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La mancata contestazione della qualita’ di erede
Di Claudia Onniboni -
Corte di Cassazione, Sez. III civile, sent. 9 maggio 2023, n. 12309 – Pres. Travaglino – Est. Rossetti – P.M. De Matteis (conf.) – Soc. UnipolSai assicurazioni (avv. Graziosi) – C. (avv.ti Guardascione, Caltabiano, Maffei Alberti). Conf. App. Bologna 11 febbraio 2020.
Processo civile – Legittimazione ad impugnare – Allegazione e prova – Principio di non contestazione.
Lo status di coniuge, quale elemento fondante la legittimazione ad agire in giudizio, può considerarsi dimostrato per effetto della non contestazione.
I fatti di causa rilevanti e lo svolgimento del processo.
Si ritiene opportuno premettere la vicenda processuale che ha dato occasione alla decisione in commento[1]. Nell’ottobre 2004, B.T. prendeva il largo dal porto di Capraia su una imbarcazione di proprietà del padre B.A., insieme a B.L. e S.G. Dell’imbarcazione si persero le tracce e l’autorità marittima, tempo dopo, recuperava il natante alla deriva, il corpo di di B.L. e alcuni resti di S.G. Quanto a B.T., non veniva mai ritrovato e il Tribunale di Bologna ne dichiarava la scomparsa. Nel 2006 S.R., in proprio e nella qualità legale rappresentante della figlia minore, conveniva in giudizio C, curatrice dello scomparso B.T., e la compagnia di assicurazione della responsabilità civile del natante, chiedendone la condanna al risarcimento del danno patito a seguito della morte di S.G. Nel processo interveniva B.A., in qualità di assicurato e di proprietario dell’imbarcazione, chiedendo la manleva nei confronti dell’assicurazione che all’atto della costituzione, eccependo l’inoperatività della polizza assicurativa, aveva proposto domanda di regresso nei confronti di C., curatrice dello scomparso, e di B.A.
Il Tribunale di Bologna, in accoglimento delle domande proposte dagli attori, condannò C., B.A. e la compagnia di assicurazione al risarcimento del danno, e in accoglimento della domanda formulata da quest’ultima condannò C. e B.A. in via di regresso nei confronti dell’assicurazione.
Avverso la pronuncia di primo grado proponeva appello C., coniuge e erede di B.A., nel frattempo deceduto, nei confronti della compagnia di assicurazione limitatamente al capo della sentenza che aveva escluso l’operatività della polizza assicurativa stipulata da B.A.
L’assicurazione si costituiva in giudizio eccependo l’inammissibilità del gravame, censurando il difetto di legittimazione ad impugnare, per non avere C. provato la sua qualità di coniuge e così di erede della parte deceduta dopo la conclusione del giudizio di primo grado.
Per quanto qui interessa, la Corte d’appello di Bologna, rilevando come mai fosse stata questione controversa fra le parti in causa che C. fosse la moglie di B.A., e altresì come semmai sarebbe spettato alla compagnia che eccepiva il difetto di legittimazione ad impugnare dare prova dell’assenza della qualità di erede in capo alla coniuge del de cuius, rigettava l’eccezione di inammissibilità del gravame e accoglieva l’appello.
Contro la sentenza di appello proponeva ricorso la compagnia di assicurazione che, con il primo motivo di ricorso, denunciava la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c. sostenendo che C. aveva impugnato la sentenza di prime cure assumendo di essere coniuge e erede di B.A. ma che di tale presupposto, e così della legittimazione ad impugnare, non aveva mai fornito la prova. In particolare, la compagnia censurava la sentenza d’appello laddove, al contrario, aveva dichiarato pacifica la qualità di coniuge e erede in capo all’appellante rilevando, in primo luogo, come nel giudizio di primo grado, non vi era, da parte sua, alcun onere di contestazione trattandosi di questione irrilevante ai fini del giudizio (essendo B.A. ancora in vita e parte del processo); e in secondo luogo il fatto che essendo lo status personale di coniuge indisponibile esso era da considerarsi sottratto all’operatività del principio di non contestazione.
