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Il rompicapo dei provvedimenti provvisori e urgenti resi nel procedimento per le persone, i minorenni e le famiglie.
Di Romolo Donzelli -
Sommario: 1. Considerazioni introduttive. – 2. I presupposti per poter concedere i provvedimenti provvisori. – 3. Gli effetti dei provvedimenti provvisori. – 4. I rimedi impugnatori: a) poche soluzioni e tanti dubbi. – 5. (Segue): b) il reclamo avverso i «provvedimenti temporanei ed urgenti». – 6) (Segue): c) il reclamo e il ricorso per cassazione avverso i «provvedimenti emessi in corso di causa». – 7. (Segue): d) il reclamo (ed il ricorso per cassazione?) avverso i «provvedimenti indifferibili». – 8. Da un’errata premessa discendono errate conseguenze.
1.Considerazioni introduttive.
Le nuove disposizioni contenute nel titolo IV bis del secondo libro del codice di procedura civile rappresentano uno degli esempi più netti di tutela giurisdizionale differenziata presenti nel nostro ordinamento, in ossequio al principio di strumentalità del processo al diritto e all’esigenza di rendere il primo il più possibile aderente alla natura dell’interesse sostanziale tutelato, come richiesto dal coordinato disposto degli artt. 3, comma 2, e 24, comma 1, Cost., letti ed interpretati – in questo particolare ambito – anche alla luce delle convenzioni internazionali che si occupano dei diritti del minore.
L’interesse tutelato prioritariamente dalle nuove norme è, infatti, quello del minore, cioè un interesse, la cui realizzazione dipende dall’attuazione di obblighi a carattere prevalentemente personale, che impongono che il potere-dovere di adottare provvedimenti provvisori con funzione cautelare, il potere-dovere di regolare in via definitiva il rapporto controverso, nonché il potere-dovere di garantire sul piano esecutivo il rispetto delle decisioni assunte spettino tutti al medesimo giudice, che rappresenta l’unico punto di riferimento da cui si irradia la tutela giurisdizionale nelle tre tradizionali direttrici tipiche (dichiarativa, esecutiva e cautelare), secondo un principio di tutela giurisdizionale globale dell’interesse del minore.
L’aderenza della disciplina positiva a tale principio assicura, infatti, che tale interesse sia preso in cura dalla giurisdizione con provvedimenti costantemente adeguati alla mutevolezza del rapporto giuridico tutelato, evitando – così – che venga esposto al rischio di subire pregiudizi non più riparabili.
In questa cornice, gli artt. 473 bis.15, 473 bis.22, 473 bis. 23 e 473 bis.24 c.p.c. contengono la disciplina dei provvedimenti provvisori che in via d’urgenza dettano la regolamentazione della responsabilità genitoriale e dei diritti dei genitori e dei figli durante lo svolgimento del processo di cognizione.
Più precisamente, l’art. 473 bis.15 c.p.c. si occupa dei «provvedimenti indifferibili», che possono essere assunti sin dall’inizio del procedimento, l’art. 473 bis.22 c.p.c. disciplina i «provvedimenti temporanei ed urgenti» da rendersi in prima udienza, l’art. 473 bis. 23 c.p.c. riguarda, invece, il problema della loro revoca o modifica e, infine, l’art. 473 bis.24 c.p.c. detta regole in punto di reclamabilità e ricorribilità in cassazione di tali provvedimenti.
I problemi interpretativi che pongono le norme appena indicate sono numerosi e di non facile soluzione.
Già in prima approssimazione si possono segnalare almeno i seguenti:
– la disciplina dei provvedimenti indifferibili è incompleta e non è chiaro se siano reclamabili ed eventualmente al ricorrere di quali presupposti, se godano del regime di ultraefficacia che spetta agli altri provvedimenti provvisori successivi, quale sia il loro rapporto con i provvedimenti temporanei ed urgenti resi in prima udienza;
– detti provvedimenti, i più analiticamente regolati dalla legge, presentano anch’essi profili incerti rispetto alla natura del reclamo a cui sono soggetti ed ulteriori profili dubbi emergono quantomeno dalla comparazione del loro regime impugnatorio con quello riservato ai provvedimenti emessi in corso di causa;
– con riguardo a tale ultimo aspetto, i requisiti di reclamabilità e ricorribilità in cassazione appaiono di difficile comprensione e non mancano profili di incostituzionalità che non è detto possano essere emendati mediante una pur dovuta lettura conforme a Costituzione.
Visto il numero e lo spessore dei quesiti interpretativi posti dalle nuove norme, si crede che l’unico modo per provare a risolverli, sia quello di procedere ad una ricostruzione complessiva della disciplina che tenga conto del rapporto tra i diversi provvedimenti. Anziché, dunque, esaminare ciascuno di questi separatamente, procederemo con una analisi comparativa dei diversi profili che li caratterizzano.
2. I presupposti per poter concedere i provvedimenti provvisori.
Il primo punto che è opportuno prendere in esame attiene all’individuazione delle condizioni a cui è subordinata la concessione delle diverse tipologie di provvedimenti provvisori e nel far questo è opportuno iniziare dai provvedimenti temporanei ed urgenti resi in prima udienza[1].
A tal riguardo l’art. 473 bis.22 c.p.c. detta una disciplina, solo in parte innovativa, che determina la generalizzazione di quel potere-dovere di pronunciarsi in via provvisoria ed urgente che spettava al presidente nei procedimenti contenziosi di separazione e divorzio.
Ad oggi, dunque, detti provvedimenti potranno essere resi in prima udienza nell’ambito di tutti i processi regolati dal rito unitario in materia di persone, minorenni o famiglie e potrà provvedervi il collegio o il giudice delegato se nominato.
Il comma primo dell’art. 473 bis.22 c.p.c. chiarisce che «il giudice, sentite le parti e i rispettivi difensori e assunte ove occorra sommarie informazioni, dà con ordinanza i provvedimenti temporanei ed urgenti che ritiene opportuni nell’interesse delle parti, nei limiti delle domande da queste proposte, e dei figli».
È oramai stabilito, dunque, che il giudice possa provvedere d’ufficio solo nell’interesse di quest’ultimi, in conformità a quanto previsto dall’art. 473 bis.2 c.p.c.
Il riferimento ai «figli», tuttavia, pone il dubbio se questi siano solo i figli minori o anche i maggiorenni non autosufficienti, dovendosi tener conto dell’eventualità che il diritto al mantenimento di questi possa assumere le vesti del diritto del genitore stabilmente convivente a ricevere un contributo da parte dell’altro.
Ovviamente le opzioni interpretative che si prospettano sono due: quella letterale, da un lato, che induce ad una lettura estensiva, e quella sistematica, dall’altro, che – invece – suggerisce un’impostazione più restrittiva.
Come si evince, infatti, dagli artt. 473 bis.2, 473 bis.19, comma 2, 473 bis.35 c.p.c., sussiste una netta differenza di regime processuale tra i diritti dei minori e i diritti dei maggiorenni, sicché la seconda opzione appena indicata appare senz’altro più corretta e conforme ai princìpi, sebbene la legge delega fosse orientata in diversa direzione[2].
Nella fisiologia del nuovo procedimento, la prima udienza è, come visto, il momento in cui il giudice dovrà regolare in via provvisoria il rapporto controverso, ma ciò non esclude che il problema possa porsi sia prima, che dopo.
