La pars costruens della sentenza della corte costituzionale n. 192/2024 in materia di autonomia differenziata

Di Ignazio Lagrotta -

Sommario: 1. Premessa. – 2. L’autonomia nell’unità ed indivisibilità della repubblica e l’unità nella promozione dell’autonomia. – 3. La coesione territoriale: il punto di equilibrio tra unità e pluralismo nell’ordinamento. – 4. Prime conclusioni: tutelare le autonomie garantisce la via verso l’unità.

1. Premessa.

 

Tra le molteplici questioni affrontate dalla recente pronuncia della Corte costituzionale in materia di autonomia differenziata – sentenza n. 192 del 3 dicembre 2024[1] – v’è ne una che costituisce il presupposto logico giuridico sul quale si fonda l’intero impianto della pronuncia.

La Corte ha correttamente ritenuto opportuno partire da un’interpretazione dell’art. 116, terzo comma, Cost., introdotto dalla riforma costituzionale del 2001, affermando come «tale disposizione, che consente di superare l’uniformità nell’allocazione delle competenze al fine di valorizzare appieno le potenzialità insite nel regionalismo italiano, non può essere considerata come una monade isolata, ma deve essere collocata nel quadro complessivo della forma di Stato italiana, con cui va armonizzata» (punto 4 della Considerazioni in Diritto)[2].

Con tale premessa la Corte, nel riconoscere come il regionalismo sia una componente fondamentale della forma di Stato delineata dalla Costituzione, “salva” l’autonomia differenziata e ne declina un’applicazione che, in una cornice di unitarietà, non può convivere con un’attuazione disgregatrice dello Stato[3].

La via indicata nell’incipit della sentenza, pertanto, è di notevole pregio sistematico in quanto delinea la strada, l’unica in grado di far convivere le diverse esigenze che si agitano nel Paese, in una prospettiva di unitarietà.

La sentenza in commento afferma convintamente, al punto 4 della Considerazioni in Diritto, che «il regionalismo corrisponde ad un’esigenza insopprimibile della nostra società, come si è gradualmente strutturata anche grazie alla Costituzione. Vi è, quindi, una terza via, quella tracciata dalla Corte, tra il regionalismo così com’è e come (non) ha funzionato sino ad oggi ed un regionalismo competitivo lesivo del principio di unitarietà: un regionalismo differenziato funzionale al rafforzamento dei diritti di cittadinanza sull’intero territorio nazionale e, quindi, all’unità»[4].

Per questo motivo appare opportuna una riflessione sulla recente sentenza della Corte sotto il profilo di quella che possiamo definire la pars costruens della pronuncia che indica la strada da seguire per riaffermare non solo a parole ma nei fatti l’esistenza di una comunità politica solidale[5].

Un’autorevole lettura quella offerta dalla Corte che offre la possibilità di un ancoraggio sicuro al tema dell’autonomia differenziata visto che ha suscitato non poche perplessità e preoccupazioni in dottrina[6].

2.L’autonomia nell’unità ed indivisibilità della repubblica e l’unità nella promozione dell’autonomia.

Il rapporto tra unità e pluralismo[7] è la trama, il disegno[8] che caratterizza il nostro sistema costituzionale[9], sin dalle origini[10]. L’art. 5 della Costituzione[11] nella logica del costituzionalismo declina unità e pluralismo in termini sinergici. In una logica che tende a mettere insieme, conciliando due concetti che solo apparentemente potrebbero sembrare in antitesi. L’unità nella prospettiva costituzionalistica è sinergica al pluralismo ed è per questo che la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali ed è compulsata ad attuare nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo[12].

Tutelare le autonomie, garantire le autonomie territoriali e le diversità territoriali di esprimersi, garantisce la via verso un’unità, che non è uniformità[13] ma capacità di tenere insieme le diverse caratteristiche, le esigenze e le istanze dei territori[14] come sottolinea la Corte nella sentenza in commento laddove afferma come «la ricchezza di interessi e di idee di una società altamente pluralistica come quella italiana non può trovare espressione in una unica sede istituzionale, ma richiede una molteplicità di canali e di sedi in cui trovi voce e dalle quali possa ottenere delle politiche pubbliche, anche differenziate, in risposta alle domande emergenti» (punto 4 della Considerazioni in Diritto).

