Il Tribunale per le persone, i minorenni e le famiglie: cenni su alcune disposizioni speciali del nuovo rito unitario

Di Giorgia Alemanno -

SOMMARIO: 1. Rito unitario: una premessa sistematica. – 2. Sezione I: sulla violenza domestica o di genere. – 2.1. Vittimizzazione secondaria e necessità di una disciplina specifica. – 2.2. L’ambito di applicazione. – 2.3. Il procedimento. – 2.3.1 La domanda. – 2.3.2 Le fasi processuali e la mediazione familiare. – 2.3.3 La fase istruttoria. – 2.3.4  L’ascolto del minore. – 2.3.5 I provvedimenti del giudice. – 3. Il procedimento di assenza e morte presunta: una breve introduzione. – 3.1. La scomparsa. – 3.2. L’assenza. – 3.3. La morte presunta. – 3.4. Pubblicazione ed esecuzione della sentenza. – 4. Le disposizioni relative a minori interdetti e inabilitati. La riorganizzazione sistematica degli artt. 732 c.p.c. ss. – 5. Degli ordini di protezione contro gli abusi familiari. – 5.1.  L’art. 473-bis.69 e il nodo della convivenza. – 5.2. Le modifiche al contenuto degli ordini di protezione.

1.Rito unitario: una premessa sistematica.

Dopo quasi 10 anni dalla riforma sulla filiazione, il legislatore italiano ha delegato il Governo con la legge n. 206/2021 a modificare il processo in materia di famiglia nell’ottica di conferirgli maggiore organicità e di prevedere strumenti più efficienti per la risoluzione alternativa delle controversie.

Tra le principali novità introdotte dalla riforma, che si propone, tra l’altro,  di realizzare il riassetto “formale e sostanziale” della disciplina del processo civile in funzione degli obiettivi di “semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo” [1], cui il legislatore delegato ha provveduto con d.lgs. 149/2022, figura senz’altro l’istituzione del Tribunale per “le persone, i minorenni e le famiglie”, derivante dall’impulso fornito dall’approvazione del PNRR (Piano Nazionale di Resistenza e Resilienza). Oltre alle novità interne, si innesta in questo quadro di riforme anche il nuovo regolamento UE 1111/2019, in vigore a partire da agosto 2022, recante nuove disposizioni in materia di giurisdizione, riconoscimento ed esecuzione delle controversie in materia di separazione, divorzio e di responsabilità genitoriale[2].

Punto di partenza della riforma è rappresentato dalla modifica dell’art. 38 disp. att. c.c., che, sebbene inserito in una cornice sostanziale, reca disposizioni strettamente processualistiche in materia di competenza. La coincidenza delle varie modifiche dell’articolo 38 disp. att. c.c. avvenute nel corso del tempo, con momenti storici per il diritto di famiglia (si pensi alla legge sul divorzio e alla riforma della filiazione), lascia intuire la centralità di tale norma all’interno dell’ordinamento nazionale.

Occorre accennare, infatti, alle recenti modifiche apportate dal legislatore delegato, che ha lievemente mutato i tratti dell’art. 38 disp. att. c.c. come formulato dalla già precettiva legge delega, adeguandolo all’introduzione del nuovo rito unificato.

Nello specifico, è stata disposta la competenza del Tribunale per i Minorenni sul matrimonio di colui che abbia compiuto sedici anni e sulla relativa (eventuale) nomina del curatore speciale, sull’autorizzazione al riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio di coloro che non abbiano compiuto il 16º anno di età o che siano legati da un vincolo di parentela, sull’esercizio del diritto di mantenere rapporti tra ascendenti e nipoti minorenni, e, infine, su tutto ciò che concerne l’esercizio della responsabilità genitoriale; al Tribunale ordinario, invece, è stata attribuita la competenza a decidere sulla sfera relativa alla responsabilità genitoriale (artt. 330 c.c. ss.) esclusivamente quando sia già pendente o sia instaurato successivamente, tra le stesse parti, un giudizio di separazione, di divorzio o di modifica delle condizioni. Il Tribunale ordinario è inoltre competente nel caso in cui un genitore voglia riconoscere un figlio nato fuori dal matrimonio e non vi sia il consenso dell’altro, in caso di impugnazione del riconoscimento, in caso di provvedimenti utili e necessari in seguito alla dichiarazione di filiazione ovvero in caso di contrasto tra genitori su questioni di particolare importanza relativa ai figli[3]. In ragione del nuovo rito unitario, inoltre, il secondo periodo del previgente terzo comma dell’art. 38 disp. att. c.c. è stato soppresso in virtù della scelta del legislatore delegante di dar vita al nuovo titolo IV-bis, in cui gran parte delle norme in materia di famiglia sono confluite in forza della nuova struttura del procedimento[4].

Come anticipato, dunque, l’articolo 3, co. 33, del d.lgs. 149/2022, in attuazione l. 206 del 2021[5], aggiunge al Libro II del codice di procedura civile il Titolo IV-bis, che presenta un rito unico per le controversie in materia di persone, minorenni e famiglie[6] e che, oltre alle norme generali, introduce un capo[7] interamente dedicato alle disposizioni speciali, composto da sette sezioni, di cui quattro rappresenteranno l’oggetto di approfondimento del presente scritto: la sezione I dedicata alla violenza domestica o di genere, la sezione IV dedicata all’assenza e alla morte presunta, la sezione V relativa ai minori interdetti e inabilitati e la sezione VII dedicata agli ordini di protezione contro gli abusi familiari.

2.Sezione I: sulla violenza domestica o di genere.

2.1Vittimizzazione secondaria e necessità di una disciplina specifica.

La sezione I del Capo III è stata introdotta per disciplinare i procedimenti nei quali una delle parti alleghi di essere vittima di violenza cagionata dal partner o dall’ex partner, o alleghi che vittima di violenza[8] o di abuso sia il figlio minore[9].

L’introduzione degli articoli 473-bis.40-46 deriva dall’allarmante diffusione della violenza di genere, domestica e dei fenomeni di vittimizzazione secondaria, ossia nel comportamento assunto dalle autorità chiamate a reprimere un fenomeno di violenza, che, non riconoscendo o sottovalutando tali condotte, mancano di fornire alla vittima la tutela necessaria per proteggerla da eventuali condizionamenti e/o reiterazioni[10].

Il legislatore italiano, nell’ideare la nuova disciplina[11], ha preso quindi le mosse dal concetto di vittimizzazione secondaria, approfondito anche dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica, nota altresì come Convenzione di Istanbul del 2011, la quale, all’articolo 18, stabilisce che gli Stati firmatari si impegnano ad evitare la vittimizzazione secondaria e il perpetrarsi delle sofferenze inferte alla vittima di un reato[12].  Si pensi, infatti, che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con sentenza n. 5671/2021, ha ritenuto che le autorità italiane avessero omesso di tutelare la ricorrente dalla vittimizzazione secondaria, ancorché in mancanza di vittimizzazione primaria, “sul rilievo che il giudice nazionale ha richiamato elementi che attengono alla vita privata e alla sessualità della presunta vittima e che non erano in alcun modo rilevanti ai fini dell’accertamento della responsabilità penale, né giustificati dalla necessità di garantire il pieno esercizio del diritto di difesa agli imputati[13]”.

La sezione I, quindi, introdotta per le suddette ragioni su sollecitazione del legislatore delegante, si apre con l’articolo 473-bis.40, che introduce disposizioni speciali in materia di violenza domestica o di genere e apre una corsia “preferenziale”[14] per tali tipologie di giudizi.

 

2.2.L’ambito di applicazione.

Sebbene l’art. 473-bis.40 c.p.c. rimanga piuttosto generico in merito alle fattispecie a cui debbano applicarsi le disposizioni della I° sezione, è ragionevole ritenere che tale scelta del legislatore sia stata attentamente ponderata e sia giustificata dalla necessità di non creare una lista chiusa di violenze e abusi a cui riferirsi, evitando il rischio di omettere alcuni procedimenti e ricomprendendo qualsivoglia forma di violenza (sia essa fisica o psicologica), in conformità ai dettami della Convenzione di Istanbul e delle sollecitazioni del “Group of Experts on Action against Violence against Women and Domestic Violence” del Consiglio d’Europa.

