La Class action consumeristica: il nuovo ventaglio di tutele offerto dalla direttiva n. 2020/1828 si innesta sulle orme della legge n. 31/ 2019

Di Annamaria Iandoli -

1.Analisi storico evolutiva: l’origine della class action, l’evoluzione normativa e la ratio consumeristica

“Viribus unitis![1]si sarebbe esclamato in latino per sintetizzare efficacemente la ratio dell’azione di classe che, a ben vedere, rappresenta il precipitato giuridico di uno tra i più noti detti popolari “l’unité fait la force”. È proprio dal fervore popolare delle comunità d’oltreoceano che le azioni di classe si radicano negli ordinamenti giuridici di common law[2] ove, ben prima che in Europa, si intuì che la forza dello strumento collettivo avrebbe potuto attecchire, non solo in sede di contestazione popolare – si pensi allo sciopero, quale diritto individuale ad esercizio collettivo – ma anche in sede giurisdizionale. Si comprese, quindi, che l’aggregazione popolare, cui sovente si faceva ricorso nella lotta per i diritti, poteva esprimere la forza della collettività anche in altra sede.

Tuttavia, la class action, per come oggi conosciuta quale strumento collettivo di tutela per eccellenza, ha dovuto attraversare percorsi impervi, segnati da ostacoli fondanti su ragioni tanto culturali quanto giuridiche che ne hanno determinato a lungo l’estraneità al nostro ordinamento.

L’evoluzione storica di tale forma di tutela collettiva testimonia, infatti, la sofferta evoluzione dell’istituto che nasce, nel 1989, quale sola azione collettiva inibitoria di matrice esclusivamente consumeristica[3]. L’unico strumento che imperava nel panorama delle tutele collettive era, quindi, la sola azione collettiva inibitoria, spendibile[4] ed esperibile[5] ad esclusiva[6] tutela degli interessi collettivi[7] dei consumatori[8] – condizione questa da tener ben a mente[9] per poter comprendere al meglio la portata dell’intervento del Legislatore nazionale del 2019 e le difficoltà[10] riscontrate nel recepimento della direttiva n. 2020/1828.

Ad affiancarsi[11] all’azione inibitoria dell’89 e ad arricchire il panorama delle tutele collettive – che sino ad un decennio orsono stentava ancora a crescere – fu l’azione collettiva risarcitoria, anch’essa marcatamente consumeristica ed esperibile, dal 2010[12] – ovvero appena due anni[13] dopo la prima “comparsa” dell’azione – da ciascun consumatore o utente, e non già più esclusivamente da associazioni rappresentative degli interessi collettivi[14] dei consumatori.

L’intervento del 2009 – che, tra l’altro, ci ha consegnato la disciplina che sinora è risultata la più longeva – mutò il panorama. Fu l’intenzione di recuperare la centralità della figura del consumatore a fungere da faro nella predisposizione della nuova disciplina: riservare la legittimazione al consumatore significò tutelarlo maggiormente, investendolo della possibilità di agire, in prima persona, per la tutela di diritti individuali omogenei e di interessi collettivi, senza dover necessariamente aderire ad un’associazione o ad un comitato[15].

Il decennio intercorso per l’introduzione dell’azione di tutela collettiva risarcitoria al fianco di quella inibitoria dà conto dell’accidentato percorso cha ha contrassegnato la novella del 2009.  Sussisteva l’effettivo timore che uno strumento risarcitorio di massa potesse dilagare a tal punto da comportare effetti depressivi sul mercato: si riteneva, infatti, che seppur tale strumento potesse offrire al consumatore una pronta ed effettiva tutela, avrebbe, al contempo, altresì potuto arrecare un eccesivo nocumento alle dinamiche del mercato. Sicché, la ferma convinzione[16] in merito all’incompatibilità di uno strumento di tal fatta – di diversa matrice giuridica rispetto al nostro ordinamento di civil law – spiega, in realtà, perché l’introduzione dell’azione di classe risarcitoria abbia così tardato[17].

La dottrina più critica[18], stigmatizzò tale intervento qualificandolo, non solo tardivo, ma anche “sacrificato”: obiettò, infatti, che – collocando la disciplina nel Codice del Consumo – il Legislatore avesse di fatto contingentato l’esperibilità dello strumento alle sole vicende consumeristiche.  Sicché, è proprio dall’esigenza di superare tali restrizioni che muove l’intervento normativo del 2019[19], animato dall’obiettivo di offrire uno strumento di tutela collettiva generalizzato, esperibile ogniqualvolta il contenzioso riguardi le cd. esigenze di massa[20].

La class action[21] fu, pertanto, espunta dal Codice del Consumo per conoscere collocazione, nel libro IV, titolo VIII bis, “dei procedimenti collettivi” (artt. 840 bis e ss.) del Codice di Procedura Civile in cui – essendo stato notevolmente ampliato il novero delle situazioni giuridiche tutelabili e dei soggetti legittimati – se ne sancisce una generale esperibilità[22]. Ampliare i soggetti tutelati significava non limitare più lo strumento collettivo alle sole vicende consumeristiche[23], bensì consentire ai ricorrenti – non solo più enti legittimati, ma anche persone fisiche – di tutelare, mediante lo strumento collettivo, diritti individuali omogenei[24] in ipotesi di responsabilità tanto contrattuale quanto extracontrattuale[25]. In tal modo, il Legislatore del 2019 ha spogliato la class action di quella veste consumeristica, che sino ad allora l’aveva connaturata, investendola di un respiro generale[26] e così superando ogni riferimento a consumatori ed utenti[27].

Sicché, grazie all’intervento riformatore del 2019, si assiste ad un’innovazione normativa di tutto rilievo: l’azione di classe – entrata quasi per errore tredici anni orsono nel nostro ordinamento, ed a lungo “sacrificata” alla circoscritta operatività nell’ambito consumeristico – assurge ad istituto processuale di carattere generale, così vincendo tutte le restrizioni incontrate.

Senonché, quando il dibattitto dottrinale era ancora attratto dalla nuova sistematizzazione dell’azione di classe, a far scompiglio è stata la direttiva europea n. 2020/1828[28], destinata ad incidere proprio sulla neo introdotta disciplina. La Direttiva – recuperando un osservatorio prettamente consumeristico – si rivolgeva ad enti legittimati che agiscono nell’esclusivo interesse dei consumatori, per prospettare l’esperibilità di azioni rappresentative, nazionali e transfrontaliere, volte all’adozione di provvedimenti inibitori e risarcitori[29] nei confronti dei professionisti[30].

Sicché, in prossimità del recepimento della Direttiva si è, in questi anni, alimentato un vivace dibattito, anche in merito alla stabilità della disciplina dei procedimenti collettivi, di recente conio: in molti si sono interrogati, infatti, sull’idoneità della struttura di tali procedimenti ad accogliere le novelle introdotte dalla direttiva n. 2020/1828. E, infatti, a lungo si è discusso[31] anche in merito alla possibile sedes materiae delle disposizioni di recepimento, guardando tanto al Codice di Procedura Civile, ove sono disciplinati i procedimenti collettivi, quanto al Codice del Consumo, sede naturale di una disciplina settoriale, proprio in ragione della natura strettamente consumeristica[32] dell’intervento del Legislatore europeo.

2.La vocazione transfrontaliera. L’Europa a due velocità: il mercato interno ed il tentativo di livellare la tutela dei consumatori in tutti gli Stati Membri

Nel tentativo di promuovere ed incentivare gli scambi, la concorrenza e la competitività tra le imprese, il Legislatore europeo ha, al contempo, rinvigorito la politica “consumeristica”, animata dall’incessante bisogno di rafforzare la fiducia dei consumatori nel mercato, accrescendo gli strumenti di tutela a sua disposizione. Parallelamente alla creazione del mercato unico, si è pertanto cercato di garantire il medesimo livello di tutele in ogni Paese Membro. Non può, infatti, negarsi che i fenomeni della globalizzazione e della digitalizzazione abbiano incrementato il rischio di violazioni della normativa unionale in danno degli interessi dei consumatori. È, del resto, evidente che gli operatori commerciali che infrangono la normativa comunitaria danneggino migliaia o addirittura milioni di consumatori, proprio alla luce della natura, sempre più marcatamente transfrontaliera del commercio (incentivato anche dalle strategie di settore a livello unionale). È proprio questa consapevolezza che ha indotto il Legislatore europeo ad intervenire in toto sulla disciplina consumeristica, così come testimonia l’iniziativa del New Deal for Consumer – quale progetto unionale di riforma dell’intera normativa del consumo che si affianca alla direttiva n. 2020/1828.

L’intervento europeo muove, infatti, dall’obiettivo di migliorare l’efficacia dei provvedimenti inibitori con l’intento – a parer di taluni, alquanto utopistico – di contribuire efficacemente all’eliminazione delle conseguenze pregiudizievoli derivanti dalle violazioni del diritto europeo. L’impulso sovranazionale segue, infatti, ad un fervente dibattito in cui, ormai da tempo, era chiaramente emersa la necessità di un intervento che promuovesse, in materia di ricorso collettivo, un insieme di principi comuni, rispettosi delle tradizioni giuridiche nazionali e in grado di fornire salvaguardie per evitare contenziosi abusivi.

Sicché, muovendo dalla precedente direttiva del 2009 in merito ai provvedimenti inibitori – che già, dieci anni orsono, abilitava gli enti legittimati ad intentare azioni collettive inibitorie in Stati diversi da quelli della propria designazione – la nuova Direttiva abroga tale precedente atto europeo ed estende il modello transfrontaliero – già introdotto per le azioni inibitorie – alle azioni volte ad ottenere provvedimenti risarcitori (definiti dalla legislazione nazionale come “compensativi”).

Tali azioni transfrontaliere, proprio poiché anch’esse rappresentative, constano della stessa natura delle azioni nazionali, offrendo una tutela tanto inibitoria quanto compensativa, volta a tutelare i consumatori lesi da violazioni del diritto unionale, ogniqualvolta essi operino in Stati membri diversi da quello in cui ha sede il professionista responsabile della violazione. Tanto l’azione rappresentativa nazionale quanto la transfrontaliera sono quindi azioni volte ad ottenere provvedimenti inibitori o risarcitori (rectius compensativi). A ben vedere, la natura di tali provvedimenti rispecchia la già nota bipartizione nazionale, propria dei procedimenti collettivi, così articolati in azione di classe e azione collettiva inibitoria.

3.Un ritorno al passato? La class action recupera la sua connotazione consumeristica

La discussione in merito alla proposta di direttiva europea n. 2020/1828[33] correva di pari passo all’approvazione della legge italiana n. 31/2019, tuttavia mentre l’intervento nazionale rendeva la tutela collettiva uno strumento generalizzato, la Direttiva mirava, invece, ad innovare ed implementare tale strumento collettivo, esclusivamente come forma di tutela consumeristica. Sicché, il recepimento della Direttiva ha riportato all’attenzione del Legislatore il complesso rapporto tra l’originaria natura settoriale della tutela collettiva e la più ampia applicazione riconosciutagli, a livello nazionale, nel 2019. Il Legislatore nazionale si è, pertanto, trovato costretto a confrontarsi con un’esigenza di sistematicità tutt’altro che trascurabile: far riacquisire carattere autonomo all’azione di classe di stampo consumeristico ovvero, in tutt’altra direzione, estendere le più ampie tutele riconosciute dalla Direttiva a tutti i procedimenti collettivi.

Senza dubbio, la mancanza di un’autonoma identità di cui la class action potesse godere e di cui, infatti, era deficitaria dopo esser stata inglobata nell’ampio genus dei procedimenti collettivi, ha comportato, in sede di recepimento, delle inevitabili criticità. A ragion del vero, il Legislatore europeo[34] – proprio nell’intento principale di garantire un miglioramento delle condizioni di accesso alla giustizia dei consumatori ed un elevato grado di tutele in tutti gli Stati Membri – non aveva mostrato alcuna preclusione in merito al mantenimento degli strumenti procedurali già vigenti nei Paesi Membri, lasciando i singoli Stati liberi di recepire la novella con le modalità più confacenti alla disciplina nazionale[35].

Sicché, nel libero esercizio consentitogli dalla Direttiva, il Legislatore nazionale è stato chiamato a districarsi tra due opzioni. La prima – più residuale – l’avrebbe condotto ad estendere tutte le previsioni della direttiva all’intera categoria dei procedimenti collettivi. Tuttavia, questa strada – evidentemente non percorsa – se, da un lato, avrebbe consentito di conservare l’unicità e la coesione della disciplina della class action – cui mirava il Legislatore del 2019 – dall’altro, avrebbe significato incidere e novellare un sistema recentemente riformato e di cui, attesa la recentissima entrata in vigore, ancora veramente poco si conosceva in termini di forza, criticità e potenzialità.

La condivisibile soluzione alternativa – a ben vedere prescelta – ha, invece, distinto le azioni rappresentative a tutela dei consumatori dai procedimenti collettivi, superando quell’uniformità di disciplina recentemente raggiunta nel 2019. Il Legislatore nazionale ha, quindi, scelto di emancipare le azioni rappresentative a tutela dei consumatori dalla disciplina dei procedimenti collettivi, ripristinando l’autonoma connotazione consumeristica di cui, già in passato, l’azione di classe aveva goduto.

L’esigenza di garantire l’organicità della materia consumeristica e, al contempo, l’intenzione di conferire alle azioni rappresentative carattere autonomo, hanno fatto sì che il Legislatore collocasse la nuova disciplina proprio nel Codice del Consumo (anziché nel Codice di Procedura Civile). Del resto, sino all’intervento normativo del 2019, l’azione di classe – ed ancora prima l’azione collettiva risarcitoria così come l’azione inibitoria – erano già disciplinate nel suddetto Codice[36]. È dunque evidente che la scelta di garantire il recepimento della Direttiva, ripristinando l’organicità della disciplina consumeristica all’interno del Codice del Consumo – nonostante la recente e diversa impostazione sposata dalla riforma del 2019 – denunci la chiara intenzione di inserirsi in continuità con l’impianto storico delle tutele consumeristiche.

Contrariamente, laddove il Legislatore nazionale avesse accordato preferenza al diverso obiettivo di non alterare l’impianto dei procedimenti collettivi, la politica legislativa nazionale avrebbe dovuto reprimere l’emancipazione delle azioni rappresentative, trattenendone la disciplina nel titolo VIII bis del Codice di Procedura Civile, e prescrivendo – sporadicamente e non organicamente – le opportune deroghe imposte dalla Direttiva.

Ad onor del vero, seppur nessuna scelta sia mai veramente esente dal sindacato comune, può senza dubbio rilevarsi una considerevole ragionevolezza nella valutazione legislativa che, a ben vedere, non disattende neanche le intenzioni di riforma del 2019. Non si erri, infatti, nel pensare che la disciplina delle azioni rappresentative a tutela dei consumatori abroghi la disciplina processual-civilistica. Con il recepimento della Direttiva in oggetto, il Legislatore nazionale ha inteso ripristinare l’autonoma identità di un’azione che già nasceva di stampo consumeristico, così destinandone la disciplina nel Codice del Consumo, anche al fine di garantirne una trattazione più coesa. Ma – si osservi bene – tale scelta non osta alla conservazione della disciplina dei procedimenti collettivi e non preclude l’operatività dell’istituto che, pertanto, dal 25 giugno 2023, convive con le azioni rappresentative. In altri termini, i due strumenti di tutela coprono solo in parte le medesime situazioni giuridiche da tutelare, presupponendo condizioni generali differenti, ad accezione di determinati tratti di sovrapponibilità.

Forse sorprenderà, ma le intenzioni del Legislatore del 2019 – nonostante la rinnovata emancipazione della tutela consumeristica e contrariamente a quanto potrebbe apparire – non sono state tradite: il recepimento della Direttiva e la tipizzazione delle azioni rappresentative, prettamente consumeristiche, non viola l’intenzione di garantire l’esperibilità di uno strumento di tutela di carattere collettivo e diffuso, riservato tanto ai singoli quanto alle associazioni senza scopo di lucro (i cui obiettivi statutari comprendono la tutela di diritti individuali omogenei).

La disciplina dei procedimenti collettivi conserva, infatti, pieno vigore per tutte quelle situazioni in cui non siano i consumatori ad essere lesi, non vi siano enti legittimati che rappresentino i loro interessi e la violazione paventata in giudizio non rientri nel novero delle disposizioni europee considerate nell’allegato I della Direttiva[37]. Le azioni rappresentative di nuovo conio consentono, invece, ai soggetti legittimati (vedi infra) che agiscano nell’interesse dei consumatori, di ricorrere a tali strumenti a livello nazionale e transfrontaliero[38].

