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Il nuovo regolamento della Camera Arbitrale di Milano all’alba dell’entrata in vigore delle nuove norme in tema di poteri cautelari degli arbitri
Di Marco Farina -
Sommario: 1. Introduzione –. 2. La pubblicazione (in forma anonima) anche dei provvedimenti cautelari arbitrali. –. 3. Riflessi del nuovo articolo 818 c.p.c. sul (già precedentemente riconosciuto) potere cautelare degli arbitri nel Regolamento e collegate questioni di diritto transitorio e/o intertemporale –. 4. Le novità in merito alla pronuncia inaudita altera parte del provvedimento cautelare arbitrale –. 5. Le novità relativa all’arbitro di urgenza. Natura del potere cautelare d’urgenza e conseguenze in ordine alla esclusività o concorrenza (con la competenza cautelare del giudice statale) della competenza dell’arbitro unico di urgenza –. 6. La revoca, la modifica e l’inefficacia dei provvedimenti cautelari arbitrali secondo il Regolamento –.
1.Il 1° marzo 2023 è stato pubblicato ed è entrato in vigore il nuovo regolamento d’arbitrato della Camere arbitrale di Milano (di seguito anche solo il Regolamento), destinato ad applicarsi a tutti i procedimenti iniziati a partire dal 1° marzo 2023[1].
La revisione del Regolamento[2] si è (principalmente) resa necessaria per tener conto delle modifiche apportate ad alcune delle norme in tema di arbitrato dal d.lgs. 149/2022 di riforma del processo civile.
Più in particolare, la modifica del Regolamento è stata suggerita, innanzi tutto, dall’opportunità di conformare le previsioni relative all’esercizio dei poteri cautelari da parte degli arbitri alle nuove norme contenute negli articoli 818, 818-bis e 818-ter c.p.c. che, come noto, innovando profondamente rispetto al sistema previgente, riconoscono agli arbitri, al ricorrere della fondamentale condizione di un accordo delle parti in tale senso, il potere di concedere provvedimenti cautelari disciplinandone, altresì, l’impugnabilità e l’attuazione[3].
Gli organi della Camera Arbitrale hanno, peraltro, sfruttato questa propizia occasione per procedere, altresì, ad alcuni (minimali) ritocchi delle precedenti norme al fine di chiarire alcuni dubbi intrepretativi o correggere taluni (lievissimi) difetti di coordinamento[4].
2. La prima modifica che può collegarsi (principalmente, se non esclusivamente) alla esigenza di tener conto delle nuove norme del codice di rito in tema di poteri cautelari degli arbitri ha riguardato il comma 2 dell’articolo 8 in tema di riservatezza.
Nella previsione che già permetteva alla Camera arbitrale di curare, per fini di studio, la pubblicazione in forma anonima dei lodi è stata aggiunta l’ipotesi di un’eguale possibilità di pubblicazione anche «delle ordinanze e dei provvedimenti degli arbitri», in entrambi casi con salvezza di una indicazione contraria anche di una sola delle parti manifestata entro 30 giorni dal deposito del lodo.
Si tratta di una modifica che è stata verosimilmente suggerita dall’opportunità di consentire una diffusione, tra gli esperti del settore non meno che tra gli operatori pratici, della “giurisprudenza” arbitrale (non solo di merito ma anche) cautelare, e ciò sul presupposto che, per effetto della modifica dell’art. 818 c.p.c., assai più numerosi saranno i casi in cui gli arbitri saranno chiamati ad emettere (in forma di ordinanza, v. infra) provvedimenti cautelari trovandosi così a dover risolvere, volta a volta, questioni di rito e di merito cautelare che, prima d’ora ed in quanto necessariamente devolute all’esame ed alla decisione dell’autorità giudiziaria ordinaria, beneficiavano della (naturale) pubblicità dei provvedimenti resi dai tribunali.
Non sempre, infatti, la possibilità che l’art. 818-bis concede alle parti di reclamare innanzi alla Corte d’Appello l’ordinanza degli arbitri che nega o concede un provvedimento cautelare sarà in grado – per il tramite della pubblicazione della decisione di revoca, modifica o conferma emessa dal giudice statale – di venire a conoscenza della interpretazione, diciamo così, giurisprudenziale formatasi nel contesto di questo assai rilevante e, sovente, decisivo segmento della tutela dei diritti.
Così come per il lodo, anche la pubblicazione (sempre in forma anonima) delle ordinanze cautelari così come degli altri provvedimenti, in senso lato istruttori, resi dagli arbitri è soggetta, come visto, alla mancata opposizione di tutte le parti del procedimento essendo, in effetti, sufficiente, per impedire la diffusione presso il pubblico, che anche una sola di esse esprima il proprio dissenso entro trenta giorni dal deposito del lodo. La previsione di un termine agganciato al momento del deposito del lodo anche per la pubblicazione del provvedimento cautelare reso in corso di causa parrebbe, in effetti, dettata dall’esigenza di voler in tal modo rispettare, al massimo grado possibile, la riservatezza che caratterizza l’intero procedimento arbitrale, così da non gravare le parti di oneri da esercitare nel corso del giudizio che le vede coinvolte consentendogli di esprimere la loro (eventuale) opposizione (e con riferimento a tutti o limitatamente ad alcuni dei provvedimenti resi dagli arbitri) al termine di esso.
Qualora, tuttavia, il procedimento arbitrale si chiuda senza la pronuncia di un lodo[5] e nel corso del giudizio siano stati resi uno o più provvedimenti cautelari da parte degli arbitri, pare ragionevole ritenere che la pubblicazione non sia, per ciò solo, radicalmente impedita ma, diversamente, che la stessa possa avvenire o in mancanza dell’opposizione di tutte le parti entro trenta giorni dal provvedimento di estinzione reso dagli arbitri (se esistente), ovvero entro trenta giorni dalla specifica richiesta che la Camera Arbitrale potrà rivolgere alle parti al fine di sollecitare una loro opposizione.
3.L’articolo 26 del Regolamento – tuttora rubricato «misure cautelari o provvisorie» – è stato modificato al fine di rinnovarne, in parte, le relative disposizioni (anche) alla luce di quanto ora previsto dall’art. 818 c.p.c. in tema di poteri cautelari dagli arbitri.
Prima di soffermarci sulle modifiche che hanno interessato l’art. 26 del Regolamento, si deve osservare che questo articolo è rimasto sostanzialmente immutato quanto alla regola generale, introdotta nel 2019, che già attribuiva agli arbitri nominati nel contesto di un arbitrato governato dal Regolamento il potere di «pronunciare tutti i provvedimenti cautelari, urgenti e provvisori, anche di contenuto anticipatorio, che non siano vietati da norme inderogabili applicabili al procedimento».
Tuttavia, nel vigore della vecchia formulazione dell’art. 818 c.p.c. che vietava (espressamente) agli arbitri – fatta salva solo una diversa disposizione di legge – di concedere sequestri e altri provvedimenti cautelari, tale generale potere cautelare degli arbitri previsto e disciplinato dall’art 26 poteva validamente essere disimpegnato solo ed esclusivamente nei casi in cui il procedimento arbitrale (soggetto al Regolamento) avesse sede in uno Stato, diverso dall’Italia, la cui legge processuale arbitrale non contenesse divieti inderogabili come quello olim previsto dalla legge italiana, consentendo, dunque, agli arbitri, previa se del caso manifestazione di espressa volontà delle parti in tal senso, di concedere tali provvedimenti[6].
In caso di arbitrato amministrato secondo il Regolamento avente sede in Italia, trovava infatti applicazione il limite, previsto dal primo comma dell’art. 26 del Regolamento, del divieto posto da una norma inderogabile applicabile al procedimento che, nel caso di specie, doveva individuarsi proprio nella previsione contenuta nell’art. 818 c.p.c. nella sua originaria formulazione.