Proprio a tal fine, è stata ritenuta sufficiente la mera allegazione di violenza o di abuso da parte della presunta vittima, proprio nell’ottica di intercettare, al suo primo manifestarsi, la sua richiesta di aiuto, per scongiurare il rischio che la mancata attenzione alla violenza e all’abuso, o peggio la sua sottovalutazione o negazione da parte delle istituzioni, possano indurre la vittima a ricadere nel ciclo della violenza, al quale aveva cercato di sottrarsi[15].

2.3 Il procedimento.

Il diritto di famiglia è una delle branche del diritto civile in cui più viene attribuita importanza al fatto e alle sue dinamiche, poiché la sfera psicologico-fattuale riferita alle parti è strettamente connessa alla decisione del giudice. Proprio alla luce di ciò, allora, sulla linea di confine tra diritto civile e diritto penale, si ritiene che le condotte violente, anche se non perseguibili penalmente, siano rilevanti per la valutazione delle domande di contenuto civilistico[16] e, soprattutto, per la valutazione delle domande di affidamento dei minori, che presuppongono la valutazione della capacità genitoriale. Pertanto, si ritiene opportuno commentare le norme 473-bis.41-46 congiuntamente, in un’ottica sistematica.

2.3.1 La domanda.

L’art. 472-bis.41 c.p.c. viene rubricato come “forma della domanda” e dispone che il ricorrente indichi eventuali procedimenti, pendenti o definiti, relativi agli abusi o alle violenze. Tuttavia, l’articolo in analisi richiama gli artt. 472-bis.12 e 13, ossia le norme generali relative agli atti introduttivi, che prevedono che anche il pubblico ministero debba segnalare la presenza di siffatti procedimenti.

È il comma 2 a disporre, poi, che al ricorso sia allegata copia dei verbali relativi all’assunzione di sommarie informazioni e di prove testimoniali, copia dei provvedimenti relativi alle parti e al minore emessi dall’autorità giudiziaria o da altra pubblica autorità, nonché copia degli “accertamenti svolti”, espressione piuttosto generica scelta dal legislatore per lasciare libertà alle parti di allegare ogni elemento ritenuto utile per provare la violenza; tali documenti, ante riforma, potevano comunque essere richiesti dal giudice in fase istruttoria, ai fini di una più ponderata decisione.

2.3.2. Le fasi processuali e la mediazione familiare.

L’art. 472-bis.42 c.p.c. invece approfondisce l’iter del procedimento, il cui fil rouge è rappresentato dalla celerità delle fasi processuali, volte al rapido accertamento delle allegazioni sulla violenza o sugli abusi. Proprio a tal riguardo il legislatore delegato apre l’articolo in analisi prevedendo la possibilità per il giudice di abbreviare i termini sino alla metà, di compiere, senza alcun ritardo, tutte le attività previste dalla sezione, anche d’ufficio, e di disporre dei mezzi di prova anche al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile, sempre nel rispetto del contraddittorio e del diritto alla prova contraria.

Interessante, tra l’altro, risulta anche il comma 2, che, coerentemente con la Convenzione di Istanbul e con le sollecitazioni del Consiglio d’Europa all’Italia, ha previsto, quale corollario del divieto di vittimizzazione secondaria, che, se opportuno, il giudice potrà impedire la contemporanea presenza delle parti per tutelare la dignità e la sfera personale della vittima.

Rileva poi il massimo coordinamento tra le autorità civili e le autorità penali disposto dal co. 5, che sono chiamate a collaborare. Difatti, il giudice civile può richiedere con decreto al pubblico ministero o alle altre autorità competenti la trasmissione di informazioni circa l’esistenza di eventuali procedimenti relativi ad abusi o violenze, nonché dei relativi atti non coperti dal segreto istruttorio ex articolo 329 c.p.p., dovendo i destinatari della richiesta provvedere entro 15 giorni.

L’art. 473-bis.43 c.p.c., invece, ripercorre fedelmente il co. 3 dell’art. 473-bis.42 c.p.c., disponendo l’impossibilità di ricorrere alla mediazione quando sia pendente un procedimento avente ad oggetto abusi o violenze o quando, relativamente ai medesimi fatti illeciti, vi sia stata sentenza di condanna o di applicazione della pena, anche soltanto in primo grado[17]. Quindi, in tali ipotesi, il funzionario scelto dal giudice dovrà interrompere immediatamente il percorso di mediazione familiare nel momento in cui venga a conoscenza di abusi o violenze. Ciò si spiega in virtù del fatto che, per aversi mediazione, è necessario che le parti siano sostanzialmente su un piano paritario che favorisca il rapporto genitoriale, aspetto che non può esistere in caso di violenze perpetrate verso una delle parti della relazione, sicché l’espletamento di un tentativo di mediazione in siffatti casi potrebbe mettere in pericolo la vittima di violenze, generando sofferenze fisiche o psicologiche[18].

Oltre al richiamo al co.3 dell’art. 473-bis.42, l’articolo in esame dovrà essere letto in combinato disposto con il comma 6 della predetta norma, in cui è previsto che nel caso in cui venga ravvisata l’insussistenza delle condotte allegate, il giudice potrà invitare le parti a rivolgersi ad un mediatore familiare o, comunque, a tentare di percorrere la strada della conciliazione.

2.3.3. La fase istruttoria.

L’art. 473-bis.44 tratta la fase istruttoria.

La norma in esame dispone che il giudice proceda all’interrogatorio libero delle parti sui fatti allegati, avvalendosi se necessario di esperti o di ausiliari dotati di specifiche competenze in materia, il cui principale obiettivo è, pacificamente, quello di tutelare la presunta vittima con strumenti specifici, adottando delle idonee modalità attraverso cui tenere l’udienza, onde evitare, come anticipato in apertura, la c.d. vittimizzazione secondaria.

Come è noto, il libero interrogatorio delle parti può essere di grande ausilio per il giudice poiché permette di mettere a confronto le diverse narrazioni in relazione ai medesimi fatti, specialmente in materia di famiglia, poiché tale confronto può fornire elementi a sostegno o a contrasto delle contrapposte ricostruzioni degli eventi[19].

La ratio della norma è quella di conferire al giudice tutti i poteri necessari al fine di approfondire e di accertare le allegazioni riportate dalla presunta vittima di violenze o di abusi; a tal fine, perciò, al giudice viene conferita la possibilità di disporre d’ufficio la prova testimoniale, formulandone previamente i capitoli, di acquisire atti e documenti presso gli uffici pubblici, di acquisire rapporti di intervento e relazioni di servizio delle forze dell’ordine, di nominare un consulente tecnico d’ufficio specializzato in violenze domestiche o di genere e/o di disporre indagini a cura dei servizi sociali[20].

Tali strumenti sono stati previsti dal legislatore per assicurare alle vittime di violenza un insieme di strumenti efficienti ed efficaci all’approfondimento e all’analisi di tali condotte illecite, strumenti, cioè, che realmente forniscono la possibilità di indagare e di comprendere le dinamiche riportate dalle parti.

Ad una prima lettura appare, dunque, che l’articolo in esame abbia inteso raggruppare in un’unica norma quei generici poteri del giudice descritti all’interno del libro I del codice di rito,  quasi ribadendo l’ampiezza dei poteri dell’organo giudicante, specialmente in caso di gravi condotte illecite.

Occorre infine soffermarsi sull’obbligo destinato al giudice, fissato dal comma 2 dell’articolo in analisi, di indicare nell’eventuale provvedimento di nomina di un consulente tecnico d’ufficio, oltre alla presenza di allegazioni di abusi o violenze, anche gli accertamenti da compiere e gli accorgimenti necessari da utilizzare per tutelare la vittima e i minori.

Considerato tuttavia che, normalmente, in fase di nomina di un c.t.u., il giudice deve sempre specificare a quest’ultimo l’ambito di ricerca, formulando quesiti ad hoc, ad una prima interpretazione letterale sembrerebbe che il legislatore abbia formulato una mera ripetizione di un principio già consolidato all’interno dell’ordinamento.

In realtà, tale specificazione si giustifica in forza della necessità di mettere al corrente i consulenti tecnici, i responsabili del Servizio sociale o gli altri ausiliari delle eventuali allegazioni di violenza, in primis per garantire una certa celerità nel loro smaltimento, in secundis, per evitare il rischio di porre in essere condotte di vittimizzazione secondaria[21].

2.3.4. L’ascolto del minore.

L’art. 473-bis.45 c.p.c. disciplina l’ascolto del minore nei procedimenti aventi ad oggetto la violenza domestica o di genere, prevedendo che il giudice vi proceda personalmente senza ritardo.