Per quel che attiene al primo corno dell’alterativa, l’art. 473 bis.15 c.p.c. ammette finalmente che, sin dal momento del deposito del ricorso introduttivo, la parte – ma evidentemente anche il giudice d’ufficio, laddove rilevi la sussistenza dei presupposti previsti dalla norma che si commenta – potrà chiedere la pronuncia dei provvedimenti «indifferibili» in presenza di un «pregiudizio imminente e irreparabile o quando la convocazione delle parti potrebbe pregiudicare l’attuazione dei provvedimenti».
Al ricorrere di queste ipotesi, il presidente o il giudice delegato, «assunte ove occorre sommarie informazioni, adotta con decreto provvisoriamente esecutivo i provvedimenti necessari nell’interesse dei figli e, nei limiti delle domande da queste proposte, delle parti», fissando entro i successivi quindici giorni l’udienza per la conferma, la modifica o la revoca degli stessi.
L’assonanza di tale previsione col disposto, da un lato, dell’art. 700 c.p.c. e, dall’altro, dell’art. 669 sexies c.p.c. è evidente ed attesta – quantomeno – che la norma in discorso deve trovare applicazione nei casi in cui l’urgenza di provvedere al fine di salvaguardare le situazioni giuridiche soggettive interessate è massima e tale da non potersi attendere l’udienza prevista dall’art. 473 bis.21 c.p.c.
D’altro canto, viste le puntuali considerazioni critiche formulate dalla dottrina rispetto al testo della legge delega[3], deve ritenersi che la pronuncia inaudita altera parte sia possibile solo allorché l’instaurazione del contraddittorio possa mettere a rischio l’attuazione della decisione, mentre nel caso in cui sussista “solo” il periculum particolarmente qualificato voluto dalla norma siffatti provvedimenti dovranno essere pronunciati a seguito della convocazione delle parti.
Venendo alla seconda ipotesi, ovvero al caso in cui la tutela provvisoria ed urgente debba essere concessa dopo la prima udienza, occorre riferirsi all’art. 473 bis.23 c.p.c., che disciplina – come visto – la revoca e la modifica dei provvedimenti resi in prima udienza, sebbene non è da escludersi che, ad esempio in assenza di figli, la richiesta di tutela possa essere proposta dalle parti per la prima volta nelle fasi successive del giudizio.
Tornando all’art. 473 bis.23 c.p.c. questo dispone che il collegio o il giudice delegato potranno revocare o modificare i provvedimenti temporanei ed urgenti in presenza di due presupposti alternativi, ovvero «fatti sopravvenuti» o «nuovi accertamenti istruttori».
È questa una soluzione senz’altro condivisibile, che era stata già adottata da parte della giurisprudenza, poiché volta ad adeguare il provvedimento provvisorio alle sopravvenienze o al farsi della cognizione – pur non definitiva, ma certamente – meno sommaria.
La norma, peraltro, deve essere integrata quantomeno alla luce di quanto disposto dall’art. 473 bis.19 c.p.c. nella parte in cui è previsto che dal regime delle preclusioni siano sottratti i diritti indisponibili.
Rispetto a questi, pare ragionevole ritenere che l’istanza di revoca o modifica possa essere fondata anche su fatti preesistenti, ma non allegati in precedenza.
Per inciso, infine, si osserva che il potere di modificare i provvedimenti resi in prima udienza, potrà essere esercitato anche nell’ambito di una richiesta di attuazione della decisione ai sensi del coordinato disposto degli artt. 473 bis.38 e 473 bis.39 c.p.c.[4]
C’è un ulteriore profilo che merita attenzione e questo consiste nei rapporti tra i «provvedimenti indifferibili» e i «provvedimenti temporanei ed urgenti». Bisogna chiedersi, infatti, se giunti in prima udienza, il giudice che abbia previamente concesso i primi, possa provvedere nel secondo senso solo in presenza delle condizioni che legittimano la revoca e la modifica ex art. 473 bis.23 c.p.c. o se sia libero di regolare diversamente il rapporto anche alla luce di una nuova valutazione delle medesime circostanze.
Il quesito non è di agevole soluzione e la risposta che si intenda dare allo stesso rileva anche ai fini della corretta ricostruzione dei mezzi a carattere impugnatorio che la legge prevede. Dovendosi – come già anticipato – approcciare all’argomento in un’ottica necessariamente complessiva, è per il momento opportuno accantonare la questione per riprenderla nel prosieguo[5].
3.Gli effetti dei provvedimenti provvisori.
Ai sensi del coordinato disposto degli artt. 473 bis.22, comma 2, e 473 bis.36 c.p.c. i «provvedimenti temporanei ed urgenti» sono immediatamente esecutivi e costituiscono titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale, superandosi i dubbi interpretativi emersi in precedenza[6].
È, inoltre, previsto che nei casi in cui la decisione riguardi anche il pagamento di contributi economici a favore delle parti o dei minori, il giudice possa determinare la decorrenza degli effetti del provvedimento fissandola alla data di proposizione della domanda, ovvero dal momento del deposito del ricorso o della comparsa di costituzione e risposta; soluzione, questa, come evidenziato dalla dottrina, assai utile, tenuto conto che la retrodatazione degli effetti era di regola propria della decisione definitiva[7].
Come già previsto, inoltre, dall’art. 189 disp. att. c.p.c., da ritenersi abrogato per incompatibilità, ancora l’art. 473 bis.22, comma 2, c.p.c. dispone che l’ordinanza conservi la propria efficacia anche nel caso di estinzione del giudizio sino alla sua sostituzione con altro provvedimento.
Per quel che attiene ai «provvedimenti indifferibili», si è già visto che l’art. 473 bis.15 c.p.c. conferisce a questi efficacia esecutiva. Non è, d’altro canto, previsto che tali decisioni possano essere utilizzate per poter iscrivere ipoteca giudiziale, né si dispone alcunché circa la loro sorte in caso di estinzione del giudizio.
Tali quesiti, come in parte il problema della loro reclamabilità, dipendono dal rapporto che si intenda instaurare sul piano interpretativo tra i «provvedimenti indifferibili» e i «provvedimenti temporanei», difatti, se si ritiene che i primi abbiano la stessa natura dei secondi, sebbene condizionati alla sussistenza di un periculum particolarmente qualificato, potrà allora trovare applicazione il comma secondo dell’art. 473 bis.22 c.p.c., nonché il primo comma dell’art. 473 bis.36 c.p.c., secondo cui «i provvedimenti, anche se temporanei, in materia di contributo economico in favore della prole o delle parti sono immediatamente esecutivi e costituiscono titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale».
Diversamente, se si muove da una diversa qualificazione delle due classi di provvedimenti, attribuendo ai primi natura cautelare e non ai secondi[8], l’ultraefficacia dei provvedimenti indifferibili potrà discendere dal disposto dell’art. 669 octies, comma 6, c.p.c., ma verrà meno ovviamente la loro idoneità a costituire titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale ed occorrerà comprendere quale sia il rapporto tra provvedimenti indifferibili e provvedimenti temporanei ed urgenti.
4. I rimedi impugnatori: a) poche soluzioni e tanti dubbi.
Come vedremo nelle considerazioni che seguono, la disciplina dei mezzi di controllo dei provvedimenti temporanei è estremamente lacunosa e pone numerosi dubbi all’interprete.