Una volta, invece, entrato in vigore il nuovo art. 818 c.p.c. che, nella sua versione vigente dal 28 febbraio 2023[7], consente alle parti di attribuire agli arbitri il potere di concedere misure cautelari «anche mediante rinvio a regolamenti arbitrali», la previsione del generale potere cautelare degli arbitri (già) contenuta nell’art. 26 del Regolamento e rimasta (sostanzialmente) immutata potrà, ora, trovare applicazione anche con riferimento ad arbitrati aventi sede in Italia.
La possibilità per gli arbitri nominati in un arbitrato amministrato secondo il Regolamento di concedere provvedimenti cautelari anche quando la lex arbitri sia quella italiana doveva, dunque, ammettersi anche qualora il Regolamento non fosse stato modificato, essendo a tale fine perfettamente idonea la originaria formulazione del primo comma dell’art. 26 rispetto alla quale il venir meno del divieto legale di cui al previgente art. 818 c.p.c. rimuoveva il limite dato dall’esistenza di contrarie previsioni inderogabili da parte della legge applicabile al procedimento.
Ciò precisato, e prima ancora di passare ad esaminare quali siano le modifiche apportate all’art. 26 del Regolamento, è opportuno soffermarsi sulla questione relativa all’applicazione nel tempo della regola che (oramai, validamente) riconosce agli arbitri il potere cautelare pur quando l’arbitrato amministrato secondo il Regolamento abbia sede in Italia.
Si può cominciare con l’osservare che, rispetto a tale questione di diritto transitorio o intertemporale, è verosimilmente irrilevante[8] il fatto che il Regolamento sia stato modificato in corrispondenza dell’entrata in vigore dell’art. 818 c.p.c.; non è, infatti, qui a farsi questione dell’applicazione nel tempo del regolamento[9], bensì l’applicazione nel tempo dello stesso articolo 818 c.p.c. nella parte in cui, come detto, prevede che il potere cautelare degli arbitri debba trovare necessario fondamento nella volontà delle parti, se del caso espressa mediante rinvio ad un regolamento arbitrale che preveda una siffatta potestà.
Il tema, in effetti, si sarebbe posto (sostanzialmente)[10] allo stesso modo quand’anche non fosse intervenuta alcuna modifica dell’art. 26 del Regolamento, e ciò anche in considerazione del fatto che, come già notato retro, dell’art. 26 è rimasta immutata – nel passaggio dall’ultima versione del regolamento risalente al 2019 a quella applicabile a far data dal 1° marzo 2023 – la regola fondamentale, espressa al primo comma, dell’attribuzione agli arbitri del potere cautelare con il solo limite di un divieto posto da una norma inderogabile posta dalla lex arbitri[11].
Ciò precisato, per risolvere la questione deve aversi riguardo alla norma transitoria contenuta nell’art. 35 del d.lgs. 149/2022 di riforma del processo civile che, tra l’altro, ha modificato proprio l’art. 818 c.p.c.; in tale norma, come noto, si prevede che «le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti». Non essendovi una diversa disposizione che regoli l’entrata in vigore e l’applicazione nel tempo delle norme che hanno modificato le disposizioni del codice di rito in tema di arbitrato, è questa, dunque, la regola di diritto transitorio da applicare alla fattispecie che ci occupa.
Sembrerebbe, quindi ed in via di prima approssimazione, doversi concludere nel senso che, pur se la convenzione d’arbitrato contenente il rinvio al Regolamento sia stata conclusa prima del 1° marzo 2023, agli arbitri, diciamo così (per semplicità), italiani spetterà comunque il potere di emettere provvedimenti cautelari a condizione, però, che il procedimento sia iniziato a decorrere dal 1° marzo 2023[12]. E questo non perché – come già notato – il nuovo Regolamento è destinato ad applicarsi ai procedimenti iniziati a decorrere dal 1° marzo 2023[13], bensì perché la rimozione del limite posto dall’esistenza di un divieto previsto da una norma inderogabile applicabile al procedimento che ancora compare nell’art. 26, primo comma, del Regolamento ha effetto, per espressa previsione contenuta nell’art. 35, comma primo, d.lgs. 149/2022, proprio in relazione «i procedimenti instaurati successivamente a tale data».
In ragione di ciò ed in considerazione, altresì, del fatto che il primo comma dell’art. 35 d.lgs. 149/2022 prevede espressamente anche che «ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti», rispetto ad un giudizio arbitrale pendente amministrato secondo il Regolamento non potrà trovare applicazione la previsione che ha rimosso il divieto per gli arbitri di concedere misure cautelari e, dunque, l’articolo 26 del Regolamento si trova necessariamente a dover continuare a confrontarsi con la regola della lex arbitri applicabile (anche) ratione temporis al procedimento che sancisce l’inderogabilità, per volontà delle parti, del divieto per gli arbitri di rendere provvedimenti cautelari.
Non ci sembra, in effetti, che possa accedersi all’idea[14] per cui, rispetto al tema che qui ci occupa dei poteri cautelari degli arbitri, per « procedimenti instaurati successivamente» al 28 febbraio 2023 (ossia, a decorrere dal 1° marzo 2023, incluso) debbano intendersi i sub-procedimenti cautelari che possono (idealmente) trovare spazio nell’ambito e all’interno di un procedimento arbitrale pendente alla data del 28 febbraio 2023. Rilevato che, anche secondo quanto espressamente previsto dal Regolamento, l’istanza cautelare arbitrale, a differenza della domanda arbitrale statale, non pare idonea a conferire marcati tratti di autonomia al segmento procedimentale dalla stessa innescato[15], a noi pare che un argomento decisivo per escludere una così ampia (ancorché non propriamente retroattiva) applicazione nel tempo del nuovo art. 818 c.p.c. derivi dal fatto che, in arbitrato[16], non è concepibile un provvedimento cautelare arbitrale ante causam.
Ciò in effetti induce a concludere nel senso che ciò che legittima l’esercizio del potere cautelare degli arbitri è sempre e proprio l’inizio di un procedimento arbitrale, di modo che è questo procedimento a costituire – alla luce del concreto tenore della norma transitoria di cui all’art. 35, comma primo, d.lgs. 149/2022 – l’elemento da prendere in considerazione per discriminare casi cui è applicabile il divieto di cui alla previgente formulazione dell’art. 818 c.p.c. dai casi in cui è invece applicabile la più permissiva regola di cui alla novellata versione della menzionata norma del codice di rito.
Piuttosto, un qualche argomento contrario alla possibilità di fare applicazione dell’art. 26 rispetto a procedimenti arbitrali (comunque) iniziati a decorrere dal 1° marzo 2023 ma in forza di convenzioni di arbitrato (contenenti un rinvio al Regolamento) stipulate anteriormente, potrebbe farsi derivare dall’osservazione per cui il fondamento del potere cautelare degli arbitri riposa, secondo quanto previsto dal nuovo articolo 818 c.p.c., sulla «espressa volontà delle parti»[17]. Si potrebbe, allora, essere, non del tutto irragionevolmente, indotti a ritenere che, allorché le parti abbiano fatto rinvio al Regolamento prima dell’entrata in vigore della nuova formulazione dell’art. 818 c.p.c.[18], non possano in tal modo aver manifestato la loro «espressa volontà» di attribuire agli arbitri il potere cautelare[19] ma, al contrario, abbiano considerato tale rinvio per definizione incapace, in ragione dell’inderogabile divieto al tempo vigente e che funzionava (appunto) come limite (inderogabile) all’operare dell’art. 26, primo comma, del Regolamento quando la lex arbitri era quella italiana, a conferire agli arbitri (e, di conseguenza, a sottrarre all’autorità giudiziaria ordinaria) il potere di concedere misure cautelari.