In effetti, in apertura al nuovo titolo IV-bis, l’ascolto del minore e le relative modalità sono disciplinate già dai più generali artt. 473-bis.4 e 473-bis.5 c.p.c., i quali stabiliscono che possa essere ascoltato colui che abbia compiuto 12 anni o colui che, ad un’età inferiore, sia capace di discernimento[22] e che spetti al giudice, personalmente, eseguire l’ascolto del minore, potendo tuttavia farsi assistere da esperti o da altri ausiliari, evitando di procedere all’ascolto esclusivamente nel caso in cui ciò sia contrario all’interesse del minore o laddove fosse manifestamente superfluo.

È evidente, dunque, che la principale differenza tra la disciplina generale (artt. 473-bis.4 e 473-bis.5) e l’ascolto del minore in procedimenti aventi ad oggetto violenze domestiche o di genere (art. 473-bis.45) riguarda l’obbligatorietà dell’audizione del minore nel caso di allegazioni relative a violenze o ad abusi, potendo il giudice esimersi da tale compito soltanto laddove il minore fosse già stato ascoltato esaustivamente nell’ambito di un altro procedimento, e non anche – quindi – quando ciò sia ritenuto superfluo, quando ciò sia contrario al suo interesse, nonché quando il minore sia impossibilitato fisicamente o psichicamente ovvero quando lo stesso manifesti la volontà di non essere ascoltato.

Tale secondo comma deve quindi ritenersi una norma speciale rispetto alla più generica disposizione appena analizzata, la cui ratio risiede nella complessità e nella pericolosità per il minore di trovarsi coinvolto in procedimenti aventi ad oggetto violenze domestiche o violenze di genere.

Nel silenzio del legislatore, si deve ritenere che la generica disciplina prevista per l’ascolto del minore possa essere applicata anche alle disposizioni speciali previste dalla prima sezione del titolo IV-bis[23].

2.3.5. I provvedimenti del giudice.

L’art. 473-bis.46 chiude il titolo dedicato alla violenza domestica o di genere e pertanto tratta dei provvedimenti del giudice.

La decisione giudiziaria potrà pervenire soltanto all’esito di un’istruttoria, in ciò rilevandosi la necessità di accertare, anche soltanto sommariamente, la veridicità delle allegazioni e dei fatti riportati. Laddove il giudice riscontrasse la fondatezza di tali allegazioni, potrebbe assumere i provvedimenti più idonei a tutelare la vittima e/o il minore, potendo disporre, con provvedimento motivato, l’intervento dei Servizi sociali e del Servizio sanitario, nonché potendo disciplinare specificamente il diritto di visita del genitore accusato di tali condotte in un’ottica di protezione della vittima, per non compromettere la sua sicurezza già dai primi provvedimenti.

La norma, inoltre, si collega all’articolo 473-bis.70 c.p.c. che illustra gli ordini di protezione, contenendo dunque un riferimento implicito agli artt. 342-bis ss. c.c.[24].

3. Il procedimento di assenza e morte presunta: una breve introduzione.

 

La IV sezione, inserita nel capo III del nuovo titolo IV-bis del codice di rito, reca disposizioni speciali in materia di assenza e morte presunta. Occorre prestare attenzione alla nuova collocazione sistematica delle norme scelta dal legislatore, che deriva dalle indicazioni contenute nell’articolo 1 co. 23 lett. a)[25] della legge n. 206/2021 in virtù della volontà del legislatore delegante di sollecitare una riorganizzazione coerente e chiara delle disorganiche norme del codice di procedura civile, nell’ottica dell’introduzione di un nuovo rito unificato per le persone, i minorenni e le famiglie.

Contemplando, allora, la prevedibile necessità di “abrogazione, riordino, coordinamento, modifica ed integrazione delle disposizioni vigenti”, il legislatore delegato ha inserito all’interno del nuovo titolo IV-bis del libro II anche alcune norme già presenti nel libro IV c.p.c. (ossia gli artt. 721 ss. abrogati, al contempo, dalla riforma).

3.1. La scomparsa.

 

L’art. 473-bis.59 c.p. c. riproduce perfettamente il contenuto dell’articolo 721 c.p.c., ormai abrogato, in materia di provvedimenti conservativi nell’interesse dello scomparso.

La scomparsa rappresenta una situazione di fatto in conseguenza della quale sorge l’esigenza di tutelare gli interessi patrimoniali e i rapporti giuridici dell’individuo, attraverso un’azione conservativa. Il richiamo del primo comma all’art. 48 c.c. rileva poiché tale norma dispone che, in caso di scomparsa di una persona dal luogo del suo ultimo domicilio o della sua ultima residenza, in assenza di ulteriori notizie, il tribunale possa nominare un curatore che la rappresenti.

Si riscontra, allora, la volontà del legislatore di preservare l’interesse alla circolazione dei beni in quanto preminente rispetto agli interessi dello scomparso, in considerazione del fatto che l’utilità pubblica deve imporsi sull’interesse privato per evitare il rischio di una stasi dei beni per lunghi periodi e di una paralisi dell’economia[26].

Ad ogni modo, la dichiarazione di scomparsa determina soltanto la quiescenza dei rapporti giuridici facenti capo allo scomparso[27]. La disposizione in analisi stabilisce che la legittimazione attiva per proporre, innanzi al tribunale, un’azione per ottenere i menzionati provvedimenti conservativi, spetti ai soggetti interessati, ossia ai (presunti) successori legittimi, a quanti potrebbero subire un danno dalla scomparsa o al pubblico ministero[28].

Poiché la norma nulla dispone in merito alle tempistiche per proporre tale azione si ritiene che il ricorso possa essere proposto in ogni tempo. I provvedimenti conservativi sono pronunciati dal Tribunale in composizione collegiale ex artt. 737 c.p.c ss. nella forma di decreto motivato[29].

3.2. L’assenza.

 

L’art. 473-bis.60 c.p.c. riproduce, riformulandolo, il contenuto degli articoli 722, 723 e 724 c.p.c. rispettivamente nei commi 1, 2 e 3. La norma, infatti, al comma 1 dispone che l’azione di assenza è proposta con ricorso dei presunti successori legittimi dello scomparso, di chiunque ragionevolmente creda di avere diritti sui beni dello scomparso[30], nonché, se esistono, del procuratore o del rappresentante legale[31]. Il ricorso deve indicare il nome, il cognome e la residenza di tali soggetti e deve essere presentato innanzi al Tribunale dell’ultima residenza o domicilio dell’assente. La dichiarazione di assenza a differenza della “scomparsa” è una situazione di diritto poiché unisce al sostrato materiale della mancanza di notizie dell’interessato da oltre un biennio, l’elemento formale della sentenza che la dichiara. Con essa l’ordinamento cerca di attuare, quindi, un equo contemperamento tra l’interesse dell’assente alla conservazione del patrimonio e l’interesse dei presunti successibili e dei terzi titolari di posizioni dipendenti dalla morte dello stesso ad ottenere immediatamente l’esercizio provvisorio dei diritti loro spettanti[32].

Nel comma 2 si dispone che l’udienza di comparizione sia fissata con decreto dal Presidente del tribunale, il quale può designare per la trattazione sé stesso o un altro magistrato. Al fine di verificare se i presunti eredi siano stati tutti indicati, devono essere allegati al ricorso i documenti comprovanti lo stato di famiglia, il fatto ed il tempo della scomparsa, in virtù dell’articolo 190 disp. att., che si ritiene applicabile anche all’art. 473-bis.60 c.p.c. in forza del richiamo agli artt. 722 e 726 c.p.c. i quali, sebbene abrogati dalla riforma, sono sostanzialmente riproposti nel contenuto dalla sezione IV in analisi.

Si ritiene che la comunicazione al PM dettata dall’ultimo periodo del co. 2 sia giustificata da un intervento necessario ex art. 70 c.p.c., trattandosi di un procedimento idoneo ad incidere sullo stato della persona[33].

Il comma 3 ripropone, invece, quanto disposto nel vecchio articolo 724 c.p.c., disponendo che il giudice possa interrogare le persone comparse sulle circostanze che ritiene rilevanti e che possa assumere, ove occorra, ulteriori informazioni utili alla decisione (che sarà assunta con sentenza collegiale), da riferire in camera di consiglio.