Rispetto a questi, è ovviamente possibile proporre qualche proposta ricostruttiva, ma il numero delle variabili lasciate senza soluzione ed il grado di interferenza tra le stesse sono talmente elevati, che l’interprete che cerchi di portare razionalità ed equilibrio al sistema finisce per scrivere da sé la disciplina.
L’obiettivo della delega, insomma, ovvero quello di disciplinare «le forme di controllo dei provvedimenti emessi nel corso del giudizio»[9], pare rimasto in larga misura senza risposta.
5. (Segue): b) il reclamo avverso i «provvedimenti temporanei ed urgenti».
L’art. 473 bis.24 c.p.c. disciplina i rimedi a carattere impugnatorio che la legge ammette nei confronti dei provvedimenti provvisori.
È questa la norma a carattere più innovativo, ma al contempo è quella che presenta maggiori insidie.
Iniziamo dai profili più piani, osservando che, ai sensi del primo comma, avverso i «provvedimenti temporanei ed urgenti» è ammesso reclamo in Corte d’appello, così come in precedenza il rimedio era espressamente previsto per le ordinanze presidenziali.
Non mancano tuttavia alcune novità.
È, infatti, disposto che il termine di dieci giorni entro cui può essere proposto il reclamo decorra dalla data di concessione del provvedimento, se reso in udienza, o dalla data di comunicazione o notificazione se anteriore, nell’altro caso.
La possibilità, dunque, che si sovrappongano temporalmente il giudizio di revoca o modifica e quello di reclamo è, sotto questo profilo, più ridotta.
D’altro canto, il comma terzo specifica che eventuali circostanze sopravvenute debbano essere dedotte davanti al giudice del merito, cioè, se ben si intende, ai fini della revoca o modifica, sicché, come puntualmente evidenziato[10], il rischio che si svolgano in parallelo il reclamo e la decisione sull’istanza di revoca o modifica non è scongiurato.
La nuova disciplina non chiarisce la natura del reclamo.
Ci si intenda, il termine «reclamo» dovrebbe suggerire un rimedio volto al riesame della decisione, sul modello del gravame prosecutorio, ovvero un giudizio in cui il giudice superiore ha i medesimi poteri cognitivi di quello che ha reso la decisione.
Eppure, come noto, la giurisprudenza aveva in precedenza optato per una lettura restrittiva dei presupposti di ammissibilità del reclamo, limitando questi ai casi in cui il provvedimento fosse affetto da vizi rilevabili ictu oculi, ovvero emergenti dalla stessa motivazione della decisione, secondo una meccanica di giudizio prossima a quella del controllo, anziché del riesame del merito, cioè accostabile – si passi il paragone – ad un giudizio cassatorio.
Ad oggi, questa lettura pare contraria a quanto previsto dal comma 4 dell’art. 473 bis.24 c.p.c., che consente alla corte d’appello di «assumere sommarie informazioni» nel caso in cui ciò sia «indispensabile ai fini della decisione».
La possibilità – pur ammessa in casi limitati – di procedere ad una forma sommaria di istruzione induce ad escludere che il giudice del reclamo sia chiamato ad un mero controllo – per così dire – ab externo della decisione, essendo legittimato ad una ricostruzione diretta del fatto storico sulla base delle sommarie informazioni[11].
Va, d’altro canto, ammesso che non mancano argomenti di segno contrario, poiché, oltre all’aver rimesso le sopravvenienze alla cognizione del giudice del merito, c’è un ulteriore elemento testuale che potrebbe indurre a ritenere il reclamo uno strumento di impugnativa del provvedimento.
Ci riferiamo alla condizione di indispensabilità che deve ricorrere al fine di ammettere l’assunzione di sommarie informazioni.
Si potrebbe, infatti, ritenere che tale attività istruttoria diventi «indispensabile» nei casi in cui, operata la fase rescindente, diventi – appunto – necessario procedere all’acquisizione di ulteriori elementi istruttori per poter compiere la fase rescissoria indispensabile a pervenire ad una decisione che prenda il posto di quella rimossa.
Anche su questo punto, insomma, non vi sono indicazioni univoche da parte della legge.
6. (Segue): c) il reclamo e il ricorso per cassazione avverso i «provvedimenti emessi in corso di causa».
In superamento delle soluzioni in precedenza adottate dal legislatore in materia, ai sensi del secondo comma, «è altresì ammesso reclamo contro i provvedimenti temporanei emessi in corso di causa» in presenza di taluni presupposti su cui tra breve ci soffermeremo.
Inoltre, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 473 bis.24 c.p.c., «avverso i provvedimenti di reclamo pronunciati nei casi di cui al secondo comma è ammesso ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 111 della Costituzione».
Il coordinato disposto delle due norme appena indicate richiede innanzitutto un primo piccolo ritocco in sede ermeneutica.
Il richiamo del regime di cui all’art. 111, comma 7, Cost. è, infatti, inesatto, poiché il ricorso per cassazione, quando è previsto dalla legge, è quello ordinario e non quello straordinario, nel senso che l’ammissibilità dello stesso non riposa sulla sussistenza dei requisiti di decisorietà e definitività, come previsti ed elaborati nel tempo dalla giurisprudenza, bensì sulla previsione normativa che espressamente lo ammette.
Precisato questo, è ovvio che, pur scontando presupposti più restrittivi, nulla cambia rispetto ai termini e alla natura del reclamo previsto per i provvedimenti temporanei ed urgenti, al netto – ovviamente – dei dubbi in precedenza indicati.
Ciò detto, le porte d’accesso al reclamo e, poi, al giudizio di legittimità, che ad esso segue, si aprono solo in presenza di nominati presupposti, ovvero solo quando il reclamo è proposto avverso i provvedimenti che «sospendono o introducono sostanziali limitazioni alla responsabilità genitoriale, nonché quelli che prevedono sostanziali modifiche dell’affidamento e della collocazione dei minori ovvero ne dispongono l’affidamento a soggetti diversi dai genitori».
Il reclamo ed il ricorso per cassazione sono, insomma, ammissibili solo in presenza di decisioni che si occupano di disciplinare la responsabilità genitoriale e solo quando tali decisioni determinano una particolare incisione sui diritti dei figli minori e dei genitori.
È questa una soluzione a cui la Cassazione era già giunta in alcune pronunce tutt’altro che chiare e lineari; pronunce, peraltro, influenzate nel loro esito da talune prassi presenti nei giudizi de potestate innanzi al tribunale per i minorenni, nonché dalle incertezze relative alla distinzione tra decreto camerale provvisorio e decreto camerale non definitivo[12].
Fatto sta che tale criticabile ed ambiguo orientamento, su cui avremo modo di tornare nel prosieguo[13], da un lato, ha influenzato il legislatore della riforma[14] e, dall’altro, ha condotto alla rimessione alle Sezioni Unite della questione di massima di particolare importanza relativa all’ammissibilità del rimedio in presenza della c.d. «decisorietà di fatto»[15].
Rinviando al prosieguo alcune nostre considerazioni sul punto, basti per ora rilevare che, anche chi scrive – ma in esclusivo riferimento al problema della reclamabilità dei provvedimenti di revoca o modifica resi dal giudice istruttore[16] – aveva evidenziato l’esigenza di sottoporre a controllo le decisioni emesse in corso di causa, poiché nel contezioso familiare e minorile può accadere che la lite venga ad atteggiarsi nel tempo con caratteri del tutto nuovi e più gravi rispetto a quelli che possedeva al momento dell’introduzione del giudizio. In queste situazioni, escludere la reclamabilità costituiva soluzione assai dubbia sul piano del rispetto delle garanzie costituzionali del giusto processo.