A tal proposito, peraltro, si potrebbe anche osservare che l’art. 35, comma primo, d.lgs. 149/2022 sembrerebbe comporsi, in realtà, di due enunciati normativi: il primo prevede che «le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023», il secondo che queste stesse disposizioni «si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data». L’art. 818 c.p.c., nella sua rinnovata formulazione, pertanto, produce effetto solo a decorrere dal 28 febbraio 2023, con la conseguenza per cui – si potrebbe non implausibilmente osservare – è solo a decorrere da questa data che la espressa volontà delle parti può avere, appunto, l’effetto di attribuire agli arbitri poteri cautelari. Se, come unanimemente riconosciuto, il fondamento del potere cautelare degli arbitri (anche quello previsto da regolamenti arbitrali che tale potestà contemplino) riposa sulla volontà delle parti e se, ancora, la norma che attribuisce rilievo a tale volontà – prevedendo che stessa venga manifestata nella «convenzione di arbitrato o in atto scritto anteriore all’instaurazione del giudizio arbitrale» – ha effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023, diventa difficile ritenere, sic et simpliciter, che le parti, in una convenzione arbitrale conclusa prima dell’entrata in vigore della nuova norma, abbiano, così, potuto validamente esprimere una loro (espressa) volontà diretta ad attribuire agli arbitri poteri cautelari[20].
Ora, rispetto a tale (quantomeno intricata ed opinabile) questione, un qualche rilievo potrebbe averlo la modifica apportata al primo comma dell’art. 26 del Regolamento. La modifica in discorso si sostanzia nell’aggiunta di una clausola posta all’esordio di tale primo comma che fa «salvo [un] diverso accordo delle parti» in merito al riconoscimento di poteri cautelari agli arbitri[21].
Tale (opportuna) previsione, letta alla luce di quanto previsto dalla nuova formulazione dell’art. 818 c.p.c., permette, insomma, alle parti di derogare validamente alla norma del Regolamento che riconosce agli arbitri poteri cautelari: se il mero rinvio al Regolamento è necessario ma, al tempo stesso, sufficiente, ai sensi dell’art. 818 c.p.c. e dell’art. 26, primo comma, a far sì che gli arbitri italiani di un procedimento amministrato secondo il Regolamento possano senz’altro concedere provvedimenti cautelari, qualora le parti intendano, al contrario, mantenere in capo al giudice statale il potere cautelare dovranno espressamente prevederlo negando in modo chiaro e specifico che il rinvio al Regolamento si estenda (anche) al suo articolo 26, primo comma, ed al potere cautelare arbitrale ivi previsto e disciplinato.
Poiché, dunque, il fine avuto di mira dalla (nuova) norma del Regolamento è quello di consentire alle parti di modulare diversamente la loro volontà quanto all’esercizio del potere cautelare arbitrale, il (mero) rinvio al Regolamento contenuto in una convenzione d’arbitrato conclusa anteriormente all’entrata in vigore del nuovo primo comma dell’art. 26 del Regolamento e del nuovo articolo 818 c.p.c. potrebbe considerarsi inidoneo e, comunque, insufficiente ad esprimere (e validamente manifestare) una consapevole scelta e volontà delle parti quanto alla sussistenza del potere cautelare arbitrale. Si tratterebbe, in definitiva, di poter riconoscere nella condotta delle parti che hanno fatto rinvio al Regolamento in un momento in cui esso, nella sostanza, non prevedeva il potere cautelare arbitrale in procedimenti arbitrali con sede in Italia, il senso di una volontà contraria a tale potere, ossia proprio il senso di quel «diverso accordo delle parti» cui oggi il primo comma dell’art. 26 del Regolamento da rilievo ai fini di una eventuale deroga pattizia al potere cautelare arbitrale d’ordinario previsto[22].
4. Il secondo comma dell’art. 26 del Regolamento è significativamente modificato mediante la (opportuna e del tutto ragionevole; v. anche infra) previsione della possibilità per gli arbitri di concedere provvedimenti cautelari (anche) inaudita altera parte.
Il nuovo secondo comma dell’art. 26 del Regolamento prevede, dunque, che «su istanza della parte ricorrente, il Tribunale Arbitrale può pronunciare l’ordinanza senza sentire l’altra parte se dalla sua convocazione può derivare grave pregiudizio alle ragioni dell’istante. In tal caso, il Tribunale Arbitrale, con il provvedimento che accoglie l’istanza, fissa nei successivi 10 giorni l’udienza per la discussione delle parti e gli eventuali termini per il deposito di memorie. Il Tribunale Arbitrale, all’udienza o comunque entro i successivi 5 giorni, nel contraddittorio delle parti, con ordinanza conferma, modifica o revoca il provvedimento già concesso»[23].
La possibilità di una pronuncia inaudita altera parte[24] è, innanzi tutto e come è naturale che sia, condizionata ad una espressa istanza di parte in tal senso, non potendo gli arbitri adottare tale modalità decisoria d’ufficio[25]. Si tratta, come anticipato, di regola assai opportuna e del tutto condivisibile, anche in considerazione del fatto che non può che spettare al ricorrente l’onere di sostanziare e dimostrare le ragioni di fatto che giustificano e, in qualche caso, possono imporre la pronuncia di un provvedimento cautelare ex parte al fine di evitare il prodursi di un «grave pregiudizio alle ragioni dell’istante»[26].
La disposizione in esame prevede, poi, che una volta reso il provvedimento inaudita altera parte, il Tribunale Arbitrale avrà l’obbligo di fissare l’udienza di discussione del ricorso cautelare nel contraddittorio di entrambe le parti entro e non oltre dieci giorni dal provvedimento che accoglie l’istanza; è altresì previsto che, in tal caso, il Tribunale Arbitrale, con il medesimo provvedimento di accoglimento della domanda cautelare inaudita altera parte e di fissazione dell’udienza per la conferma, modifica o revoca in contraddittorio, fissi gli «eventuali» termini per il deposito di memorie.
A tale ultimo proposito deve osservarsi che l’eventualità cui allude la disposizione non può a nostro avviso, essere riferita alla stessa possibilità per la parte contro la quale è stato reso il provvedimento cautelare inaudita altera parte di difendersi in vista dell’udienza mediante il deposito di una memoria scritta. Poiché gli arbitri, tanto ai sensi dell’art. 816-bis c.p.c. quanto ai sensi dell’art. 2, comma 3, del Regolamento sono tenuti ad assicurare il rispetto del principio del contraddittorio e della parità di trattamento delle parti, deve escludersi che il Tribunale Arbitrale, discrezionalmente, possa decidere di limitare l’esercizio del diritto di difesa del resistente ad un contradditorio meramente orale, da esercitarsi in udienza, a fronte di una iniziativa cautelare rispetto alla quale l’istante ha avuto agio di decidere tempi e forme (assai verosimilmente scritte e racchiuse in un vero e proprio ricorso) di proposizione.
Deve, quindi, concludersi nel senso che ad essere eventuale sarà, unicamente, la possibilità per il Tribunale di modellare un contraddittorio scritto anteriore all’udienza in cui, eventualmente appunto, coinvolgere pure il ricorrente per una replica alla risposta del resistente[27], ferma quindi la possibilità per quest’ultimo, in mancanza della concessione di un termine da parte del Tribunale Arbitrale, di depositare ugualmente una memoria difensiva scritta per resistere all’istanza cautelare avversaria.
Quanto da ultimo detto pone, peraltro, una questione delicata allorché la pronuncia inaudita altera parte sia stata resa al fine di preservare l’effetto sorpresa, ad es., di un sequestro conservativo. Nel sistema delineato dall’art. 669-sexies, secondo comma, c.p.c., in caso di provvedimento inaudita altera parte al ricorrente è concesso un termine (perentorio) non superiore a otto giorni per la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza per la conferma, modifica o revoca in contraddittorio. Ciò consente al ricorrente – utilizzando il termine massimo previsto dalla legge – di procedere prima all’attuazione del sequestro e, solo successivamente, di portare a conoscenza del resistente il provvedimento, il ricorso e la convocazione per l’udienza. Nel sistema delineato dall’art. 669-sexies, terzo comma, c.p.c., peraltro, al resistente è, definitiva, assegnato un termine a difesa non inferiore a sette giorni in quanto l’udienza per la conferma, modifica o revoca in contraddittorio deve svolgersi entro quindici giorni[28].