Si osserva, da ormai molti anni, un dubbio in dottrina circa la natura di tale sentenza che non è stato risolto con la nuova riforma, stante la mancata modifica del tenore letterale della norma da parte del legislatore delegato. Una parte di dottrina (maggioritaria, a dire il vero)[34] opta per la natura costitutiva di tale sentenza, ponendo alla base dell’orientamento la considerazione secondo cui la dichiarazione di assenza, oltre ad accertare la realtà giuridica, sia suscettibile di modificare i rapporti giuridici dell’assente. L’orientamento minoritario, invece, sostiene la natura dichiarativa della sentenza,  in virtù del mero accertamento a cui il giudice è tenuto.

L’art. 473-bis.61 c.p.c. riproduce il contenuto dell’art. 725 c.p.c., oggi abrogato, e dispone che il tribunale, sulle domande per l’apertura di atti di ultima volontà e per l’immissione nel possesso temporaneo dei beni dell’assente, quando proposte dai presunti eredi legittimi, provveda in camera di consiglio ex artt. 737 ss. c.p.c. e invece, quando proposte da altri interessati, provveda nelle forme ordinarie del giudizio di cognizione ex art. 163 c.p.c.

La ratio della norma deriva dalla volontà del legislatore di disciplinare le conseguenze della sentenza dichiarante l’assenza, distinguendo a seconda che la relativa domanda sia proposta dagli eredi legittimi o da altri interessati.  La principale caratteristica che emerge, allora, è individuabile nella scelta dei mezzi di impugnazione impiegabili nell’uno e nell’altro caso. Difatti, in caso di procedimento in camera di consiglio il provvedimento finale avrebbe forma di decreto e sarebbe, dunque, reclamabile; nel secondo caso, invece, il procedimento si concluderebbe con una sentenza sottoposta agli ordinari mezzi di gravame.

Interessante, inoltre, è il richiamo all’articolo 50 c.c., il quale tratta l’immissione nel possesso temporaneo dei beni in caso di assenza e che legittima il pubblico ministero e gli altri soggetti che vantino un interesse, attraverso il primo comma, a richiedere l’apertura degli atti di ultima volontà dell’assente[35]. L’immissione nel possesso temporaneo può invece essere richiesto da coloro che sarebbero risultati eredi testamentari o legittimi dell’assente, se lo stesso fosse morto nel giorno dal quale risulta l’ultima notizia di lui o dei rispettivi eredi.

Posto che ex art. 52 c.c. l’immissione nel possesso temporaneo dei beni deve essere preceduta dalla formazione dell’inventario degli stessi, coloro che ottengono tale immissione divengono rappresentanti dell’assente in giudizio e legittimati a godere delle rendite dei beni, nei limiti stabiliti dall’articolo 53 che distingue tra ascendenti, discendenti, coniuge ed altri soggetti interessati, in virtù del diverso il regime scelto dal legislatore.

È interessante infine considerare l’ipotesi in cui sia dichiarata l’assenza di uno dei due coniugi poiché in tali casi si ritiene che l’INPS sia passivamente legittimato in ordine alla pretesa del coniuge superstite, ex art. 51 c.c., di una quota della pensione dell’assente a titolo di assegno alimentare[36], nonché è pacifico che il coniuge superstite abbia diritto all’erogazione pro quota dei ratei pensionistici spettanti all’assente, a titolo di pensione di reversibilità[37].

3.3 La morte presunta.

L’art. 473-bis.62 c.p.c. rubricato come “procedimento per la dichiarazione di morte presunta” ripropone il contenuto degli articoli abrogati 726, 727 e 728 c.p.c.

Il primo comma indica i requisiti per presentare, innanzi al tribunale competente, (ossia Tribunale del luogo dell’ultimo domicilio o dell’ultima residenza dello scomparso), domanda per la dichiarazione di morte presunta, stante l’implicito richiamo all’articolo 58 c.c. che apre il relativo capo del codice civile[38].

Tale ricorso ha un contenuto rigoroso, specificato dall’articolo 726 c.p.c. poiché deve contenere, il nome, il cognome, il domicilio dei presunti successori legittimi dello scomparso, del suo procuratore o rappresentante legale (se esistono) e di tutte le persone che perderebbero diritti o sarebbero gravati da obbligazioni se la morte dello scomparso fosse dichiarata. Tale domanda viene sostanzialmente trattata dall’articolo 58 del codice civile, che prevede che debbano trascorrere 10 anni dal giorno dell’ultima notizia dell’assente per poter dichiarare la sua morte presunta, posto che tale dichiarazione possa intervenire anche senza che sia stata preventivamente dichiarata l’assenza del soggetto.

Il secondo, il terzo ed il quarto comma, invece, ripropongono il contenuto dell’art. 727 c.p.c. che, riferendosi all’art. 723 c.p.c. (oggi divenuto 473-bis.60 c.p.c.), dispone un particolare regime di pubblicazione della domanda in ragione della gravità degli effetti che si correlano alla dichiarazione di morte presunta. Infatti, il comma 2 dell’art. 473-bis.62 c.p.c. dispone che la domanda, entro il termine fissato dal Presidente del tribunale, sia inserita per estratto, a cura del ricorrente, due volte consecutive a distanza di 10 giorni, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana e in due giornali, con invito a chiunque abbia notizia dello scomparso di farla pervenire al tribunale entro sei mesi dall’ultima pubblicazione, fatta salva la possibilità per il Presidente di disporre anche altri mezzi di pubblicità.

La mancata esecuzione delle formalità pubblicitarie richieste dalla norma determina, ipso iure, l’inefficacia della domanda, invero al comma tre si specifica che qualora le inserzioni non venissero eseguite entro il termine fissato, la domanda s’intenderebbe abbandonata.

Il concetto di inserzioni ha determinato un cospicuo dibattito poiché tale espressione generica, secondo una parte di dottrina, lascia intendere che sia sufficiente la mancanza anche soltanto di un’inserzione affinché si produca inefficacia della domanda. Altro orientamento invece ritiene che, riferendosi la norma genericamente alle inserzioni, ciò debba essere spiegato considerandole nella loro totalità, dunque la mancanza di una sola di esse non determinerebbe l’inefficacia della domanda.

I commi quinto, sesto e settimo dell’articolo 473-bis.62 c.p.c. ripropongono, infine, il contenuto dell’articolo 728 del c.p.c. e, sostanzialmente, trattano il lasso di tempo intercorrente tra la fase istruttoria e la sentenza collegiale.

Infatti, decorsi sei mesi dalla data dell’ultima pubblicazione, il giudice, su istanza del ricorrente, fissa con decreto l’udienza di comparizione davanti a sé nonché il termine per la notificazione del ricorso e del decreto, comunicandolo al Pm.

Terminata l’istruttoria, entro cui il giudice interroga le persone comparse e assume ulteriori informazioni utili alla decisione, egli riferisce in camera di consiglio e la decisione è assunta dal Collegio con sentenza (e non con decreto), la cui natura, negli ultimi anni, ha sollevato un acceso dibattito in dottrina. Ad oggi, è dominante la tesi secondo cui, a differenza di quanto avviene per l’assenza, la decisione assuma natura dichiarativa, orientamento avallato anche dalla giurisprudenza di legittimità (v. Cass. 536/19819[39]).

Il passaggio in giudicato della sentenza comporta il venir meno delle conseguenze dell’eventuale dichiarazione di assenza e la possibilità di impugnazione in appello.  Poiché la morte presunta produce gli stessi effetti giuridici della morte naturale, alla sua dichiarazione si apre la successione mortis causa dei presunti eredi e si producono gli effetti previsti dagli artt. 63, 64 e 65 c.c.

3.4. Pubblicazione ed esecuzione della sentenza.

Infine, l’art. 473-bis.63 c.p.c., che si compone di quattro commi, riproduce il contenuto degli articoli 729, 730 e 731 c.p.c., prescrivendo un regime specifico relativo alla pubblicazione della sentenza e alla sua esecuzione.

Il primo ed il secondo comma dispongono che la sentenza che dichiara l’assenza o la morte presunta debba essere inserita per estratto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana e pubblicata nel sito internet del Ministero della Giustizia, in considerazione della gravità degli effetti prodotti. Tale particolare forma di pubblicità non si riferisce anche al provvedimento di rigetto del ricorso, che invece è soggetto alle ordinarie previsioni del codice di rito.

Secondo la dottrina prevalente, la pubblicazione della sentenza, che può essere eseguita su richiesta di qualsiasi persona interessata (anche che non abbia partecipato al giudizio), adempie la funzione propria della notificazione, con la conseguenza che dalla stessa decorre il termine (breve[40]) per impugnare.

