Scritti in onore di Bruno Sassani, cit., 820 ss.

[12] Con una locuzione più ampia vi è chi ha parlato di “esecuzione forzata speciale”, la qual formula sta a significare che la pluralità delle tecniche di attuazione dei provvedimenti giurisdizionali non riesce a porre in discussione l’unità concettuale della giurisdizione esecutiva. V. Proto Pisani, La nuova disciplina dei procedimenti cautelari in generale, in Foro it., 1991, V, c. 83.

[13] Spiega efficacemente F. P. Luiso (Diritto processuale civile, IV, I processi speciali, XIII ed., Milano, 2023, 236 ss.) che l’attuazione si può modellare secondo due alternative: secondo le forme dell’esecuzione forzata del III libro del codice di procedura civile oppure secondo le forme della cosiddetta esecuzione in via breve: secondo il primo sistema fatto proprio ad esempio dall’ordinamento francese e da quello tedesco il provvedimento cautelare costituisce un normale titolo esecutivo. Se quindi la controparte rimane inattiva l’avente diritto può instaurare un ordinario processo esecutivo. L’altro meccanismo è quello dell’esecuzione cosiddetta “in via breve”.

[14] A ciò conduce anche l’analogia con il procedimento di cui all’art. 669-duodecies c.p.c. Nell’esecuzione in via breve il legislatore ha stabilito una competenza per la fase di attuazione che diverge dalla competenza per l’esecuzione forzata. Mentre l’art. 26 c.p.c. stabilisce che per l’esecuzione forzata per consegna e rilascio è competente il giudice del luogo in cui le cose si trovano e per gli obblighi di fare e non fare e competente il giudice del luogo ove l’obbligo deve essere adempiuto, qui competente è lo stesso giudice che ha emesso il provvedimento cautelare. Questo non significa che all’attuazione sovrintenda la stessa persona fisica che ha emesso il provvedimento cautelare: ciò che porterebbe all’assurdo di ritenere che dove il provvedimento sia stato emesso da un giudice collegiale sia lo stesso collegio a fungere da giudice dell’attuazione cautelare. La norma in questione è norma sulla competenza: quindi, competente per l’attuazione è un giudice singolo che fa parte dell’ufficio che ha emesso il provvedimento da attuare. Così Luiso, Diritto processuale civile, IV, cit., 239. L’esperienza dell’esecuzione in via breve non è nuova per l’attuazione dei provvedimenti familiari a carattere personale. Negli anni ‘80 del millennio passato, infatti, La Corte di Cassazione, con specifico riferimento ai provvedimenti temporanei e urgenti resi ai sensi dell’art. 708 c.p.c. previamente in vigore, stabilì essere soggetti, in difetto di spontaneo adempimento, ad esecuzione coattiva in via breve a mezzo dell’ufficiale giudiziario, salvo che il beneficiario del provvedimento preferisse avvalersi, come alternativamente gli era consentito, della normale procedura di esecuzione forzata, notificando alla controparte il titolo e l’intimazione ad adempiere. Nella prima ipotesi, fu considerato competente il giudice che aveva emesso il provvedimento cioè quello del merito, mentre nel secondo caso competente era ovviamente il giudice dell’esecuzione secondo le regole ordinarie. V. Cass. Sez. 1, 12 novembre 1984 n° 5696 e Cass. 21 agosto 2013 n° 19344. In dottrina vedi Carpi, Note in tema di attuazione dei diritti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1988, 114, che aveva a suo tempo proposto il ricorso a questa procedura per l’attuazione dei provvedimenti di affidamento valorizzandone la speditezza e duttilità e sottolineando come il giudice del merito fosse dotato di una conoscenza approfondita della situazione, fosse, cioè, più attrezzato di quello competente la normale esecuzione degli obblighi di fare e non fare a risolvere i problemi che possono sorgere in via esecutiva, specie se si tratta di resistenze del minore. V. anche Proto Pisani, Su alcuni problemi attuali del processo familiare, in Foro it., 2004, I, 2537 per cui si tratta in sostanza di un processo esecutivo, nel quale si fa uso della forza coercitiva dello Stato, rimesso, quanto al modus procedendi, alla completa discrezionalità del giudice. Si è trattato, in particolare, della scia di quegli orientamenti dottrinali secondo cui le previgenti ordinanze presidenziali pronunciate nei giudizi di separazione e di divorzio erano una manifestazione della tutela cautelare quali provvedimenti cautelari anticipatori con forza di titolo esecutivo. V. ad es. Salvaneschi, Provvedimenti presidenziali nell’interesse dei coniugi e della prole e procedimento cautelare uniforme, in Riv. dir. proc. 1994, 1063 ss.; Id., Natura cautelare dei provvedimenti presidenziali e decorrenza della revoca dell’assegno di mantenimento, in Fam. dir., 1994, 532 ss.; Merlin, voce Procedimenti cautelari ed urgenti in generale, in Dig. disc. priv., Sez. civ., XIV, Torino, 1996, 429; Cecchella, Il processo cautelare. Commentario, Torino, 1997, 243; Fornaciari, L’attuazione dell’obbligo di consegna dei minori. Contributo alla teoria dell’esecuzione forzata in forma specifica, Milano, 1991, 263 ss., sia pur non senza incertezze. Sul tema, anche per i profili evolutivi, v. ampiamente Vullo, L’attuazione dei provvedimenti cautelari, Torino, 2001, 103 ss.