Le ragioni della decisione
La Suprema Corte ha dichiarato infondato il motivo di ricorso in esame rilevando come la compagnia di assicurazione mai aveva contestato, né in primo grado né in appello, la qualità di coniuge del de cuius affermata dalla parte appellante e osservando, per contro, come la predetta qualità era stata invece, in alcuni degli atti processuali dei precedenti gradi del giudizio, non solo non contestata ma anzi ripetutamente affermata e riconosciuta dalla compagnia.
Secondo la corte, gli status personali, come quello derivante dal rapporto di coniugio (coniuge e dunque erede), ben possono ritenersi dimostrati in ragione dell’operare del principio di non contestazione quando essi rappresentano uno degli elementi costitutivi della legittimazione ad impugnare. Viceversa, lo status personale, in quanto diritto indisponibile, si sottrae al principio di non contestazione quando costituisce l’oggetto diretto del giudizio e del giudicato. Posto che nella fattispecie sottoposta all’esame della corte, la coniuge ed erede del de cuius (quest’ultimo parte soccombente nel giudizio di primo grado) ha impugnato la sentenza chiedendo, in riforma della sentenza di primo grado, che fosse accertata l’inesistenza del debito ereditario, la qualità di coniuge ed erede e così la legittimatio ad impugnandum dell’appellante ben potevano considerarsi fatti non bisognosi di prova in ragione della mancata contestazione dei medesimi ai sensi dell’art. 115, co. 1, c.p.c., da parte dell’appellato[2]. In ogni caso, ad avviso della corte, la proposizione dell’impugnazione avrebbe di per sé costituito accettazione tacita dell’eredità ai sensi dell’art. 476 c.c.[3].
Il percorso argomentativo della Suprema Corte muove dalla considerazione, del tutto condivisibile, secondo la quale l’oggetto della controversia non andava individuato, nel caso di specie, nell’esistenza dello status personale di coniuge e così di successore universale del de cuius, diritto questo indisponibile e per sua natura sottratto all’operare del principio di non contestazione[4], bensì in un diritto di credito di natura ereditaria. Il coniuge aveva infatti proposto impugnazione avverso la sentenza di primo grado chiedendo che fosse accertata l’inesistenza del credito vantato dalla controparte, dichiarandosi nell’atto introduttivo del giudizio di appello coniuge e così erede del de cuius e dunque titolare del diritto fatto valere in giudizio.
Al riguardo, va osservato come occorra fare brevemente chiarezza in ordine ai concetti, spesso sovrapposti e confusi nella prassi, di legittimazione ad agire e di titolarità della situazione sostanziale dedotta in giudizio[5] partendo dal rilievo contenuto nella sentenza in rassegna secondo cui “…la legittimazione scaturente dalla titolarità di un credito – come tutte le questioni patrimoniali – ben può darsi ammessa per effetto di non contestazione, ex art. 115 c.p.c.” .
In quanto condizione di decidibilità della causa nel merito, funzionale alla corretta instaurazione del contraddittorio, la legittimazione ad agire come titolarità affermata del diritto dedotto in giudizio, non rientra nel perimetro delle questioni soggette alla libera disponibilità delle parti, rimanendo quindi estranea all’ambito di operatività del principio di non contestazione[6]. La sussistenza o meno della legittimazione ad causam deve essere verificata dal giudice soltanto sulla base di quanto prospettato dalla parte, indipendentemente dalla prova della titolarità attiva del rapporto dedotto in giudizio. La carenza di legittimazione ad agire non è questione soggetta a preclusioni e pertanto può essere eccepita in ogni stato e grado del giudizio e può essere rilevata anche d’ufficio dal giudice; essa inoltre non pone problemi di natura probatoria perché si guarda alla domanda ed alla prospettazione in essa contenuta ed è comunque tema estraneo al ragionamento condotto dalla pronuncia in epigrafe. Quanto invece alla titolarità della posizione soggettiva attiva dedotta in giudizio, con un importante arresto delle Sezioni Unite, che funge da spartiacque rispetto all’orientamento precedente e maggioritario, si è ritenuto che essa rappresenti un elemento costitutivo della domanda ed attenga al merito della decisione di modo che spetta all’attore allegarla e provarla, salvo che il convenuto la riconosca (o non la contesti) o svolga difese incompatibili con la sua negazione[7]; le contestazioni del convenuto in ordine alla titolarità del rapporto controverso, quando si limitano a negare l’esistenza dei fatti costitutivi, hanno così natura di mere difese[8], proponibili in ogni fase del giudizio e che consentono al giudice, d’ufficio, di rilevare la carenza di titolarità del diritto se risultante dagli atti di causa[9].