Il terzo comma, che richiede come presupposto l’annotazione di cui al comma 2, dispone che la sentenza che dichiara l’assenza o la morte presunta non possa essere eseguita prima che sia passata in giudicato, mentre il quarto comma, come l’art. 731 c.p.c., dispone che il cancelliere dia notizia della sentenza, che deve essere annotata a margine dell’atto di nascita e dell’eventuale atto di matrimonio del soggetto, all’ufficio dello Stato Civile del Comune di nascita dello scomparso.

Ove il dichiarato presunto morto tornasse o se ne provasse l’esistenza in vita, egli avrebbe diritto a essere reintegrato nella situazione giuridica precedente alla dichiarazione di morte presunta. Dal punto di vista patrimoniale, dunque, egli potrà recuperare i beni nello stato in cui si trovano e conseguire il prezzo di quelli eventualmente venduti, avendo inoltre il diritto di pretendere le obbligazioni considerate estinte a causa della sua morte (art. 66 c.c.), fatti salvi gli effetti delle prescrizioni e delle usucapioni. Dal punto di vista personale egli riacquisterà lo status di coniuge e l’eventuale matrimonio contratto dall’altro coniuge sarà dichiarato nullo (art. 68 co.2 c.c.).

4. Le disposizioni relative a minori interdetti e inabilitati. La riorganizzazione sistematica degli artt. 732 c.p.c. ss.

La sezione V del nuovo titolo IV-bis reca disposizioni speciali in materia di minori, interdetti e inabilitati. In attuazione delle indicazioni contenute nell’art. 1, comma 23, lett. a) ultima parte, l. n. 206/2021 relative al nuovo rito unificato, il titolo V si pone in una posizione sistematica di assoluta continuità con il precedente dettato normativo del codice di rito, riproponendo, de facto, il testo delle disposizioni relative ai minori, agli interdetti e agli inabilitati.

L’art. 473-bis.64 c.p.c. ripercorre quanto statuito nell’art. 732 c.p.c. e prevede che i provvedimenti relativi ai minori, agli interdetti e agli inabilitati siano pronunciati dal tribunale in camera di consiglio, salvo che la legge disponga altrimenti. Alla luce della regolamentazione fornita dal codice civile in materia, occorre comprendere in che posizione sistematica la norma in esame si ponga. Si nota, infatti, come il legislatore abbia scelto per tali provvedimenti un procedimento in camera di consiglio, previo parere del giudice tutelare, che il Presidente provvede a richiedere d’ufficio laddove esso non sia stato prodotto. Il parere del giudice tutelare, non vincolante ai fini della decisione, è obbligatorio nei casi previsti dalla legge e deve essere prodotto unitamente al ricorso, come previsto dal comma 2 dell’articolo 473-bis.64 c.p.c.

Sebbene il primo comma non precisi quale sia il tribunale di riferimento, preme ricordare che è fatta salva la ripartizione di competenza tra Tribunale per i Minorenni e Tribunale ordinario delineata dall’articolo 38 disp. att. c.c. e modificata dalla presente riforma; dunque, qualunque sia il tribunale competente, esso si esprimerà a tal proposito con decreto, che sarà revocabile o modificabile in ogni tempo e contro il quale sarà ammesso reclamo, ex articolo 739 c.p.c., dinanzi alla Corte d’Appello. Si esclude invece l’esperibilità del ricorso per Cassazione, così come stabilito dalle Sezioni Unite con sentenza n. 424/1988[41].

L’art. 473-bis.65 ripropone, invece, il contenuto dell’art. 733 c.p.c. in materia di vendita di beni e disciplina la facoltà del tribunale, come riportato anche dall’art. 376 c.c., di scegliere se autorizzare o meno la vendita dei beni di minori nonché di soggetti interdetti o inabilitati per pubblici incanti o secondo trattative private. Ove il Giudice abbia optato per la vendita con incanto, deve prevedersi un iter ad hoc.

Il legislatore delegato ha disposto che il Giudice debba designare un ufficiale giudiziario del Tribunale del luogo in cui si trovano i beni mobili, un cancelliere della stessa pretura (sic!) o un notaio del luogo in cui si trovano i beni immobili.

La vendita è disciplinata dagli articoli 534 e seguenti in quanto compatibili, tuttavia, tale rinvio alle norme sull’espropriazione riguarda solo le modalità della vendita e non anche quelle relative alla fase del trasferimento del bene[42].

Quanto alla controversa questione relativa ai beni ereditari, sebbene la dottrina sul punto sia ancora divisa, il Giudice di legittimità ritiene che essi non possano essere considerati esecutivi, avendo mera funzione attuativa del provvedimento giudiziale di liquidazione, sicché non possono essere soggetti ad opposizione ex art. 617 c.p.c., ma soltanto ad autonome azioni di nullità[43].

L’art. 473-bis.66 chiude l’iter instaurato dall’articolo precedente. Il legislatore sceglie di regolamentare l’ipotesi in cui l’incanto abbia esito negativo, ossia l’ipotesi in cui non sia proposta un’offerta superiore o uguale al prezzo fissato dal tribunale ex art. 376 c.c., prevedendo, prima facie, la rimessione degli atti al tribunale che ha disposto la vendita all’incanto.

Tuttavia, il tribunale ha la possibilità di operare in tre direzioni: revocare l’autorizzazione alla vendita previa audizione del tutore, autorizzare un nuovo incanto con una riduzione di prezzo secondo le norme previste dal codice, ovvero disporre la vendita a trattativa privata.

5. Degli ordini di protezione contro gli abusi familiari.

5.1. L’art. 473-bis.69 c.p.c. e il nodo della convivenza.

La sezione VII  del nuovo titolo IV-bis c.p.c. tratta degli ordini di protezione contro gli abusi familiari ed è stata introdotta per fornire una lettura sistematica e organica di norme già presenti all’interno del nostro ordinamento ma ivi disposte disorganicamente. Difatti, tale sezione unisce la normativa prevista dagli articoli 342-bis e 342-ter c.c., relativi ai profili sostanziali, e dall’art. 736-bis c.p.c. per i profili processuali in senso stretto, sempre nella prospettiva del rito unificato previsto dal nuovo titolo introdotto.

L’art. 473-bis.69 c.p.c, riproduce, al primo comma, il dettato normativo dell’articolo 342-bis c.c., stabilendo che quando la condotta del coniuge, o di altro convivente, è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale o alla libertà dell’altro, il giudice, su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui all’articolo 473-bis.70 c.p.c.

Fatto salvo, dunque, il testo del codice civile, il legislatore delegato ha ritenuto di aggiungere un ultimo periodo al già vigente comma, stabilendo che i medesimi provvedimenti possano essere adottati, in caso ne ricorrano i presupposti, anche quando la convivenza tra l’autore dell’illecito e la vittima sia cessata, ampliandosi dunque la tutela nei confronti di quest’ultima.

L’aggiunta del nuovo periodo relativo all’apertura da parte del legislatore circa l’applicabilità della norma in esame anche ai casi in cui la convivenza sia cessata, sembrerebbe derivare dal dibattito dottrinale evolutosi negli anni[44], raffigurante due orientamenti principali: l’uno, che riteneva la convivenza tra l’autore della condotta pregiudizievole e la vittima presupposto necessario ai fini dell’applicazione degli ordini di protezione[45]; l’altro, che registrava nella sola condotta illecita il presupposto per l’ordine di protezione[46].

Anche la giurisprudenza di merito si è a lungo interrogata sul ruolo della convivenza, giungendo ad abbracciare prevalentemente la seconda tesi (il Tribunale di Bologna, con sentenza del 21 marzo 2005, ha escluso che la convivenza potesse ritenersi un presupposto indefettibile; e così anche Trib. Modena, 29 luglio 2004, Trib. Firenze, 15 luglio 2002), ma talvolta anche la concezione orientata verso l’imprescindibilità della convivenza (v. Trib. Rieti, 6 marzo; Trib. Napoli, 1 febbraio 2002);

Alla luce di tale dibattito, il legislatore delegato ha inteso, dunque, introdurre un innovativo periodo all’ultimo comma, proprio nell’ottica di superare tale impasse interpretativo, disponendo che i provvedimenti di cui all’art. 472-bis.69 c.p.c. possano essere adottati “anche” quando la convivenza sia cessata[47].

La scelta lessicale del legislatore sembrerebbe, allora, chiara: l’attualità della convivenza non rappresenta un indispensabile presupposto per richiedere un ordine di protezione, ma sarebbe comunque antecedente logico necessario per integrare la fattispecie descritta nell’articolo.