[15] V. ad es.  Balena, Istituzioni di diritto processuale civile, Vol. III, I processi speciali e l’esecuzione forzata, VI ed., Bari, 2023, 322. Equivalente alla notificazione del titolo esecutivo deve dunque considerarsi la legale conoscenza del provvedimento acquisita in udienza dall’intimato ovvero che gli sia stato successivamente comunicato. V. Merlin, voce Procedimenti cautelari ed urgenti in generale, cit., 425.

[16] V. sopra alla nota 14. Sulla questione v. specificamente Fornaciari, L’attuazione dell’obbligo di consegna dei minori, cit., spec. 266 ss.

[17] Sulla natura cautelare dei nuovi provvedimenti v. Graziosi, I provvedimenti provvisori ed urgenti nell’interesse dei genitori e dei figli minori nella recente riforma del diritto processuale di famiglia, in Scritti in onore di Bruno Sassani, Tomo I, cit., 835 ss.; M.A. Lupoi, Le misure provvisorie e la loro impugnativa, in La riforma del processo e del giudice per le persone per i minorenni e per le famiglie. Il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n.149, a cura di Cecchella, cit., 89 ss.; Donzelli, Il rompicapo dei provvedimenti provvisori e urgenti resi nel procedimento per le persone, i minorenni e le famiglie, in judicium it.

[18] V. Tommaseo (op. ult. cit., 978) il quale correttamente osserva che le regole di questa translatio vanno coordinate con quanto prevede l’art. 38 disp. att. c.c, nel regolare i rapporti fra la generale competenza del tribunale ordinario e quella speciale del tribunale per i minorenni: così per i provvedimenti de potestate del tribunale per i minorenni giudice dell’attuazione è un singolo giudice minorile che dovrà trasmettere gli atti al tribunale ordinario al quale chiesto la revisione di quanto stabilito sull’affidamento dei figli nella sentenza di separazione o di divorzio.

[19] Lo schema di decreto trasmesso alle Camere per i pareri delle Commissioni parlamentari è disponibile on line. Sui poteri officiosi del giudice nel nuovo processo della famiglia v., se si vuole, il nostro I poteri del giudice, in La riforma del processo e del giudice per le persone, per i minorenni e per le famiglie, Il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n°149, a cura di Claudio Cecchella, Torino, 2023, 107 ss.

[20] Tra le più comuni, nella prassi, la concessione del passaporto al minore, la scelta tra scuola pubblica o scuola privata, il cambio di residenza o istituto scolastico, la necessità di interventi chirurgici o percorso di terapia psicologica, sport particolari e necessari per la salute del minore ecc.

[21] V. in tal senso, oltre al dato normativo, in giurisprudenza, Trib. Verona, ord. 5 maggio 2023 in www.osservatoriofamiglia.it.

[22] Ci si permette di rinviare, al proposito, al nostro Il programma di riforma della giustizia familiare e la tutela esecutiva dei diritti personali: la modifica dell’art. 709-ter c.p.c., cit., 815 ss.  

[23] Della stessa sezione fanno parte anche gli artt. 473-bis. 36 e 474-bis. 37 dedicate ai provvedimenti di carattere economico, con due norme che ne ricompongono la tutela attuativa, prima frastagliata in diverse normative a seconda dei diversi procedimenti cui la stessa si riferiva.

[24] Così, in riferimento all’ attuazione dei provvedimenti cautelari, Recchioni, Diritto processuale cautelare, Torino, 2015, 921.

[25] Su questa linea v. Donzelli, L’attuazione dei provvedimenti, cit., 175 ss., nell’ambito di una completa ed articolata trattazione che lascia spazio ad entrambi gli scenari, sia pur prediligendo l’autore la separazione tra norme e procedimenti.

[26] Così, testualmente, Tommaseo, Sull’attuazione dei provvedimenti della giustizia familiare, cit., 978-979. V. in tal senso Cass. Sez. I, ord., 8 febbraio 2024, n° 3576 sia pur a margine di una trattazione in tema di C.T.U. relativa ad un presunto trattamento cd. “alienante” di uno dei genitori nei confronti del figlio minore.

[27] Così, in riferimento ai provvedimenti cautelari, Recchioni, Diritto processuale cautelare, cit., 921-922.

[28] In ordine all’applicabilità delle opposizioni esecutive anche nel procedimento di attuazione dei provvedimenti cautelari anticipatori a contenuto non pecuniario v. specificamente Vullo, L’attuazione dei provvedimenti cautelari, Torino, 2011, 211 ss.

[29] Così, testualmente, Luiso, Diritto processuale civile, IV, cit., 241-242.

[30] Così ancora Luiso, Diritto processuale civile, IV, cit., 242.

[31] V. Luiso, Diritto processuale civile, IV, cit., 242.