Sicché, ad oggi, perlomeno teoricamente, la convivenza tra le due forme di tutela risulta – se non ancora pacifica – quantomeno regolamentata[39]. L’inalterato carattere generalizzato dei procedimenti (di cui al c.p.c.) continuerà a garantire l’esperibilità della tutela collettiva innanzi alle lesioni di diritti individuali omogenei. Di contro, la tipizzazione delle azioni rappresentative (ora disciplinate ex artt. 140-ter – 140-quaterdecies Cod. Cons.) consentirà di recuperare l’autonomia delle azioni ad esclusiva tutela dei consumatori senza dover modificare la disciplina recentemente innovata. Non di meno, la specificità delle condizioni cui sono subordinate le azioni rappresentative di cui all’art. 140-ter e ss. Cod. Cons., evita il paventato timore di una duplicazione degli strumenti processuali che ingenererebbe, evidentemente, confusione negli aventi diritto, anziché facilitare il ricorso alla giustizia.

Pertanto, la chiarezza in merito agli enti legittimati ed alle situazioni tutelabili per mezzo delle azioni rappresentative consente di superare, ex ante, tale criticità. Ma, fuori d’ogni dubbio, è lo stesso Legislatore che ha avuto cura di precisare l’incompatibilità dei due strumenti di tutela[40]. Non vi sono quindi perplessità in merito all’alternatività dei rimedi: il ricorso ai procedimenti collettivi preclude, infatti, – per le medesime questioni giuridiche – la possibilità di intentare azioni rappresentative (e viceversa).

Per novizia di dettaglio, si precisa che il Legislatore abbia, in realtà, previsto che ove sia stata intentata un’azione rappresentativa, alle stesse parti sia precluso ricorrere, per la medesima situazione giuridica, allo strumento del procedimento collettivo di cui al Codice di Procedura Civile. Ebbene, se la ratio è evidentemente quella di evitare una duplicazione delle tutele, risulta pressocché pacifico che l’incumulabilità delle due azioni persista anche con riguardo all’opposto caso in cui le parti abbiano già esperito un procedimento collettivo ed intendano ricorrere ad un’azione rappresentativa. Pertanto, nei limitati casi in cui, nonostante la diversità di presupposti, la parte risulti legittimata a ricorrere potenzialmente ad entrambi gli strumenti di tutela, solamente uno dei due procedimenti sarà effettivamente esperibile, coerentemente con i principi cardine del nostro ordinamento[41].

3.1 Gli stimoli transfrontalieri

Innovando il quadro delle tutele preesistenti – oltre alle ormai note azioni rappresentative nazionali – la Direttiva introduce le già citate azioni transfrontaliere[42] che, in sede di recepimento, hanno vivacemente animato le valutazioni legislative in merito alla possibilità di assoggettare le azioni rappresentative, nazionali e transfrontaliere, alla medesima disciplina.

A ben vedere, la scelta e le valutazioni in cui è incorso il Legislatore presupponevano un’autonoma identità delle azioni rappresentative nazionali, il che escludeva ontologicamente che le relative disposizioni di recepimento della Direttiva potessero approdare nei gangli dei procedimenti collettivi, così corroborando e rafforzando la decisione di emancipare le azioni rappresentative nazionali dall’ambito della disciplina preesistente. Pertanto, la scelta di disciplinare autonomamente, all’interno del Codice del Consumo, le azioni rappresentative introdotte dalla Direttiva è risultata funzionale anche all’ulteriore scopo di garantire un’uniformità – seppur solo procedimentale – tra le due tipologie di azioni.

Tuttavia, quanto rilevato denuncia un dato incontrovertibile: è pressocché evidente che il Parlamento italiano, mentre si accingeva ad approvare la legge n.31/2019, non abbia tenuto in debito conto gli sviluppi degli ormai noti – anche quattro anni orsono – lavori preparatori della Direttiva, poi formalmente adottata nel 2020 (n. 2020/1828[43]). Non può infatti considerarsi audace rilevare che, in tal caso, sia mancato un opportuno coordinamento tra la politica legislativa nazionale e le politiche europee consumeristiche[44]. Mentre il Legislatore italiano mirava a rivitalizzare l’istituto della tutela collettiva, estendendone la portata e l’ambito applicativo al fine di promuoverne la diffusione, il Legislatore europeo – nell’intento di offrire una pronta e puntuale tutela ai consumatori lesi dalla violazione delle disposizioni europee – progettava una vera e propria “rénovation” delle tutele consumeristiche.

Tuttavia, seppur questo coordinamento sia effettivamente mancato, non si possono non riconoscere al Legislatore italiano altri meriti: la riforma del 2019 – grazie alla quale, ad oggi, nel Codice di Procedura Civile sono disciplinati di cd. procedimenti collettivi – è di indubbio pregio e risulta all’avanguardia in molteplici sue parti. Si pensi alla disciplina delle transazioni[45] concernenti i risarcimenti, alle sanzioni indirette in caso di mancato adempimento al provvedimento emanato ed ancora alle procedure semplificate ed alle spese legali. Ebbene, le disposizioni nazionali ed europee sembrano incontrare un minimo comun denominatore nell’obiettivo di incentivare ed agevolare il ricorso agli strumenti di tutela collettivi affinché questi costituiscano un’effettiva risorsa spendibile, a livello europeo, per i consumatori e, a livello nazionale, per tutti coloro che abbiano subito una lesione comune.

Sicché – se la riforma nazionale del 2019 era volta ad accrescere il novero delle situazioni tutelabili per mezzo dello strumento collettivo, così rafforzando uno strumento esperibile da tutti e non solo dai consumatori – il Legislatore europeo, dal suo canto, muoveva dall’intento di consolidare la fiducia dei consumatori nel mercato interno, assicurando loro una tutela effettiva. La prospettiva, seppur difforme – poiché inevitabilmente risente e risponde ad un diverso osservatorio – risulta accomunata dal condiviso obiettivo di rafforzare il suddetto strumento di tutela, favorendone un’esperibilità diffusa. Pertanto, la scelta del Legislatore odierno di recepire la direttiva, innovando il Codice del Consumo e conservando, in maniera inalterata, la disciplina dei procedimenti collettivi non risultava prima facie così scontata anche per tale ragione.

4.La legittimazione attiva

La tipizzazione di nuove forme di tutela non poteva prescindere dalla disciplina della legittimazione attiva: è proprio dalla scelta dei soggetti legittimati che si comprende, tra l’altro, la settorialità delle azioni introdotte.

A ben vedere, il Legislatore europeo – sempre nell’intento di accrescere le forme di tutela esperibili in tutta Europa, senza però stravolgere le discipline nazionali, laddove già esistenti – ha riservato all’apprezzamento degli Stati membri la scelta di uniformare la disciplina della legittimazione attiva delle due azioni rappresentative (nazionali e transfrontaliere). Proprio fruendo di tale libertà, il Legislatore nazionale, dal suo canto, ha percorso la strada della differenziazione dei presupposti sottesi alla legittimazione, così diversificando i requisiti necessari.

Di contro, tale libero apprezzamento degli Stati non costituisce, invero, una prerogativa riconosciuta ai Paesi Membri nell’ambito dei requisiti previsti per la legittimazione transfrontaliera: la Direttiva è, infatti, puntuale – così omettendo ogni possibile alternativa – nel richiedere[46] che gli enti legittimati ad esperire azioni transfrontaliere siano soggetti agli stessi criteri di designazione in tutta l’Unione. A ben vedere, la previsione di criteri uniformi in tutta Europa, oltre ad assicurare l’esigenza di garantire pari condizioni di accesso alla giustizia, scongiura, altresì, il pericolo di legittimazioni generalizzate e non qualificate, proprio in ragione dell’elevato grado di specificità e complessità delle azioni transfrontaliere. Del resto, non si può far a meno di osservare che la Direttiva risulti un constante compromesso tra l’obiettivo di agevolare l’accesso alla giustizia per salvaguardare gli interessi dei consumatori e l’intenzione di assicurare adeguate garanzie contro i contenziosi abusivi[47].

Ad ogni modo, la potenziale estensione dei requisiti richiesti per la legittimazione transfrontaliera anche alla legittimazione nazionale, sollecita l’attenzione di chi scrive in merito ai presupposti cui è subordinato il riconoscimento della legittimazione attiva nei diversi procedimenti collettivi: a ben vedere, la Direttiva prospetta requisiti più stringenti rispetto a quanto richiesto, nel Codice di Procedura Civile[48], per i suddetti procedimenti collettivi.[49]

Il complesso τόπος della legittimazione attiva ha quindi imposto due scelte sistematiche, traducendosi, in prima battuta, in una valutazione – seppur conclusasi con esito negativo – in merito alla possibilità di assimilare i requisiti previsti per le legittimazioni nazionali e transfrontaliere. Non da meno, una volta scardinata la legittimazione nazionale dai dettami europei, un ulteriore vulnus si è ravvisato nell’opportunità di emancipare – ovvero, di contro, di assimilare – la suddetta legittimazione per le azioni rappresentative nazionali alla già vigente disciplina prevista per i procedimenti collettivi, ma neanche tale soluzione ha trovato avallo legislativo.

4.1 I requisiti per la legittimazione nazionale

La disciplina della legittimazione ad esperire azioni rappresentative gode, ad oggi, di autonoma connotazione e collocazione: è, infatti, l’art. 140- quater, comma primo, primo periodo, Cod. Cons. ad individuare nelle associazioni dei consumatori e degli utenti, già inserite nell’elenco di cui all’art. 137 Cod. Cons, nonché negli organismi pubblici indipendenti[50] nazionali, i soggetti legittimati.

Tuttavia, occorre esser cauti: la totalità dei soggetti legittimati non si esaurisce qui; considerando, infatti, la globalità dei soggetti legittimati ad intentare azioni rappresentative innanzi ad un giudice italiano, si devono altresì menzionare tutti quegli enti designati in altri Stati Membri ed iscritti nell’elenco elaborato e pubblicato dalla Commissione europea[51],per tali intendendo tutti quegli enti legittimati ad intentare azioni rappresentative transfrontaliere in altri Stati membri e – in forza del principio del mutuo riconoscimento – considerati qualificati anche in Italia. Sicché, il giudice italiano non sarà solamente adito, con azioni rappresentative nazionali, dalle associazioni di cui all’art. 137 Cod. Cons, ma anche con azioni rappresentative transfrontaliere, da tutti quegli enti che siano stati legittimati, negli altri Stati membri, ad esperire tali azioni.

Quanto, invece, alla ratio del riconoscimento della legittimazione alle associazioni dei consumatori e degli utenti di cui all’art. 137 Cod. Cons, è evidente che il Legislatore abbia inteso usufruire di un sistema già collaudato, così rifacendosi al già noto elenco delle associazioni rappresentative a livello nazionale, proprio alla luce degli stringenti requisiti cui è subordinata la relativa iscrizione. Riconoscere la legittimazione ad intentare azioni rappresentative nazionali agli enti di cui all’art. 137 Cod. Cons. non deve stupire poiché, anzi, costituisce una scelta funzionale a rafforzare e consolidare la matrice consumeristica di tali azioni rappresentative: in tal modo, il Legislatore intende valorizzare l’elevato e consolidato grado di rappresentatività dei consumatori e favorire una piena sinergia tra il nuovo procedimento introdotto e la matrice consumeristica.

Un osservatore attento, potrebbe, tuttavia, chiedersi come si coniughi tale legittimazione con il Decreto (n. 27 del 17 febbraio 2022) del Ministero della Giustizia che – ai fini del primo popolamento[52] dell’elenco dei soggetti legittimati a proporre i procedimenti collettivi – indica che siano ivi automaticamente iscritte le associazioni di cui all’art. 137 Cod. Cons. In altri termini, alla luce della scelta del Legislatore nazionale di disciplinare le nuove azioni rappresentative – esaltandone l’autonoma matrice consumeristica, e quindi emancipandole dai procedimenti collettivi – taluni potrebbero chiedersi come si giustifichi che gli enti legittimati a proporre suddette azioni rappresentative nazionali siano, in fin dei conti, gli stessi cui è riconosciuta la legittimazione ad esperire i procedimenti collettivi.

A ben vedere, la situazione creatasi è figlia del naturale sovrapporsi delle successive politiche legislative e dei conseguenti interventi normativi. In altre parole, i due interventi del Legislatore italiano risultano solo apparentemente antitetici: la scelta del Legislatore del 2019 – in linea con l’obiettivo di rendere i procedimenti collettivi degli strumenti di tutela generalizzati – ha riconosciuto tale legittimazione anche alle associazioni dei consumatori di cui all’art. 137 Cod. Cons., le quali, invero – con l’introduzione della disciplina dei procedimenti collettivi – erano state private del loro strumento di tutela collettiva d’elezione. Non di meno, il Legislatore del 2023 – avendo deciso di non innestare la disciplina delle azioni rappresentative sui procedimenti collettivi, proprio in un’ottica di emancipazione delle azioni rappresentative di nuovo conio nonché di ripristino della settorialità della tutela consumeristica – non poteva che circoscriverne la legittimazione alle sole associazioni di cui all’art. 137 Cod. Cons. Va da sé che in questo caso la ratio sia differente: la scelta perseguita intende, infatti, garantire l’accesso alla giustizia a tutela dei consumatori a quelle sole associazioni dotate dei requisiti che effettivamente siano in grado di garantire un’adeguata rappresentatività dei consumatori a livello nazionale.

Del resto, la ragionevolezza della scelta legislativa si coglie, ancor meglio, prospettando le conseguenze dell’opposta strategia: ove si fosse scelto di attribuire la legittimazione attiva a tutte le associazioni di cui al noto elenco dell’art. 840 bis c.p.c. (che governa, invece, la legittimazione nei procedimenti collettivi), tale scelta non sarebbe stata, in alcun modo, coerente con la riappropriazione della matrice settoriale di tale tipologia di tutela. La natura esclusivamente consumeristica delle azioni rappresentative richiedeva, infatti, di limitare i soggetti attivi alle sole associazioni nate con vocazione consumeristica.

Non di meno, la scelta compiuta consente anche di consolidare una valida sinergia tra le azioni rappresentative e le altre disposizioni sostanziali del Codice del Consumo, in cui ampio e noto è il ruolo delle associazioni dei consumatori (si veda infra). Ed ancora, tale impostazione – consentendo una distinzione tra i soggetti legittimati ad esperire i due differenti strumenti di tutela – permette effettivamente di non erodere eccessivamente l’ambito di applicazione dei procedimenti collettivi.

Sicché, ad oggi, si può rilevare che le associazioni dei consumatori di cui all’art. 137 Cod. Cons. – oltre a rappresentare una parte degli enti legittimati ad esperire azioni rappresentative nazionali – risulteranno iscritte nell’elenco di cui al Ministero della Giustizia solo ai fini del primo popolamento: tale iscrizione è temporanea, pertanto il relativo rinnovo – essendo subordinato alle modalità ivi espressamente previste[53] – implica che le associazioni, solo allorquando interessate a conservare la loro iscrizione nell’elenco, ne faranno espressa richiesta[54] (sempre che soddisfino i requisiti di cui al già citato Decreto del Ministero della Giustizia). Tuttavia, non si erri nel ritenere che la contemporanea iscrizione di un’associazione nei due albi incida sul rapporto tra i procedimenti collettivi e le azioni rappresentative: non vi è dubbio che le associazioni di cui all’art. 137 Cod. Cons., oltre ad essere legittimate ad esperire azioni rappresentative, potranno considerarsi legittimate anche ad intentare procedimenti collettivi, ma – si badi – ciò non potrà accadere a contrario. Le associazioni o gli enti di cui all’elenco del Ministero della Giustizia – diversi delle associazioni di cui all’art. 137 Cod. Cons. – non potranno invece intendersi, in alcun modo, legittimate ad esperire le azioni rappresentative.

4.2 La legittimazione ad esperire azioni transfrontaliere

Mentre il principio del mutuo riconoscimento[55] consente di subordinare la legittimazione degli enti stranieri all’iscrizione nell’elenco elaborato dalla Commissione[56], la legittimazione transfrontaliera degli enti nazionali è stata, invece, riservata a quei soli enti in possesso degli stringenti requisiti di cui all’art. 140 quinquies, comma 2, Cod. Cons., cui tra l’altro tutti i Paesi membri devono subordinare il riconoscimento della legittimazione transfrontaliera ( in conformità all’art. 4, paragrafo 3, della Direttiva).