I problemi che, tuttavia, pone il disposto dell’art. 473 bis.24, comma 2, c.p.c. sono veramente numerosi e di difficile governo sul piano interpretativo.
In primo luogo, la norma prevede un regime di impugnazione secundum eventum litis, ovvero dipendente dal contenuto della decisione, il che è senz’altro incostituzionale.
Basti ricordare, tra le altre, la pronuncia della Corte costituzionale con la quale si è dichiarata l’illegittimità dell’art. 669 terdecies c.p.c. per violazione del principio di parità delle armi nella parte in cui il reclamo ivi previsto era ammesso solo nei confronti dell’ordinanza di rigetto della domanda cautelare[17].
In ambito familiare e minorile, peraltro, il problema assume sfaccettature di ben altra gravità.
Se, infatti, si ritiene che la decisione con cui è sospesa o limitata la responsabilità genitoriale o con cui è disposto l’affidamento a terzi ecc. rappresenta una decisione che, per la sua portata, deve essere soggetta ad un controllo finale di legittimità per evitare che essa – in ipotesi non corretta – pregiudichi ingiustamente e irreversibilmente i diritti del minore e dei genitori, deve ritenersi che la medesima situazione si verifichi anche quando tali misure siano state richieste dalle parti o dal pubblico ministero e ciononostante non sia state concesse dal giudice.
In altre parole, il grado di giustizia e validità della decisione di accoglimento è in astratto del tutto speculare a quella di rigetto, come pari sono gli effetti pratici pregiudizievoli che potrebbero derivare dalla prima o dalla seconda.
Si pensi al caso in cui vengano allegati fatti gravi di violenza: cosa ci dice che la decisione di accoglimento sia migliore – ovvero più giusta o più valida – di quella di rigetto? E come possiamo dire che la decisione di rigetto non possa essere parimenti lesiva degli interessi sottesi rispetto a quella di accoglimento?
In definitiva, il problema deve essere risolto sulla base dell’astratta idoneità della decisione ad incidere sul rapporto genitori-figli in chiave significativamente limitativa e non guardando al contenuto in concreto della decisione.
Un tentativo di lettura conforme a costituzione potrebbe essere, dunque, quello di ritenere che il reclamo e il ricorso per cassazione siano ammissibili quando le suddette decisioni sono state disposte d’ufficio o sono state richieste dalle parti o dal pubblico ministero.
Fermo questo rilievo preliminare, vi sono d’altro canto altri profili interpretativi di non agevole soluzione.
Il secondo comma dell’art. 473 bis.24 c.p.c., infatti, se, da un lato, sembra riferirsi ad una modifica in senso peggiorativo rispetto ad una decisione assunta in precedenza (si pensi al riferimento alle «sostanziali modifiche dell’affidamento e della collocazione dei minori»), dall’altro, sembra prescindervi (è il caso in cui siano disposti la sospensione o la sostanziale limitazione della responsabilità genitoriale o l’affidamento presso terzi).
La ratio di fondo della norma è chiara, ammettere il controllo quando si ha a che fare con una decisione che possiede un elevato impatto sul rapporto genitori-figli, ma, compreso questo, cercare di far funzionare in pratica tale previsione, soprattutto alla luce dei diversi provvedimenti provvisori che in astratto possono essere pronunciati, è ben altra cosa.
Qualche esempio può essere d’ausilio.
Si pensi al caso in cui il giudice delegato, sollecitato da una richiesta di revoca ex art. 473 bis.23 c.p.c., confermi la sospensione della responsabilità genitoriale o una limitazione sostanziale della stessa o l’affidamento a terzi come già disposto in prima udienza.
Rispetto a tale ipotesi, viene ovviamente da chiedersi per quale ragione il ricorso per cassazione sia ammesso nei confronti della decisione emessa in corso di causa e non anche nei confronti dei provvedimenti temporanei ed urgenti pronunciati ex art. 473 bis.22 c.p.c.
Evidenti ragioni di legittimità costituzionale dovrebbero indurre a consentire il ricorso per cassazione anche nei confronti della decisione emessa in precedenza[18].
D’altro canto, se si segue questa opzione, sembrerebbe veramente troppo consentire un secondo reclamo ed il successivo controllo di legittimità avverso l’ordinanza del giudice delegato che non modifichi o revochi il precedente provvedimento.
Eppure, l’ordinanza che nel merito confermi una decisione previamente resa sulla base di nuovi fatti o di nuovi accertamenti istruttori[19] è il frutto dell’esercizio di un distinto potere determinativo da parte del giudice, sicché si potrebbe anche ritenere preferibile la soluzione opposta, che peraltro non pare nemmeno contraria alla lettera della legge.
Ancora.
Si pensi al caso delle «sostanziali modifiche dell’affidamento e della collocazione dei minori».
Preliminarmente sarebbe da comprendere se la lettera «e» che separa l’affidamento e la collocazione ha valore copulativo o disgiuntivo.
A nostro giudizio, va sposata la seconda opzione, poiché l’elevato grado di incisione sugli interessi tutelati si può realizzare tanto quanto, ad esempio, si passi da un affidamento condiviso ad uno esclusivo a collocazione invariata, tanto quanto, fermo il regime, si cambi il genitore con cui il minore vive prevalentemente; e ciò sebbene la Cassazione abbia in passato dubitato della decisorietà dei provvedimenti che regolano la collocazione e la frequentazione dei genitori[20].
Detto questo, la norma sembra riferirsi all’ipotesi in cui durante il procedimento sopraggiunga questa sostanziale modifica, ovvero quando la regolamentazione dell’affidamento, sotto i due profili indicati, viene ad essere modificata ai sensi dell’art. 473 bis.23 c.p.c.
Ma ovviamente tale situazione può verificarsi anche prima, ovvero in prima udienza, se non anche all’esito della pronuncia dei provvedimenti indifferibili. Ciò potrebbe, ad esempio, accadere quando il procedimento è stato introdotto ai sensi dell’art. 473 bis.29 c.p.c., ma forse anche quando il provvedimento provvisorio interviene per la prima volta a regolare la responsabilità parentale di genitori prima conviventi e uniti.
L’impressione che, insomma, si trae dalla lettura dell’art. 473 bis.24 c.p.c. è che la riforma abbia cercato di rifarsi all’orientamento giurisprudenziale in precedenza menzionato, ma senza interrogarsi sull’opportunità di farlo proprio, né predisponendo una disciplina adeguata ad un modulo procedimentale nel quale la pronuncia di decisioni provvisorie ed urgenti potrebbe essere all’ordine del giorno.
Quel che si profila all’orizzonte è evidentemente un dubbio di illegittimità costituzionale per manifesta irragionevolezza; dubbio, che, come diremo tra breve, si arricchisce di ulteriori considerazioni[21].
7. (Segue): d) il reclamo (ed il ricorso per cassazione?) avverso i «provvedimenti indifferibili».
Come anticipato, la legge nulla dice rispetto all’impugnazione dei «provvedimenti indifferibili».