Poiché nel secondo comma del nuovo articolo 26 del Regolamento il termine per la fissazione dell’udienza è ridotto a dieci giorni e poiché, ancora, non è previsto un termine entro il quale dare notizia al resistente dell’istanza e della fissazione dell’udienza per la conferma, modifica o revoca in contraddittorio, il rischio che si corre è duplice: da un lato, l’immediata comunicazione ad opera della segreteria del provvedimento, nell’assicurare nel modo più ampio possibile il diritto di difesa del resistente garantendogli la possibilità di potere sfruttare in pieno il termine di dieci giorni sino all’udienza per allestire la sua difesa (cautelare), rischia seriamente di pregiudicare l’effetto sorpresa e, in definitiva, di rendere praticamente inutile per il ricorrente l’ottenimento del provvedimento inaudita altera parte; dall’altro, una comunicazione non immediata, in un termine non precisamente indicato e rimesso alla discrezionalità del Tribunale Arbitrale o, addirittura, della segreteria, rischia di compromettere eccessivamente le facoltà difensive del resistente che si vedrebbe assegnato un termine a difesa sin troppo esiguo.
Sarà, quindi, assolutamente opportuno che gli arbitri, tenendo conto di queste circostanze, modulino nel modo più ragionevole possibile e nel rispetto delle contrapposte e parimenti meritevoli di tutela esigenze difensive, in senso lato, delle parti il segmento procedimentale – inclusa l’individuazione del termine di comunicazione del provvedimento al resistente – che va dalla pronuncia del provvedimento sino all’udienza per la conferma, modifica o revoca in contraddittorio.
5. Un’ulteriore modifica resa, in tal caso, necessaria per tener conto del nuovo art. 818 c.p.c. ha riguardato l’arbitro di urgenza disciplinato dall’art. 44 del Regolamento.
La prima novità consiste nel sostanziale differimento del termine finale per la richiesta dell’intervento dell’arbitro di urgenza. Nella precedente versione del Regolamento, la parte poteva chiedere, anche senza comunicarlo all’altra parte, la nomina di un arbitro[29] d’urgenza per l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 26 «fino alla conferma degli arbitri»; oggi invece si prevede che la parte possa chiedere[30] la nomina dell’arbitro di urgenza per l’adozione dei provvedimenti cautelari e provvisori[31] «fino alla costituzione del Tribunale Arbitrale».
La modifica[32] è stata verosimilmente suggerita dall’opportunità di conformare la previsione a quanto previsto dal nuovo secondo comma dell’art. 818 c.p.c., a tenore del quale «prima dell’accettazione dell’arbitro unico o della costituzione del collegio arbitrale, la domanda cautelare si propone al giudice competente ai sensi dell’articolo 669-quinquies».
Nelle intenzioni degli organi della Camera Arbitrale che hanno proceduto alla revisione del regolamento, quindi, l’arbitro d’urgenza dovrebbe riempire quel vuoto di tutela che si verifica le volte in cui le parti abbiano convenuto la competenza arbitrale (anche cautelare, beninteso) e la necessità di ottenere un provvedimento urgente e provvisorio sorga prima ancora che sia venuto ad esistenza l’organo che può concederlo.
Nel sistema dell’arbitrato ad hoc di diritto comune il problema è stato risolto attribuendo, come visto, al giudice statale il potere cautelare sino al momento in cui l’organo arbitrale cui sia stata attribuita (anche) una competenza cautelare «esclusiva» sia in grado di funzionare concretamente, e ciò secondo una soluzione che la giurisprudenza di merito e la dottrina non avevano avuto difficoltà ad individuare per risolvere il problema che in concreto si è posto con riferimento alla richiesta di sospensione cautelare di una delibera assembleare di società di capitali impugnata con domanda di arbitrato[33].
Occorre, pertanto, capire come coordinare la previsione nel Regolamento di questo potere cautelare esercitabile dall’arbitro di urgenza (anche) ante causam, ossia prima ancora della costituzione del Tribunale Arbitrale chiamato a decidere il merito della controversia, con la previsione contenuta nel secondo comma dell’art. 818 c.p.c.[34]
Ed infatti, poiché la competenza cautelare degli arbitri è definita dal secondo periodo del primo comma dell’art. 818 c.p.c. «esclusiva» e poiché, ancora, la regola di cui al secondo comma dell’art. 818 c.p.c. risponde, come detto, all’esigenza di evitare vuoti di tutela per quelle ipotesi in cui il giudice privato scelto dalle parti (anche per la concessione dei provvedimenti cautelari) non sia in grado di funzionare, si potrebbe, in linea di principio, essere indotti a ritenere[35] che la possibilità per le parti di rivolgersi all’arbitro d’urgenza faccia riacquistare pieno vigore proprio all’esclusività della competenza cautelare arbitrale convenuta dalle parti mediante il rinvio al regolamento che, ancorché non sia completata l’attività di costituzione del tribunale arbitrale vero e proprio, consente ugualmente la concessione del provvedimento cautelare ad opera del giudice privato (con la conseguenza per cui, adito il tribunale ordinario che sarebbe stato competente per il merito, questo, su eccezione della parte resistente, dovrebbe dichiararsi incompetente in ragione della competenza esclusiva arbitrale, ancorché non sia ancora costituito il tribunale arbitrale).
Una serie di argomenti ricavabili dalle altre modifiche apportate all’art. 44 induce a ritenere che, assai verosimilmente, questa era la volontà degli organi della Camera Arbitrale che hanno proceduto alla revisione del Regolamento.
Dalla espressa previsione per cui all’arbitro d’urgenza spetti espressamente il potere di adottare «provvedimenti cautelari e provvisori, anche a contenuto anticipatorio»[36], dalla eliminazione della parola «reclamabile» nel comma 8[37] e dalla stabilita facoltatività dell’instaurazione del procedimento arbitrale di merito in caso di provvedimento cautelare reso dall’arbitro d’urgenza con contenuto anticipatorio pare, infatti, debba ricavarsi la conclusione circa il fatto che il potere disimpegnato dall’arbitro d’urgenza è stato considerato coincidente in tutto e per tutto con il potere cautelare esercitabile dal Tribunale Arbitrale una volta costituito ai sensi dell’art. 26 del Regolamento.
Se la prima previsione conferma, infatti ed in modo espresso, che i provvedimenti adottabili dall’arbitro d’urgenza sono proprio gli stessi provvedimenti che possono essere resi dal Tribunale Arbitrale e se, ancora, l’eliminazione della parola «reclamabile» nel comma 8 pare suonare come conferma del fatto che si è così voluto considerare la decisione emessa dall’arbitro d’urgenza come vero e proprio provvedimento cautelare arbitrale reclamabile (non, come era nel vigore della precedente versione del Regolamento, al Tribunale Arbitrale ma) alla Corte d’Appello ai sensi dell’art. 818-bis c.p.c., l’aver reso facoltativo l’inizio del giudizio di merito in caso di provvedimenti cautelari anticipatori parrebbe in effetti rinsaldare l’idea che l’arbitro (unico) d’urgenza renda in definitiva una decisione a tutti gli effetti e propriamente cautelare regolata, anche quanto alla sua efficacia, dalle disposizioni generali dettate dal codice di rito per provvedimenti di tale medesima natura e con la stessa funzione.
Ancorché non vi sia, insomma, ragione di ritenere che l’esercizio del potere cautelare dell’arbitro d’urgenza sia qualcosa di meno e di diverso dall’esercizio del potere cautelare del Tribunale Arbitrale, nondimeno a noi pare che la soluzione della natura esclusiva della competenza cautelare (anche) dell’arbitro d’urgenza non possa condividersi e non sia, tutto sommato, opportuna.