Ciò non esclude che anche gli enti già muniti di legittimazione nazionale potranno ottenere la legittimazione transfrontaliera, laddove soddisfino i presupposti espressamente previsti[57]. Il Legislatore ha, infatti, istituito una nuova sezione speciale all’interno dello stesso articolo 137 Cod. Cons., ivi destinando l’elencazione dei soggetti legittimati ad esperire le azioni transfrontaliere. Pertanto, gli enti già iscritti nell’ordinario articolo 137 nonché altri ed ulteriori enti – allorquando in possesso dei presupposti specifici, richiesti a ciascun ente – potranno far richiesta di essere iscritti in questa sezione speciale.

A ben vedere, in quest’occasione, il Legislatore nazionale ha cercato di essere totalmente aderente al dettato della Direttiva, recependone pedissequamente le indicazioni. È, quindi, di tutta evidenza che la tipologia di presupposti richiesti[58] circoscriva la legittimazione a quelle associazioni o organizzazioni[59] che siano effettivamente in grado di rappresentare gli interessi dei consumatori innanzi all’autorità giudiziaria e che godano, al contempo, di una stabilità strutturale, giuridica e finanziaria.

A fronte di tale strutturazione, un attento conoscitore della materia potrebbe, prima facie, nutrire non poche preoccupazioni in merito all’istituzione di una sezione speciale[60] proprio all’interno dell’art. 137 Cod. Cons. poiché molteplici sono i richiami[61] a suddetto articolo tanto nel Codice quanto al di fuori. Sicché, ampliare la tipologia di soggetti ivi indicati significherebbe estendere loro anche tutte le previsioni ideate, originariamente, con riguardo alle sole associazioni rappresentative dei consumatori a livello nazionale.

Ma, a ben vedere, non si deve errare nell’intravedere nell’istituzione di tale nuova sezione il pericolo di uno stravolgimento dell’impostazione del Codice del Consumo. Le disposizioni transitorie (ex art. 4 del D. lgs. n. 28/2023) sono ben chiare nel prevedere che qualsiasi riferimento intra o extra codicistico debba intendersi riferito esclusivamente all’originario elenco di cui all’art. 137 e non anche alla nuova sezione speciale, laddove ciò non sia espressamente indicato. Ciò significa che tutti i richiami intra ed extra codicistici all’art. 137 Cod. Cons. – o meglio all’elenco delle associazioni e degli enti rappresentativi a livello nazionale – non dovranno intendersi estesi anche alle associazioni di cui alla sezione speciale, proprio per la diversità di presupposti previsti ai fini della legittimazione transfrontaliera.

Ciò chiarito, la scelta legislativa di esaltare la matrice consumeristica di tali azioni, circoscrivendo la legittimazione nelle azioni rappresentative alle associazioni di cui all’art. 137 Cod. Cons. e differenziandone i presupposti ai fini della legittimazione transfrontaliera, stimolerà e favorirà un’agevole ed immediata fruibilità delle azioni rappresentative nazionali. Di contro, tale scelta potrebbe, invece, risultare più scomoda per tutte quelle associazioni o organizzazioni nazionali che – al fine di ottenere la legittimazione transfrontaliera – dovranno conformarsi agli ulteriori presupposti di cui all’art.140-quinquises, comma 2, Cod. Cons. Senza dubbio, dal punto di vista operativo, la previsione di tali diversi requisiti si tradurrà nel gravare l’amministrazione competente[62] di una duplice e diversa istruttoria al fine di far confluire gli enti legittimati nelle rispettive sezioni (di cui all’art. 137 Cod. Cons).

5.La vexata questio della natura del provvedimento risarcitorio: la disciplina europea rischia di scardinare i dogmi nazionali

Le azioni rappresentative di nuovo conio disciplinano – anziché le azioni – le tipologie di provvedimenti, inibitori e risarcitori, cui le azioni sono tese, proponendo una distinzione difforme rispetto alla consueta differenziazione domestica operata tra l’azione di classe e l’azione collettiva inibitoria – quale bipartizione originariamente impiegata nel Codice del Consumo ed in seguito ereditata anche nel Codice di Procedura Civile che disciplina, infatti, le due azioni sotto l’egida dei cd. procedimenti collettivi.

Tuttavia – se formalmente l’impianto delineato dalla Direttiva potrebbe apparire sovrapponibile, o comunque conforme al nostro ordinamento – i profili sostanziali implicano maggiori e più profonde considerazioni: è pressocché evidente che la Direttiva, già solo a livello lessicale, risenta dei diversi background giuridici dei vari Stati Membri.

Si rileva, infatti, un’effettiva discontinuità semantica nel vocabolario impiegato dal Legislatore europeo rispetto al linguaggio nazionale: il ricorso alla nozione di provvedimenti risarcitori muove, invero, da basi giuridiche differenti. Il Legislatore europeo tratta dei suddetti provvedimenti non intendendo per tali i provvedimenti risarcitori tout court – come comunemente intesi secondo l’accezione nazionale – bensì la macro categoria dei cd. rimedi contrattuali[63], come denominati dalla miglior dottrina italiana[64]. Pertanto, già in sede di allineamento normativo-contenutistico, il Legislatore nazionale ha incontrato evidenti criticità tanto a causa della discontinuità linguistica dei due Legislatori quanto della variegata gamma di istituti applicabili nella cd. fase manutentiva dei rapporti contrattuali – non interamente condivisa con la realtà europea.

Ragion per cui, il Legislatore italiano – a fronte di una disciplina nazionale[65] che offriva risarcimenti e restituzioni[66] in sede di class action – si è trovato ad ideare un sistema nuovo che consentisse di garantire le più ampie tutele richieste dalla Direttiva, ivi disciplinate per mezzo di una impropria nozione di provvedimento risarcitorio, le cui caratteristiche europee risultavano lungi dall’esser confacenti a quelle nazionali.

L’accoglibilità di tale vasta gamma di rimedi in uno strumento assimilabile al provvedimento risarcitorio nazionale è apparsa sin da subito critica: ben presto è risultato evidente che tutti i rimedi contrattuali che il Legislatore europeo intendeva garantire attraverso l’azione di classe rappresentassero un ventaglio di tutele significativamente ampio che, per loro natura, non avrebbe potuto trovare opportuna sintesi nella tutela risarcitoria in senso tecnico.

Il Legislatore nazionale ha così provveduto ad ideare una nuova categoria giuridica, i cd. “provvedimenti compensativi” (di cui all’art. 140- novies Cod. Cons.). L’adozione di tale nuova categoria sintetizza, in maniera compiuta, la necessità di garantire, accanto ai provvedimenti risarcitori tout court, gli ulteriori rimedi indicati dalla direttiva[67]. Si positivizzano, pertanto, i tratti di difformità tra l’azione di classe – che consente restituzioni e risarcimenti – e le azioni rappresentative che, invece, garantiscono una tutela più ampia. Tuttavia, tale discontinuità attiene prevalentemente alla tipologia di rimedi conseguibili e non alla struttura del procedimento, in parte condivisa.

Il Legislatore nazionale ha, infatti, deciso[68] di conferire alle azioni rappresentative una disciplina ad hoc solamente con riguardo a taluni aspetti processuali[69], rinviando[70] per il resto, in quanto compatibili, a tutte le previsioni[71] procedimentali che governano l’azione di classe di cui al Codice di Procedura Civile[72]. Sicché, tra le molteplici previsioni, non sorprenderà che il Legislatore – mosso da ragioni di coerenza, praticità e economicità processuale – abbia previsto la competenza[73] della Sezione specializzata in materia di impresa tanto per l’azione di classe quanto per le azioni rappresentative. Ne consegue che ove l’azione rappresentativa sia volta ad ottenere provvedimenti compensativi, si strutturi alla stregua di un’azione di classe, innestandosi su quel medesimo iter procedimentale, seppur i provvedimenti compensativi conoscano una portata ben più ampia rispetto alla canonica nozione di provvedimento risarcitorio. Pertanto, i tratti effettivi che consentono di tipizzare le azioni rappresentative in termini consumeristici risultano – oltre alla diversa portata del provvedimento auspicato – la disciplina della legittimazione attiva e le diverse condizioni di ammissibilità delle azioni.

6.I provvedimenti inibitori

La tutela inibitoria[74], anticipando la risarcitoria di circa un decennio, ha radici ben più radicate[75]. Già interessata dall’intervento[76] normativo del 2019[77]  – che ha abrogato l’art. 140 Cod. Cons., elevando l’azione inibitoria a forma di tutela generalizzata[78]–   è oggi nuovamente attenzionata dalla Direttiva n. 2020/1828. Pertanto, al momento del recepimento della Direttiva, l’azione inibitoria collettiva, ascritta al novero dei procedimenti collettivi di cui al Codice di Procedura Civile (art. 840-sexiesdecies), conviveva con la diversa azione di cui all’art. 37[79] Cod. Cons – un’azione, anch’essa collettiva, ma tuttavia circoscritta alla contestazione delle sole clausole contrattuali abusive, impiegate in ambito consumeristico[80].

Il richiamo a tale art. 37 Cod. Cons. – come presto si comprenderà – non è affatto casuale poiché l’attuale art. 140-octies Cod. Cons. – così come, in passato, l’abrogato articolo 140 Cod. Cons.[81] – annovera il potere del giudice di concedere celermente[82], in presenza di giusti motivi di urgenza, provvedimenti inibitori in grado di offrire pronta ed immediata tutela. Ebbene, il Legislatore nazionale del 2019, nello sradicare la tutela inibitoria dalla dimensione consumeristica così da renderla uno strumento generalizzato – come suggerisce il dettato dell’art. 840-sexiesdecies[83] c.p.c. – non ha conservato tale opzione[84]: tuttavia, tale preclusione risulta solo transitoria.

Il recepimento della Direttiva, tipizzando le azioni rappresentative esperite con finalità inibitoria, reintroduce nel Codice del Consumo i già noti[85] provvedimenti inibitori provvisori[86] – precedentemente elisi con l’intervento legislativo del 2019.

Ad oggi, assistiamo pertanto alla convivenza di tre forme di tutela inibitoria: il rimedio di cui all’art. 37 Cod. Cons., sinora immutato e circoscritto alla contestazione delle sole clausole contrattuali abusive, impiegate in ambito consumeristico; l’azione inibitoria collettiva di cui all’art. 840-sexiedecies c.p.c., introdotta nel 2019 al fine di fornire una tutela inibitoria generalizzata e non più circoscritta al solo ambito consumeristico; ed, infine, le azioni rappresentative, nazionali e transfrontaliere, volte ad ottenere provvedimenti inibitori – definitivi o provvisori  – quale strumento di matrice esclusivamente consumeristica[87] (introdotto con il recepimento della Direttiva n. 2020/1828).

Quanto all’effettiva consistenza dei provvedimenti, si ravvisa una piena continuità contenutistica con quanto già previsto nel 2019 dall’azione collettiva inibitoria (di cui all’art. 840-sexiesdecies c.p.c.). L’unanime finalità delle due azioni, entrambe volte ad ottenere la medesima tipologia di tutela – pur presupponendo una diversa legittimazione attiva e differenti condizioni di ammissibilità della domanda – giustifica il ricorso alla medesima struttura procedimentale. L’azione collettiva inibitoria rinvia, infatti, in quanto compatibile, all’iter procedimentale dell’azione di classe (art. 840-quinques c.p.c.) a cui, a sua volta, si rifà la stessa disciplina delle azioni rappresentative esperite per ottenere provvedimenti inibitori (ex art. 140-octies Cod. Cons.[88]). L’unico effettivo tratto di discontinuità tra le due tutele collettive inibitorie – oltre al noto differente raggio di azione – resta, quindi, la tutela di carattere provvisorio.

Tuttavia, l’esperibilità di tale tutela inibitoria – coerentemente con le mutate condizioni di accesso alla giustizia – non risulta più libera. In effetti, in linea con le sempre più diffuse forme di tutela stragiudiziale – alternative, sostitutive o preventive – la Direttiva ha rimesso alla facoltà degli Stati membri la possibilità di introdurre una consultazione obbligatoria, necessaria ai fini dell’ammissibilità del successivo giudizio[89]. Proprio nell’esercizio di tale facoltà e nella ferma convinzione dell’efficacia delle misure di deflazione del contenzioso, il Legislatore nazionale ha introdotto una vera e propria condizione obbligatoria di procedibilità[90].

Tale condizione di procedibilità si atteggia proprio alla stregua delle note ipotesi di mediazione o negoziazione assistita obbligatoria: ove, infatti, l’ente legittimato non richieda preventivamente ed in via stragiudiziale la cessazione del comportamento lesivo, non potrà intentare l’azione rappresentativa inibitoria all’uopo prevista.

Ove, invece, l’azione sia esperibile, l’ente legittimato – come previsto dal Legislatore – non sarà gravato dall’onere di provare “la colpa o il dolo del professionista e le perdite o i danni effettivi subiti dai singoli consumatori”[91]. Ma si badi, tale norma non deve sorprendere: risulta, infatti, piuttosto coerente con i tratti della tutela inibitoria, funzionale ad evitare che una data condotta – proprio poiché contra ius – arrechi un pregiudizio ai singoli. La circostanza che non sia richiesto il dolo o la colpa del professionista è, quindi, in linea con i canoni della tutela inibitoria in cui – indipendentemente dall’elemento psicologico che ha animato il professionista – ciò che rileva è esclusivamente l’effettiva violazione compiuta. Non di meno, proprio poiché trattasi di una tutela collettiva inibitoria, si giustifica che l’ente non sia gravato dall’onere di provare i danni o le perdite subite: la tutela in oggetto non ha carattere risarcitorio, non è quindi funzionale a risarcire un danno patito che (salve le ipotesi di responsabilità oggettiva) andrebbe provato, bensì ad impedire l’ulteriore perpetrarsi di una condotta, commissiva o omissiva, che disattende il dettato normativo. Non si deve, dunque, mai dimenticare che si tratti di un’azione rappresentativa a tutela degli interessi collettivi dei consumatori ossia degli interessi facenti capo ad una data collettività, unitariamente considerata e ravvisabile in quella cerchia di persone individuabili per mezzo delle interazioni con il professionista.

In conclusione, ad eccezione della suddetta condizione di procedibilità, l’azione rappresentativa volta ad ottenere provvedimenti inibitori condivide la struttura del procedimento e la sostanza del provvedimento con l’azione collettiva inibitoria di cui al codice di procedura civile consentendo però – in più rispetto a quest’ultima – anche una tutela d’urgenza e quindi l’adozione di provvedimenti provvisori.

7.Gli aspetti processuali

La legittimazione attiva e le condizioni di ammissibilità[92] del ricorso alla giustizia denunciano la natura settoriale delle nuove azioni rappresentative, volte a tutelare gli interessi collettivi dei consumatori[93]. Pertanto, talune condizioni di ammissibilità delle nuove azioni si atteggiano diversamente rispetto a quanto previsto per i procedimenti collettivi[94].

Prescindendo dalle cause[95] di inammissibilità governate dai canoni processuali nazionali, le sole azioni rappresentative volte ad ottenere provvedimenti compensativi condividono con i procedimenti collettivi una comune condizione: in entrambi i casi, il Legislatore subordina l’ammissibilità dell’azione all’omogeneità dei diritti individuali[96] fatti valere. La previsione – non estesa alle azioni volte ad ottenere provvedimenti inibitori – si informa al condiviso corpus di norme processuali che disciplinano sia le azioni rappresentative volte ad ottenere provvedimenti compensativi sia l’azione di classe di cui ai procedimenti collettivi[97].

Pertanto, affinché un ente legittimato possa agire in favore della collettività che rappresenta è richiesta l’omogeneità dei diritti individuali fatti valere: è in forza di quell’omogeneità che, in giudizio, sarà vagliata l’ammissibilità e la fondatezza della pretesa con conseguente soddisfacimento dei singoli consumatori[98]. Di contro, proprio poiché le azioni rappresentative volte ad ottenere provvedimenti inibitori auspicano un provvedimento con cui il giudice ordini, invece, la cessazione o il divieto di reiterazione della condotta del professionista, non vi sarebbe alcuna ragione per mutuare tale condizione di ammissibilità del giudizio.

Del tutto innovative ed eterogenee risultano, invece, le condizioni di ammissibilità di matrice europea. Seguendo le indicazioni codicistiche, si segnala una prima causa di inammissibilità nella carenza dei requisiti essenziali richiesti in capo all’ente ricorrente, ove tale difetto sia contestato da parte del convenuto. Tale previsione soddisfa quelle indicazioni della Direttiva[99] che impongono agli Stati membri di riservare al professionista, convenuto in un’azione rappresentativa, il diritto di esprimere le proprie riserve in merito al dubbio soddisfacimento dei requisiti richiesti per il riconoscimento della legittimazione dell’ente (ricorrente). In tal modo, a fronte di una precedente istruttoria, svolta dall’amministrazione competente in merito ai suddetti requisiti, si assicura la sindacabilità, ancorché indiretta, di tale accertamento, concentrando in un’unica sede tutte le ragioni del contendere.