Ovviamente ciò potrebbe significare che non c’è possibilità alcuna per le parti di impugnare tali decisioni. Eppure il discorso non sembra potersi chiudere così agevolmente, poiché proprio il secondo e l’ultimo comma dell’art. 473 bis.24 c.p.c., nell’ammettere il reclamo ed il ricorso per cassazione nei confronti dei provvedimenti pronunciati «in corso di causa» che determinano una particolare incisione sulla responsabilità genitoriale, sottende l’esigenza che tali decisioni, per la loro gravità, non possano non essere sottoposte a controllo anche se non definitive.
Va da sé, dunque, che non mancano argomenti per sostenere che tale previsione si applichi anche ai «provvedimenti indifferibili».
Se, tuttavia, si tiene conto di quanto osservato in precedenza, ovvero della possibilità che le condizioni di accesso alle impugnazioni – per come sono state enucleate dal legislatore delegato – non escludono un successivo e reiterato esercizio del potere di impugnazione nei confronti dei provvedimenti provvisori che potrebbero seguire[22], ci si avvede che il nuovo procedimento unitario potrebbe dar luogo ad un infinito rincorrersi di decisioni provvisorie emesse dal tribunale, dalla corte d’appello e dalla cassazione, sicché è forse preferibile adottare soluzioni che evitino tale infausto esito.
8. Da un’errata premessa discendono errate conseguenze.
Con la consapevolezza che qualunque soluzione si prospetti rispetto ai problemi appena indicati costituisce solo il frutto di opinioni personali – mai come in questo caso – del tutto fungibili rispetto a diverse opzioni interpretative (cosa che dovrebbe far riflettere sul grado di manifesta irragionevolezza della norma in commento, nonché, anche, sulla palese violazione della delega), il tentativo di rendere razionale la disciplina risulta effettivamente assai arduo per una semplice ragione.
L’errore che a nostro giudizio affligge il disposto dell’art. 473 bis.24 c.p.c. consiste nella premessa fatta propria dalla riforma, ovvero il ritenere che si possa garantire nel nostro ordinamento la giustizia e la validità delle decisioni provvisorie in materia di responsabilità genitoriale mediante un sistema continuo di controlli e soprattutto mediante il ricorso per cassazione[23].
Tale assunto è errato da qualunque punto lo si guardi, ovvero sul piano dell’opportunità, sul piano dei princìpi, nonché sul piano pratico delle conseguenze che produce.
È inopportuno perché il controllo di legittimità di decisioni emesse in un settore governato da valutazioni ampiamente discrezionali, ossia di merito puro, se possiede un suo significato all’esito del giudizio, prima del passaggio in giudicato, anche nella prospettiva dell’enunciazione di princìpi interpretativi in funzione nomofilattica, lo ha molto meno rispetto a decisioni provvisorie, ovvero quando la cognizione è nel suo farsi, cioè non è ancora definitiva.
Tale assunto, inoltre, confligge gravemente con i princìpi che governano la legge processuale da trarsi dal coordinato disposto degli artt. 277, secondo comma, 279, secondo comma, 324, 360, commi secondo e terzo, 383, primo comma, 384, secondo comma, 394 c.p.c. e 2909 c.c., poiché la pronuncia della cassazione possiede una particolare portata vincolante che è strettamente legata alla collocazione del ricorso per cassazione rispetto agli altri mezzi di impugnazione ordinaria lungo il percorso di progressiva formazione del giudicato formale e sostanziale[24].
Oggi, invece, e veniamo al problema degli effetti pratici derivanti da siffatta soluzione, il tema dei rapporti tra giudizio di cassazione e giudizio di merito sarà animato da quesiti interpretativi veramente singolari e sinora ignoti.
Occorrerà, ad esempio, chiedersi se il giudizio di cassazione debba proseguire – ma si crede il contrario, salvo il profilo delle spese – anche nel caso in cui la decisione provvisoria impugnata sia stata superata dalla decisione definitiva o anche solo da una successiva decisione parimenti provvisoria.
Di contro, ovvero nel caso in cui giunga tempestivamente la decisione della Cassazione, bisognerà chiedersi quale vincolo questa possegga rispetto ad un giudizio di merito che è ancora in itinere e non è giunto a sentenza.
Occorrerà anche trovare una soluzione per colmare il vuoto di tutela derivante dalla pronuncia di annullamento da parte della Cassazione, che ovviamente toglierà di mezzo la disciplina provvisoria della responsabilità genitoriale contenuta nella decisione cassata[25].
Non apparirà nemmeno molto sensato, forse, il rinvio ad un giudice di pari grado rispetto a quello che ha pronunciato la decisione annullata, ovvero la corte d’appello, mentre sulle stesse questioni ancora si discute in tribunale.
Di tutte questi problemi, che pare non siano stati presi in considerazione dalla riforma, dovranno tener conto le Sezioni Unite nel pronunciarsi sull’ammissibilità del ricorso straordinario avverso i provvedimenti decisori in via di fatto e sarà opportuno che il legislatore ritorni quanto prima sul disposto dell’art. 473 bis.24 c.p.c. abbandonando l’idea illusoria che il ricorso per cassazione possa costituire il rimedio ad ogni male.
Tornando all’art. 473 bis.24 c.p.c., proporre una sistemazione equilibrata del sistema dei controlli previsto dal coordinato disposto degli artt. 473 bis.15, 473 bis.22, 473 bis. 23 e 473 bis.24 c.p.c. è operazione forse impossibile, poiché se la premessa è gravemente errata, parimenti errate non possono che essere anche le conseguenze.
Ad ogni modo, nel tentativo di individuare alcune soluzioni equilibrate, si potrebbe ritenere che i provvedimenti indifferibili si distinguano dai provvedimenti temporanei ed urgenti non per natura, ma solo per l’intensità del periculum e per il grado ultrasommario della cognizione.
Conseguentemente, tali provvedimenti non saranno reclamabili, né ricorribili per cassazione ai sensi dell’art. 473 bis.24, commi 2 e 5, c.p.c., poiché destinati ad essere sostituiti dai provvedimenti temporanei ed urgenti emessi in prima udienza, magari a seguito di quella abbreviazione dei termini che la legge prevede in alcune ipotesi particolari e nella specie ai sensi degli artt. 473 bis.6, comma 1, e 473 bis.42, comma 1, c.p.c.
Questi ultimi potranno essere assunti dal giudice re melius perpensa, ovvero senza che debbano ricorrere i presupposti di cui all’art. 473 bis.23 c.p.c.
I provvedimenti temporanei ed urgenti appena indicati saranno reclamabili de plano ai sensi dell’art. 473 bis.24, comma 1, c.p.c. e la decisione resa dalla corte d’appello sarà soggetta a ricorso per cassazione qualora presenti i caratteri previsti dal secondo comma della medesima norma.
È questa una soluzione che, come visto[26], pare ineludibile.
La corretta individuazione di tali caratteri, peraltro, è tutt’altro che agevole, come già evidenziato.
A tal riguardo, si potrebbe ritenere che il ricorso per cassazione sia ammissibile allorché vengano disposti o siano richiesti[27]: – la sospensione della responsabilità genitoriale o una sua sostanziale limitazione a carico anche di solo uno dei genitori; – l’affidamento extrafamiliare; – l’affidamento esclusivo o superesclusivo; – un regime di frequentazione che incida significativamente sul diritto del minore alla bigenitorialità (ad esempio nel caso in cui si autorizzi il genitore collocatario al cambio di residenza, allontanando il minore dall’altro genitore, o in ogni caso in cui, al di là della qualificazione formale della decisione, di fatto la determinazione giudiziale assegni ad un genitore una posizione di assoluta prevalenza nell’esercizio del potere-dovere di istruire, educare ed assistere moralmente i figli).