L’accertamento della qualità di erede.
Nel caso affrontato dalla sentenza in commento, la qualità di coniuge e così di successore universale rappresentava un elemento costitutivo della legittimazione a proporre la domanda avente ad oggetto l’accertamento negativo in ordine all’esistenza di un debito ereditario[10]; più precisamente, ed è su questo punto che forse la sentenza in commento procede ad un non corretto inquadramento della questione[11], lo status di coniuge e erede del de cuius integrava un elemento costitutivo della legittimazione ad impugnare come allegazione della titolarità effettiva, in capo al successore universale, del rapporto dedotto in giudizio[12]. Discende infatti dalla norma generale di cui all’art. 110 c.p.c. la possibilità per il successore universale di una parte di impugnare la sentenza purché alleghi e sia in grado di provare la sussistenza dei requisiti che gli consentono di subentrare nei rapporti giuridici della parte originaria[13]. La legittimazione ad impugnare può essere provata in positivo dalla parte appellante ma può risultare non bisognosa di prova in ragione del comportamento processuale del convenuto qualora quest’ultimo riconosca espressamente detta qualità oppure svolga difese che siano incompatibili con la negazione di detta qualità e ciò nell’ottica di una piana applicazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115, co. 1, c.p.c.
L’accertamento in ordine alla sussistenza della qualità di erede in capo a chi, affermando detta qualità, abbia proposto impugnazione assumendo di essere erede di una delle parti del precedente grado di giudizio investe senz’altro uno degli elementi costitutivi della legittimazione ad impugnare ed è questione, anche quanto all’istruttoria, che attiene al rito e non al merito[14]. Ove detta qualità non venga contestata ai sensi e per gli effetti dell’art. 115, co. 1, c.p.c. dalla parte a ciò onerata o a maggior ragione ammessa (come nel caso di specie) sin dal primo grado di giudizio, essa potrà considerarsi certamente circostanza non controversa in sede di verifica, da parte del giudice del gravame, della relativa condizione di decibilità della causa nel merito. Ove per contro vi sia contestazione da parte del convenuto essa dovrà essere dimostrata e in tal caso sarà allora necessaria l’istruttoria sulla specifica questione, che è questione di rito posto che attiene alla legittimazione ad impugnare[15]. Colui che in sede di impugnazione assume di agire nella qualità di erede di chi era parte del giudizio di primo grado potrà pertanto giovarsi del comportamento processuale della controparte che ometta di contestare detta qualità conseguendo al riguardo un assolvimento del relativo onere probatorio. Una interpretazione coerente, si crede, con l’esigenza di semplificazione processuale e pianamente riconducibile ai principi generali che cifrano il processo civile fra i quali quello, di recente potenziato, di leale collaborazione fra le parti.
Va peraltro osservato che la mancanza di contestazione ad opera della parte a ciò onerata non impone al giudice un vincolo di automatica conformazione in quanto il giudice potrà sempre rilevare l’inesistenza del fatto allegato da una parte anche se non contestato dall’altra qualora tale inesistenza emerga dagli atti di causa e dal materiale probatorio raccolto[16].