Non di meno, a minare l’ammissibilità dell’azione risulta anche la complessa disciplina dei finanziamenti. È chiaramente cura del Legislatore europeo[100] evitare che i finanziamenti in favore degli enti legittimati risultino “interessati” e pilotati ovvero strumento e veicolo per orientare, sotto il proprio controllo, la scelta ed il coinvolgimento del destinatario delle azioni rappresentative. Sicché, l’ulteriore ragione di inammissibilità, configurabile ove ricorra un conflitto di interessi tra il finanziatore ed il convenuto dell’azione[101], risulta animata dall’intento di arginare tale pericolo. Una ravvisata conflittualità di interessi[102], soprattutto ove non sanata da un successivo rifiuto del finanziamento discriminante, ovvero da una sua susseguente modifica, determinerà, infatti, l’inammissibilità della domanda.

Non da ultimo, la primaria necessità di assicurare la persistenza di un oggetto sociale dell’ente legittimato, conforme alla tutela degli interessi dei consumatori, ha indotto il Legislatore a ravvisare un’ulteriore causa di inammissibilità laddove l’oggetto sociale dell’ente non giustifichi l’esercizio dell’azione[103]. Tuttavia, nel merito, non si comprende a ragion di quale esigenza il Legislatore abbia scelto di focalizzare il controllo giurisdizionale proprio su questo specifico presupposto tra i tanti requisiti richiesti ai fini della legittimazione e già vagliati dall’Amministrazione.

7.1  La disciplina comune

Diversamente rispetto a quanto registrato per le cause di inammissibilità, i procedimenti collettivi e le azioni rappresentative condividono una vasta gamma di previsioni comuni, tra cui anche la disciplina dell’adesione, essenziale nell’economia delle nuove azioni rappresentative laddove consente di far riemergere la dimensione “super-individuale” del singolo in un’azione che risulta esperibile esclusivamente da enti legittimati.

Tale adesione da parte del consumatore, interessato all’azione rappresentativa volta ad ottenere provvedimenti compensativi, potrà avvenire, al pari di quanto accade nell’azione di classe, in due momenti ovvero entro “un termine perentorio non inferiore a sessanta giorni e non superiore a centocinquanta giorni dalla data di pubblicazione dell’ordinanza”[104] con cui il Tribunale ammette l’azione, oppure nell’ulteriore “termine perentorio, non inferiore a sessanta giorni e non superiore a centocinquanta giorni[105]” espressamente indicato nella sentenza che accoglie l’azione.

L’azione rappresentativa, così come l’azione di classe, consta, quindi, di tre momenti: una prima fase di valutazione dell’ammissibilità della domanda, una seconda dedicata alla decisione di merito della controversia ed una terza fase, la cd. “procedura di adesione”. Tale ultimo stadio vanta, a sua volta, due momenti determinanti, grazie ai quali nel giudizio si recupere la dimensione individuale del singolo che potrà, così, personalmente fruire della tutela in virtù della quale l’azione è stata intentata.

 7.2  L’assenza di mandato

L’innovata disciplina non subordina la legittimazione degli enti ad un pregresso mandato dei consumatori interessati[106] : suscita, pertanto, particolare interesse comprendere in che modo un’azione intentata da un ente legittimato, sprovvisto di mandato, si concili con la dimensione individuale del singolo consumatore (tra l’altro destinata necessariamente a riemergere affinché il provvedimento possa produrre effetti immediati nei confronti dei singoli).

A ben vedere, il Legislatore europeo ha escluso la necessità di un pregresso rapporto di mandato tra i consumatori e l’ente legittimato con riguardo alle sole azioni promosse per ottenere provvedimenti inibitori[107].  La prefata previsione ben si attaglia alla natura dei provvedimenti, volti infatti ad ottenere la cessazione o il divieto di reiterazione della condotta omissiva o commissiva, di cui quindi, indirettamente, beneficeranno tutti i soggetti che potenzialmente patiscono tale condotta. Tuttavia, seppur dal dettato della Direttiva non si rinvenga un’analoga previsione con riguardo ai provvedimenti compensativi, il Legislatore italiano ha, invece, esteso la medesima previsione anche alle azioni intentate per ottenere tali provvedimenti.

La ratio della scelta può essere diversamente indagata: una logica di opportunità si ravvisa nella possibile intenzione di uniformare le condizioni di accesso alla giustizia. In altri termini, il Legislatore – avendo previsto che l’ente legittimato possa intentare anche una sola azione in cui richiedere cumulativamente provvedimenti inibitori e compensativi, anziché due separate azioni – sembrerebbe aver uniformato, anche a tal fine, i requisiti per esperire le due azioni rappresentative. Ove, invece, si fosse conservata tale disparità di presupposti, richiedendo un rapporto di mandato, pregresso all’azione, con riguardo ai soli provvedimenti risarcitori, ciò avrebbe significato precludere, almeno in talune circostanze, la possibilità di richiedere congiuntamente le due tipologie di provvedimenti. Ad analoghe conclusioni era giunto anche il Legislatore del 2019 che, anche in assenza dell’impulso europeo, aveva allo stesso modo escluso la necessità di un mandato in capo all’ente ricorrente.

Ad ogni modo, continua a risultare preferibile che gli enti legittimati, che agiscano al fine di ottenere un provvedimento compensativo, godano di un pregresso mandato, proprio alla luce della natura di cui constano tali provvedimenti. In ogni caso, soprattutto laddove l’ente legittimato abbia agito senza mandato, la fase dell’adesione costituirà un momento di indubbio rilievo in cui il giudizio recupererà una dimensione individuale, consentendo la diretta fruibilità del provvedimento compensativo pronunciato.

7.3  Il superamento dell’incumulabilità dei due procedimenti

Le azioni rappresentative, per volere del Legislatore nazionale, constano della medesima suddivisione – in tutela inibitoria e risarcitoria – prevista per i procedimenti collettivi. Tuttavia, mentre nei procedimenti collettivi si ravvisano due azioni differenti, il Legislatore europeo ha introdotto un’unica azione: l’azione rappresentativa che gode di una diversa struttura in ragione del provvedimento per cui è esperita.

Ebbene, è necessario muovere da questo dato per poter trattare della cumulabilità delle azioni.

Mentre il Legislatore nazionale del 2019 prevedeva che l’azione di classe e l’azione collettiva inibitoria non fossero esperibili nello stesso giudizio – tanto da investire il giudice, per primo adito, del compito di separare le cause ove proposte congiuntamente[108] – la Direttiva ha rimesso alla facoltà dei legislatori nazionali la scelta di prevedere la cumulabilità delle due azioni[109]. Sicché, disattendendo l’impostazione dei procedimenti collettivi, il Legislatore[110] nazionale ha previsto[111] che le azioni rappresentative possano essere intentate per richiedere, anche cumulativamente, provvedimenti inibitori e risarcitori.

È di tutto interesse comprendere la ratio di tale scelta. Muovendo dall’impossibilità di cumulare l’azione di classe all’azione collettiva inibitoria, prevista nel 2019, non è mancato[112] chi ha sostenuto che il cumulo delle due azioni avrebbe appesantito il procedimento di classe ogniqualvolta l’azione fosse stata instaurata da enti legittimati: tuttavia, tale considerazione non potrebbe estendersi all’ipotesi in cui ad agire sia il singolo individuo. Non mancano, infatti, coloro i quali ritengono che l’incompatibilità delle due azioni risponda al diverso oggetto della tutela, soffermandosi sulla differenziazione[113] tra diritti individuali omogenei ed interessi collettivi: ma anche tale ricostruzione non è pacifica.

Diversamente, in merito alla disposizione, recentemente innovata, che ammette un’unica azione in cui, nella stessa sede, sia possibile richiedere provvedimenti inibitori e risarcitori, può ravvisarsi l’esigenza di favorire l’unicità e l’efficacia della tutela procedimentale, così evitando di instaurare due separati giudizi.          Tra l’altro, la competenza territoriale così come le condizioni di ammissibilità – ad eccezione d’una – solo le medesime, tanto laddove l’azione rappresentativa sia volta ad ottenere provvedimenti inibitori quanto ove sia volta ad ottenere provvedimenti compensativi. Sicché, il giudice incardinato nella sezione specializzata in materia di impresa potrà essere investito di un’azione rappresentativa volta ad ottenere provvedimenti inibitori e compensativi.

8.Costi e benefici: il tentativo di facilitare l’accesso alla giustizia

Nonostante il debole coordinamento intercorso in ambito consumeristico tra la politica nazionale e l’europea, la legge nazionale n. 31/2019 risulta all’avanguardia in molteplici suoi aspetti. È evidente che entrambi gli interventi – nazionale ed europeo – siano stati animati dall’intenzione di conferire ai consumatori strumenti di tutela facilmente accessibili e fruibili.

Prova ne sia che, proprio per evitare che eccessive spese processuali precludessero il ricorso alle azioni rappresentative, il Legislatore europeo ha cercato di incentivare e sollecitare forme di sostegno[114] pubblicistiche, attenzionando l’assistenza[115] agli enti legittimati e la sostenibilità delle spese. Al riguardo, la disciplina nazionale non si presentava affatto lacunosa: gli unici soggetti qualificati ad intentare azioni rappresentative – ovvero i cd. enti legittimati – proprio perché non preordinati a perseguire scopi di lucro, già godevano di una disciplina di favore in materia di spese di giustizia[116]. Le relative previsioni assicuravano, quindi, già da tempo, l’accesso al patrocinio[117] a spese dello Stato agli enti o alle associazioni, prive di scopi di lucro, e non esercenti attività economica.

Non di meno, la questione delle spese del procedimento era già stata attenzionata dal Legislatore nazionale del 2019 che – in un’ottica di agevolazione della tutela collettiva – aveva, infatti, provveduto a regolamentare le spese processuali disciplinando, nell’ambito dei procedimenti collettivi, il cd. compenso premiale[118]. Tale meccanismo, consentendo ai consumatori[119] di non dover sostenere[120] le spese relative alla difesa legale ed all’attività del rappresentante comune degli aderenti, realizzava quindi un effettivo incentivo al ricorso alla tutela collettiva.

D’altronde, il grande successo che il meccanismo del compenso premiale aveva già conosciuto nell’esperienza giuridica americana[121] ha indotto il Legislatore del 2019 a vincere le resistenze e i dubbi[122] sollevati dalle associazioni delle imprese, promuovendo uno strumento che già altrove aveva incentivato il ricorso a tali azioni[123]. Sicché, il Legislatore nazionale, nel disciplinare le nuove azioni rappresentative, ha conservato tale modello, mutuandolo dal Codice di Procedura Civile, cui infatti le previsioni del Codice del Consumo rinviano[124].

La ratio della scelta è facilmente intuibile. Si osserva che le situazioni giuridiche oggi affidate alle azioni rappresentative erano già tutelabili attraverso i procedimenti collettivi: pertanto, non può che essere condivisibile la scelta di estendere anche alle azioni rappresentative, volte ad ottenere provvedimenti compensativi, il meccanismo del compenso premiale.

8.1 Un sostegno economico per gli enti legittimati

Noto e condiviso che le spese di accesso alla giustizia non possano costituire un ostacolo al ricorso alla tutela, appare, al contempo, innegabile il ruolo centrale e dirimente svolto dagli enti legittimati: sicché, in linea con l’obiettivo di promuovere il ricorso alle azioni rappresentative, il Legislatore europeo ha rimesso alla facoltà degli Stati Membri l’opportunità di prevedere dei contributi economici in favore degli enti legittimati ed a carico di tutti gli aderenti[125].

Ebbene, proprio cogliendo questa indicazione, il Legislatore nazionale – anziché rimettere agli enti legittimati la determinazione del contributo da sottoporre ai consumatori – ha diversamente previsto, impedendo che una disposizione, nata con intento positivo, potesse tradursi in una misura di sfavore per i consumatori. Con riguardo alle sole azioni rappresentative volte ad ottenere provvedimenti compensativi, il Legislatore ha così riservato al Tribunale il compito di determinare, a carico di ciascun consumatore, un contributo di necessaria modesta entità[126].  Tant’è vero che, prevedendo espressamente (ex art. 140-novies cod. cons., comma 2) che fosse “esclusa l’applicazione del terzo comma del medesimo articolo 840-sexies”, si è inteso evitare che, a fronte della generale applicabilità delle previsioni processual civilistiche, trovi applicazione quella disposizione – altrimenti valevole – in forza della quale si riserva al giudice delegato il potere di disporre, in ogni tempo, l’integrazione delle somme da versare.

La politica europea di facilitazione dell’accesso alla giustizia si manifesta, quindi, in un sostegno pubblicistico e privatistico agli enti legittimati in cui non sono mancati suggerimenti sovranazionali in merito alla ravvisata opportunità di limitare le spese giudiziarie applicabili alle nuove azioni. Ebbene, è proprio tale suggerimento ad esser stato accolto dal Legislatore nazionale[127] che ha così riproposto un meccanismo[128] analogo a quanto già previsto per i procedimenti collettivi[129], indicando il pagamento di un contributo unificato in misura pari alla metà[130].

È pertanto evidente, alla luce delle differenti previsioni considerate, il tentativo legislativo di offrire effettivi strumenti in grado di agevolare concretamente il ricorso alla tutela collettiva.

9.Riflessioni Conclusive

L’insuccesso dello strumento collettivo ha sollecitato tanto il Legislatore europeo quanto il nazionale. Tuttavia, seppur tra le due politiche legislative sia mancato un congruo ed opportuno coordinamento, non può negarsi la comune intenzione di conferire nuovo vigore all’istituto[131]. Mentre un primo slancio nazionale ha indotto il Legislatore del 2019 (L. n. 31/2019) ad ideare uno strumento generalizzato di tutela collettiva, avulso dal contesto consumeristico, il successivo intervento – imposto dal recepimento della Direttiva n. 2020/1828 – ha invece condotto ad una soluzione antitetica. Il Legislatore nazionale (Dlgs. 173/2021), nell’esercizio di una piena e libera facoltà di scelta, ha infatti deciso di emancipare nuovamente la tutela consumeristica dai neo introdotti procedimenti collettivi, ripristinandone l’originaria connotazione settoriale.

A ragion del vero, la scelta del Legislatore nazionale del 2021 non può dirsi non condivisibile: la ragionevolezza della previsione si ravvisa, al contempo, nell’esigenza di garantire elevati standard di tutela, funzionali ad una facilitazione dell’agire processuale, e nella necessità di strutturare una nuova categoria di provvedimenti – i cd. provvedimenti compensativi – sconosciuti ai procedimenti collettivi (di cui al c.p.c.).

Nonostante la diversa matrice degli interventi, non deve ritenersi che l’introduzione delle nuove azioni rappresentative, esclusivamente riservate ai consumatori, infici e mini la stabilità dei procedimenti collettivi. La ripristinata autonomia della tutela consumeristica non delegittima i procedimenti collettivi che continueranno, quindi, a costituire strumenti di tutela di carattere generale[132]. Pertanto, l’intenzione originaria di estendere lo strumento dell’azione di classe anche ai soggetti non consumatori ed alle ulteriori associazioni non consumeristiche, non può dirsi certo minata. Tuttavia, la generalizzazione di tale strumento di tutela, così fruibile dai non consumatori, conviverà con le azioni rappresentative, riservate, invece, esclusivamente alle associazioni consumeristiche di cui all’art. 137. Cod. Cons.

Seppur, quindi, le due azioni siano destinate a coesistere, si cadrebbe in un grave errore ove si ritenesse che tale strategia abbia determinato una duplicazione degli strumenti processuali: la settorialità della tutela consumeristica non esaurisce affatto il novero delle situazioni giuridiche tutelabili attraverso i procedimenti collettivi. Per tutti i pregiudizi non derivanti dalla violazione delle disposizioni di cui all’allegato II-septies Cod. Cons., i procedimenti collettivi restano, infatti, l’unica forma di tutela collettiva esperibile.

Al momento, dunque, non resta che attendere per constatare se l’auspicato successo di questi rinnovati strumenti di tutela possa effettivamente tradursi in un efficace e pronto veicolo di garanzia degli interessi dei consumatori.

[1]Si tratta del motto adottato nel 1848 da Francesco Giuseppe per incentivare l’Impero austro-ungarico all’unione di tutte le forze.