Ciò detto, non sarà affatto agevole comprendere quale trattamento riservare ad eventuali decisioni di revoca o modifica pronunciate successivamente.
Qualora in tale sede il giudice provveda per la prima volta nel senso indicato dal secondo comma dell’art. 473 bis.24 c.p.c., la strada del reclamo e del ricorso per cassazione sarà aperta senza particolari problemi, ma nel caso in cui la decisione emessa in corso di causa revochi una decisione ad alto impatto sulla responsabilità genitoriale o questa sia in parte modificata o nel caso in cui questa sia confermata nonostante la sussistenza di nuovi fatti o nuovi accertamenti istruttori, pare difficile non ammettere, stante la ratio dell’attuale art. 473 bis.24 c.p.c. ed i princìpi costituzionali[28], il reclamo e il ricorso per cassazione.
Molti di questi quesiti si scioglieranno forse con l’applicazione pratica, ma solo dopo numerose incertezze interpretative e a scapito delle parti coinvolte. Inoltre, verosimilmente, la norma finale, ovvero quella forgiata dal diritto vivente, sarà molto diversa da quella che ora apprendiamo dalla lettura del decreto legislativo n. 149 del 2022.
[1] Sull’improprio utilizzo della locuzione «provvedimenti temporanei ed urgenti» anziché della più corretta «provvedimenti provvisori ed urgenti», v. A. Graziosi, Sui provvedimenti provvisori ed urgenti nell’interesse dei genitori e dei figli minori, in Fam. dir., 2022, 370.
[2] Cfr., infatti, A. Graziosi, Sui provvedimenti, cit., 372-373, che ha condivisibilmente criticato la legge delega proprio in riferimento all’art. 1, comma 23, lett. r), nella parte in cui era previsto che «il giudice relatore, nel contraddittorio tra le parti: adotti i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell’interesse delle parti stesse, nel limite delle rispettive domande e anche d’ufficio per i minori, per i figli maggiorenni non economicamente autosufficienti e per i figli maggiorenni portatori di handicap grave […]», osservando che «la legge delega ha equiparato, agli effetti della tutela d’urgenza, soggetti privi di capacità processuale (art. 75, comma 1, c.p.c.), quali sono i figli minori, a soggetti che ne sono certamente dotati, quali invece sono i figli già maggiorenni, e questa è con tutta evidenza una grave alterazione dei più elementari e basilari principi su cui poggia il nostro sistema processuale che, vi è da sperare, possa essere adeguatamente corretta negli emanandi decreti attuativi».
[3] Cfr. A. Graziosi, Sui provvedimenti, cit., 373.
[4] Sul punto, sia consentito il rinvio al nostro L’attuazione dei provvedimenti, in La riforma del processo e del giudice per le persone, per i minorenni e per le famiglie, a cura di C. Cecchella, Torino, 2023, 164 ss.
[7] Cfr. M.A. Lupoi, Le misure provvisorie e la loro impugnativa, in La riforma del processo, cit., 98.
[8] Nel senso indicato nel testo, v. M.A. Lupoi, Le misure provvisorie, cit., 90 ss. Ovviamente il discorso potrebbe prendere una diversa direzione qualora si ritenesse che tutti i provvedimenti provvisori emessi nell’ambito del procedimento ora previsto dal titolo IV bis abbiano natura cautelare. In dottrina, tra i primi a favore della natura cautelare dei provvedimenti in questione, v. F. Carnelutti, Riflessioni intorno al processo per determinazione del regime della prole di coniugati separati, in Riv. dir. proc. civ., 1927, I, 306; Id., Istituzioni del nuovo processo civile italiano, Roma, 1941, 46. A favore della distinta qualificazione anticipatoria-interinale, v., invece, C. Mandrioli, I provvedimenti presidenziali nel giudizio di separazione dei coniugi, Milano, 1956, 5 ss.; Id., Separazione per ordinanza presidenziale? in Riv. dir. proc., 1972, 240 ss.; Id., Per una nozione strutturale dei provvedimenti anticipatori o interinali, in Riv. dir. proc., 1964, 551 ss. La natura giurisdizionalvolontaria delle decisioni in questione è, infine, sostenuta da F. Cipriani, I provvedimenti presidenziali «nell’interesse dei coniugi e della prole», Napoli, 1970, 377 ss.; Id., Il processo di divorzio, in Commentario sul divorzio, diretto da Rescigno, Milano, 1980, 465 ss.; Id., in F. Cipriani-E. Quadri, La nuova legge sul divorzio, II, Napoli, 1988, 281. Per un esame più analitico delle diverse opinioni, v. il nostro I provvedimenti nell’interesse dei figli minori ex art. 709 ter c.p.c., Torino, 2018, 244 ss.
[9] Cfr. l’art. 1, comma 23, lett. u), l. n. 206/2021.
[10] Cfr. M.A. Lupoi, Le misure provvisorie, cit., 102.
[11] In questo senso, anche M.A. Lupoi, Le misure provvisorie, cit., 103.