Quanto invece al concetto di “grave pregiudizio”, si ritiene ormai pacifico (come da ultimo ribadito anche dal Tribunale di Milano, con sentenza del 28 Febbraio 2012[48]) che esso rappresenti “un vulnus alla dignità dell’individuo di entità non comune”[49], riferito, dunque, soltanto a fattispecie particolarmente critiche che portano l’ordine di protezione ad essere adottato solo quando sia raggiunta “la soglia quantitativa e qualitativa della gravità in forza di una condotta pregiudizievole anche coincidente con un solo episodio violento, purché di entità tale da farne temere la reiterazione[50] .

Il comma 2 dell’art. 473-bis.69 c.p.c. introduce invece un coordinamento con la competenza attribuita al Tribunale per i Minorenni, riprendendo la ratio dell’art. 333 c.c. ed ipotizzando l’eventualità in cui la condotta arrechi un pregiudizio anche ai minori.

Occorre rilevare che, a tal riguardo, due norme disciplinano le conseguenze che si producono in caso di condotte pregiudizievoli ai danni di minori; segnatamente, gli artt. 333 e 330 c.c.

Nella prima norma vengono contemplate le ipotesi in cui la condotta dei genitori, sebbene non idonea a produrre decadenza dalla responsabilità genitoriale ex art. 330 c.c.[51], appare comunque pregiudizievole verso il figlio, trattandosi di condotte (dirette o indirette) attuate nei confronti o, comunque, alla presenza del minore. Nella seconda norma, invece, si ipotizza il caso in cui il genitore violi o trascuri i doveri inerenti alla responsabilità genitoriale, arrecando grave pregiudizio al figlio. Le conseguenze in tali ipotesi saranno diverse; nel primo caso, infatti, potrà essere previsto l’allontanamento del genitore o del convivente che maltratta o abusa del minore o l’allontanamento del minore dalla residenza familiare. Nel secondo caso, più grave, oltre all’allontanamento predetto, vi sarà anche diretta decadenza dalla responsabilità genitoriale dell’abusante.

Alla luce di tali condotte, allora, il comma 2 dell’articolo in commento, amplia la tutela per i minori, ammettendo la possibilità anche al pubblico ministero di richiedere al tribunale un provvedimento dal contenuto di protezione[52].

5.2. Le modifiche al contenuto degli ordini di protezione.

L’articolo 473-bis.70 c.p.c. riformula lievemente l’art. 342-ter c.c. delineando il contenuto degli ordini di protezione. La prima modifica apportata al primo comma riguarda la sostituzione del termine “istante” con quello di “beneficiario dell’ordine di protezione”; ciò si giustifica facilmente con l’introduzione, nell’articolo precedente, della possibilità per il pubblico ministero di richiedere un ordine di protezione, non potendosi pertanto dare per scontato che l’istante sia solo la persona offesa. Inoltre, è stata aggiunta un’eccezione all’assoluto divieto di avvicinamento, che prima era derogabile soltanto per esigenze lavorative, a cui oggi, in seguito alla riforma, è stata affiancata anche l’esigenza di frequentare il medesimo luogo del beneficiario dell’ordine di protezione per motivi di salute. La stessa ratio è ripresa all’interno del comma 3, ove, a differenza del dettato normativo previsto dal 342-ter, all’istanza di parte si aggiunge, in caso di presenza di minori, l’istanza del pubblico ministero.

Quanto al secondo comma, è interessante notare l’eliminazione della possibilità, preventivamente ammessa, per il giudice, di disporre l’intervento di un centro di mediazione familiare, in virtù dell’esclusione ormai consolidata di ogni tentativo di accordo o mediazione in ipotesi particolarmente gravi, come risulta, sebbene in ambito differente, anche dagli articoli 473-bis.42 e seguenti.  La ratio del legislatore si adegua allora ad una lettura coerente dell’articolo 48 della Convenzione di Istanbul, che evita la vittimizzazione secondaria delle persone vittime di tali condotte illecite[53].

Infine, l’articolo 473-bis.71 c.p.c. riporta la disciplina dettata dall’art. 736-bis c.p.c. con l’eliminazione del primo periodo del comma 1, riferito all’ormai abrogato art. 342 bis c.c. L’iter delineato dall’articolo in oggetto, ed in maniera particolare quello previsto al comma 3, ricorda la disciplina dettata per il procedimento cautelare, sia in virtù del presupposto dell’urgenza, sia in forza dei termini di 15 e 8 giorni previsti dal legislatore. L’adozione immediata dell’ordine di protezione inaudita altera parte, con integrazione del contraddittorio entro 15 giorni e possibilità in tale sede di confermare, modificare o revocare tale ordine, riprende infatti il dettato dell’articolo 669-sexies c.p.c.

Tale analogia si giustifica in virtù della particolare gravità degli abusi familiari e ciò spiega anche l’eventuale ausilio della forza pubblica e della libertà che caratterizza l’attività istruttoria del giudice, che può disporre di tutti i mezzi necessari ai fini della decisione. Come nel procedimento cautelare è ammesso il reclamo dell’ordinanza nel termine perentorio di 15 giorni, da proporre con ricorso al collegio, così anche nel caso del procedimento per l’adozione di un ordine di protezione è ammesso reclamo, entro i termini previsti dal secondo comma dell’articolo 739 c.p.c., innanzi al tribunale, che provvede in composizione collegiale, sentite le parti, con decreto motivato non impugnabile[54].

[1] Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149: «Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata», p. 6.

[2] Giordano, Simeone (a cura di), Riforma del processo per le persone, i minorenni e le famiglie, Commento alla l. 206/2021: le novità in vigore dal 22 giugno 2022. Prima lettura del Reg. Ue 1111/2019 in vigore dal 1° agosto 2022, Milano, 2022, p. XI ss.

[3] Querci, Il riparto di competenza sui provvedimenti de potestate: una questione ancora aperta, Cass. civ. Sez. VI – 1 Ord., 11 febbraio 2021, n. 3490; Danovi, I confini delle competenze tra T.O e T.M.: i possibili conflitti e la Cassazione, 18 gennaio 2021 in occasione dell’incontro organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura, Formazione decentrata per il Distretto di Milano dal titolo Il nuovo processo della famiglia.

[4] Cfr. Conti, Il riparto di competenza tra il Tribunale per i Minorenni e il Tribunale Ordinario, in Giordano, Simeone (a cura di), Riforma del processo per le persone, i minorenni e le famiglie, Commento alla l. 206/2021: le novità in vigore dal 22 giugno 2022. Prima lettura del Reg. Ue 1111/2019 in vigore dal 1° agosto 2022, Milano, 2022, p. 83 ss.

[5] Art. 1, co. 23, lett. a) L. 206/2021: “prevedere l’introduzione di nuove disposizioni in un apposito titolo IV-bis del libro II del codice di procedura civile, rubricato «Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie», recante la disciplina del rito applicabile a tutti i procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie di competenza del tribunale ordinario, del tribunale per i minorenni e del giudice tutelare, con esclusione dei procedimenti volti alla dichiarazione di adottabilità, dei procedimenti di adozione di minori di età e dei procedimenti attribuiti alla competenza delle sezioni istituite dal decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 aprile 2017, n. 46, e con abrogazione, riordino, coordinamento, modifica ed integrazione delle disposizioni vigenti”.

[6] L. 206/2021, comma 23 lett. dd): “prevedere: la nomina, anche d’ufficio, del curatore speciale del minore; il riordino delle disposizioni in materia di ascolto del minore, anche alla luce della normativa sovranazionale di riferimento; la predisposizione di autonoma regolamentazione della consulenza tecnica psicologica, anche con l’inserimento nell’albo dei consulenti tecnici d’ufficio di indicazioni relative alle specifiche competenze; la possibilità di nomina di un tutore del minore, anche d’ufficio, nel corso e all’esito dei procedimenti di cui alla lettera a), e in caso di adozione di provvedimenti ai sensi degli articoli 330 e 333 del codice civile”.

[7] Segnatamente, il Capo III.

[8]  Anche nella forma della violenza assistita.

[9]  Relazione illustrativa, cit. p.79.

[10] Relazione illustrativa, cit. p.79 e relazione sulla vittimizzazione secondaria approvata il 20 aprile 2022 dalla Commissione Parlamentare di inchiesta sul femminicidio, del Senato della Repubblica, Doc. XXII bis n.10.