[2] Le azioni di classe si radicarono nella tradizione giuridica dei vari Stati d’America quando, nel 1842, la Corte Suprema degli Stati Uniti adottò le Equity Rules, tra cui l’Equity Rule 48 in tema di azioni legali collettive. Molti anni a seguire, nel 1938, la disciplina dell’azione di classe fu demandata alla rule 23 delle leggi federali di procedura civile, le cd. Federal Rules of Civil Procedure. Tuttavia, non tutte le sentenze rese in questi giudizi erano dotate della medesima forza. Ove le questioni portate all’attenzione dei giudici, attraverso l’azione di classe, concernevano il diritto di proprietà, le relative sentenze producevano effetti nei confronti di tutti i componenti della classe, seppur in maniera differente; a contrario, le sentenze rese all’esito di azioni di classe cd. spurie, producevano effetti solo nei confronti delle parti che, in concreto, fossero intervenute nell’azione. Solo nel 1966 si inaugurò la cd. era moderna dell’azione legale collettiva in cui la revisionata Federal Rule of Civile Procedure n. 23 iniziò a garantire l’opponibilità delle sentenze rese nelle azioni di classe a tutti i soggetti ricompresi nella classe, indipendentemente dal fatto che la sentenza fosse loro favorevole. Un ulteriore intervento si ebbe poi nel 2003, un biennio prima del “Class Action Fairness Ac”t (‘‘CAFA’’) che ampliò notevolmente la competenza giurisdizionale delle Corti federali in materia di azioni di classe. Per un maggior approfondimento, A. Giorgetti- V. Vallefuoco, Il contenzioso di massa in Italia, in Europa e nel Mondo, Milano, 2008, 130-164; R. Mulheron, The Class Action in Common Law Legal System, A Comparitive Perspective, Oxford, 2004, 115 ss.

[3]Si rileva che la disciplina della tutela collettiva inibitoria del ’98 è rimasta immutata sino al 2009, anno in cui il Legislatore nazionale – nel recepire la direttiva n. 2009/22/CE “sui provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori” – sistematizzò la disciplina dell’azione collettiva, riformandola e collocandola negli articoli 139 e 140 del Decreto Legislativo n. 206 del 2005 (noto come Codice del Consumo). Con tale nuova disciplina si attribuì alle associazioni dei consumatori e degli utenti, rappresentative a livello nazionale, la legittimazione ad agire per la tutela degli interessi collettivi dei consumatori in tutti i casi di potenziale violazione dei diritti previsti dal Codice del Consumo.

[4] Si rammenta che fu proprio la legge n. 281 del 1998 (ex art. 3) ad introdurre il primo strumento di ricorso collettivo che riconobbe alle associazioni dei consumatori e degli utentiil diritto di chiedere al giudice il rilascio di provvedimenti inibitori, ossia di provvedimenti volti a prevenire determinati atti e comportamenti lesivi dei loro rappresentati”.

[5] Sul punto, A. Giussani, La transizione collettiva per i danni futuri: economia processuale, conflitti d’interesse e deterrenza delle condotte illecite nella disciplina delle “class action”, in Foro.it, 1998, IV, 175 ss.

[6] La peculiarità dell’intervento legislativo si ravvisava nell’aver introdotto uno strumento di tutela inibitorio di carattere generale che ampliava il novero delle situazioni giuridiche tutelabili: sino a quel momento, in ambito consumeristico, era prevista la sola azione di cui all’art. 1469 sexies c.c., quale azione volta ad inibire l’utilizzo delle condizioni generali di contratto di cui fosse già accertata l’abusività. Si veda, M. Libertini, Prime riflessioni sull’azione inibitoria dell’uso di clausole vessatorie (art. 1469 sexies c.c.), in Contratto e impresa Europa, 1996.

[7] Per un approfondimento sull’origine della nozione di interessi collettivi, V. Vigoriti, Interessi collettivi e Processo. La legittimazione ad agire, Milano, 1979.

[8] È opportuno precisare che prima della legge del’ 98, già esistevano degli strumenti collettivi, tuttavia limitati a taluni settori e, per l’appunto, non generalizzati. Ebbene, si osserva che le controversie sull’applicazione dei contratti collettivi previsti dalla L. n. 563/1926 nonché l’azione collettiva di repressione degli atti di concorrenza sleale ex art. 2601 c.c. hanno reso l’ambito lavoristico il settore pioniere della tutela collettiva. All’incirca 50 anni dopo, anche nella realtà sindacale si sono affacciate delle forme di tutela collettiva, tra cui la repressione delle condotte antisindacali disciplinata nello Statuto dei Lavoratori, in ragione della quale fu previsto che “su ricorso degli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse, il pretore del luogo ove è posto in essere il comportamento denunziato […], qualora ritenga sussistente la violazione di cui al presente comma, ordina al datore di lavoro la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti”. Allo stesso modo, sette anni dopo, la legge n. 903/1977 estese tale analogo strumento collettivo alla repressione delle condotte discriminatorie “fondate sul sesso per quanto riguarda l’accesso al lavoro (ex art. 15). Si osserva che tutte queste forme di tutela conoscevano carattere esclusivamente inibitorio: per assistere ad uno strumento di tutela collettiva di carattere risarcitorio, seppur esclusivamente settoriale, bisogna attendere gli anni ’80, data in cui il Legislatore disciplinò, per la prima volta, un’azione diretta al risarcimento del danno subito dal bene collettivo rappresentato dall’ambiente. Sul punto, R. Donzelli, La tutela degli interessi collettivi, Napoli, 2008.

[9] Tale intervento del Legislatore nazionale non anticipò di molto l’attenzione delle allora Comunità europee che – consce del carattere anche transfrontaliero delle pratiche lesive del diritto comunitario – ravvisarono l’urgenza di ravvicinare le diverse disposizioni nazionali volte a reprimere le suddette pratiche illecite “a prescindere dal paese in cui la pratica illecita avesse prodotto effetti” (in tal senso i “considerando” 5 e 6 della direttiva 98/27/CE). Animata da tale scopo, fece seguito la direttiva n. 98/27/EC che – con l’intento di disciplinare la tutela, in forma collettiva ed associativa, dei diritti e degli interessi individuali e collettivi dei consumatori – puntualizzò la portata del provvedimento inibitorio ed introdusse la possibilità, per tutti gli enti nazionali legittimati, di proporre ricorsi ed azioni nei Paesi membri in cui si fosse verificata una violazione comunitaria ai danni dei consumatori.

[10] Sul punto, E. Camilleri, La dir. 2020/1828/ue sulle azioni rappresentative e il “sistema delle prove”. La promozione dell’interesse pubblico attraverso la tutela degli interessi collettivi dei consumatori: verso quale modello di enforcement?, in Nuove leggi Civili Commentate, 2022, 4.

[11] Fu soltanto con la legge 24 dicembre 2007 n. 244 (legge finanziaria del 2008) che tale azione fu introdotta, nel Codice del Consumo, ai sensi dell’articolo 140 bis Cod. Cons.: sino a quel momento, la tutela garantita aveva continuato ad avere carattere esclusivamente inibitorio. Per alcune riflessioni sull’allora azione collettiva risarcitoria, ex multis, C. Consolo, È legge una disposizione sull’azione collettiva risarcitoria: si è scelta la via svedese dell’«opt-in» anziché quella danese dell’«opt-out» e il filtro (“L’inutil precauzione”), in Corr. Giur., 2008, 6.

[12] Tale intervento normativo – oltre ad ereditare la denominazione linguistica d’oltreoceano – modificò la disciplina della legittimazione attiva, riconoscendo l’esperibilità di tale forma di tutela collettiva a ciascun consumatore o utente, così segnando un’inversione di tendenza rispetto alla disciplina del 2007 che aveva, invece,  riservato il potere di agire alle sole associazioni dei consumatori, quali unici soggetti legittimati ad intentare l’azione indipendentemente dal conferimento di un mandato ad agendum. Al riguardo, C. Consolo, Come cambia, rivelando ormai a tutti il suo volto, l’art. 140 bis e la class action consumeristica, in Corr. Giur., 2009, 1297. C. Punzi, L’azione di classe a tutela dei consumatori e degli utenti, in Riv. Dir. Proc., 2010, 2, 253 ss.

[13] Si badi bene che tale azione collettiva di carattere risarcitorio, introdotta dal legislatore nel 2007, risultava esperibile da associazioni e comitati, iscritti nell’elenco del Ministero dello Sviluppo Economico ed adeguatamente rappresentativi degli interessi collettivi fatti valere. Tale normativa non entrò mai in vigore in quanto successivamente modificata dalla legge 23 luglio 2009 n. 99, in virtù della quale l’azione – nel mentre ridenominata “azione di classe” – divenne vigente solamente a far data dal 1° gennaio 2010 (la disciplina è stata inoltre modificata con la Legge n. 27 del 24 marzo 2012 che convertì in legge il D.l. n.1 del 2012.).

[14] La nozione di “interessi collettivi” sottintende l’esistenza di una relazione fra interessi di uguale contenuto, facenti capo a soggetti diversi, ed organizzati per il raggiungimento del medesimo fine. L’aggettivo “collettivo” denuncia l’esistenza di una relazione fra interessi di natura individuale, non confliggenti, ma solidali, congiunti ed organizzati per il soddisfacimento della pretesa comune, come ben spiegato da V. Vigoriti, Interessi collettivi e Processo, Milano, 1979, 17 ss.

[15] In tal modo, la partecipazione alla class action da parte dell’ente associativo fu circoscritta al solo caso in cui agisse in qualità di mandatario del consumatore: si prevedeva, infatti, che il consumatore potesse conferire mandato ad associazioni o agire tramite comitati a cui partecipava. Più genericamente, in merito alla class action introdotta nel 2009, si segnalano, ex multis, M. Bove, Profili processuali dell’azione di classe, in Leggi. Civ. comm.,2010, 1015 ss.; R. Caponi, Il nuovo volto della class action, in Foro.it, 2009, V, 383 ss.; G. Costantino, La tutela collettiva risarcitoria 2009: la tela di Penelope, in Foro.it, 2009; G. De Cristofaro, L’azione collettiva risarcitoria «di classe»: profili sistematici e processuali, in Resp. civ. e prev., 2010, 10, 1932 ss.; R. Donzelli, L’azione di classe a tutela dei consumatori, Napoli, 2011, 200 ss.; P. Fiorio, L’azione di classe del nuovo art. 140 bis e gli obiettivi di deterrenza e di accesso alla giustizia dei consumatori, in P. Demarchi – S. Ambrosini (a cura di), I diritti dei consumatori e la nuova class action, Bologna, 2010, 520 ss.; C. Punzi, L’«azione di classe» a tutela dei consumatori e degli utenti, in Riv. dir. proc., 2010, 2, 253; F. Santangeli – P. Parisi, Il nuovo strumento di tutela collettiva risarcitoria: l’azione di classe dopo le recenti modifiche dell’art. 140-bis cod. cons., in judicium.it, 2010.

[16] Sul punto, C. Belli, Le azioni collettive in Italia, profili teorici ed aspetti applicativi, Milano, 2007; G. Cataldi, Il problematico inserimento delle class actions nell’ordinamento italiano, in Quest. Giust., 2005, 811 ss.; R. Donzelli, Class Action, Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n.31 (a cura di B. Sassani), in Quaderni di Judicium, 2019, 6, 2 ss.; A. Gidi, Il codice del processo civile collettivo: un modello per i paesi di diritto civile, in Riv. Trim. Proc. Civ., 2005, 697 ss,; P. Rescigno, Sulla compatibilità tra il modello processuale della “class action” e i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano, in Giur.it., 2000, 2224 ss. G. Resta, Azioni popolari, interesse collettivo, “class action”: modelli e prospettive di riforma in una recente riflessione, in Riv. Crit. Dir. Priv., 2007, 331 ss.

[17] Quando l’emendamento contenente l’azione collettiva risarcitoria fu approvato con un solo voto di scarto, tra maggioranza e opposizione, si disse che l’approvazione fu dovuta ad un errore del Senatore Roberto Antonione, il quale dichiarò agli organi di stampa che, in realtà, la sua volontà era “di votare contro l’approvazione dell’emendamento” (cfr. www.corriere.itdel 15 novembre 2007). Sicché, la comune opinione ritiene che, in realtà, tale strumento processuale sia proprio il frutto di un errore di votazione durante l’approvazione della legge finanziaria del 2008.

[18] R. Donzelli, Class Action. cit, 3 ss. V. Denti, L’idea del Codice e la riforma del processo civile, in Riv. Dir. Proc., 1982, 113 ss.

[19] Per una generale ricostruzione delle novità introdotte, I. Speziale, La nuova azione di classe: riflessioni critiche sulla riforma, in Corr. Giur., 2020,7.

[20] Per delle riflessioni preliminari in merito all’esigenza di strumenti esperibili nei cd. conflitti di massa, si veda M. Cappelletti, Formazioni sociali e interessi di gruppo davanti la giustizia civile, in Riv. Proc.,1975, 363; ID, Accesso alla giustizia come programma di riforma e come metodo di pensiero, in Riv. Proc., 1982, 237.

[21] Per una ricostruzione puntuale, dalle origini sino al 2019, si veda A.D. De Santis, L’azione di classe a dieci anni dalla sua entrata in vigore, in Foro.it, 2019, I, 2180.

[22] Si osserva, infatti, che la formulazione dell’art. 840 bis c.p.c. – che inaugura la trattazione dei procedimenti collettivi – supera la tipizzazione delle fattispecie tutelabili di cui all’abrogato art. 140 bis Cod. Cons.

[23] Si rammenta che, ai sensi dell’abrogato articolo 140 bis Cod. Cons., l’azione di classe era impiegata in caso di danni derivanti da prodotti difettosi, da comportamenti anticoncorrenziali e da pratiche commerciali scorrette.

[24] Per un approfondimento sulla nozione di diritti individuali omogenei sin dall’azione di classe di cui al Codice del Consumo del 2009, G. Conte, I “diritti individuali omogenei” nella disciplina dell’azione di classe, in Riv. Dir. Civ., 2011, 5, 609 ss.; A. Giussani, Ancora sulla tutelabilità con l’azione di classe dei soli diritti “omogenei” (nota a sentenza della Corte d’appello di Milano del 3 marzo 2014), in Giur.It, 2014; M. Libertini, L’azione di classe e le pratiche commerciali scorrette, in Riv. Dir. Ind., 2011, 4-5,147; P. Porreca, Ambito soggettivo e oggettivo dell’azione di classe, in Europa e dir. Priv., 2010, 2, 541; M. Taruffo, La Tutela Collettiva nell’ordinamento italiano: lineamenti generali, Riv. Trim., dir, proc. Civ., 2011, 1, 103.

[25] Si è, infatti, osservato che l’ampliamento del raggio di tutele garantito dalla nuova azione di classe consentirebbe di far valere anche il diritto alla salute, alla riservatezza, all’integrità psicofisica e alla libertà individuale, seppur sempre con il limite dell’omogeneità dei diritti fatti valere dai ricorrenti. Si veda, A. Celotto, Profili costituzionali dei nuovi “procedimenti collettivi” a tutela dei diritti individuali omogenei (artt. 840 bis c.p.c.), in AA. VV., Class action ed azione collettiva inibitoria: la nuova disciplina (a cura di U. Ruffolo), Milano, 2021.

[26] Si veda anche AA.VV., La class action riformata, in Giur.it., 2019, 2297 ss.; C. Consolo, La terza edizione della class action è legge ed entra nel c.p.c. Uno sguardo d’insieme ad una amplissima disciplina, in Corr. Giur., 2019, 737 ss.; M. Franzoni, Azione di classe, profili sostanziali, in Danno e resp., 2019, 309 ss.; A. Giussani, La riforma dell’azione di classe, in Riv. Dir. Proc. 2019, 1572 ss. in B. Sassani (a cura di), Class action. Commento sistematico alla L.12 aprile 2019, n. 31, Pisa, 2019; G. Scarselli, La nuova azione di classe di cui alla legge 12 aprile 2019, n. 31, in www.jiudicum.it.

