La mediazione obbligatoria: conciliazione o giurisdizione surrogata? brevi riflessioni critiche.

Di Girolamo Monteleone -

Sommario: 1) Introduzione. 2) “Il futuro ha un cuore antico”. 3) Il codice di procedura civile del 1940/42. 4) Reali caratteristiche della mediazione preventiva ed affini. 4) Metodi inaccettabili per ottenere risultati scadenti. 6) Ragioni ispiratrici della mediazione e/o negoziazione preventive.

 

1) Introduzione.

Ormai da qualche anno sono stati introdotti nel nostro ordinamento, anche su direttive provenienti dalla comunità europea, degli strumenti giuridici aventi lo scopo di indurre, o piuttosto costringere, i soggetti protagonisti di una disputa giuridica, preludio di una futura controversia giudiziaria, a tentare una conciliazione prima di agire in giudizio. Si cerca attraverso questo espediente di diminuire il carico giudiziario in modo da accelerare lo svolgimento del processo civile e cominciare a smaltire il notevole arretrato accumulatosi ormai da decenni in ogni grado di giudizio. Naturalmente, gli istituti di conciliazione preventiva, che hanno oggi assunto per legge la forma della mediazione[1] e/o della negoziazione assistita[2], hanno attratto l’attenzione degli studiosi e dei pratici, suscitando ampi dibattiti e diffusi commenti fino a giungere ad una sorta di teorizzazione in termini generali ed astratti dei c.d. A.D.R.[3], che si rispecchia nella costruzione concettuale della “giustizia conciliativa”. Espressione, questa, quanto mai significativa perché postula uno sdoppiamento del concetto di “giustizia” civile e quindi della tutela giurisdizionale dei diritti: non esisterebbe solo quella fornita in base alla Costituzione dalla magistratura appositamente costituita nell’ordine giudiziario, ma ad essa si affiancherebbe in via sostitutiva anche quella equivalente fornita da privati cittadini, quali mediatori, avvocati, conciliatori e/o arbitri.

2) “Il futuro ha un cuore antico”.

Così uno storico del diritto intitolava il suo commento al codice di procedura civile francese del 1806[4]. Infatti, l’idea di conciliare le parti prima che esse si rivolgano ad un magistrato per ottenere giustizia non è affatto quella dirompente novità oggi esaltata dagli anglofili cultori delle c.d.  A.D.R., ma è vecchia di qualche secolo.

In epoca moderna ritroviamo il tentativo obbligatorio di conciliazione preventiva già nell’art. 48 del c.p.c. francese del 1806, il cui primo comma della versione destinata al napoleonico Regno di Italia recita testualmente: “prima di promuoversi una domanda principale con cui si introduce un’istanza davanti ai tribunali civili tra persone capaci di transigere, e sopra oggetti che possono essere materia di transazione, l’attore deve far citare il reo alla conciliazione davanti il giudice di pace, quando ambo le parti non si fossero presentate volontariamente; senza di che l’istanza non è ammessa”[5].

Ovviamente, ben diverso dall’attuale era il terreno politico-culturale da cui scaturì la riportata disposizione del codice francese: in quel frangente storico essa era figlia dell’utopia illuministico-rivoluzionaria della legge onnicomprensiva ed autosufficiente, che non bisognava di alcuna mediazione interpretativa, che permetteva ai cittadini di regolare da sè le proprie vertenze senza necessità di rivolgersi ad un giudice ed agli avvocati, ec. ec. E’ la stessa matrice ideologica da cui nacque il tribunale (prima) e la corte (poi) di cassazione in Francia, istituita allo scopo di controllare l’operato dei giudici, impedire loro di sostituirsi di fatto al legislatore con la scusa dell’interpretazione, e distruggere le sentenze contrarie alla legge.

L’anzidetto tentativo preliminare ed obbligatorio di conciliazione non ebbe, però, lo sperato successo in Francia e si trasformò rapidamente in una vuota formalità, da superare obtorto collo e senza alcuna prospettiva di successo solo per aprire la strada alla vera e propria giustizia[6].