[11] Legge delega n. 206/2021 comma 23, lett. b): “nei procedimenti di cui alla lettera a), prevedere che in presenza di allegazioni di violenza domestica o di genere siano assicurate: su richiesta, adeguate misure di salvaguardia e protezione, avvalendosi delle misure di cui all’articolo 342-bis del codice civile; le necessarie modalità di coordinamento con altre autorità giudiziarie, anche inquirenti; l’abbreviazione dei termini processuali nonché specifiche disposizioni processuali e sostanziali per evitare la vittimizzazione secondaria. Qualora un figlio minore rifiuti di incontrare uno o entrambi i genitori, prevedere che il giudice, personalmente, sentito il minore e assunta ogni informazione ritenuta necessaria, accerta con urgenza le cause del rifiuto ed assume i provvedimenti nel superiore interesse del minore, considerando ai fini della determinazione dell’affidamento dei figli e degli incontri con i figli eventuali episodi di violenza. In ogni caso, garantire che gli eventuali incontri tra i genitori e il figlio avvengano, se necessario, con l’accompagnamento dei servizi sociali e non compromettano la sicurezza della vittima. Prevedere che, qualora il giudice ritenga di avvalersi dell’ausilio di un consulente, procede alla sua nomina con provvedimento motivato, indicando gli accertamenti da svolgere; il consulente del giudice eventualmente nominato si attiene ai protocolli e alle metodologie riconosciuti dalla comunità scientifica senza effettuare valutazioni su caratteristiche e profili di personalità estranee agli stessi; prevedere esplicitamente, inoltre, che i provvedimenti di cui agli articoli 342-bis e seguenti del codice civile possono essere richiesti ed emessi anche dal tribunale per i minorenni e quando la convivenza è già cessata”

[12] Cassazione civile sez. un., 17/11/2021, (ud. 19/10/2021, dep. 17/11/2021), n. 35110. La mancata attenzione al tema della vittimizzazione secondaria è stata oggetto di specifici rilievi mossi alle istituzioni italiane nel rapporto GREVIO (Group of Expert on Action against Violence against Women and Domestic Violence) redatto nel 2019 all’esito dell’attività del Gruppo di esperti chiamato a verificare l’applicazione della Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 giugno 2013, n. 77.  In particolare, p. 61: “in the light of ample research showing that improper child custody and visitation arrangements expose women to post-separation abuse and secondary victimization, GREVIO underlines that the safety of the non-violent pèarent and children must be a central factor when deciding the best interest of the child in relation to custody and visitation arrangements.” P. 40 “in its report, GREVIO expresses its concern about the tendency of the system in place to expose to secondary victimization mothers who seek to protect their children by reporting the violence” […] “GREVIO strongly encourages the Italian Authorities to take measures, in close cooperation with regional and local authorities to: […] follow and approach based on safety and respect for the human rights of the victim, as well as a gender-equality perspective, and aim to prevent secondary victimization and challenge professionals’ own prejudices and assumptions which stand in the way of delivering effective support and protection for women victims of violence”.

[13] Cassazione Penale, fasc.12, 2021, pag. 4130, Andronio, La vittimizzazione secondaria della “non vittima” di violenza sessuale di gruppo: la rilevanza quale criterio logico di valutazione della motivazione della sentenza riferita alla vita privata e alla sessualità., nota a Corte Europea Diritti dell’Uomo, sez. I, 27 maggio 2021, n.5671.

[14] Relazione illustrativa, cit. p. 80.

[15] Relazione illustrativa, cit. p. 80.

[16] Es. l’addebito in fase di separazione.

[17] Art. 473-bis.43:È fatto divieto di iniziare il percorso di mediazione familiare quando è stata pronunciata sentenza di condanna o di applicazione della pena, anche in primo grado, ovvero è pendente un procedimento penale in una fase successiva ai termini di cui all’articolo 415-bis del codice di procedura penale per le condotte di cui all’articolo 473-bis.40, nonché quando tali condotte sono allegate o comunque emergono in corso di causa. Il mediatore interrompe immediatamente il percorso di mediazione familiare intrapreso, se nel corso di esso emerge notizia di abusi o violenze.”

[18] Squillace, Mediazione Familiare Tra Conflitto E Violenza: Rischi E Buone Prassi, in istituto Human Family Consultancy, 2020.

[19] Relazione illustrativa, cit. p. 82.

[20] id.

[21] Cass. Sez. I, n. 25339/2021, in dejure.it; “In tema di affidamento di figli minori, qualora un genitore denunci comportamenti dell’altro genitore, affidatario o collocatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sé, indicati come significativi di una PAS (sindrome di alienazione parentale), ai fini della modifica delle modalità di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente/a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena”; così anche Cass. Sez. I, 17 maggio 2021, n. 13217: “In tema di affidamento del figlio di età minore, qualora un genitore denunci i comportamenti dell’altro tesi all’allontanamento morale e materiale del figlio da sé, indicati come significativi di una sindrome di alienazione parentale (PAS), nella specie nella forma della sindrome della cd. “madre malevola” (MMS), ai fini della modifica delle modalità di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova comprese le consulenze tecniche e le presunzioni, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bi-genitorialità e alla crescita equilibrata e serena”.

[22] Come già previsto dall’art 336 c.c. co. 2.

[23] Cordiano, la riforma n. 206 del 2021 sui provvedimenti minorili urgenti: alcuni approdi e altre criticità, in Diritto di Famiglia e delle Persone (Il), fasc.2, 1 giugno 2022, p. 811; Proto Pisani, Garanzia del giusto processo e tutela degli interessi dei minori, in Quest. giust., 2000, p. 467.;  Donzelli, L’attuazione delle misure, in C. Cecchella (a cura di), La riforma del giudice e del processo per le persone, i minori e le famiglie; Si consideri, a titolo esemplificativo, che l’articolo 38-bis disp. att. c.c. abrogato dalla riforma, è stato di fatto riassorbito all’interno del nuovo titolo, poiché prevedeva l’utilizzo di specifici mezzi tecnici per l’ascolto del minore.

[24] Sul punto anche Petronelli, Gli ordini di protezione nell’ambito della c.d. violenza assistita, nota a Tribunale Caltanissetta, 02 marzo 2021, in Ilfamiliarista.it, 16 novembre 2021.

[25] Articolo 1 co. 23 lett. a) l. n. 206/2021: “a) prevedere l’introduzione di nuove disposizioni in un  apposito titolo IV-bis del libro II del codice di procedura civile,  rubricato «Norme per  il  procedimento  in  materia  di  persone,  minorenni e famiglie», recante la disciplina  del  rito  applicabile a tutti  i procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie di competenza del tribunale ordinario, del tribunale per i minorenni e del giudice tutelare, con esclusione dei procedimenti volti alla dichiarazione di adottabilità, dei  procedimenti di adozione di minori di età e dei procedimenti attribuiti alla competenza delle sezioni istituite dal decreto-legge 17 febbraio 2017, n.13, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 aprile 2017, n. 46, e con abrogazione, riordino, coordinamento, modifica ed integrazione delle disposizioni vigenti”.

[26] Giacobbe, non presenza del soggetto e rapporti giuridici patrimoniali: circolazione dei beni e pubblicità, in Diritto di Famiglia e delle Persone (Il), fasc.2, 1 giugno 2022, p. 708.

[27] Cass. Civ. sez. lavoro n. 1253/2005: “non vi è immissione, neppure temporanea, degli eredi nel possesso dei beni, come si prevede per il caso di assenza, né liberazione o sospensione delle obbligazioni, anche strettamente personali, assunte da terzi verso lo scomparso, né assume alcun rilievo la questione della trasmissibilità del diritto agli eredi”. 

[28] Cosi come specificato dall’art 48 co. 1 c.c.

[29] Castellani, Assenza, scomparsa e morte presunta, in Riv. dir. civ. 1997, II, 761; CostantinoContributo allo studio del litisconsorzio necessario, Napoli, 1979; Giorgianni, La dichiarazione di morte presunta, Milano, 1943; Jannuzzi-Lorefice, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 2004; Micheli, In tema di revoca della nomina del curatore dello scomparso, in Fam. pers. e succ. 1954, I, 133; id., Camera di consiglio (dir. proc civ.), in Enc. dir., V, Milano, 1959, 997; Palazzo, Assenza, in Dig. civ., I, Torino, 1987, 468; Papanti Pelletier, Assenza, scomparsa e morte presunta (dir. civ.), in Enc. giur., III, Roma 1988; Rescigno, Morte, in Dig. civ., XI, Torino, 1994, 458; Romagnoli, Assenza (dir. civ.), in Enc. dir., III, Milano, 1958, 409 ss.; Sgroi, Morte presunta (dir. civ.), in Enc. dir., XXVII, Milano, 1977, 110 ss.; Trisorio LiuzziAssenza, scomparsa e morte presunta (dir. proc. civ.), in Enc. giur., III, Roma 1988; Vullo, Procedimenti in materia di famiglia e di stato delle persone, II, Bologna, 2013.