[27] Quanto ai diritti individuali omogenei, la giurisprudenza maggioritaria suole ravvisare ipotesi di lesioni nei casi in cui – prescindendo dal coinvolgimento del singolo cui non è più richiesta la veste di consumatore – tali diritti vantino una medesima fonte del danno ovvero quando un’unica condotta illecita – non necessariamente tale anche sotto il profilo temporale – generi i propri effetti in maniera analoga, seppur le conseguenze pregiudizievoli per i singoli si atteggino nel concreto diversamente. Per comprendere al meglio la dimensione dei diritti individuali omogenei, si riportano i fatti che hanno interessato il caso “Codacons vs British American Tabacco (BAT)”. In questo caso, il Tribunale di Roma dichiarò l’inammissibilità dell’azione di classe proposta da alcuni consumatori per l’insussistenza del requisito dell’omogeneità dei diritti individuali fatti valere. Il Tribunale affermò che – a testimonianza della carenza del requisito dell’omogeneità dei diritti – non sarebbe stata sufficiente un’unica istruttoria, divenendo necessario effettuare un accertamento individuale per constatare, con riguardo a ciascun fumatore ricorrente, le abitudini personali, le ragioni per le quali ciascuno di loro avesse iniziato a fumare o di contro, non fosse riuscito a smettere. Ed ancora, si considerino anche i fatti che hanno interessato “ACQUA- LATINA s.p.a.”: in quell’occasione, la Corte d’appello riconobbe, invece, l’omogeneità dei diritti dei 166 utenti che chiedevano l’accertamento della responsabilità del gestore del servizio, lamentando l’illegittima applicazione della tariffa idrica, comprensiva di somme effettivamente non dovute, sulla base della riscontrata omogeneità dei diritti individuali fatti valere da parte ricorrente. Si segnalano disparate pronunce in cui le Corti italiane si sono pronunciate in merito ai diritti individuali omogeni. Si considerino Trib. Roma 25 marzo 2011; Trib. Roma, 11 aprile 2011; Trib. Firenze, 15 luglio 2011; Corte d’appello Torino, 23 settembre 2011; Corte d’appello Roma, 27 gennaio 202; Trib. Torino, 10 aprile 2014; Trib. Roma, 27 aprile 2012; Corte d’appello Milano, 2 marzo 2014; Trib. Milano, ordinanza 10 novembre 2016; Trib. Roma, ordinanza 20 giugno 2018.

[28] Di seguito denominata la “Direttiva”.

[29] Si osservi che con l’espressione “provvedimenti risarcitori” si intende l’accezione di cui all’articolo 3, paragrafo 1, numero 10) della Direttiva, attuata nel nostro ordinamento attraverso la locuzione “provvedimenti compensativi”.

[30] Come noto, l’ambito di applicazione oggettiva delle nuove azioni è circoscritto, prevedendo che i professionisti – per esser convenuti in giudizio – debbano aver violato le specifiche disposizioni unionali di cui all’allegato I della Direttiva.

[31] Tra le varie sedi di dibattito, si segnalano le riflessioni emerse presso l’Università degli Studi di Palermo in occasione del Convegno “AZIONI “RAPPRESENTATIVE e tutela degli interessi collettivi dei consumatori: un nuovo inizio? il recepimento della direttiva (ue) 2020/1828 nel diritto italiano e il destino dell’azione di classe”.

[32] Si rammenta che con la Direttiva in oggetto vengono infatti disciplinate azioni, nazionali e transfrontaliere (cd. rappresentative), volte ad ottenere provvedimenti inibitori o compensativi, a seguito della violazione di disposizioni prettamente consumeristiche, espressamente indicate nell’allegato I della Direttiva (il cd. allegato I, a seguito del recepimento, è ora noto come l’allegato II-septies del Codice del Consumo).

[33] Per delle prime riflessioni in merito al recepimento della direttiva n. 2020/1828, A. Cilento, new deal per i consumatori: risultati all’altezza delle ambizioni?, Contratto e impresa Europa, 2019, 3; G. De Cristofaro, Azioni “rappresentative” e tutela degli interessi collettivi dei consumatori. La “lunga marcia” che ha condotto all’approvazione della dir. 2020/1828/ue e i profili problematici del suo recepimento nel diritto italiano, in Le Nuove Leggi Civile Commentate, 2022, 4.

[34] A bene vedere, il Legislatore europeo, ai sensi dell’art.1, paragrafo 2 della Direttiva, è stato chiaro nell’esplicitare che “la presente direttiva non osta a che gli Stati membri adottino o mantengano in vigore i mezzi procedurali per la tutela degli interessi collettivi dei consumatori a livello nazionale. Tuttavia, gli Stati membri provvedono affinché almeno un meccanismo procedurale che consenta agli enti legittimati di intentare azioni rappresentative al fine di ottenere provvedimenti sia inibitori che risarcitori sia conforme alla presente direttiva”.

[35] Del resto, la libertà riservata ai Paesi membri si evince, ex art. 6, paragrafo 1, della Direttiva anche dalla scelta di rimettere alla loro valutazione l’opportunità di incardinare tali azioni rappresentative, nazionali e transfrontaliere, innanzi alle autorità giudiziarie o alle autorità amministrative. Tuttavia, in Italia, essendo ormai “consolidato” un sistema di tutela collettiva innanzi agli organi giudiziari, è apparso naturale ideare un modello che consentisse a tali azioni rappresentative di conservare carattere giurisdizionale.

[36] La collocazione nel Codice del Consumo si giustificava in ragion del fatto che si trattasse di strumenti esperibili esclusivamente a tutela degli interessi dei consumatori lesi.

[37] Rectius l’allegato II-septies del Codice del Consumo.

[38] L’obiettivo delle azioni rappresentative è proprio quello di ottenere provvedimenti inibitori e compensativi nei confronti dei professionisti che violino le specifiche disposizioni del diritto dell’Unione europea (di cui all’allegato I della Direttiva).

Come si evince, infatti, dall’art. 140 ter Cod. Cons., secondo comma, primo periodo – introdotto dal D.lgs. di recepimento della Direttiva (n. 28/2023) -“Le disposizioni di cui al presente titolo – inerente le azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori – si applicano alle azioni rappresentative promosse nei confronti di professionisti per violazioni delle disposizioni di cui all’allegato II-septies, che ledono o possono ledere interessi collettivi dei consumatori”.

[39]A ben vedere, oltre alla diversità dei presupposti sostanziali cui è subordinata l’esperibilità delle due azioni, sul fronte processuale, le stesse disposizioni di recepimento (d.lgs. n. 28/2023) più volte rinviano all’impianto dei procedimenti collettivi, laddove la disciplina risulti compatibile. Si vedano, ad esempio, gli artt. 140 septies, comma 7, Cod. Cons.,140-octies, comma 7, Cod. Cons. e 140-novies, comma 2, Cod. Cons.

[40] Il legislatore nazionale ha, infatti, previsto, ex art. 140 ter, comma 2, Cod. Cons. che “nel caso previsto nel primo periodo (ovvero ove gli enti legittimati abbiano già intentato azioni rappresentative) gli enti legittimati non possono agire con l’azione di classe prevista dal titolo VIII-bis del libro IV del Codice di Procedura Civile”.

[41] Chiarita l’incumulabilità e, quindi, l’alternatività dei due strumenti, giova evidenziare un precipuo tratto distintivo delle nuove forme di tutela: le azioni rappresentative non presuppongono l’attualità delle violazioni. In altri termini, l’azione rappresentativa potrà essere promossa anche ove le violazioni delle disposizioni di cui all’allegato II-septies Cod. Cons. siano cessate. Tanto è vero che l’art. 140-ter, comma quarto, Cod. Cons. chiarisce che “la cessazione delle violazioni intervenuta prima della conclusione dell’azione rappresentativa non determina la cessazione della materia del contendere”: sicché, l’esperibilità dell’azione rappresentativa e la continuità del giudizio prescindono dall’attualità della violazione in questione che, pertanto, al momento del giudizio potrà anche essere già cessata.

[42] L’art. 3, n.6) della Direttiva definisce le “azione rappresentative transfrontaliere” come azioni rappresentative intentate da un ente legittimato in uno Stato membro diverso da quello in cui l’ente legittimato stesso è stato designato.

[43] Per una disamina sulla conformità della legge n. 31/2019 ai principi europei, E. Benvenuti, La tutela collettiva risarcitoria dei consumatori nelle controversie transfrontaliere: diritto interno e prospettive di armonizzazione, in Riv. di Dir. Int. Priv. e Proc., 2020, 3.

[44] Si rammenta che già nel 2018 era disponibile, nota e divulgata la proposta di direttiva sulle azioni rappresentative – in seguito adottata – e la relativa relazione di accompagnamento. Il testo della proposta è ancora disponibile al sito

<<https://eur-lex.europa.eu/resource.html?uri=cellar:adba9e47-3e34-11e8-b5fe-01aa75ed71a1.0014.02/DOC_1&format=PDF >>.

[45] Per un approfondimento, M. A. Astone, Le transazioni concernenti i risarcimenti (art. 11 dir. 2020/1828/ue), in Le Nuove Leggi Civili Commentate, 2022, 4; D. Dalfino, Transazione, conciliazione e mediazione, in AA. VV., Class action ed azione collettiva inibitoria: la nuova disciplina (a cura di U. Ruffolo), Giuffrè Editore, 2021. Per un’analisi retrospettiva, A.D. De Santis, La proposta dell’impresa soccombente e le forme della conciliazione, in Foro.it., 2008, 209 ss.

[46] Si veda il considerando 25 e l’art. 4 della Direttiva.

[47] Tra i vari “considerando” si segnala il n. 39 che manifesta chiaramente l’intenzione del Legislatore europeo di evitare contenziosi abusivi: “Al fine di evitare contenziosi abusivi, gli Stati membri dovrebbero adottare nuove norme o applicare le norme esistenti conformemente al diritto nazionale tese a far sì che l’organo giurisdizionale o l’autorità amministrativa possa decidere di respingere i casi manifestamente infondati non appena riceve le informazioni necessarie per motivare la decisione”. Si rammenta che, seppur i “considerando” non condividano la medesima natura vincolante degli articoli, essi assolvono, tuttavia, un’importante funzione di guida interpretativa del dettato della Direttiva.

[48] L’art. 840 bis c.p.c. rinvia all’elenco istituito con Decreto n. 27 del 17 febbraio 2022 del Ministero della Giustizia che, a sua volta, riserva la legittimazione ai soli enti in possesso dei requisiti ivi previsti. A ben vedere, seppur formalmente la legge n. 31/2019 sia entrata in vigore il 19 Maggio 2020, il Decreto del Ministero della Giustizia che ha instituito l’elenco degli enti legittimati a far ricorso ai nuovi strumenti di tutela è solamente del 17 febbraio 2022. Pertanto può dirsi che la nuova disciplina sia divenuta effettivamente operativa solamente di recente: sono infatti veramente pochi i giudizi instaurati con il nuovo procedimento.

[49] Si rammenta che, ex art. 840 bis c.p.c., i soggetti legittimati sono i singoli appartenenti alla classe nonché le associazioni iscritte nell’elenco istituito dal Ministero della Giustizia, le quali, ai fini dell’iscrizione, devono soddisfare taluni specifici requisiti quali “l’essere state costituite almeno due anni  prima della presentazione della domanda di iscrizione all’elenco; avere sede nella Repubblica italiana  o  in  uno  degli  Stati membri dell’Unione europea; avere come  obiettivo  statutario,  anche  non  esclusivo,  la tutela di diritti individuali omogenei, senza scopo di lucro; avere un ordinamento  a  base  democratica,  con  convocazione degli iscritti con cadenza almeno annuale;  svolgere in modo continuativo, adeguato e stabile le attività statutarie; operare la  raccolta  delle  fonti  di  finanziamento  con  le modalità stabilite dal decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117; prevedere  requisiti   di   onorabilità   degli   associati, amministratori   o   rappresentanti   conformi   a   quelli   fissati dall’articolo 13 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58;  ed infine prevedere a livello statutario la trasparenza amministrativa e contabile, anche mediante la pubblicazione annuale del bilancio e  la revisione del medesimo ad opera di soggetti terzi”.

[50]Si tratta degli organismi pubblici indipendenti nazionali di cui all’art. 3. n. 6), del regolamento (UE) 2017/2394 del Parlamento europeo e del Consiglio (del 12 dicembre 2017), per tali intendendo quelle autorità pubbliche a livello nazionale, regionale o locale, designate da uno Stato membro come responsabili dell’applicazione delle norme unionali a tutela degli interessi dei consumatori (che facciano richiesta di essere legittimati). Si rileva che la scelta di legittimare anche le cd. autorità competenti, ovvero tali organismi pubblici indipendenti responsabili dell’applicazione della normativa unionale a tutela dei consumatori, è stata compiuta dal Legislatore italiano proprio usufruendo di quella facoltà che la Direttiva ha riservato agli Stati membri, ove prevede che gli stessi “possono designare enti pubblici come enti legittimati al fine di intentare azioni rappresentative”. Al riguardo, la Direttiva ha altresì previsto la possibilità di estendere tale legittimazione anche a quegli enti, già designati come legittimati in forza della precedente Direttiva 2009/22/CE (relativa ai provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori).

[51] In conformità a quanto previsto ai sensi dell’art. 5, paragrafo 1, secondo periodo, della Direttiva.

[52] Ai sensi dell’art. 2 “Istituzione e tenuta dell’elenco”, comma 4, del Decreto n. 27 del 17 febbraio 2022, si evince che “Ai fini del primo popolamento, sono incluse nell’elenco le Associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale che al momento dell’entrata in vigore del presente decreto risultano iscritte nell’elenco di cui all’articolo 137 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n.  206, tenuto presso il Ministero dello sviluppo economico e disciplinato con decreto del Ministro dello sviluppo economico 21 dicembre 2012, n. 260”.

[53] Si vedano gli artt. 3, 4 e 5 del Decreto n. 27 del 17 febbraio 2022 del Ministero della Giustizia.

[54] Appare quindi evidente che tale istanza di rinnovo dell’iscrizione presso l’elenco di cui al Ministero della Giustizia rispecchierà gli interessi delle associazioni, cui non è in alcun modo preclusa una forma di tutela difforme rispetto a quella prettamente consumeristica.

[55] Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della Direttiva si prevede che “Gli Stati membri provvedono affinché enti legittimati anticipatamente designati in un altro Stato membro per lo scopo di intentare azioni rappresentative possano proporre tali azioni rappresentative dinanzi ai rispettivi organi giurisdizionali o autorità amministrative”.

[56] In virtù dell’art. 5, paragrafo 1, ultimo periodo, della Direttiva, la Commissione istituirà un elenco di tutti gli enti legittimati dagli Stati membri e lo renderà pubblico.

[57]Si tratta dei medesimi presupposti di cui all’art. 140 quinquies, comma 2, Cod. Cons.

[58] In attuazione del paragrafo 3, dell’articolo 4 della direttiva, ai sensi dell’art. 140 quinquies, comma 2, si è previsto che “Possono essere iscritti nella sezione speciale di cui al comma 1 gli enti che ne fanno richiesta e le associazioni iscritte nell’elenco previsto dall’articolo 137 che lo richiedono, purché in possesso dei seguenti requisiti: a) avvenuta costituzione, per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, e dimostrazione di attività pubblica effettiva a tutela degli interessi dei consumatori nei dodici mesi precedenti la richiesta di iscrizione; b) possesso di uno statuto che preveda come scopo la tutela dei consumatori, nelle materie di cui all’allegato II-septies, e l’assenza di fine di lucro; c) non essere assoggettati a procedure per la regolazione dell’insolvenza; d) previsione nello statuto di regole, anche riferite alle cause di incompatibilità relative ai rappresentanti legali, idonee ad assicurare l’indipendenza dell’associazione e l’assenza di influenza da parte di persone diverse dai consumatori e in particolare da parte di professionisti che hanno un interesse economico a intentare azioni rappresentative, nonché misure idonee a prevenire e a risolvere conflitti di interesse che potrebbero insorgere tra l’associazione, i suoi finanziatori e gli  interessi dei consumatori; e) previsione della nomina di un organo di controllo, che vigila sul rispetto dei principi di indipendenza e delle misure di prevenzione e risoluzione dei conflitti di interessi e al quale si applica l’articolo 30, commi 5, 6, 7 e 8, del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, in quanto compatibile; f) rendere pubblico sul proprio sito internet e con eventuali altri mezzi appropriati lo statuto e una sintetica descrizione dell’attività svolta, redatta in un linguaggio semplice e comprensibile, comprensiva delle informazioni relative alla propria costituzione, all’oggetto sociale, all’attività effettivamente svolta a tutela degli interessi dei consumatori, all’iscrizione nella sezione speciale dell’elenco di cui all’articolo 137, all’inesistenza di procedure per la regolazione dell’insolvenza aperte nei propri confronti, alla propria indipendenza, nonché di informazioni sulle proprie fonti di finanziamento”.

[59] Si segnala, da ultimo, che il Legislatore, esercitando la facoltà riconosciutagli ai sensi dall’articolo 4, paragrafo 7, della Direttiva, ha altresì riconosciuto la legittimazione a proporre le azioni rappresentative transfrontaliere agli organismi pubblici indipendenti nazionali di cui all’articolo 3, numero 6), del regolamento (UE) 2017/2394, per tali intendendo – come già dianzi indicato – quelle autorità pubbliche a livello nazionale, regionale o locale, designate da uno Stato membro come responsabili dell’applicazione delle norme unionali sulla tutela degli interessi dei consumatori, che facciano richiesta di essere legittimati.