Passavano pochi anni, e nel 1819 veniva emanato su impulso di Ferdinando I nel neonato Regno unitario delle due Sicilie (comprendente i territori al di qua e al di là del faro: prima vi erano due regni distinti ed il menzionato Ferdinando era III° di Sicilia e IV° di Napoli), il nuovo “codice per lo Regno delle due Sicilie”, che comprendeva il codice civile e di procedura civile ed il codice penale e di procedura penale[7]. Il re di Napoli, rimesso sul trono nel 1815 grazie alle decisioni del Congresso di Vienna dopo l’occupazione decennale francese della parte peninsulare del suo Regno, a differenza di tutti gli altri sovrani “restaurati” ebbe l’accortezza e l’acume politico di resistere alla ben comprensibile tentazione di abrogare di netto la legislazione sostanziale e processuale napoleonica, che vi era stata introdotta. Ordinò, invece, nel 1815 la compilazione di un corpo completo del “diritto patrio”, che finì con recepire molte delle utili innovazioni contenute nelle leggi francesi. Fu così emanato con editto del 21 maggio 1819, pubblicato il 29 maggio successivo, il nuovo codice “delle leggi della procedura nei giudizi civili”, e contemporaneamente abrogata la vetusta e caotica legislazione precedente.

Il nuovo codice di procedura si apriva proprio con l’istituzione dei giudici conciliatori e con l’istituto della conciliazione preventiva delle liti. Fù, però, molto opportunamente evitato l’errore di matrice ideologica del codice francese, in quanto il preliminare tentativo di conciliazione non fu imposto a pena di improcedibilità della domanda, ma rimesso alla libera scelta delle parti ed agevolato con opportune disposizioni incentivanti. Ed infatti la conciliazione ebbe nel Regno delle due Sicilie, a differenza che in Francia, un notevole successo tanto da assorbire e prevenire buona parte del contenzioso civile.

Con il R.D. 25 giugno 1865 n. 2366 veniva emanato anche nel Regno d’Italia, da poco costituito, un nuovo ed unitario codice di procedura civile, in vigore dal 1 gennaio 1866, destinato a sostituire la variegata legislazione processuale esistente negli Stati preunitari[8]. Questo codice, facendo tesoro della positiva esperienza avutasi nel Regno delle due Sicilie, si apriva anch’esso con la conciliazione preventiva delle liti innanzi al giudice conciliatore, costituito in ogni Comune del Regno. Anch’esso non imponeva il tentativo di conciliazione a pena di improcedibilità, ma si affidava alla libera scelta delle parti[9]. Ed anche questo istituto ebbe un notevole successo pratico, tanto che le statistiche giudiziarie mostrano che esso riusciva ad assorbire ed a prevenire una notevole percentuale del contenzioso civile[10].

Pertanto, alla vigilia dell’emanazione del nuovo codice di procedura civile del 1940/42 nella cultura giuridica italiana, nella prassi forense e nel nostro ordinamento processuale erano ben presenti e radicate da oltre un secolo, specie nelle province meridionali, l’idea della conciliazione preventiva delle controversie insorte tra i cittadini e la figura di un magistrato onorario, capillarmente presente in tutto il territorio dello Stato, al quale veniva attribuita istituzionalmente tale funzione.

3) Il codice di procedura civile del 1940/42.

La situazione cambia, però, radicalmente con il R.D. 26 ottobre 1940 n. 1443 recante approvazione di un nuovo codice di procedura civile, la cui entrata in vigore fu stabilita per il 21 aprile 1942. Si tratta di un complesso normativo che aveva consapevolmente capovolto il sistema del precedente codice del 1865 e si era basato sul principio di autorità, affermandosi esplicitamente negli scritti di accompagnamento (discorso del Ministro guardasigilli al Senato e relazione ufficiale illustrativa del codice) che “l’aumentato potere del giudice è il solo mezzo efficace per liberare il processo dal suo male peggiore, e cioè l’esasperante lentezza che ha intaccato nella coscienza del popolo la fiducia nelle forme della nostra giustizia civile”[11].

Esso non si apriva più con la conciliazione ed il giudice conciliatore, che venivano emarginati e sostanzialmente sterilizzati. Ed infatti si assiste nelle statistiche giudiziarie ad una caduta verticale delle controversie civili portati all’esame del conciliatore. Le cose, però, non sono andate nel senso previsto dal legislatore del 1940. Infatti la pratica eliminazione della conciliazione e del conciliatore e massimamente l’aumentato potere del giudice non solo non hanno eliminato, e neppure ridotto, l’esasperante lentezza del processo civile, ma si sono ben presto rivelati come i principali fattori, o cause, di essa.