Inoltre, con la riforma del Titolo V ed alla luce della nuova formulazione dell’art. 114 della Costituzione, il sistema complessivo e complesso delle istituzioni politiche «si compone di una pluralità di livelli di governo, cui corrisponde una pluralità di ordinamenti reciprocamente autonomi e, allo stesso tempo, coordinati e comunicanti»[15].

È anche vero, però, ed il dibattito sull’autonomia differenziata lo conferma, che pluralismo ed unità possono confliggere e di fatto confliggono ogni qual volta l’ordinamento invoca l’unità come limite per le autonomie[16].

Questo vuol dire che in alcuni casi le istanze pluralistiche possono essere un problema per l’autonomia, possono lacerare la coesione della repubblica, possono porre un problema di tenuta del sistema ed in questi casi l’unità si manifesta come limite.

Da questo punto di vista si può affermare che la Repubblica, nonostante sia una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie.

Convivono nel sistema costituzionale, pertanto, due anime[17] «di un unico, interamente composito, valore che è quello della promozione – la massima possibile alle condizioni oggettive di contesto – dell’autonomia nella unità ed indivisibilità della Repubblica ovverosia – se si preferisce rovesciare i termini suddetti, ma senza variazione di risultato – è quella della unità, nella promozione dell’autonomia»[18].

Se il valore da tutelare è la promozione dell’autonomia nell’unità (o viceversa), il conflitto è solo apparente semplicemente perché l’una «è anche…. l’altra, nelle sue peculiari movenze e realizzazioni in ragione dei casi»[19] ed entrambe sono necessarie ed interne alla fisionomia dell’ordinamento costituzionale. Così come fisionomica è la circostanza che alcune volte questi valori entrino in fibrillazione. È un conflitto che potremmo ritenere immanente al sistema costituzionale che trova di volta in volta la sintesi la «massima possibile alle condizioni oggettive di contesto»[20].

3. La coesione territoriale: il punto di equilibrio tra unità e pluralismo nell’ordinamento.

 

La Corte correttamente riconosce come «qualsiasi sistema regionale ha in sé degli elementi di competizione tra le regioni, perché dà modo a ciascuna di esse, nell’ambito delle attribuzioni costituzionali, di seguire politiche differenti nella ricerca dei migliori risultati. Tuttavia, l’ineliminabile concorrenza e differenza tra regioni e territori, che può anche giovare a innalzare la qualità delle prestazioni pubbliche, non potrà spingersi fino a minare la solidarietà tra lo Stato e le regioni e tra regioni, l’unità giuridica ed economica della Repubblica (art. 120 Cost.), l’eguaglianza dei cittadini nel godimento dei diritti (art. 3 Cost.), l’effettiva garanzia dei livelli essenziali[21] delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.) e quindi la coesione sociale e l’unità nazionale – che sono tratti caratterizzanti la forma di Stato, il cui indebolimento può sfociare nella stessa crisi della democrazia».

In questa prospettiva, nella prospettiva che si intuisce animare la lettura propugnata dalla Corte, la coesione territoriale[22] è il punto di equilibrio[23] tra unità e pluralismo nell’ordinamento[24]. Si tratta come ovvio di individuare un parametro che non può essere fisso ma che si modifica nel tempo in base alle esigenze[25] concrete ed alle sfide da affrontare[26].

La coesione[27], quindi, utilizza la programmazione e realizzazione di opere pubbliche per il riequilibrio tra i territori ed «a maggior ragione è un modo di perseguire l’eguaglianza sostanziale nelle diverse forme di contrasto alla povertà ed al disagio sociale, con interventi di sostegno alle pari opportunità tra le persone»[28]. In questa prospettiva i livelli essenziali delle prestazioni, che opportunamente devono essere garantiti «su tutto il territorio nazionale», diventano lo strumento «per misurare la coesione sociale ed economica, ma anche per valutare i profili relativi alla coesione territoriale»[29]. Ed in questa dimensione che si comprende perché i lep sono la pre-condizione per l’autonomia differenziata, il presupposto assiologico nel prisma della coesione e della solidarietà[30].