[60] Sezione speciale, la cui concreta costituzione, insieme alle procedure da osservare al fine di presentare la domanda di iscrizione è demandata ad apposito Decreto del Ministero delle imprese e del Made in Italy.

[61] Solamente nel Codice del Consumo, sono più di 15 i richiami alla disciplina dell’art. 137 Cod. Cons.: in via esemplificativa, si segnala che le associazioni di cui all’art. 137 Cod. Cons. rappresentano, ad esempio, i soggetti legittimati ad intentare l’azione inibitoria contrattuale di cui all’art. 37 nonché i componenti del Consiglio Nazionale dei consumatori e degli utenti.

[62] Si sottolinea che una della Pubbliche Amministrazione incaricate del recepimento della Direttiva è il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, quale Amministrazione già investita dell’istruttoria in merito agli enti iscritti nell’elenco delle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale ex art. 137 Cod. Cons. Di contro, ai sensi dell’art. 840 bis c.p.c. – che introduce i procedimenti collettivi – è il Ministero della Giustizia a tenere e gestire l’elenco degli enti legittimati ad esperire tali procedimenti. Pertanto, l’introduzione di tale ulteriore forma di legittimazione ad esperire azioni transfrontaliere ha suscitato interesse anche in merito all’individuazione del Ministero che sarà gravato dell’istruttoria in merito ad i nuovi enti legittimati.

[63] A ben vedere, il Legislatore europeo impiega, infatti, la nozione di provvedimento risarcitorio per riferirsi alla riparazione, alla sostituzione del bene, all’indennizzo, alla riduzione del prezzo e alla risoluzione del contratto Ebbene, tale discontinuità linguistica non è solamente formale ma anche sostanziale. L’art.9, paragrafo 1 (in inglese), riporta la seguente formulazione “A redress measure shall require a trader to provide consumers concerned with remedies such as compensation, repair, replacement, price reduction, contract termination or reimbursement of the price paid, as appropriate and as available under Union or national law”.

[64] Ex multis, C. Consolo, Le tutele, Padova, 2003; A. Di Majo, La responsabilità contrattuale. Modelli e rimedi, Torino, 2002; ID., Obbligazioni e Tutele, Torino, 2019; ID, Rimedi contrattuali, Torino, 2021; AA. VV., Le tutele contrattuali e il diritto europeo -Scritti per Adolfo di Majo (a cura di S. Mazzamuto), Napoli, 2012; V. Scalisi, Lineamenti di una teoria assiologica dei rimedi giuridici, in Processo e tecniche di attuazione dei diritti. Omaggio a Salvatore Mazzamuto a trent’anni dal convegno palermitano (a cura di G. Grisi), Napoli, 2019; AA.VV. Manuale di diritto privato europeo I e II (a cura di S. Mazzamuto e C. Castronovo), Milano, 2007; AA.VV. Processo e tecniche di attuazione dei diritti (a cura di S. Mazzamuto) Napoli, 1989.

[65] L’attuale azione di classe, disciplinata dal Codice di Procedura Civile, consente, infatti, di ottenere il risarcimento o la restituzione delle cose dovute ovvero “la condanna del resistente al pagamento delle somme o delle cose dovute a ciascun aderente a titolo di risarcimento o di restituzione” ex art. 840-octies c.p.c. Si rammenta che, ai tempi del recepimento, fosse ancora molto dibattuta l’effettiva portata della tutela che l’azione di classe avrebbe dovuto garantire: sul punto R. Pardolesi, Inadempimento contrattuale, danno non patrimoniale, azione di classe: note minime su disvalore, disappunto, irrisorietà e altro ancora, in Danno. e Resp., 2020,1.

[66] Anche l’azione di classe di cui all’art. 140 bis Cod. Cons. era volta ad attenere provvedimenti che disponessero risarcimenti e restituzioni. Per cogliere le peculiarità della disciplina previgente, si veda A. Carratta, L’azione collettiva risarcitoria e restitutoria, presupposti ed effettivi, in Riv. Dir. Proc., 2008, 727.

[67] Sicché, ai sensi dell’art. 140 ter, comma primo, lettera h), Cod. Cons., il Legislatore nazionale definisce il “provvedimento compensativo”, come “una misura volta a rimediare al pregiudizio subito dal consumatore, anche attraverso il pagamento di una somma di denaro, la riparazione, la sostituzione, la riduzione del prezzo, la risoluzione del contratto o il rimborso del prezzo pagato, secondo quanto previsto dalle disposizioni di cui all’allegato II-septies”.

[68] Si guardi l’art. 140 novies Cod. Cons.

[69] Per tali intendendo la legittimazione ad agire, la forma e le condizioni di ammissibilità della domanda.

[70] Del resto, tale facoltà gli è concessa dalla stessa Direttiva, ove si prevede ( ex art. 9, paragrafo 2) che “gli Stati membri stabiliscono norme su come e in quale fase di un’azione rappresentativa volta a ottenere provvedimenti risarcitori i singoli consumatori interessati da tale azione rappresentativa possano esprimere esplicitamente o tacitamente la propria volontà di essere rappresentati o meno dall’ente legittimato in detta azione rappresentativa e di essere vincolati o meno dall’esito dell’azione stessa, entro un limite di tempo appropriato dopo la proposizione di detta azione rappresentativa”.

[71] A titolo esemplificativo, si consideri l’articolo 9, paragrafo 5, della Direttiva – dedicato in toto alla disciplina dei procedimenti risarcitori – ove si prevede che “Nel caso in cui un provvedimento risarcitorio non specifichi i singoli consumatori che hanno il diritto di beneficiare dei rimedi previsti dal provvedimento risarcitorio, esso contiene almeno una descrizione del gruppo di consumatori che ha il diritto di beneficiarie di tali rimedi”. Ebbene, la stretta continuità tra quanto richiesto dalla Direttiva e la disciplina di cui agli articoli 840-sexies e 840-octies c.p.c. conferma, a fortiori, la ragionevolezza della scelta operata dal Legislatore nel rinviare alle disposizioni processual- civilistiche di cui dall’art. 840– quater a 840-terdecies c.p.c.

[72] Ciò significa che la disciplina del procedimento e del rito, le modalità di adesione, il progetto dei diritti individuali omogenei degli aderenti, così come anche l’impugnazione dei provvedimenti e l’esecuzione forzata collettiva sono pertanto interamente disciplinate dal Codice di Procedura Civile. Quanto al rito, si osserva che l’art. 140 septies Cod. Cons., al comma 7, prevede che “Il procedimento è regolato dal rito semplificato di cui al libro secondo, titolo I, capo III-quater, del codice di procedura civile, in quanto compatibile […]”. Giova rammentare che il rito semplificato è stato introdotto dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149 (“Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata”), che ha contestualmente abrogato il rito sommario di cognizione, attualmente previsto dagli articoli 702 bis e ss. c.p.c. Non di meno, insistendo sul novero degli elementi procedurali affini tra l’azione di classe di cui al c.p.c. e le azioni rappresentative volte ad ottenere provvedimenti compensativi, si segnala che lo stesso comma 7 prevede che non si applichi il primo comma dell’articolo 281 duodecies c.p.c. Pertanto, analogamente a quanto già prevede l’art. 840 ter c.p.c. nell’ambito dell’azione di classe, si esclude la possibilità di un mutamento del rito da semplificato in ordinario anche nelle azioni rappresentative. Infine, analogamente al disposto di cui all’art. 840 bis c.p.c., comma 4, si prevede che l’esperimento dell’azione rappresentativa – così come dell’azione di classe nell’ambito dei procedimenti collettivi – non alteri il diritto all’azione individuale: l’art 140 septies Cod. Cons, al comma 7, prevede, infatti “In ogni caso, resta fermo il diritto all’azione individuale”.

[73] Al riguardo si osserva che, nell’ambito delle azioni di classe, l’art. 840 ter c.p.c. prevede che il ricorso introduttivo si proponga innanzi alla sezione specializzata in materia di impresa. Ebbene, l’art. 140 septies Cod. Cons., comma 4, propone la medesima disciplina. Ciò significa che le sezioni specializzate in materia di impresa, territorialmente competenti, saranno investite tanto delle azioni di classe di cui al Codice di Procedura Civile, tanto delle azioni rappresentative consumeristiche. A ben vedere, le differenze tra le due azioni – che condividono gran parte dell’iter procedimentale – si ravvisano con riguardo alla disciplina degli enti legittimati ed ai differenti motivi della doglianza. In tal modo, le sezioni specializzate in materia di impresa costituiranno il vero e proprio polo della tutela collettiva, assunto che tanto l’art. 840 ter c.p.c. quanto l’art. 140 septies Cod. Cons. sanciscono, entrambe, l’inderogabilità ovvero l’esclusività di tale foro.

[74] In rapporto alla tutela risarcitoria, si veda anche A.D. De Santis, La tutela giurisdizionale collettiva. Contributo allo studio della legittimazione ad agire e delle tecniche risarcitorie ed inibitorie, Napoli, 2013, 460 ss.

[75] Si pensi al quadro già delineato dalle direttive comunitarie n. 98/27/EC e 2009/22/EC relative ai provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori.

[76] Per un maggior approfondimento, C. Granelli, Pratiche commerciali scorrette: le Tutele, Milano, 2021.

[77] In merito all’intervento del 2019, M. Stella, La nuova azione inibitoria collettiva ex art. 840-sexiesdecies c.p.c. Tra tradizione e promesse di deterrenza, in Corr. giur., 2019; G. Basilico, L’inibitoria collettiva secondo la Legge 12 aprile 2019 n. 31, in Riv. Dir. Proc., 2019.

[78] In merito alla cd. “generalizzazione” della tutela collettiva inibitoria, A. Bellelli, Riflessioni critiche sull’azione inibitoria collettiva nella nuova formulazione introdotta nel codice di procedura civile, in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2021, 6; A. Tedoldi – G.M. Sacchetto, La nuova azione inibitoria collettiva ex art. 840 sexiesdecies c.p.c., Riv. Dir. Proc., 2021, 1.

[79]Dall’art. 37 Cod. Cons, si evince che “Le associazioni rappresentative dei consumatori, di cui all’articolo 137[…], possono convenire in giudizio il professionista o l’associazione di professionisti che utilizzano, o che raccomandano l’utilizzo di condizioni generali di contratto, e richiedere al giudice competente che inibisca l’uso delle condizioni di cui sia accertata l’abusività ai sensi del presente titolo”.

[80] Preme, quindi, osservare che il sistema vigente consta di una peculiarità. Mentre l’azione di classe – coprendo l’amplissima area della responsabilità precontrattuale, contrattuale ed extracontrattuale – è la sola azione posta a presidio di disparate vicende giuridiche, l’azione collettiva inibitoria – pur assolvendo ad una speculare funzione in ambito inibitorio – convive con l’art. 37 Cod. Cons. che continua, invece, ad avere un ambito di azione prettamente consumeristico. Ebbene, soffermandosi sulla legittimazione attiva in tali disparate azioni, emerge che l’azione di classe è esperibile da chiunque vanti una pretesa risarcitoria in merito alla lesione di diritti individuali omogenei; l’azione collettiva inibitoria, più genericamente, da chiunque abbia interesse ad ottenere l’ordine di cessazione o il divieto di reiterazione di una condotta omissiva o commissiva, a tutela di interessi collettivi. Mentre, infine, l’art. 37 Cod. Cons. legittima le associazioni dei consumatori: è quindi peculiare osservare che la tutela inibitoria collettiva trovi, nello stesso Codice del consumo, un duplice canale. Sulla nozione in sé di tutela inibitoria, si veda anche F. Petrolati, Inibitoria, in ilprocessocivile.it, 2022.

[81] Si consideri D. Amadei, L’azione collettiva inibitoria. Sistema, tutele ed attuazione, Torino, 2018.

[82] Più precisamente, ex art. 37, si prevede che, in presenza di motivi di urgenza possa essere concesso un provvedimento inibitorio a norma degli articoli 669 bis c.p.c. e seguenti. Ebbene, gli artt. 669 bis c.p.c. e seguenti disciplinano il procedimento cautelare che rientra nel novero dei procedimenti sommari di cui al libro IV, titolo I del Codice di Procedura Civile.

[83] Sul punto, U. Ruffolo, Interessi collettivi (e diffusi), azione inibitoria collettiva e “misure idonee” correttive in AA. VV., Class action ed azione collettiva inibitoria: la nuova disciplina (a cura di U. Ruffolo), Giuffrè Editore, 2021.

[84] A fonte della mancata previsione di una tutela inibitoria cautelare, in molti si sono pronunciati ricercando una via alternativa per una pronta tutela inibitoria. Preme riportare il pensiero di I. Pagni, L’azione inibitoria collettiva, in Giurisprudenza Italiana, 2019, 2330 ss. secondo cui “la mancata previsione dell’inibitoria cautelare non esclude il ricorso all’art. 700 c.p.c., […] tuttavia l’accoglimento sarà subordinato all’accertamento dell’irreparabilità del pregiudizio lamentato, circostanza più difficile da verificarsi, data la natura spesso patrimoniale degli interessi collettivi azionati”. Nello stesso senso, si è pronunciato in più occasioni A.D. De Santis, L’azione inibitoria collettiva, in Foro.it, 2019, 391; ID, I procedimenti collettivi. L’azione di classe e l’azione inibitoria collettiva nel codice di procedura civile, in Giusto proc. civ., 2019, 748.

[85] Come dianzi accennato, l’abrogato art. 140 Cod. Cons. già prevedeva che i provvedimenti inibitori potessero essere emessi in via sommaria ed avere, quindi, carattere anche solamente temporaneo, laddove in seguito reclamati o riformati.

[86] Così denominati dall’art. 8 della Direttiva. Il Legislatore europeo, è infatti chiaro nel prevedere che “I provvedimenti inibitori dovrebbero comprendere misure definitive e provvisorie. Al riguardo, si legga il “considerando” 40 ai sensi del quale “I provvedimenti inibitori dovrebbero comprendere misure definitive e provvisorie. Le misure provvisorie potrebbero includere misure temporanee, misure precauzionali e preventive per porre fine a una pratica in corso o per vietare una pratica nel caso in cui non sia stata posta in essere ma presenti il rischio di causare un danno grave o irreversibile ai consumatori”. Tale “considerando” si sposa con l’ulteriore “considerando” 67 che, pur non avendo valore prescrittivo, assolve un importante funzione interpretativa, prevedendo che “le azioni rappresentative volte a ottenere provvedimenti inibitori con effetto provvisorio dovrebbero essere trattate mediante procedura sommaria al fine di evitare eventuali ulteriori danni cagionati dalla violazione, ove opportuno”. È peculiare osservare che la dottrina si sia già espressa in questo senso sulla natura del provvedimento inibitorio. Si veda, infatti, M. Taruffo, Modelli di tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, in L. Lanfranchi (a cura di), La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, Torino, 2003, 53 ss.

[87] Come oggi previsto dall’art. 140-octies Cod. Cons., il provvedimento inibitorio può diversamente atteggiarsi. Si distingue il provvedimento con cui il giudice ordina la cessazione o il divieto di reiterazione della condotta omissiva o commissiva – posta in essere dal professionista in violazione delle disposizioni di cui all’allegato II-septies – dall’ulteriore ordine di pubblicare il provvedimento, a spese del professionista, integralmente o per estratto, su uno o più quotidiani a diffusione nazionale o locale (ovvero la pubblicazione di una rettifica).

[88] Si veda l’art. 140-octies Cod. Cons., comma 3, ove si prevede che “si applicano i commi dal quarto al quattordicesimo dell’art. 840-quinquies del Codice di Procedura Civile”. Sicché, al pari di quanto già considerato con riguardo all’azione di classe, anche l’iter procedimentale delle due tutele inibitorie è il medesimo.

[89]L’art. 8, paragrafo 4 della Direttiva rimette alla scelta degli Stati membri la possibilità di “introdurre disposizioni nel loro diritto nazionale o di mantenere disposizioni legislative nazionali conformemente alle quali un ente legittimato può chiedere il provvedimento inibitorio di cui al paragrafo 1, lettera b), soltanto dopo aver avviato consultazioni con il professionista interessato affinché il professionista ponga fine alla violazione di cui all’articolo 2, paragrafo 1. Se il professionista non fa cessare la violazione entro due settimane dal ricevimento della richiesta di consultazione, l’ente legittimato può intentare immediatamente un’azione rappresentativa volta a ottenere un tale provvedimento inibitorio”.