[12] Cfr. ad es. Cass., 17 aprile 2019, n. 10777, in cui si è osservato che «il decreto del Tribunale per i Minorenni di Trieste con il quale sono stati disposti la sospensione della responsabilità genitoriale della ricorrente ed il persistente collocamento dei figli minori presso una comunità, pur se adottato nell’ambito di procedimento ancora in corso, è già idoneo a produrre effetti pregiudizievoli per i minori e per il genitore, in ragione delle sue immediate ripercussioni sulla relazione parentale e su diritti di natura personalissima e di primario rango costituzionale». Dalla lettura del fatto processuale, tuttavia, non è propriamente agevole comprendere se tale decreto fosse stato pronunciato o meno in via provvisoria, cioè ai sensi dell’art. 336, comma 4, c.c. Che tale dubbio non sia del tutto peregrino è dimostrato da Cass., 3 settembre 2021, n. 23855, nella cui motivazione si ritiene che il precedente poc’anzi citato si riferisca proprio alla ricorribilità in cassazione dei provvedimenti provvisori. È pur vero, d’altro canto, che, come accennato nel testo, queste pronunce cercano di prendere in carico le distorsioni derivanti dalla prassi – che pare sopravviva ancora in alcuni tribunali per i minorenni nonostante l’idoneità al giudicato delle misure de potestate – di assumere decisioni in corso di giudizio ai sensi degli artt. 330 e 333 c.c., disponendo la prosecuzione del processo per interventi sul nucleo familiare (spesso ad opera dei servizi sociali); e ciò senza escludere una nuova e successiva valutazione dei presupposti della decisione resa sulla responsabilità genitoriale. Si legga a tal riguardo la parte della motivazione in cui Cass., 19 maggio 2020, n. 9143, in Fam. dir., 2021, 516 ss., con nota di M. Genovese, La rilevanza dei procedimenti penali a carico di un genitore nel giudizio di affidamento della prole, osserva quanto segue: «non vi è infatti prova del carattere meramente provvisorio ed urgente del provvedimento, il quale, pur non avendo comportato la conclusione del procedimento dinanzi al Giudice minorile, e non prevedendo comunque una soluzione definitiva, risulta idoneo ad incidere in modo tendenzialmente stabile sulle posizioni delle parti, essendo destinato ad operare almeno fino a quando non venga meno la conflittualità che caratterizza attualmente i rapporti tra le stesse». In questo contesto, caratterizzato da una singolare fluidità ed incertezza in merito alla distinzione tra decreto non definitivo e decreto provvisorio, non sono mancate pronunce in cui la Cassazione si è affidata all’etichettatura fornita dai giudici di merito in ordine alla corretta qualificazione del provvedimento ed alla conseguente decisione in punto di ammissibilità del ricorso straordinario: cfr. ad es. Cass., 24 gennaio 2020, n. 1668, nonché Cass., 24 marzo 2022, n. 9691, ove si osserva quanto segue: «in materia di provvedimenti “de potestate” ex artt. 330, 333 e 336 c.c., il decreto pronunciato dalla Corte d’appello sul reclamo avverso quello del Tribunale per i minorenni è impugnabile con il ricorso per cassazione […] anche quando non sia stato emesso a conclusione del procedimento per essere stato, anzi, espressamente pronunciato “in via non definitiva”, trattandosi di provvedimento che riveste comunque carattere decisorio, quando non sia stato adottato a titolo provvisorio ed urgente, idoneo ad incidere in modo tendenzialmente stabile sull’esercizio della responsabilità genitoriale». Per una recente decisione in cui il decreto non definitivo è stato inteso come provvisorio, con la conseguente esclusione del ricorso straordinario per cassazione, v. Cass., 27 gennaio 2022, n. 2484. Tale orientamento, inoltre, si è esteso anche ad altri ambiti: cfr. Cass., 4 gennaio 2022, n. 82, in cui si legge che «i provvedimenti che incidono sul diritto degli ascendenti ad instaurare ed a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, ai sensi dell’art. 317 bis c.c., […] seppure adottati in via provvisoria e urgente, incidendo su diritti personalissimi e di rango costituzionale, hanno carattere decisorio e sono reclamabili dinanzi la Corte di appello». A noi pare che il problema dell’ammissibilità del ricorso straordinario debba essere affrontato solo a valle di una corretta distinzione tra decreti «provvisori» e decreti «non definitivi», ovvero attribuendo a ciascuno di essi un diverso regime processuale. Così, sembra corretto definire «provvisorio» il decreto quando la decisione sia assunta in via urgente e sommaria con l’obiettivo di giungere ad un successivo accertamento pieno ad istruttoria espletata. È questa la ratio sottesa all’art. 336, comma 4, c.c. e poco importa, sotto questo profilo, se si ritenga tale provvedimento cautelare in senso proprio (come preferiamo) o cautelare in senso lato, o ancora interinale, oppure giurisdizionalvolontario. In ogni caso la decisione finale caducherà il decreto previamente assunto. Muovendo da tali premesse, il provvedimento potrà essere sempre revocato o modificato in corso di giudizio e certamente non potrà condurre ad un successivo sindacato di legittimità ex art. 111, comma 7, Cost., difettando all’evidenza il requisito di definitività. Per decreto «non definitivo», invece, si dovrebbe intendere, argomentando sulla base dell’art. 279, comma 2, n. 4, c.p.c., la decisione con cui il giudice, pur non definendo il giudizio, risolve una questione o statuisce su un rapporto, precludendosi la possibilità di pronunciarsi nuovamente su tale thema decidendum, stante l’estinzione per consumazione del proprio potere-dovere decisorio sul punto. In questa ipotesi, qualora la pronuncia riguardi ad esempio la sospensione o la limitazione della responsabilità genitoriale, il decreto potrà senz’altro essere oggetto di ricorso straordinario per cassazione.
[14] All’attuale disposto dell’art. 473 bis.24 c.p.c. pare si sia giunti sulla base di tre distinti criteri direttivi, ovvero: – quello contenuto all’art. 1, comma 23, lett. u), l. n. 206/2021, che imponeva di «stabilire che i provvedimenti temporanei ed urgenti debbano contenere le modalità e i termini di prosecuzione del giudizio, che possano essere modificati o revocati dal giudice, anche relatore, nel corso del giudizio in presenza di fatti sopravvenuti o di nuovi accertamenti istruttori, che mantengano la loro efficacia in caso di estinzione del processo e che siano disciplinate le forme di controllo dei provvedimenti emessi nel corso del giudizio»; – quello di cui all’art. 1, comma 23, lett. v), stando al quale occorreva «modificare l’articolo 178 del codice di procedura civile introducendo una disposizione in cui si preveda che, una volta istituito il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, l’ordinanza del giudice istruttore in materia di separazione e di affidamento dei figli è impugnabile dalle parti con reclamo immediato al collegio, che il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di venti giorni dalla lettura alla presenza delle parti oppure dalla ricezione della relativa notifica e che il collegio decide in camera di consiglio entro trenta giorni dal deposito del reclamo»; – nonché, infine, sulla base del disposto dell’art. 1, comma 24, lett. p), che disponeva che dovessero essere ricorribili ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost. anche «i provvedimenti provvisori emessi ai sensi degli artt. 330, 332 e 333 del codice civile dalle sezioni distrettuali del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, su reclamo proposto avverso i provvedimenti provvisori emessi dalle sezioni circondariali». Nella Relazione illustrativa al d.lgs. n. 149/2022, pag. 62-63, si legge, infatti, che «rispetto all’auspicata reclamabilità anche di tutti i provvedimenti provvisori emessi in corso di causa, la stessa non potrà verosimilmente attuarsi per ragioni di insufficienza di ruoli, ma si è prevista comunque una forma di controllo per i provvedimenti più invasivi, id est quelli dotati di maggiore portata, come quelli che sospendono o introducono sostanziali limitazioni alla responsabilità genitoriale, nonché quelli che prevedono sostanziali modifiche dell’affidamento e della collocazione dei minori ovvero ne dispongono l’affidamento a soggetti diversi dai genitori. Questo, almeno sino alla futura realizzazione della riforma ordinamentale e quando avrà luogo l’istituzione del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, quando la elevata specializzazione dei magistrati assegnati al costituendo tribunale potrà permettere l’assegnazione dell’intero giudizio alle sezioni circondariali (in composizione monocratica), e le impugnazioni dei provvedimenti sia provvisori che definitivi davanti alla sezione distrettuale. Sempre a questo proposito, l’ulteriore principio di delega di cui al comma 23, lett. v) “modificare l’articolo 178 del codice di procedura civile introducendo una disposizione in cui si preveda che, una volta istituito il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, l’ordinanza del giudice istruttore in materia di separazione e di affidamento dei figli è impugnabile dalle parti con reclamo immediato al collegio, che il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di venti giorni dalla lettura alla presenza delle parti oppure dalla ricezione della relativa notifica e che il collegio decide in camera di consiglio entro trenta giorni dal deposito del reclamo” sarà attuato con le norme di coordinamento successive all’introduzione del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie».