[30] Ad esempio: gli eredi testamentari, i legatari, nonché quanti sarebbero liberati da obbligazioni a fronte del decesso dell’assente.

[31] Non v’è, dunque, la legittimazione ad agire del pubblico ministero.

[32] Definizione fornita dal Tribunale di Napoli, sent. n. 24/2022.

[33] Romagnoli, Assenza (dir. civ.), in Enc. dir., III, Milano, 1958, 409 ss.

[34] Cfr. Giacobbe, Dell’assenza, artt. 48-57 cc., Giuffrè, 2019; Trisorio Liuzzi, op. cit.

[35] La dottrina vi fa pacificamente rientrare anche i creditori dell’assente.

[36] Cass. Civ. sez. lav. 3405/1992.

[37] Cass. Civ. sez. lav. 6168/1988.

[38] Il co. 1 dell’art. 58 elenca i legittimati attivi a proporre ricorso.

[39] Sez. 1, sent.  n. 536 del 24/01/1981, “la dichiarazione di morte presunta produce una successione mortis causa. Tale successione si apre, ai sensi degli artt. 58 e 61 cod. civ., al momento a cui è fatta risalire la morte presunta, al quale retroagiscono, ex art. 459, gli effetti dell’accettazione dell’eredità”.

[40] Ex art. 325 c.p.c.

[41] Cass. Civ. Sez. Un. Sent. 21/01/1988, n. 424: “I provvedimenti temporanei nell’interesse del minore, contemplati dall’art. 10, comma 2 della l. 4 maggio 1983 n. 184 nel corso del processo di adozione e fino all’affidamento preadottivo, anche quando dispongano la sospensione dei genitori dalla potestà e la nomina di un tutore o di affidatari provvisori, sono privi di carattere decisorio, ed integrano atti di volontaria giurisdizione, in quanto non risolvono controversie su diritti soggettivi, con statuizioni idonee ad acquistare autorità di giudicato, ma assolvono ad una funzione meramente cautelare e provvisoria, essendo destinati a perdere efficacia con la conclusione di detto processo, e restando comunque modificabili e revocabili nel corso del processo stesso. Contro detti provvedimenti, pertanto, ancorché resi dalla Corte d’appello in sede di reclamo avverso decreti del tribunale, deve escludersi l’esperibilità del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 cost”.

[42] Cass Civ. sez. II. 11/10/1995, n. 10587: “Nella vendita all’incanto di beni immobili ex art. 733 cod. proc. civ. – disposizione relativa alla vendita autorizzata dal tribunale di beni di minori, interdetti o inabilitati, applicabile anche (come nella specie) alla vendita di beni ereditari per il rinvio ad essa operato dall’art. 748 – , il rinvio alle norme in materia di espropriazione forzata riguarda esclusivamente le modalità della vendita e non anche la fase del trasferimento del bene. Infatti nella procedura di vendita in questione, nella quale il notaio agisce come ufficiale designato per la vendita, è inapplicabile l’art. 586, mancando un giudice dell’esecuzione che possa pronunciare il decreto di trasferimento, e la fase del traslativa è disciplinata dall’art. 191 disp. att. cod. proc. civ., la cui enunciazione che “il processo verbale di vendita dei beni immobili appartenenti a minori costituisce titolo esecutivo per il rilascio” va interpretata nel senso che tale tipo di vendita – così come anche quella dei beni ereditari – si conclude con tale processo verbale, equivalente dell’atto notarile. (Nella specie il giudice di merito, ritenuto che il verbale di cui all’art. 191 disp. att. costituisca mero titolo per il rilascio e che quindi l’effetto traslativo possa prodursi solo nella forma di cui all’art. 586 cod. proc. civ., aveva ritenuto affetto da nullità un trasferimento realizzato con un rogito notarile di compravendita, strumento reputato irrituale. La S.C., enunciati gli esposti principi, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, affinché la questione della nullità dell’atto fosse riesaminata ai sensi anche dell’art. 126 cod. proc. civ. sul contenuto del processo verbale e dell’art. 156 sulla rilevanza della nullità)”.

[43] Per un’opinione favorevole v. Micheli, Forma e sostanza nella giurisdizione volontaria, in Riv. dir. proc. 1947, I, 101 ss.; Contra, Satta, Commentario al codice di procedura civile, IV, 1971, 371.

[44] Si pensi, seppur in ambito penalistico, anche all’acceso dibattito circa l’applicabilità degli artt. 572 e 612-bis c.p. proprio in riferimento al concetto di convivenza.

[45] V. Cianci, 175, Silvani, 1191, Di Lorenzo, 611

[46] Pacia Depinguente, op. cit. p. 762.

[47] Renda, Abuso familiare, in Paladini (a cura di), Gli abusi familiari. Misure personali e patrimoniali di protezione. Profili di diritto civile, penale e comparato, Padova, 2009, 281 ss.; Ricciotto-Ventaloro-MontanariLa tutela e il controllo dei minorenni. Compendio ragionato delle disposizioni vigenti, Padova, 225 e ss.; ScaleraGli ordini di protezione contro gli abusi familiari, in Giur. merito fasc.1, 2013, 231; ZanasiGli ordini di protezione contro gli abusi familiari, Milano, 2008, 1 e ss.

[48] In materia di rapporti familiari va accolta la richiesta di emissione dell’ordine di protezione ex art. 342 bis c.c. in presenza di episodi di violenza nei confronti del coniuge e di situazioni che fanno temere il verificarsi di fatti più gravi.

[49] Trib. Bari, 18 luglio 2002.

[50] Trib. Bologna, 21 marzo 2005; v. anche Massafra, Codice Civile 16/03/1942 n. 262 – art. 342 ter – Contenuto degli ordini di protezione, in De Jure.

[51] Pacia Depinguente, Presupposti soggettivi degli ordini di protezione e problemi di coordinamento con gli artt. 330 ss. c.c., in Familia 2004;

[52]  Marino, Sulla competenza del giudice del conflitto familiare a decidere degli ordini di protezione contro gli abusi familiari, in Fam.e dir. 2019; Cianci, Gli ordini di protezione familiare, Milano, 2005;

[53] Abatangelo, sub. artt. 342-ter, in Zaccaria (diretto da), Commentario breve al diritto della famiglia, Padova, 2016; Auletta, Misure civili contro la violenza nelle relazioni familiari, ipotesi ricostruttive della legge n. 154/2001, in Fam. e dir. 2003; Tommaseo, Abuso della potestà e allontanamento coattivo dalla casa familiare, in Fam e dir. 2002; Vullo, L’esecuzione degli ordini civili di protezione contro la violenza nelle relazioni familiari, in Riv. trim. dir. e proc. civ. 2005; D’Alessandro, Gli ordini di protezione contro gli abusi familiari: profili processuali, in Riv. trim. dir e proc. civ. 2007; De Marzo, La legge sulla violenza familiare: uno studio interdisciplinare, in Fam. e dir. 2002; id., Gli ordini di protezione contro gli abusi familiari, in Fam. e dir. 2003; Di Lorenzo, La convivenza tra familiari nella disciplina civilistica degli ordini di protezione, in Fam. per. succ. 2007; Eramo, La legge n. 154 del 2001: nuove misure contro la violenza familiare, in Dir. fam. 2004;

[54] Si ritiene che il decreto motivato non possa essere impugnato con ricorso per Cassazione. V. Cass. civ. sez. I, 15/01/2007, n. 625: “In tema di ordini di protezione contro gli abusi familiari nei casi di cui all’art. 342 bis c.c., il decreto motivato emesso dal tribunale in sede di reclamo con cui si accolga o si rigetti l’istanza di concessione della misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare, non è impugnabile per cassazione né con ricorso ordinario – stante l’espressa previsione di non impugnabilità contenuta nell’art. 736 bis c.p.c., introdotto dall’art. 3 l. n. 154 del 2001 («Misure contro la violenza nelle relazioni familiari») – né con ricorso straordinario ai sensi dell’art. 111 cost., giacché detto decreto difetta dei requisiti della decisorietà e della definitività.”