Più convincente, infatti, ci pare l’idea[38] secondo cui, in casi come questi, può ragionevolmente prospettarsi una competenza concorrente dell’autorità giudiziaria ordinaria e dell’arbitro d’urgenza, nel senso che la parte potrà decidere se rivolgersi all’una o all’altro. Ed infatti, la previsione di cui al secondo comma dell’art. 818 c.p.c. – se non è in grado di rendere tout court impraticabile la strada dell’arbitro d’urgenza[39] – contiene, comunque, una previsione il cui espresso tenore letterale è idoneo a dar credito alla tesi secondo cui, fino alla costituzione del Tribunale Arbitrale, rimane a disposizione delle parti (anche) la competenza cautelare del giudice dello stato la quale non è, in effetti, incisa (ancorché per ragioni strutturali che qui non si presenterebbero) dalla scelta delle parti di devolvere in arbitrato anche le loro liti cautelari.
6. Come anticipato, il nuovo Regolamento contiene una modifica relativa al regime di efficacia del provvedimento cautelare arbitrale ante causam reso dall’arbitro d’urgenza.
Nel nuovo comma 9 dell’art. 44, infatti, da un lato si prevede che la domanda di arbitrato debba essere depositata entro il termine di 60 giorni dal deposito dell’istanza, ovvero nel termine fissato dall’arbitro d’urgenza, comunque non inferiore a 15 giorni solo «ove necessario»[40] e, dall’altro, è stato eliminato l’ultimo periodo che sanciva l’inefficacia del provvedimento d’urgenza in caso di mancato o tardivo inizio del giudizio arbitrale di merito (nei termini appena indicati).
Ancorchè, come vedremo, deve condividersi la ratio che sembra essere al fondo della modifica, a noi pare di poter dire che l’eliminazione, pura e semplice, della regola contenuta nell’ultimo periodo del comma 9 si rivela, a ben vedere, non propriamente perspicua.
La precisazione secondo cui la parte deve instaurare il giudizio di merito entro il termine previsto solo «ove necessario» acquista, in effetti, rilievo solo se e nella misura in cui si sappia a quali fini può rendersi, appunto, necessario (vale a dire, obbligatorio) dare tempestivo inizio al giudizio di merito.
E, trattandosi di tutela cautelare, è assolutamente ragionevole assumere e ritenere che tale necessità si rapporti all’esigenza di conservare l’efficacia del provvedimento cautelare, secondo quanto previsto in via generale dall’art. 669-novies c.p.c.[41].
È, di conseguenza, anche assolutamente ragionevole assumere e ritenere che venga qui in rilievo la distinzione tra provvedimenti cautelari anticipatori e provvedimenti cautelari conservativi, dovendosi limitare solo con riferimento ai secondi la necessità dell’inizio del giudizio di merito ai fini della conservazione dell’efficacia del provvedimento (in dipendenza di quanto previsto dall’art. 669-octies, quarto comma, c.p.c.).
In tale contesto, l’eliminazione pura e semplice della regola contenuta nell’ultimo periodo del comma 9 del Regolamento – che ricollegava alla mancata instaurazione del giudizio arbitrale di merito entro i termini previsti dal periodo precedente dello stesso comma 9 l’inefficacia del provvedimento cautelare – rende la questione problematica perché viene così a mancare proprio la sanzione che serviva e serve tuttora per qualificare e discriminare le ipotesi in cui l’inizio del giudizio di merito è necessaria (per non incorrere nella inefficacia del provvedimento, che però ora non è più prevista) da quelle in cui non lo è.
E si tratta di questione problematica sotto questo specifico punto di vista.
Fermo che, a nostro avviso, dal comma 9 dell’art. 44 deve, comunque, ricavarsi una regola sostanzialmente equiparabile, dal punto di vista funzionale, a quella applicabile ai provvedimenti cautelari statali per effetto del combinato disposto degli artt. 669-octies, quarto comma, e 669-novies, primo comma, c.p.c.[42] – non sembrando possibile, infatti, che la volontà delle parti incida, modificandolo, sul regime legale di efficacia dei provvedimenti cautelari, trattandosi di aspetto, secondo noi, estraneo al mero procedimento (le cui sole regole possono essere stabilite dalle parti o dagli arbitri, ai sensi dell’art. 816-bis)[43] – la mancata (espressa) previsione della inefficacia del (solo) provvedimento cautelare conservativo reso dall’arbitro d’urgenza per il caso di mancato inizio del procedimento di merito impedisce di attribuire rilievo a tale fine al mancato rispetto del termine di sessanta giorni dall’istanza (o da quello, diverso, fissato dall’arbitro d’urgenza).
In entrambi i casi, infatti, vale la regola generale di cui all’art. 7, comma 1, del Regolamento a tenore del quale «i termini previsti dal Regolamento o fissati dal Consiglio Arbitrale, dalla Segreteria Generale o dal Tribunale Arbitrale non sono a pena di decadenza, se la decadenza non è espressamente prevista dal Regolamento o stabilita dal provvedimento che li fissa», di modo che, in mancanza di espressa previsione di perentorietà del termine, il loro mancato rispetto non potrà, a rigore, cagionare l’inefficacia del provvedimento. Al contrario, qualora si fosse mantenuta la previsione di inefficacia del provvedimento (che sarebbe stato agevolmente individuabile in quello conservativo, in dipendenza della clausola limitativa posta all’esordio del comma 9), essa sarebbe servita (proprio e principalmente) per attribuire natura perentoria ad entrambi i termini e, quindi, a far conseguire dal loro mancato rispetto la sanzione dell’inefficacia.
Ciò precisato, deve allora osservarsi che (ancorché il comma 1 dell’art. 7 si riferisca solo al Tribunale Arbitrale) spetterà sempre all’arbitro unico d’urgenza fissare, espressamente qualificandolo come perentorio, il termine per l’inizio del procedimento arbitrale. Qualora ciò non avvenisse, come anticipato, a provocare l’inefficacia del provvedimento conservativo reso ante causam dall’arbitro di urgenza non potrà essere il mancato rispetto del termine regolamentare di sessanta giorni dal deposito dell’istanza (proprio perché non perentorio, ossia non espressamente previsto a pena di decadenza) ma, è da credere, il termine legale minimo di sessanta giorni dal provvedimento (e non dall’istanza) di cui all’art. 669-octies, primo comma, c.p.c.
È appena il caso di precisare, peraltro, che la distinzione tra provvedimenti cautelari arbitrali anticipatori e provvedimenti meramente conservativi assume rilevanza non solo in caso di arbitrato d’urgenza ma anche qualora il potere cautelare sia esercitato dal Tribunale Arbitrale.
In tale ultima ipotesi, infatti, ancorché non assumerà rilievo il problema dell’inefficacia per mancato inizio del giudizio di merito, rileverà la questione relativa alla sorte del provvedimento cautelare reso in corso di causa per il caso di estinzione del procedimento arbitrale di merito. E rispetto a tale eventualità, è da credere che acquisti, appunto, rilevanza la distinzione tra provvedimenti anticipatori e provvedimenti conservativi, nel senso che solo i secondi e non anche i primi diverranno inefficaci in caso di estinzione; e ciò in applicazione della regola legale generale di cui all’art. 669-octies, comma 8, c.p.c.
Quanto, infine, alla previsione che regola la modifica o la revoca del provvedimento cautelare arbitrale d’urgenza deve osservarsi questo.
In primo luogo, la revoca o la modifica da parte del Tribunale Arbitrale costituito, così come la revoca o la modifica da parte dell’arbitro d’urgenza, devono, a nostro avviso, ritenersi soggette alle condizioni di cui all’art. 669-decies c.p.c., ancorché il Regolamento non ricolleghi l’esercizio di questo potere (cautelare) ad un mutamento delle circostanze e/o alla deduzione di fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento.