[32] Sul procedimento di attuazione dei provvedimenti a contenuto non pecuniario e le modalità attuative v. Recchioni, Diritto processuale cautelare, cit., 920 ss.

[33] V. ancora Luiso, Diritto processuale civile, cit., 240 e Recchioni, Diritto processuale cautelare, cit., 946 ss.

[34] Su cui, se si vuole, Ficcarelli, L’esecuzione dei provvedimenti relativi ai minori: l’esperienza italiana e francese a confronto, cit., 95 ss.

[35] Così, per l’attuazione dei provvedimenti cautelari, Balena, Istituzioni di diritto processuale civile, cit., 321-322. Sulle opposizioni esecutive ed i provvedimenti concernenti obblighi non pecuniari, v. ancora Recchioni, Diritto processuale cautelare, cit., 941 ss.

[36] Non parrebbe trattarsi di opposizioni pre-esecutive poiché l’esecuzione in via breve prescinde dalla notifica del titolo esecutivo e del precetto, sebbene sia sempre presupposta la conoscenza del provvedimento.

[37] Cfr. Balena, Istituzioni di diritto processuale civile, cit., 201 ss.

[38] In riferimento all’opposizione agli atti esecutivi v. Cass. 15 febbraio 2023, n° 4797.

[39] La giurisprudenza di legittimità prevalente propende oggi per l’ammissibilità del reclamo. V. ad es. Cass. 17 aprile 2019, n°10758. Sul problema del reclamo avverso i provvedimenti attuativi resi ai sensi dell’art. 669-duodecies c.p.c. v. Arieta, Trattato di diritto processuale civile, II ed., Le cautele. Il processo cautelare, vol. XI, Padova, 2011, 1064; Delle Donne, L’attuazione delle misure cautelari, Roma, 2012; Id; Il reclamo cautelare quale strumento di riesame dei provvedimenti attuativi resi ex art. 669 duodecies, in Giur. it., 2012, 2353; Recchioni, Diritto processuale cautelare, cit., 920 ss.; Id., Il controllo dei provvedimenti attuativi delle misure cautelari, in Scritti in onore di Bruno Sassani, Tomo I, cit., 899 ss.

[40] Ai sensi della norma suddetta, il reclamo deve essere proposto innanzi alla corte d’appello entro il termine perentorio di dieci giorni dalla pronuncia del provvedimento in udienza ovvero dalla comunicazione o dalla notificazione se anteriore.  Eventuali circostanze sopravvenute sono dedotte, ai sensi della stessa norma, davanti al giudice di merito (qui, pertanto, anche in sede, eventualmente, di giudizio di opposizione). Il collegio, assicurato il contraddittorio tra le parti, entro sessanta giorni dal deposito del ricorso pronuncia ordinanza con la quale conferma, modifica o revoca il provvedimento reclamato e provvede per le spese. Ove indispensabile ai fini della decisione, può assumere sommarie informazioni. L’ordinanza è immediatamente esecutiva.

[41] Avuto riguardo alla tutela non incidentale ma autonoma, vale a dire qualora la modifica del provvedimento intervenga ai sensi degli artt. 473-bis 38 e 39 c.p.c. se non vi sia un procedimento in corso, parimenti pare ammissibile il reclamo stante la natura sempre modificabile e revocabile di ogni provvedimento familiare e della natura di rebus sic stantibus del giudicato. Nello schema di decreto correttivo e di coordinamento del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, a fini di chiarezza, all’articolo 473-bis. 24, il primo e il secondo comma sono sostituiti dal seguente: «Si può proporre reclamo con ricorso alla corte d’appello: 1)  contro i provvedimenti temporanei e urgenti di cui al primo comma dell’articolo 473-bis.22; 2) contro i provvedimenti temporanei emessi in corso di causa che sospendono o introducono sostanziali limitazioni alla responsabilità genitoriale, nonché quelli che prevedono sostanziali modifiche dell’affidamento e della collocazione dei minori o ne dispongono l’affidamento a soggetti diversi dai genitori». All’articolo 473-bis. 24, quarto comma, dopo il primo periodo è poi inserito il seguente: «Il reclamo previsto dall’articolo 473-bis.24 si propone alla stessa corte di appello, che decide in diversa composizione. Ove non sia possibile comporre altro collegio specializzato in materia di stato delle persone, minorenni e famiglie, la corte trasmette senza indugio gli atti alla corte di appello più vicina».

[42] Così Recchioni, Diritto processuale cautelare, cit., 922.

[43] Su cui Donzelli, L’attuazione dei provvedimenti, in La riforma del processo e del giudice per le persone, per i minorenni e per le famiglie, Il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n°149, cit., 156 ss.

[44] Così efficacemente Donzelli, L’attuazione dei provvedimenti, in La riforma del processo e del giudice per le persone, per i minorenni e per le famiglie, Il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n°149, cit., 168.

[45] Così Donzelli, L’attuazione dei provvedimenti, in La riforma del processo e del giudice per le persone, per i minorenni e per le famiglie, Il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n°149, cit., 173-174.