L’ (enigma dell’) art. 283 c.p.c. in una recente pronuncia sulla sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata: contraddizioni odiose, oneri inesigibili, auspicabili rimedi per la parte infine vittoriosa

E’ da escludere la sussistenza del periculum contemplato dall’art. 283 c.p.c., allorché la condanna, resa a carico di un Comune, abbia ad oggetto il pagamento di una somma ammontante a poco più di quarantamila euro, né il timore di non recuperare la somma, nell’ipotesi di riforma della sentenza, risulta giustificato dalla comprovata inesistenza di diritti reali immobiliari in capo al vincitore in primo grado, dacché non può escludersi che egli di-sponga di beni mobili di valore e di risorse finanziarie sufficienti e, comun-que, non denota uno stato di insolvenza.

Di Vincenzo Lombardi -
App. Potenza, 27 luglio 2017 Il provvedimento da cui è estratta la massima in epigrafe, caratterizzato peraltro da una patente contraddizione (ma non è questa la sede per discuterne), dovrebbe indurre ad un ripensamento sulla disciplina concernente l’ esecutorietà delle sentenze di primo grado. L’attenzione, stante il provvedimento che si commenta, sarà circoscritta alle sole sentenze di condanna al pagamento di somme di danaro. La Corte potentina, dapprima chiarisce che il periculum, così come delineato dall’art. 283 c.p.c., si sostanzia nel «pregiudizio patrimoniale che il soccombente potrebbe subire, anche in relazione alla difficoltà di ottenere la restituzione di quanto pag. . .