Non sembra opportuno ripetere ancora una volta la cronistoria della miriade di riforme, generali parziali e settoriali, apportate al nuovo codice a dimostrazione, ove ce ne fosse bisogno, dell’insufficienza e della debolezza della sua impostazione originaria ed attuale: l’ultima di tali riforme palingenetiche è stata attuata con il recente D. Leg.vo 149/2022. Fatto sta che con L. 21-11-1991 n. 374 il conciliatore, che era già stato messo da parte, è stato definitivamente soppresso. Al suo posto è stato creato il “giudice di pace”, un magistrato onorario che a mala pena riesce a smaltire un limitato contenzioso di modesto rilievo.

Nel 2010 il legislatore, posto di fronte alla perdurante e mai attenuata crisi di efficienza della giustizia civile, perennemente tardiva e deludente, ha rispolverato l’idea della conciliazione preventiva. Con il D. Leg,vo 4-3-2010 n.28, in attuazione della delega legislativa contenuta nell’art. 60 della L. 18-6-2009 n. 69, ha introdotto la “mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali”. Con il successivo D.L. 12-9-2014, convertito in L. 10-11-2014 n. 162, ha rincarato la dose introducendo la c.d. negoziazione assistita. Entrambi gli istituti di presunta conciliazione preventiva sono imposti a pena di improcedibilità dell’azione giudiziaria. Anche queste leggi sono state sottoposte nel giro di pochi anni a varie riforme e cambiamenti a testimonianza dei loro vizi di origine.

4) Reali caratteristiche della mediazione preventiva ed affini.

L’esame delle norme regolatrici della mediazione e della negoziazione assistita suscita, però, notevoli dubbi sulla loro reale funzione, che sembra essere molto diversa dal genuino e lodevole ambito della conciliazione preventiva tendente a preservare la pace sociale, ad evitare liti costose che suscitano odio ed eccitano gli animi, e quindi (come ulteriore conseguenza e non come scopo principale) a diminuire il carico giudiziario per consapevole volontà degli interessati che dispongono in tal modo dei loro diritti, e non per un ostacolo artificioso frapposto dal legislatore.

Un eloquente indizio nel senso anzidetto si rinviene proprio nell’intitolazione del D.L. 132/2014, istitutivo della negoziazione assistita, che recita: “misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile”. Qui traspare chiaramente l’intento legislativo di eliminare o restringere la funzione della giurisdizione civile, e quindi il paradossale fine di abbattere l’arretrato giudiziario, del quale i cittadini non hanno alcuna responsabilità, impedendo loro di agire in giudizio nonostante l’art. 24 Cost.  E’ come se si volesse eliminare la malattia uccidendo il paziente, anziché curarlo nei modi più appropriati affidandolo a medici esperti e ad ospedali ben attrezzati.

Le norme regolatrici della mediazione preventiva, imposta a pena di temporanea improcedibilità della domanda giudiziale, ci mostrano all’evidenza una parodia, se non una caricatura, della giurisdizione e del processo civili. La competenza dell’organismo, il mediatore terzo e imparziale (in realtà un illustre sconosciuto scelto da un c.d. organismo, per lo più creato da associazioni private a fini speculativi), le acquisizioni istruttorie ed infine anche una proposta di risoluzione della controversia, qualora le parti non si siano accordate. Cosa abbia a vedere tutto questo con la vera ed auspicabile conciliazione, come prodotto dell’autonomia negoziale dei soggetti in litigio, non è facile comprendere.

Vi sono quindi elementi più che sufficienti per ritenere che gli istituti in questione siano in realtà volti a realizzare una forma occulta o surrettizia di giurisdizione, una giurisdizione surrogata, che sostituisca quella elargita per dettato costituzionale e per sua intrinseca funzione dallo Stato attraverso l’ordine giudiziario.

5) Metodi inaccettabili per ottenere risultati scadenti

Il metodo seguito dal nostro legislatore per imporre la mediazione preventiva (ed anche la negoziazione assistita) non si può condividere perché appare scorretto sia giuridicamente che moralmente. Non è ammissibile che la legge, massima espressione del diritto e della civiltà di un popolo, introduca ai danni del cittadino bisognoso di tutela giuridica delle trappole ed un pesante sistema coercitivo, che ha i caratteri di una inutile e costosa vessazione, per allontanarlo dalla giustizia dispensata dallo Stato.