Trattandosi, pure in caso di revoca e modifica di un precedente provvedimento, di esercizio di (vero e proprio) potere cautelare (spettante, come detto, anche all’arbitro di urgenza) che le parti hanno scelto di sottrarre al giudice statale per attribuirlo al giudice privato, esso potrà essere esercitato nei limiti ed alle condizioni di cui al primo comma dell’art. 669-decies c.p.c. il cui ultimo comma, peraltro, nel far salvo quanto previsto dall’art. 818, primo comma, c.p.c. conferma l’omologia di fondo tra revoca e modifica cautelari di provvedimenti cautelari statali e revoca e modifica di provvedimenti cautelari arbitrali[44].
È appena il caso di osservare, conclusivamente, che lo stesso ragionamento vale per il caso di provvedimento cautelare reso dal Tribunale Arbitrale ai sensi dell’art. 26 del Regolamento, la cui revoca e modifica potranno avvenire, su istanza di parte, solo al ricorrere di un mutamento delle circostanze e/o della deduzione di fatti anteriori di cui si sia acquisita conoscenza in data successiva al provvedimento[45].
* Si anticipa sul sito uno scritto destinato alla Rivista dell’Arbitrato.
[1] Ai sensi dell’art. 832, terzo comma, c.p.c. «se le parti non hanno diversamente convenuto, si applica il regolamento in vigore al momento in cui il procedimento arbitrale ha inizio». Coerentemente con tale previsione, l’art. 45 del Regolamento prevede che «se le parti non hanno diversamente convenuto, il nuovo Regolamento è applicato ai procedimenti instaurati dall’entrata in vigore del medesimo». Il 1° marzo 2023 è, evidentemente, una data scelta non a caso, coincidendo con la data a decorrere dalla quale l’avvio dei nuovi procedimenti arbitrali intercetta ed innesca l’applicazione dalle nuove norme in tema di arbitrato come modificate dal d.lgs. 149/2022. Per qualche osservazione in più sulla questione di diritto transitorio v. infra.
[2] Le modifiche che stiamo commentando hanno inciso sull’ultima versione del regolamento entrata in vigore il 1° luglio 2020 e che, fatta salva l’introduzione della nuova forma di arbitrato semplificato, non conteneva ulteriori modifiche di sostanza rispetto alla versione del 2019 la quale, invece, aveva modificato in maniera incisiva la originaria versione risalente al 2010.
[3] Per un commento a tali previsioni sia consentito rinviare a M. Farina, Attribuzioni agli arbitri della potestà cautelare (artt. 669-quinquies, 669-decies, 818, 818-bis e 818-ter c.p.c.), in R. Tiscini (a cura di), La riforma Cartabia del processo civile. Commento al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, Pisa, 2023, pp. 1190 e ss. Sulle nuove norme in tema di poteri cautelari degli arbitri nel d.lgs. 149/2022 v. anche A. Briguglio, Il potere cautelare degli arbitri, introdotto dalla riforma del rito civile, e la inevitabile interferenza del giudice (“evviva il cautelare arbitrale!”, ma le cose non sono poi così semplici), in Judicium on-line; F. Corsini, La riforma dell’arbitrato nell’ambito del d.lgs. n. 149 del 2022, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2023, pp. 1 e ss.
[4] Rientrano in tale categoria gli interventi di modifica dell’art. 34 (in cui si è specificato che il controllo formale del lodo è richiesto dagli arbitri alla «Camera Arbitrale»), all’art. 35 sul deposito e comunicazione del lodo (semplificandone le modalità), l’articolo 41, comma 4, ove si è precisato che la segreteria può (ma non deve) chiedere il pagamento del fondo iniziale e del saldo finale a tutte le parti in eguale misura, l’art. 2 dell’Allegato D sull’arbitrato semplificato.
[5] Ad es. perché il procedimento si estingua per rinuncia agli atti ai sensi dell’art. 32 del Regolamento, ovvero ai sensi di quanto previsto dall’art. 819-bis, ultimo comma, c.p.c.
[6] È appena il caso di osservare, peraltro, che in caso di pronuncia da parte di arbitri esteri di provvedimenti cautelari permessi dalla legge della sede dell’arbitrato (la lex arbitri) nell’ambito di un procedimento amministrato secondo il Regolamento non troveranno ovviamente applicazione, a decorrere dal 1° marzo 2023, gli artt. 818-bis (in tema di reclamo cautelare alla Corte d’Appello) e 818-ter c.p.c. (in tema di attuazione dei provvedimenti cautelari). Quanto a quest’ultima disposizione, in effetti, ci sembra di poter confermare quanto già osservato (M. Farina, Attribuzioni agli arbitri della potestà cautelare, cit., pp. 1221 e ss.) in merito alla sostanziale inutilità, allo stato, della previsione (quantomeno ingenua e, casomai, viziata da eccesso di delega) che riconosce al giudice italiano del luogo di esecuzione la competenza, appunto, per l’attuazione (anche) dei provvedimenti cautelari resi da arbitri esteri (in questo senso v. anche F. Corsini, La riforma dell’arbitrato, cit., p. 17) Rilevato, infatti, che qualsiasi provvedimento o atto proveniente da un diverso ordinamento, per esplicare efficacia in un ordinamento diverso, deve essere quivi previamente riconosciuto (se del caso, anche mediante l’operare di una mera norma di diritto), non sembra proprio che tale norma sul riconoscimento automatico di qualsivoglia provvedimento cautelare arbitrale straniero possa ricavarsi, implicitamente (e, per di più, in mancanza di espressa norma delegante), dalla regola sulla competenza per l’attuazione. Del resto, anche a voler ammettere l’esistenza di una tale norma (massimamente) implicita sul riconoscimento automatico (di diritto) dei provvedimenti cautelari arbitrali stranieri, tale norma (come logicamente ed astrattamente possibile) dovrebbe ritenersi ammettere l’automatica produzione in Italia degli effetti di tali provvedimenti senza subordinarla ad alcuna condizione e/o requisito ostativo. Il che, francamente, ci sembra soluzione troppo evoluta e, financo, azzardata, non valendo, a nostro avviso, ad attenuarne tali caratteri rispetto la pur prospettata applicazione analogica delle regole sul riconoscimento e l’esecuzione dei lodi stranieri di cui all’art. 840 c.p.c. e/o alla Convenzione di New York del 1958 (così A. Briguglio, Il potere cautelare degli arbitri, cit., par. 12).
[11] Limite, oramai, rimosso ancorché la lex arbitri sia la legge italiana, proprio in ragione del venir meno di quel divieto inderogabile di cui alla previgente formulazione dell’art. 818 c.p.c. Di seguito, ovviamente, diremo meglio della modifica che, comunque, ha interessato il primo comma dell’art. 26 del Regolamento.
[12] Per questa soluzione circa l’applicazione nel tempo del nuovo art. 818 c.p.c. v. F. Corsini, La riforma dell’arbitrato, cit., p. 12.
[13] Se, infatti, l’art. 35 del d.lgs. 149/2022 non avesse limitato l’applicazione delle nuove norme ai (soli) procedimenti iniziati dopo il 28 febbraio 2023 (ossia, a decorrere dal 1° marzo 2023, incluso), a nulla avrebbe rilevato il fatto dell’approvazione di un nuovo Regolamento applicabile (anch’esso) ai procedimenti iniziati dopo il 28 febbraio 2023 (ossia, a decorrere dal 1° marzo 2023, incluso). Anche ai procedimenti arbitrali pendenti avrebbe potuto trovare applicazione la nuova norma di cui all’art. 818 e, quindi, anche rispetto a questi medesimi procedimenti pendenti si sarebbe potuto considerare rimosso il limite della esistenza di un divieto inderogabile posto dalla lex arbitri. Ciò dimostra, per un verso, che non è il regime di applicabilità nel tempo del nuovo Regolamento a rilevare per risolvere la questione di diritto transitorio che stiamo esaminando nel testo e, per altro verso, che (come si vedrà meglio infra) deve escludersi, al lume della concreta formulazione dell’unica norma transitoria che qui viene in rilievo (quella di cui all’art. 35, comma primo, d.lgs. 149/2022), che in un arbitrato con sede in Italia amministrato secondo il Regolamento pendente al 28 febbraio 2023 possano essere resi dagli arbitri provvedimenti cautelari.