La posizione assunta dalla sentenza in rassegna risulta tuttavia per certi versi distante dall’orientamento prevalente della Suprema Corte in virtù del quale la parte che, assumendo di essere erede di una delle parti originarie del giudizio proponga impugnazione, deve fornire la prova, ai sensi dell’art. 2697 c.c., per mezzo delle produzioni documentali consentite, oltre che del decesso della parte originaria, anche della qualità di erede di quest’ultima con la conseguenza che in difetto di prova, l’impugnazione dovrà essere dichiarata inammissibile per mancanza di prova della legittimazione ad impugnare, nessun rilievo assumendo la mancata contestazione di tale legittimazione ad opera della controparte, trattandosi di questione rilevabile d’ufficio[17].
[1][1] Pubblicata in Foro it., 2023, I, 11, 3248 ss., con nota di richiami e nota di commento di Biasucci, Il principio di non contestazione e l’accertamento della qualità di erede.
[2] Nel senso che la non contestazione determini la relevatio ab onere probandi dei fatti, v. in particolare Carratta, Il principio di non contestazione nel processo civile, Milano, 1995, p. 164 ss.; Tedoldi, La non contestazione nel nuovo art. 115 c.p.c., in Riv. dir. proc. 2011, p. 76.
[3] Nel senso che la proposizione dell’impugnazione integri accettazione tacita dell’eredità, v. anche, Cass. 20 agosto 2019, n. 21507 (in motivaz.); Cass. 8 maggio 2013, n. 10894; Cass. 14 ottobre 2011, n. 21288.
[4] Il principio di non contestazione si ritiene non possa operare (o possa operare in modo attenuato, nel senso che la non contestazione è valutabile dal giudice o liberamente oppure ai sensi dell’art. 116, co. 2 c.p.c.) in relazione ai diritti indisponibili, e quindi nei procedimenti in materia di famiglia in cui siano coinvolti i minori (cfr. Cass. 30 giugno 2016, n.13436), ma anche nei procedimenti tributari (Cass. 17 maggio 2019, n. 13390). Sul tema, Carratta, Principio della non contestazione e limiti di applicazione nei processi su diritti indisponibili, in Famiglia e diritto, 2010, p. 577; Frus, Il principio di non contestazione tra innovazioni normative, interpretazioni dottrinali e applicazioni giurisprudenziali: soggetti, oggetto e modalità della contestazione, in www.judicium.it, p. 2 ss.; Mandrioli – Carratta, Diritto processuale civile, vol. I, Torino, 2021, p. 129 ss.
[5] In dottrina, sull’argomento, v. per tutti, Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, vol. I, Le tutele (di merito, sommarie ed esecutive) e il rapporto giuridico processuale, Torino, 2019, p. 563 ss.; v. altresì, Liebman, Manuale di diritto processuale civile, vol. I, Milano, 1984, p. 139 ss; Attardi, Diritto processuale civile, vol. I, Padova, 1994, p. 287 ss.; Verde, Diritto processuale civile 1. Parte generale, Bologna, 2015, p. 145 ss.; Luiso, Diritto processuale civile Principi generali, vol. I, Milano, 2011, p. 214 ss.; Mandrioli – Carratta, Diritto processuale civile, vol. I, Torino, 2021, p. 38 ss.; Nappi, commento all’art. 81 c.p.c., in Codice di procedura civile – Commentario, tomo I, diretto da Consolo, VI ed., 2018, p. 865 ss.
[6] In tal senso, Cass. 20 ottobre 2015, n. 21176; v. altresì Cass. 16 maggio 2022, n.15500.
[7] Così, Cass. S.U. 16 febbraio 2016, n. 2951, in Riv. dir. proc. 2017, p. 234 ss., con nota di Ghirga, La titolarità attiva e passiva del rapporto giuridico dedotto in giudizio; nonché in Foro it., 2016, I, 3947, con nota di Esposito, Le sezioni unite sulla negazione della titolarità della legittimazione nel diritto controverso; in Resp. Civ. Prev. 2017, 2, 517, con nota di Mirabile, La Suprema corte si pronuncia sulla titolarità della situazione protetta e sul danneggiamento della cosa prima dell’alienazione.
[8] Quanto alla distinzione fra mere difese ed eccezioni, in generale v. Luiso, Diritto processuale civile, vol. I, cit. p. 249 ss.