[15] Cfr. Cass., 17 ottobre 2022, n. 30478, ma soprattutto Cass., 17 ottobre 2022, n. 30457, su cui v. Coletta, Sulla definitività «liquida» nel ricorso straordinario avverso i provvedimenti de potestate, in Riv. dir. proc., 2023, 239 ss., che appunto enuclea il concetto di «decisorietà di fatto», osservando che «non può essere trascurato il fatto che, con riferimento ai minori di età, i cui diritti soggettivi sono ora garantiti dalle modifiche introdotte dalla cd. riforma della filiazione agli artt. 315 e ss. c.c., possa determinarsi, per lo stesso fluire del tempo, una perdita definitiva o un pregiudizio irrimediabile agli stessi. Specie in riferimento ai minori che si avviano al conseguimento della maggiore età».
[16] Cfr. il nostro, anche per i dovuti riferimenti, Sulla reclamabilità dei provvedimenti ex art. 709 ter c.p.c. emessi in via provvisoria dal giudice istruttore, in Fam. dir., 2018, 1126 ss.
[17] C. cost., 23 giugno 1994, n. 253, in Foro it., 1994, I, 2005 ss., con nota di B. Capponi, Il reclamo avverso il provvedimento cautelare negativo (il difficile rapporto tra legislatore ordinario e legislatore costituzionale).
[18] Così anche M.A. Lupoi, Le misure provvisorie, cit., 104.
[19] Diversamente dal caso in cui la richiesta sia dichiarata inammissibile per difetto dei presupposti previsti dalla legge per ottenere la revoca o la modifica.
[20] Cfr., Cass., 11 novembre 2021, n. 33609; Cass., 19 gennaio 2022, n. 1568; Cass., 11 gennaio 2022, n. 614, secondo cui il ricorso straordinario per cassazione avverso le decisioni relative alle modalità di collocamento e di frequentazione dei figli minori sarebbe inammissibile, poiché prive dei caratteri di decisorietà e definitività. L’argomento principe posto a fondamento di tale impostazione deriverebbe dall’accostamento del disposto dell’art. 337 ter, comma 2, c.c., ove è previsto che «all’attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento della prole provvede il giudice del merito», all’art. 337 quinquies, comma 1, c.c., stando al quale «i genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamenti dei figli». Da ciò se ne deduce che i provvedimenti sul collocamento e la frequentazione sono «meramente attuativi dell’affidamento, riguardando i tempi e le modalità del collocamento dei figli e il regime delle frequentazioni con i genitori, possono essere revocati, modificati o riformati dallo stesso giudice che li ha emessi anche in assenza di nuovi elementi sopravvenuti, sulla base di diverse valutazioni riservate al giudice di merito per la migliore realizzazione dell’interesse dei figli». Pur non essendo questa la sede per prendere posizione distesamente sul tema, basti osservare quanto segue. Innanzitutto, la sussunzione della fattispecie in questione sotto il disposto dell’art. 337 ter, comma 2, c.c. appare quantomeno dubbia. La norma, infatti, che, come noto, costituisce la generalizzazione di una regola già contenuta nella legge sul divorzio ed ad oggi si rinviene in varie declinazioni nella riforma, non si riferisce all’attività giurisdizionale dichiarativa volta alla determinazione delle condizioni di affidamento (che evidentemente comprendono anche il collocamento e la frequentazione), ma al distinto problema dell’esecuzione delle decisioni medesime. Per quanto consta, inoltre, la lettura appena indicata non è mai stata messa in discussione, tenuto conto che il termine «attuazione» in questa materia ha spesso la funzione di sostituirsi a quello di «esecuzione». L’opera di determinazione delle condizioni di affidamento – insomma – non ha dunque nulla a che fare – nella prospettiva qui scrutinata – con la successiva attività giurisdizionale volta a garantire il concretamento del precetto giudiziale. I provvedimenti in tema di collocamento e frequentazione trovano, invece, la loro cornice normativa nella parte precedente della disposizione in questione, ovvero lì dove è previsto che il giudice, nell’adottare i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa, «determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore». A prescindere da questo, appare oscuro quale sia il particolare nesso che lega sul piano interpretativo queste decisioni all’art. 337 quinquies, comma 1, c.c. La norma appena richiamata, infatti, nel riferirsi testualmente a «le disposizioni concernenti l’affidamento» non consente di operare distinguo. Sicché, qualunque significato si intenda attribuire a tale previsione, il valore precettivo ricavatone deve valere in ogni caso. In altri termini, se si dovesse ritenere che tale norma attesti un regime di libera modificabilità delle decisioni in materia di affidamento senza preclusione alcuna, allora il ricorso per cassazione dovrebbe essere sempre escluso. Non solo. A prescindere dagli argomenti di ordine esegetico appena indicati, che si ritengono de iure condito insuperabili, il tentativo di degradare siffatte decisioni a provvedimenti «meramente attuativi» non sembra appropriato per la materia di cui si discute. Il potere che il giudice si trova ad esercitare nello stabilire le condizioni di affidamento – che a nostro parere va ricondotto alla giurisdizione contenziosa dichiarativa determinativa (cfr. il nostro Sulla natura delle decisioni rese nell’interesse dei figli minori nei giudizi sull’affidamento condiviso e de potestate, in Riv. dir. proc., 2019, 1067 ss.) – è vincolato solo teleologicamente al soddisfacimento dell’interesse del minore. Un potere di siffatta latitudine è cosa rara nel nostro ordinamento e l’enucleazione di princìpi interpretativi da parte della Suprema Corte volti a orientare la discrezionalità giudiziale salvaguardia mediante il ricorso per cassazione il principio di legalità e garantisce quell’uniforme interpretazione della legge, evitando il proliferare di giurisprudenze locali in materia di diritti fondamentali e rispetto a questioni che appaiono decisive per la vita dei figli e dei genitori coinvolti.
[23] Cfr. il comma 23, lett. p), dell’art. 1 l. n. 206/2021, che disponeva che dovessero essere ricorribili ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost. anche «i provvedimenti provvisori emessi ai sensi degli artt. 330, 332 e 333 del codice civile dalle sezioni distrettuali del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, su reclamo proposto avverso i provvedimenti provvisori emessi dalle sezioni circondariali».
[24] È questo un principio che ci appare ineludibile per poter preservare il corretto funzionamento della tutela dichiarativa decisoria nel nostro ordinamento; principio che nessuna delle declinazioni dei requisiti di decisorietà e definitività nel tempo avutesi (decisorietà, come incisione; decisorietà in senso processuale, etc.) aveva messo a repentaglio come l’odierno concetto di decisorietà di fatto. Va con franchezza ammesso, d’altro canto, che tale ultima novità è il frutto di un atteggiamento, sia dottrinale che giurisprudenziale, spesso eccessivamente possibilista rispetto alla portata espansiva del ricorso straordinario e alle diverse letture dei suoi presupposti di ammissibilità; atteggiamento da sempre contrastato – ed ora molti potrebbero comprenderne le ragioni – da quella parte della dottrina che ha in numerose occasioni ribadito il legame inscindibile tra giudicato e ricorso per cassazione ordinario: cfr., per tutti, i diversi scritti raccolti in L. Lanfranchi, La roccia non incrinata, Garanzia costituzionale del processo civile e tutela dei diritti, Torino, 2011, passim.
[25] Con buona pace del principio secondo cui in questa materia abbiamo a che fare con «rapporti tendenzialmente insuscettibili di rimanere privi di una specifica regolamentazione senza che i soggetti coinvolti ne ricevano un danno grave e irreparabile»: così, A. Graziosi, Sui provvedimenti, cit. 368.