[14] Sostenuta da A. Briguglio, Il potere cautelare degli arbitri, cit., par. 5.
[15] Potendo, insomma, revocarsi in dubbio la stessa possibilità di discorrere, in arbitrato, di un vero e proprio sub-procedimento arbitrale cautelare.
[16] Fatto salvo quanto eventualmente previsto da regolamenti arbitrali che prevedano un arbitro d’urgenza, ancorché pure in tali ipotesi il potere cautelare non preesiste alla stessa istanza di nomina ed alla designazione dell’arbitro.
[17] L’articolo 1, comma 15, lett. c), L. 206/2021 aveva, infatti, delegato il governo a «prevedere l’attribuzione agli arbitri rituali del potere di emanare misure cautelari nell’ipotesi di espressa volontà delle parti in tal senso, manifestata nella convenzione di arbitrato o in atto scritto successivo, salva diversa disposizione di legge».
[18] O, comunque, prima della pubblicazione del d.lgs. 149/2022,
[19] Che, infatti, gli arbitri italiani di un procedimento amministrato secondo il Regolamento comunque non avevano (in dipendenza della vigenza di un divieto inderogabile previsto dalla lex fori; v. supra).
[20] Del resto, nelle sentenze gemelle nn. 9284 e 9285 del 9 maggio 2016, le Sezioni Unite della Suprema Corte, nel risolvere la questione relativa all’applicazione ratione temporis dell’art. 829, terzo comma, c.p.c. così come (allora) modificato dall’art. 24 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, hanno sostanzialmente affermato il principio per cui la volontà espressa in una convenzione di arbitrato debba essere valutata ed intrepretata alla luce della legge vigente nel momento in cui la convenzione è stata conclusa.
[21] Vi è un’altra questione che merita di essere analizzata allorché venga in rilievo il potere delle parti di attribuire competenza cautelare agli arbitri anche mediante rinvio a regolamenti arbitrali. Come si vedrà un po’ meglio infra, il secondo periodo del primo comma dell’art. 818 c.p.c. qualifica «esclusiva» la competenza cautelare degli arbitri convenuta dalle parti. Ciò significa, in sintesi, che una volta che sia stata attribuita competenza cautelare agli arbitri, le parti non hanno diritto di rivolgersi anche ed alternativamente al giudice statale. Ci si chiede, allora, se le parti possano pattuire negozialmente questa potestà cautelare concorrente (per un esame della questione v., se vuoi, M. Farina, Attribuzioni agli arbitri della potestà cautelare, cit., pp. 1198 e ss.; in argomento v. anche A. Briguglio, Il potere cautelare degli arbitri, cit., par. 4; F. Corsini, La riforma dell’arbitrato, cit., pp. 13 e ss., il quale espressamente ammette la possibilità per le parti di pattuire una competenza cautelare arbitrale non esclusiva). Se si ammette che le parti possano validamente prevedere una competenza cautelare non esclusiva e, così, derogare a quanto espressamente previsto dal secondo periodo del primo comma dell’art. 8181 c.p.c., occorre allora interrogarsi se il rinvio al Regolamento abbia proprio questo effetto, e ciò in ragione di quanto tuttora previsto dall’ultimo comma dell’art. 26. Ivi si prevede che «l’eventuale proposizione di una domanda cautelare dinanzi alla competente autorità giudiziaria non comporta rinuncia agli effetti della convenzione arbitrale né alla domanda di arbitrato eventualmente proposta». Da tale previsione pare, in effetti, doversi ricavare la conclusione per cui, secondo il Regolamento, anche a seguito della proposizione della domanda di arbitrato (quando cioè la competenza cautelare è sicuramente «esclusiva», ai sensi del primo comma dell’art. 818 c.p.c.), vi è una «competente autorità giudiziaria»; dunque, si potrebbe anche ritenere che il rinvio al Regolamento equivalga ad un accordo delle parti volto a conferire competenza cautelare arbitrale non esclusiva, ma concorrente, rispetto a quella del giudice statale.
[22] Non pare, del resto, che un argomento contrario alla limitazione dell’applicazione nel tempo del potere cautelare arbitrale ai soli casi di convenzione d’arbitrato conclusa a decorrere dal 28 febbraio 2023 (incluso) possa trarsi dalla regola, contenuta nell’art. 832, terzo comma, e nell’art. 45 del Regolamento, secondo cui, a meno che le parti non abbiano diversamente disposto, il rinvio ad un regolamento si intende fatto alla versione di esso in vigore al momento dell’inizio del procedimento. Nella fattispecie che stiamo esaminando, infatti, non si fa questione della sopravvenuta modifica di un regolamento che, al tempo dell’introduzione del giudizio ma non al momento della conclusione della convenzione contenente il rinvio, attribuisce agli arbitri potere cautelare; diversamente, si è al cospetto di una modifica della lex arbitri che è intervenuta nel senso di riconoscere ora (e non prima) alle parti il potere (che pare, allora, possa esercitarsi solo nel momento in cui ha effetto la norma che lo prevede) di attribuire agli arbitri potestà cautelare.
[23] La previsione ricalca quella contenuta nel comma 4 dell’art. 44 del Regolamento sull’arbitro di urgenza (su cui v. infra).
[24] Che non sarà mai, beninteso, reclamabile ex art. 818-bis c.p.c., essendo tale mezzo di impugnazione esperibile solo avverso l’ordinanza di conferma, modifica o revoca assunta in contraddittorio. Potrà, eventualmente, fare eccezione solo l’ipotesi in cui il Tribunale Arbitrale pronunci (irritualmente) il rigetto dell’istanza inaudita altera parte, omettendo di provvedere per l’ulteriore prosecuzione secondo quanto previsto per il caso di accoglimento sempre inaudita altera parte.
[25] Secondo quanto abbiamo già avuto modo di rilevare (M. Farina, Attribuzioni agli arbitri della potestà cautelare, cit., p. 1204, nota 30). Ivi abbiamo anche osservato (pp. 1204-1205) che la possibilità di una pronuncia cautelare arbitrale inaudita altera parte non può negarsi – salvo diversa espressa volontà delle parti – neppure nell’arbitrato ad hoc, di diritto comune. Non potendo, infatti, addursi in senso contrario quanto previsto dall’art. 816-bis c.p.c. in ordine all’obbligo per gli arbitri di «attuare il contraddittorioconcedendo alle partiragionevoli ed equivalenti possibilità di difesa». Tale previsione, infatti, nel dare rilevanza ad un giudizio di “sostanza” e non di (mera) “forma” quanto alle ragionevoli ed equivalenti possibilità di difesa delle parti, non sembra in alcun modo impedire che esse siano attribuite secondo modalità che siano in grado di assicurare pienamente alla parte resistente – in ipotesi di pericola di elevata intensità – la possibilità di interloquire sul contenuto del provvedimento ancorché solo ex post ma, comunque, prima della sua “definitività”.
[26] La formula utilizzata dal Regolamento è (anche qui, opportunamente) diversa e più ampia rispetto a quella contenuta nell’art. 669-sexies c.p.c. secondo il quale, a rigore, la pronuncia inaudita altera parte è possibile solo qualora la convocazione dell’altra parte possa pregiudicare l’attuazione del provvedimento (così, in definitiva, dando rilievo, più che altro, all’esigenza di voler preservare l’effetto sorpresa che tipicamente si riconnette alla richiesta di un sequestro conservativo). Adottando, invece, una formulazione più ampia, si legittima il ricorso alla pronuncia ex parte tutte le volte in cui il periculum addotto dal ricorrente è così imminente e grave da non tollerare ulteriore attesa ed indugio.