Non è solo l’ostacolo artificioso dell’improcedibilità della domanda, comunque limitata nel tempo, che depone in questo senso, ma ancor più tutto il suo contorno sanzionatorio. Ad esempio, l’art. 5 bis del D. Leg.vo 28/2010, recentemente introdotto con il D. Leg.vo 149/2022, costringe il creditore, che abbia già ottenuto un decreto ingiuntivo contro il debitore inadempiente ed abbia avuto concessa l’efficacia esecutiva, a richiedere la mediazione a fronte dell’opposizione da costui proposta; se non lo fa, il giudice “dichiara l’improcedibilità della domanda giudiziale proposta con il ricorso per decreto ingiuntivo, revoca il decreto opposto e provvede sulle spese”. Egli, quindi, rischia di perdere tutto quanto già ottenuto per il soddisfacimento del suo diritto sull’altare di una c.d. mediazione, che nel caso di specie è assolutamente inutile, essendo già sufficientemente delineato l’esito della controversia.

In base all’art. 12 bis, la parte, che non abbia partecipato personalmente al primo incontro di mediazione, subisce una serie di pesanti e dannose conseguenze giuridiche, probatorie ed economiche. Essa, cioè, viene punita sol perché preferisce affidarsi ai giudici dello Stato, come suo preciso diritto in base all’art. 24 Cost., anziché ad un soggetto sconosciuto designato in molti casi da un organismo altrettanto sconosciuto. Lo stesso prevede l’art. 13 quando la parte rifiuti la proposta di risoluzione avanzata di ufficio dal mediatore.

Nonostante tale deplorevole sistema coercitivo, non sembra proprio che la mediazione (come anche la negoziazione assistita) abbia prodotto buoni risultati sul piano della diminuzione del carico giudiziario. Dalle statistiche ministeriali, che sono confuse e manipolate[12], risulta che la percentuale di controversie conciliate si aggiri intorno al 10/15% delle domande di mediazione che le parti sono costrette a depositare nei casi in cui è imposta a pena di improcedibilità con il corredo delle menzionate sanzioni. Dunque, ancora una volta si rivelano profetiche le parole della Relazione Pisanelli al c.p.c. del 1865, secondo cui quando la conciliazione si vuole imporre per legge essa rapidamente scade in un vuoto ed inutile formalismo.

6) Ragioni ispiratrici della mediazione e/o negoziazione preventive

Da quanto precede e dal sistema della legge si capisce perfettamente che il legislatore non ha in realtà perseguito lo scopo di mettere a disposizione dei soggetti, titolari di diritti disponibili, una consapevole e conveniente alternativa al processo di cognizione che sia veramente espressione di autonomia negoziale, cioè della libera facoltà di disporre dei propri diritti.

Questo tipo di legislazione, che cerca di allontanare forzatamente il cittadino dalla giustizia statale senza per altro ottenere buoni risultati, ha una ben precisa matrice ideologica di c.d. politica del diritto, che si può svelare e spiegare facilmente. E’ da tempo chiarissimo che il cattivo andamento della giurisdizione civile in termini di durata dei processi, di efficienza e di vertiginoso arretrato non dipende solo dalla legislazione processuale (la cui impostazione di fondo è rimasta, comunque, immutata nonostante la miriade di cambiamenti di superficie), ma dipende essenzialmente dal numero del tutto insufficiente di giudici (e di personale ausiliario) e dalla loro inappropriata gestione, affidata – come è noto – al Consiglio superiore della magistratura. Pertanto il migliore e più immediato rimedio per eliminare i cennati difetti è quello di assumere un numero di magistrati adeguato rispetto al carico dei procedimenti. Se a partire dal 1990, anziché perdere tempo nell’emanazione di periodiche ed inutili riforme processuali, si fosse programmato ed attuato anche con gradualità un opportuno ampliamento dei ruoli della magistratura, la c.d. crisi sarebbe stata da tempo risolta.

Il punto è, però, che per volontà politica si è impedito, e si continua ad impedire con mille espedienti, che venga adeguatamente accresciuto il numero dei giudici reclutati per concorso, e quindi per merito e capacità, come vuole la Costituzione. In ossequio a tale intendimento si è cercato di costruire una giurisdizione surrogata o parallela, una pallida imitazione del processo civile, in evidente contrasto con la fondamentale garanzia costituzionale prevista dall’art. 24 Cost., il cui primo comma assicura che: “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi”.

Al danno si è aggiunta anche la beffa, perché come dimostrato dalle statistiche ministeriali né la mediazione né la negoziazione hanno raggiunto l’obbiettivo di ridurre in modo significativo il carico giudiziario. L’interessato, malgrado la minaccia delle sanzioni e dell’improcedibilità, continua a preferire la giustizia vera a quella falsa o surrogata.

Nella descritta situazione quali i possibili rimedi?