[90] Si è così previsto che l’azione in questione possa essere esperita solo una volta decorsi quindici giorni dalla data in cui gli enti legittimati abbiano tentato di comporre la vicenda, richiedendo – in via stragiudiziale – la cessazione del comportamento lesivo degli interessi dei consumatori e degli utenti. Come previsto dall’art. 140 octies, comma 8, Cod. Cons. “In ogni caso l’azione di cui al presente articolo può essere proposta solo dopo che siano decorsi quindici giorni dalla data in cui gli enti legittimati abbiano richiesto al professionista, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento ovvero a mezzo posta elettronica certificata o altro servizio elettronico di recapito certificato qualificato, la cessazione del comportamento lesivo degli interessi dei consumatori e degli utenti”.

[91] La previsione recepisce l’art. 8, paragrafo 3, lettera b) della Direttiva, a norma del quale “Affinché un ente legittimato possa chiedere un provvedimento inibitorio […] l’ente legittimato non è tenuto a provare: a) e perdite o i danni effettivi subiti dai singoli consumatori lesi dalla violazione di cui all’articolo 2, paragrafo 1; b) la condotta intenzionale o negligente del professionista”.

[92] Per un’analisi del cd. filtro di ammissibilità nella previgente azione di classe di cui all’art. 140 bis Cod. Cons., M. Bove, Profili processuali dell’azione di classe, in Giust, proc. Civ, 2010, 1027.

[93] Si intende dire che le azioni rappresentative sono volte a tutelare “gli interessi di un numero di consumatori che sono stati o potrebbero essere danneggiati da una violazione delle disposizioni” espressamente indicate nell’allegato II-septies del Codice. Il riferimento è tratto dall’art. 140 ter, comma 1, lettera c, Cod. Cons che, a sua volta, richiama la definizione di cui alla Direttiva.

[94] In merito all’ammissibilità dell’azione di classe, di cui ai procedimenti collettivi, alla sua ratio ed all’articolazione, si veda L. Caputo – M. Caputo, La nuova Class Action,in Collana Il Civilista, Milano, 2019, 25 ss. Si osserva che il sistema previgente, di cui al Codice del Consumo, già disciplinava, negli stessi termini, il giudizio di ammissibilità. L’unica differenza di carattere processuale si ravvisa nell’espressa indicazione del termine di 30 giorni entro cui deve essere pronunciata l’ordinanza di inammissibilità/ammissibilità. Pertanto, in virtù di quanto rilevato, la dottrina ha ritenuto possibile estendere ai procedimenti collettivi tutta la giurisprudenza maturata sull’abrogato art. 140 bis Cod. Cons. Quanto invece all’attuale giudizio di ammissibilità previsto ex art. 140 septies, comma 8, Cod. Cons. per le azioni rappresentative, le nuove cause di inammissibilità rappresentano il diretto recepimento della Direttiva.

[95] L’art 140 septies, comma 8, Cod. Cons. prevede che la domanda sia inammissibile ove a) manifestamente infondata; b) priva degli elementi necessari ad individuare il gruppo dei consumatori interessati dall’azione rappresentativa.  Quanto alla manifesta infondatezza, tale ragione, oltre ad essere condivisa con la disciplina dei procedimenti collettivi, è espressione dell’obbligo imposto agli Stati membri di garantire che i casi manifestamente infondati siano tempestivamente respinti.

[96] Ai sensi dell’art. 140-septies, comma 8, lettera c), è così previsto che “la domanda è inammissibile se il Tribunale non ravvisa l’omogeneità dei diritti individuali per cui è richiesta l’adozione di provvedimenti compensativi”.

[97] Si rileva che le previsioni delle nuove azioni rappresentative, volte ad ottenere provvedimenti compensativi, rinviano in molteplici parti, alla disciplina processualistica dell’azione di classe di cui ai procedimenti collettivi. In particolare, tra le previsioni applicabili (dall’art. 840– quater all’art. 840-terdecies), figura anche l’art. 840-octies che, non a caso, disciplina proprio il progetto dei diritti individuali omogenei degli aderenti alla class action.

[98] I singoli consumatori sono soddisfatti attraverso il progetto dei diritti individuali omogenei degli aderenti, per la cui disciplina si rinvia all’art. 840-octies c.p.c.

[99] Indicazioni di cui all’art. 5, paragrafo 4, della Direttiva.

[100] La causa di inammissibilità data dal “conflitto di interesse” deriva dal recepimento dell’art. 10, paragrafo 2, lettera b, e paragrafo 4.

[101] Ai sensi dell’art. 140-septies, comma 8, lettera e), il Legislatore prevede che la domanda è inammissibile “quando l’azione è promossa in conflitto di interessi, in particolare se risulta che il soggetto che ha finanziato l’azione è concorrente del convenuto o dipende da quest’ultimo. In questo caso il giudice solleva anche di ufficio la questione ed assegna all’ente ricorrente un termine entro cui rifiutare o modificare il finanziamento”.

[102] Per stato di “conflitto di interessi”, deve intendersi quanto indicato dall’art. 10 della Direttiva, rubricato “finanziamenti delle azioni rappresentative volte ad ottenere provvedimenti risarcitori” : tale articolo richiede che il ricorrente non versi in uno stato di conflitto di interessi nei confronti del resistente, precludendo la possibilità di intentare azioni rappresentative nei confronti di un convenuto concorrente dell’erogatore del finanziamento ovvero di un convenuto dal quale l’erogatore del finanziamento dipende.

[103] Al riguardo, è l’art. 140-septies, comma 8, lettera f), a contemplare l’ipotesi in cui “l’oggetto sociale dell’ente legittimato che ha proposto la domanda non giustifichi l’esercizio dell’azione”.

[104] Così come si evince dall’art. 840 quinquies c.p.c., comma 1.

[105] Così come si evince dall’art. 840 sexies c.p.c., comma 1, lettera e).

[106] Come previsto ai sensi dell’art. 140-septies, comma 1, Cod. Cons.

[107] L’art. 8, paragrafo 3, della Direttiva prevede che “affinché un ente legittimato possa chiedere un provvedimento inibitorio, i singoli consumatori non sono tenuti a manifestare la volontà di farsi rappresentare da tale ente legittimato”.

[108] L’articolo 840 sexiesdecies c.p.c. prevede, infatti, che “Quando l’azione inibitoria collettiva è proposta congiuntamente all’azione di classe, il giudice dispone la separazione delle cause”.

[109] All’art. 7, paragrafo 5, si prevede, infatti, che “Gli Stati membri possono consentire agli enti legittimati di richiedere i provvedimenti risarcitori ed inibitori con un’unica azione rappresentativa, se del caso”.

[110] Per ragioni di completezza, preme rammentare che la questione della separazione delle cause costituiva ragione di argomentazione anche nella vigenza degli abrogati artt. 139, 140 e 140 bis Cod. Cons. Si osserva che la dottrina prevalente escludesse la possibilità di una trattazione congiunta delle due cause in caso di contemporanea pendenza dell’azione di classe e dell’azione inibitoria, insistendo anche sul dato dell’ormai abrogato art. 140 Cod. Cons che, al comma 10, prevedeva il divieto di intervento volontario ex art. 105 c.p.c. Sul punto, si consideri S. Caporusso, L’azione di classe nel diritto vivente: un laboratorio in itinere, in Riv. Dir. Proc., 2014, 5, 1199; G. Costantino – C. Consolo, Prime pronunce e qualche punto fermo sull’azione risarcitoria di classe, in Corr. Giur., 2010, 8, 985; C. Punzi, L’azione di classe a tutela dei consumatori e degli utenti, in Riv. Dir. Proc., 2010,2,253; E. Marinucci, Il rapporto tra le azioni collettive previste nel codice del consumo dopo l’introduzione della nuova azione collettiva risarcitoria, in Corr. Giur. 2008, 1024.

[111] Si consideri l’art. 140-septies, comma 1, Cod. Cons.

[112] Sul punto, D. Amadei, Class Action Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n.31 (a cura di B. Sassani), in Quaderni di Judicium, 2019, 6, 2 ss.;

[113] Cfr. C. Iurilli, Interessi superindividuali e danno collettivo,in Collana Università degli studi di Roma Tor Vergata: pubblicazioni della facoltà di giurisprudenza, Milano, 2016.

[114] Per una riflessione di più ampio respiro in merito ai finanziamenti della lite nell’ambito dell’azione di classe, si veda A. Giussani, Class Actions e finanziamenti delle liti, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 2022, 2.

[115] Si veda l’art. 20 della Direttiva che disciplina in toto l’assistenza agli enti legittimati, ove ai primi due paragrafi si prevede che “Gli Stati membri adottano misure intese a garantire che le spese di procedimento relative alle azioni rappresentative non impediscano agli enti legittimati l’effettivo esercizio del loro diritto di chiedere i provvedimenti di cui all’articolo 7.Le misure di cui al paragrafo 1 possono assumere, ad esempio, la forma di finanziamento pubblico, compreso il sostegno strutturale agli enti legittimati, l’applicazione di diritti amministrativi e giudiziari contenuti o l’accesso al patrocinio a spese dello Stato”.

[116] Si consideri l’art. 199 D.P.R n.115/2002.

[117] Preme rammentare che, in Italia, l’istituto del patrocinio a spese dello Stato è posto a presidio del diritto di difesa (che conosce fondamento costituzionale). Tale istituto consente ai cittadini non abbienti di essere rappresentati in giudizio a spese dello Stato, facendosi assistere da un avvocato iscritto nelle apposite liste. La materia nella sua complessità è trattata nel D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia”.

[118] Da taluni manuali (ex multis S. Brazzini-P.P. Muia’, La nuova classa action, Torino, 2019) viene altresì definito cd “quota lite”.

[119] Preme precisare che il meccanismo doveva intendersi riservato a coloro i quali fosse stata riconosciuta la legittimità della pretesa azionata in giudizio.

[120] Con l’intervento del 2019 si è così previsto che il giudice investito dell’azione di classe, debba disporre, a carico del resistente – in forza dei parametri predeterminati ai sensi dell’art. 840 novies c.p.c. – l’ammontare del compenso per l’avvocato che abbia assistito il ricorrente sino alla sentenza di accoglimento nonché per il rappresentante comune degli aderenti investito del potere di compiere, per loro conto, tutti gli atti di natura sostanziale e processuale.

[121] Per ragioni di completezza si dà nota della temporanea crisi conosciuta, anche in America, dall’istituto della class action. Per una ricostruzione sul punto, N. Trocker, La class action negli stati uniti: lo stato dell’arte, in Riv. Dir. Proc., 2020, 2.

[122] Ex multis, si considerino le osservazioni sollevate dalla Confederazione Generale Italiana delle Imprese, delle Attività Professionali e del Lavoro Autonomo – Confcommercio – innanzi alle Commissioni  Riunite di Giustizia (II) e dell’industria, Commercio e Turismo (X) presso il Senato, disponibili online, al link <<https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg18/attachments/documento_evento_procedura_commissione/files/000/000/985/2018_12_19_-_Confcommercio.pdf>>. In questa sede, Confcommercio sostenne che il compenso premiale avrebbe rappresentato lo strumento per favorire condotte meramente speculative ed opportunistiche, incentivando le occasioni di contenzioni pretestuosi.

[123] Sono, quindi, rimaste senza seguito tutte quelle osservazioni avanzate in merito al rischio che il sistema di cui all’art. 840 novies c.p.c. sortisse effetti distorsivi, agendo come incentivo alla litigiosità. Si sono, infatti, rivelate prive di fondamento quelle previsioni secondo cui la nuova struttura dei procedimenti collettivi avrebbe incentivato il numero di contenziosi meramente speculativi in quanto caratterizzata dalla coesistenza del meccanismo del cd. compenso premiale e della possibilità di aderire all’azione di classe, anche successivamente alla sentenza che accerti la soccombenza dell’impresa resistente.

[124] A ben vedere, tra le diverse disposizioni richiamate dall’art. 140-novies Cod. Cons., si menziona anche l’art. 840-novies c.p.c. che troverà, quindi, applicazione anche nelle nuove azioni rappresentative volte ad ottenere provvedimenti compensativi.

[125] Sul punto si veda l’art. 20, paragrafo 3, ove è previsto che gli Stati membri possano adottare “norme che consentano agli enti legittimati di chiedere contributi di adesione o analoghi oneri di modesta entità ai consumatori che abbiano espresso la propria volontà di essere rappresentati da un ente legittimato nell’ambito di una determinata azione rappresentativa di natura risarcitoria”

[126] A ben vedere, l’art. 840 sexies, lettera h), – richiamato nel Codice del Consumo – prevede che “Con la sentenza che accoglie l’azione di classe, il tribunale determina, ove necessario, l’importo da versare a cura di ciascun aderente, ivi compresi coloro che hanno aderito a norma dell’articolo 840 quinquies, primo comma, a titolo di fondo spese e stabilisce le modalità di versamento”.

[127] Al riguardo, si consideri l’art. 140-quaterdecies. Si è così previsto che il contributo unificato per le azioni rappresentative sia dovuto nella misura indicata dall’art. 13, comma 1, del DPR n. 115/2002, ridotto alla metà, nonché che, al contempo, non trovi applicazione l’art. 13 comma 1-ter.  Tale art. 13, comma 1-ter, D.P.R. n. 115/2002 – prevedendo un contributo unificato raddoppiato per le questioni di competenza delle sezioni specializzate – troverebbe compiuta applicazione in tutte le azioni rappresentative in ragione della riconosciuta competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa. L’espressa deroga all’applicazione di tale comma evita, quindi, che quel contributo, ridotto alla metà per mezzo del primo periodo dell’art. 140-quaterdecies, sia in seguito raddoppiato per mezzo di tale previsione.

[128] Al riguardo si osserva che i procedimenti di cui agli articoli 840 bis e ss. c.p.c., in quanto assoggettati, al momento della loro entrata in vigore, al rito sommario di cognizione ex articolo 702 bis c.p.c., risultano soggetti al pagamento del contributo unificato in misura pari alla metà. Ad operare è la previsione di cui all’articolo 13 comma 3 del D.P.R. n.115/2002 che riserva una contribuzione agevolata ai procedimenti speciali previsti nel libro IV, titolo I (procedimenti sommari) del c.p.c. Tuttavia, per ragioni di completezza, si rammenta, come dianzi accennato, che tra le novità introdotte dalla Legge n. 206 del 26 novembre 2021, si rinviene anche la riforma del procedimento sommario di cognizione (artt. 702-bis e ss. c.p.c.), abrogato dalle nuove previsioni che disciplinano il “procedimento semplificato di cognizione”: sul punto, C. Vellani, Brevi note alle norme in materia di processo semplificato, in Riv. Trim. dir. e proc. Civ., 2021, 4.

[129] Per gli aspetti processuali dell’azione di classe, B. Tabasco, Class Action, in Ilprocessocivile.it, 2021.

[130] Si premetta che il Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 disciplina il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. Il relativo art. 13, “degli importi”, prevede al comma 3 che “Il contributo è ridotto alla metà per i processi speciali previsti nel libro IV, titolo I, del codice di procedura civile, compreso il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento e per le controversie individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego, salvo quanto previsto dall’articolo 9, comma 1-bis”.

[131] Si rileva, infatti, che molte delle facoltà riconosciute agli Stati membri dalla Direttiva già appartenevano al sistema dei procedimenti collettivi. La direttiva rimette agli Stati membri la possibilità di optare, ai fini dell’adesione all’azione di classe, per un sistema di opt in o di opt out: ebbene, con la disciplina dei procedimenti collettivi – che, nel 2019, aveva inglobato l’azione di classe consumeristica – il Legislatore aveva già previsto un sistema di opt in. Ed ancora, la maggior parte degli obblighi informativi previsti dalla Direttiva con riferimento ai consumatori ed ai cd” resistenti” in giudizio, risultano già propri della disciplina di cui al Codice del Consumo. Per interessanti riflessioni in merito alla dualità dei sistemi di opt in-opt out: G. Bertolini, L’opt out nell’azione risarcitoria collettiva. Una contrarietà davvero giustificata? Analisi del dibattito e prospettive di riforma, in Riv. Trim. dir. Proc. Civ, 2916, 4775. In senso contrario, per una politica che volga all’adozione del sistema dell’opt out: C. Consolo, L’azione di classe, trifasica, infine inserita nel c.p.c., in Riv. Dir. Proc., 2020, 2; E. Ferrante, “Opt out” ed incentivi d’oltreoceano: idee per una vera class action in Italia ed in Europa, in Contr. e Imp. Eu., 2012, 483 ss.

[132] Si rammenta, infatti, che le azioni rappresentative abilitano ad agire i soli enti legittimati, iscritti nell’elenco di cui all’art. 137 Cod. Cons., e non certo il singolo – eventualmente rappresentante di una collettività – e sempre ove, non di meno, ad esser violate siano le specifiche disposizioni di cui all’allegato II-septies del Codice del Consumo.