[27] Ciò che, peraltro, parrebbe difficilmente realizzabile al lume del ristretto termine che corre tra la pronuncia del provvedimento e la data dell’udienza per la conferma, modifica o revoca.
[28] Sette giorni sono, quindi, quelli che avrà (come minimo) a disposizione il resistente dopo tra la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza (da eseguirsi entro il termine perentorio di otto giorni dalla comunicazione, a cura del ricorrente) e prima dell’udienza (che si svolgerà entro quindici giorni).
[29] Unico. Tale precisazione, non presente nella precedente versione del Regolamento ma facilmente ricavabile dall’utilizzo del termine arbitro al singolare (sia nella rubrica che nel testo), è stata infine esplicitata nel nuovo Regolamento.
[30] Sempre senza che sia necessario informare la controparte.
[31] Il Regolamento è stato modificato anche nella parte in cui il primo comma dell’art. 44 faceva riferimento all’adozione da parte dell’arbitro d’urgenza «dei provvedimenti e delle determinazioni di cui all’art. 26». Questa formulazione è stata sostituita con quella «provvedimenti cautelari e provvisori, anche di contenuto anticipatorio, che non siano vietati da norme inderogabili applicabili al procedimento». La modifica, per un verso, si è resa, necessaria alla luce della eliminazione, nel secondo comma dell’art. 26, della possibilità per gli arbitri di emettere, su domanda di parte, «determinazioni di natura provvisoria, con efficacia vincolante per le parti sul piano negoziale» (previsione ritenuta verosimilmente superflua in ragione della possibilità concessa oggi dalla legge italiana di attribuire validamente agli arbitri valida potestà cautelare; non è, però, detto che la lex arbitri sia sempre una legge che consente l’attribuzione agli arbitri di poteri cautelari, di modo che, probabilmente, la previsione si sarebbe potuta anche conservare) e, dall’altro, sembra essere stata suggerita dall’esigenza di chiarire esplicitamente che il potere esercitato dall’arbitro d’urgenza è il medesimo potere cautelare spettante al Tribunale Arbitrale (se e quando costituito; v. anche infra).
[32] Insieme a quella menzionata nella nota che precede.
[33] Per ulteriori riferimenti v., se vuoi, M. Farina, Attribuzioni agli arbitri della potestà cautelare, cit., pp. 1201 e ss.).
[34] Ci siamo già occupati della questione in M. Farina, Attribuzioni agli arbitri della potestà cautelare, cit., pp. 1200, nota 23, a cui ci permettiamo di fare rinvio.
[35] Sul presupposto che le parti, nel fare rinvio al Regolamento, non abbiano espressamente escluso (non tanto la competenza cautelare tout court degli arbitri, come pur possibile, ma) la (sola) possibilità dell’arbitrato d’urgenza. A noi sembra, infatti, che la salvezza di un diverso accordo delle parti che compare (oltre che nel primo comma dell’art. 26 del Regolamento, anche) nel primo comma dell’art. 44 consenta questa conclusione, non essendovi infatti ragione per ritenere che le parti possano accordarsi solamente per escludere del tutto la competenza cautelare arbitrale e che, dunque, una volta che questa sussista essa possa allora essere sempre e comunque esercitata nelle forme (anche dell’arbitrato d’urgenza) previste dal Regolamento. Al contrario, le parti saranno libere di modulare l’esercizio della potestà cautelare comunque riconosciuta agli arbitri negandone esclusivamente la sperimentabilità nelle forme dell’arbitrato d’urgenza (e, in definitiva, ante causam).
[36] Per effetto della modifica lessicale di cui si è dato conto nel testo (v. supra).
[37] Il comma 8 prevedeva, infatti, che il provvedimento reso dall’arbitro d’urgenza fosse «reclamabile, modificabile e revocabile davanti al Tribunale Arbitrale costituito», disponendo al contempo che «fino alla costituzione del Tribunale Arbitrale resta competente l’arbitro d’urgenza per la modifica e la revoca dell’ordinanza». La modifica di cui si dice nel testo è consistita esclusivamente nella eliminazione della parola «reclamabile», rimanendo dunque immutata la disciplina della competenza per la revoca e la modifica del provvedimento (su questo aspetto v. infra).
[39] Come se essa confinasse nell’irrilevanza giuridica qualsiasi fenomeno arbitrale cautelare che si situasse prima della costituzione del collegio. Retro abbiamo già notato come non vi siano valide ragioni, anzi, per negare l’omologia di natura, funzione e struttura del potere (ancorché solo) cautelare dell’arbitro d’urgenza rispetto al potere (anche) cautelare del Tribunale Arbitrale.
[40] Mentre nella precedente versione la previsione riguardava tutti i casi di istanza proposta ante causam, senza alcuna limitazione o precisazione (oggi invece introdotta per effetto della formula «ove necessario» posta all’esordio della disposizione).
[41] La cui applicazione ai provvedimenti cautelari arbitrali deve senz’altro predicarsi; v., se vuoi, M. Farina, Attribuzioni agli arbitri della potestà cautelare, cit., pp. 1214 e ss.
[42] E quindi la regola per cui, in sintesi, i provvedimenti cautelari arbitrali anticipatori resi dall’arbitro d’urgenza non diventano inefficaci se il giudizio di merito non viene iniziato nel termine previsto, mentre lo diventano quelli conservativi in caso di tardiva instaurazione del procedimento arbitrale di merito
[43] L’eliminazione dell’ultimo periodo del comma 9 dell’art. 44 del Regolamento, insomma, non può avere l’effetto di rendere a strumentalità attenuata (anche) i provvedimenti cautelari conservativi resi ante causam dall’arbitro d’urgenza. Lo impedisce, oltre alla ragione di cui si dice nel testo, l’osservazione per cui la formula «ove necessario» utilizzata in esordio dal Regolamento ha proprio l’effetto di operare una distinzione tra provvedimenti cautelari quanto alla necessità che ad essi segua il tempestivo inizio del procedimento arbitrale di merito e, come detto, tale distinzione non può che essere quella, comunemente accettata e sistematicamente corretta, tra provvedimenti anticipatori e conservativi.
[44] Per ulteriori osservazioni v. A. Briguglio, Il potere cautelare degli arbitri, cit., par. 5, nonché, se vuoi, M. Farina, Attribuzioni agli arbitri della potestà cautelare, cit., pp. 1214 e ss.).
[45] La regola del comma 9 dell’art. 44 – secondo cui la revoca e la modifica del provvedimento cautelare d’urgenza è di competenza dell’arbitro unico fino a che non venga costituito il Tribunale Arbitrale – acquista, peraltro, tutt’altro significato una volta che si ammetta (come crediamo debba farsi; v. supra) che il provvedimento anticipatorio reso ante causam conservi la sua efficacia anche in caso di mancato inizio del procedimento arbitrale di merito. In tali casi, l’ultrattività della competenza dell’arbitro unico d’urgenza rischia, in effetti, di perpetuarsi senza un termine predefinito, non apparendo tale circostanza coerente con la natura e la struttura dell’organo arbitrale in generale e, nello specifico, di quello d’urgenza. Non è, quindi, irragionevole assumere che in caso di revoca o modifica di un provvedimento cautelare arbitrale (d’urgenza o reso dal Tribunale Arbitrale) che sia sopravvissuto al mancato inizio del giudizio di merito, ovvero alla sua estinzione, la competenza possa spettare al giudice statale e, in particolare, al giudice che sarebbe stato competente per il merito (per tale soluzione v., se vuoi, quanto abbiamo già osservato in M. Farina, Attribuzioni agli arbitri della potestà cautelare (artt. 669-quinquies, 669-decies, 818, 818-bis e 818-ter c.p.c.), cit., p. 1218; per una diversa e più articolata ricostruzione v. A. Briguglio, Il potere cautelare degli arbitri, cit., par. 5 e par. 6).