Sarebbe molto semplice e proficuo rifarsi alla nostra secolare esperienza giuridica per reintrodurre un valido e conveniente sistema di autentica conciliazione preventiva. Ciò si otterrebbe facilmente, ripristinando in ogni Comune dello Stato gli uffici di conciliazione da affidare a magistrati onorari; stabilendo che i verbali di conciliazione in materia di diritti disponibili siano soggetti solo ad imposta di registro a tassa fissa e costituiscano titolo esecutivo stragiudiziale.

Qualora non si voglia ritornare puramente e semplicemente all’antico, anche per non passare come laudatores temporis acti, sarebbe anzitutto opportuno unificare in unico contesto normativo la mediazione e la negoziazione assistita. E’ fondamentale, inoltre, eliminare la previsione dell’improcedibilità della domanda giudiziale con tutto il corredo di inutili e vessatorie sanzioni, che creano soltanto problemi, mantenendo ben ferme adeguate agevolazioni fiscali, che spingano i cittadini a preferire una vera conciliazione ad una vera giurisdizione.

[1] V. il D. Leg.vo 4-3-2010 n. 28, che in breve volgere di tempo ha già subito una dichiarazione di illegittimità costituzionale con sentenza  272/2012 per eccesso di delega, e numerose modifiche normative da ultimo introdotte con il D. Leg.vo  149/2022 sulla ennesima riforma del processo civile. Su questa legge si rinvia all’ampio commento di SANTAGADA, La mediazione, Torino 2012. Cfr., pure, TROCKER-DE LUCA (a cura di), La mediazione civile alla luce della direttiva 2008/52/CE, Firenze 2011; in precedenza SANTAGADA,  La conciliazione delle controversie civili, Bari 2008; PICARDI, Conciliatore, in Enciclopedia giuridica Treccani, Roma 1988.

[2] V. D.L. 12-9-2014 n. 132, convertito in L 10-11-2014 n. 162. Anche queste norme hanno subito ulteriori modifiche.

[3] Alternative Dispute Resolution. Con acronimo anglofono vengono oggi indicati istituti noti da molto tempo.

[4] Cfr. U. PETRONIO, Il futuro ha un cuore antico: considerazioni sul codice di procedura civile del 1806, in testi e documenti per la storia del processo, collana a cura di N. Picardi e A. Giuliani, I codici napoleonici, Codice di procedura civile del 1806, Milano 2000.

[5]  Op. citata supra, pg.16.

[6] Così., PISANELLI, Relazione al libro I del codice di procedura civile del 1865, in Raccolta dei lavori preparatori del codice civile del Regno d’Italia, Vol. VII, procedura civile, Palermo 1868, pg. 2: “Quando lo sperimento della conciliazione si volle rendere obbligatorio, come preliminare necessario del giudizio, non corrispose all’aspettativa e degenerò in una vana formalità”.

[7] Cfr. CIPRIANI, Introduzione alle leggi di procedura nei giudizi civili del Regno delle due Sicilie, nella citata collana di testi e documenti per la storia del processo, Milano 2004.

[8] Sul codice del 1865 v. G. MONTELEONE, Introduzione al codice di procedura civile del Regno d’Italia, nella medesima collana di Testi e documenti per la storia del processo, Milano 2004.

[9] Per una minuziosa informazione sul funzionamento della conciliazione nel c.p.c. del 1865, cfr., per tutti, MORTARA , Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, III, Milano s.d., pg. 1 e ss.

[10] Sul punto si rinvia a CECCHI,  Analisi statistica dei procedimenti civili di cognizione in Italia, Bari 1975, da cui risulta ad esempio, pg. 14, che nel decennio 1931-1940 su un complesso di 1.213.800 procedimenti sopravvenuti in media annualmente innanzi ai vari organi giudiziari, ben 823.200 pendevano ed erano esauriti negli uffici di conciliazione.

[11] Così il discorso di presentazione del nuovo codice al Senato da parte del Guardasigilli Dino Grandi, in Codice di procedura civile. Relazione-Indici, Roma, Libreria dello Stato, 1940, pg. XXXII-XXXIII.

[12] Nelle statistiche approntate dal Ministero della Giustizia, reperibili facilmente si internet, manca il dato più importante, e cioè il numero dei casi conciliati rispetto a quello delle domande, che devono depositarsi obbligatoriamente a pena di improcedibilità. Tale numero lo si può ricostruire solo con grande difficoltà. E’, invece, un dato facilmente ritraibile che nei casi di conciliazione volontaria, non imposta dalla legge, la percentuale di successo è massima.