[9] In senso conforme a Cass. S.U. 16 febbraio 2016, n. 2951, cit., v., Cass. 27 novembre 2023, n. 32814; Cass. 28 giugno 2023, n. 18435; Cass. 29 agosto 2019, n. 21781; Cass. 27 giugno 2018, n. 16904; Cass. 24 settembre 2018, n. 22525; Cass. 20 dicembre 2017, n. 30545; Cass. 27 marzo 2017, n. 7776. In senso contrario, Cass. 12 agosto 2016, n. 17092.
[10] Sulla distinzione fra meri fatti e fatti-diritto, quali elementi costitutivi della domanda v. Cass. S.U. 16 febbraio 2016, n. 2951, cit., par. 40 ss. dei motivi della decisione.
[11] Nel senso che, richiamandosi alle considerazioni ed alle conclusioni cui è pervenuta Cass. S.U. 16 febbraio 2016, n. 2951, cit., in ordine alla titolarità della posizione soggettiva vantata in giudizio come questione che attiene sicuramente al merito della causa, sembra inquadrare la legittimazione ad impugnare nelle questioni appunto di merito anziché di mero rito.
[12] In tema di legittimazione ad appellare, v. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, vol. II, Il processo di primo grado e le impugnazioni delle sentenze, Torino, 2019, p. 430 ss.; Tedoldi, L’appello civile, Torino, 2016, p. 99 ss..
[13] Cfr. Cass. 31 agosto 2017, n. 20599, secondo cui “Colui che proponga impugnazione assumendo di essere erede di una delle parti originarie del giudizio deve fornire la prova – ai sensi dell’articolo 2697 c.c. della sua qualità di erede di quest’ultima.”.
[14]V. sul punto, Luiso, “Venir meno” della parte e successione nel processo, in Riv. dir. proc. 1983, p. 217; Consolo, op. ult. cit., vol. II, p. 137.
[15] In dottrina, Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, vol. II, Il processo di primo grado e le impugnazioni delle sentenze, Torino, 2019, p. 137, in commento all’art. 110 c.p.c.; in senso contrario, per l’affermazione secondo la quale l’accertamento della qualità di erede riguarda l’accertamento della titolarità del diritto e perciò è questione di merito e non di rito, v. Pezzani, Dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà e prova della qualità di erede, in Riv. dir. proc. 2015, p. 1608, in una nota di commento a Cass. S.U. 29 maggio 2014, n. 12065, che pure, come la sentenza in commento, attribuisce rilevanza alla mancata contestazione e dunque al comportamento processuale della controparte.
[16] In tal senso la sentenza in esame che sullo specifico punto richiama Cass. S.U. 16 febbraio 2016, n. 2951, in Riv. dir. proc. 2017, p. 234 ss., con nota di Ghirga, La titolarità attiva e passiva del rapporto giuridico dedotto in giudizio; nonché in Foro it., 2016, I, 3947, con nota di Esposito, Le sezioni unite sulla negazione della titolarità della legittimazione nel diritto controverso; in Resp. Civ. Prev. 2017, 2, 517, con nota di Mirabile, La Suprema corte si pronuncia sulla titolarità della situazione protetta e sul danneggiamento della cosa prima dell’alienazione. V. altresì Cass. 24 settembre 2018, n. 22525; Cass. 20 dicembre 2017, n. 30545; Cass. 21 luglio 2016, n. 15037; Cass. 18 luglio 2016, n. 14652.
[17] Così, da ultimo, Cass. 14 marzo 2024, n. 6930, ove si precisa che non è sufficiente la denuncia di successione, che ha valore solo fiscale e che fornisce un mero elemento indiziario liberamente valutabile dal giudice, ma occorre produrre, oltre al certificato di morte comprovante l’avvenuto decesso del de cuius, anche la documentazione anagrafica attestante la relazione parentale e i fatti da cui deriva quella qualità (va osservato tuttavia che nel caso così risolto vi era stata la contestazione della qualità di erede ad opera della controparte); nello stesso senso, Cass. 14 aprile 2023, n. 10072; Cass. 7 giugno 2023, n. 15991; Cass. 26 settembre 2019, n. 24050.