In armonia con tale ricostruzione la Corte ribadisce che «il regionalismo italiano, nel cui ambito deve inserirsi la differenziazione di cui all’art. 116, terzo comma, Cost., non è un “regionalismo duale” in cui tra una regione e l’altra esistono delle paratie stagne a dividerle. Piuttosto, è un regionalismo cooperativo (sentenza n. 121 del 2010, punto 18.2. del Considerato in diritto), che dà ampio risalto al principio di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni (ex multis, sentenze n. 87 del 2024 e n. 40 del 2022) e che deve concorrere alla attuazione dei principi costituzionali e dei diritti che su di essi si radicano».

L’ordinamento autonomistico è, quindi, legato per un verso al sistema costituzionale[31], all’ordinamento normativo, ma anche alle altre dimensioni della convivenza organizzata[32] a partire dal personale politico[33].

Appare questa la strada per pervenire al risultato di declinare insieme unità e pluralismo, valorizzando i momenti di sinergia e contenendo quelli di conflitto.

In questa dimensione sinergica i giuristi hanno un compito fondamentale ma è l’intero ordinamento chiamato a rispondere alla vocazione cui fa riferimento l’art. 5 della Costituzione.

Molto dipende dal diritto ma tanto anche dalle classi dirigenti e dalla politica, dalla cultura istituzionale[34] ed oserei dire dalla cultura tout court[35] soprattutto con riferimento alle condizioni di contesto necessarie per consentire un equilibrato avveramento del sistema autonomistico italiano.

4.Prime conclusioni: tutelare le autonomie garantisce la via verso l’unità.

 

E’ stato affermato che «la direzione impressa al sistema dalla riforma del 2001 continua ad avere una sua intrinseca forza persuasiva ed innovativa (sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza)»[36].

Il futuro delle regioni e con esso quello delle autonomie locali e dello Stato passa attraverso il superamento della concorrenza tra legislazione della regione e quella dello Stato[37].

Il modello dovrebbe essere quello cooperativo[38], un modello nel quale le autonomie siano coinvolte «nel perseguimento di interessi comuni»[39]; come affermala Corte, a conclusione del punto 4 della Considerazioni in Diritto, «a tale logica va ricondotta la differenziazione contemplata dall’art. 116, terzo comma, Cost., che può essere non già un fattore di disgregazione dell’unità nazionale e della coesione sociale, ma uno strumento al servizio del bene comune della società e della tutela dei diritti degli individui e delle formazioni sociali».

La promozione dell’autonomia regionale nell’unità ed indivisibilità della repubblica, che è un valore costituzionale, «un tassello indispensabile dell’assetto democratico»[40], dovrebbe realizzarsi non tanto attraverso l’uso “forte” dell’autonomia legislativa (che appare l’approccio almeno “politico” e “polemico” sul regionalismo differenziato) ma attraverso il rafforzamento delle competenze nel plasmare l’assetto dei poteri locali[41].

Distogliendo la sguardo dalla potestà legislativa il dito svelerebbe la luna ed un possibile approdo diverso rispetto al conflittuale assetto delle competenze e funzioni cui abbiamo finora assistito, con la regione chiamata a «fungere da organo di coordinamento e di potenziamento delle attività amministrative locali»[42].

Ed a valle di questo percorso emerge un dato rilevante «il passaggio delle competenze legislative alle funzioni amministrative»[43].

Il riordino delle funzioni amministrative potrebbe essere il punto di partenza per una nuova fase del regionalismo italiano[44]. Un argomento non nuovo risalente alle riflessioni di Massimo Severo Giannini[45] che già nel 1957 evidenziava come il «problema dei problemi che dovrebbe porsi il legislatore che intenda provvedere in materia amministrativa non può che essere il riordino delle funzioni»[46].

Certo si potrebbe procedere con l’attuazione dell’art. 118 della Costituzione e del principio di sussidiarietà (sia verticale che orizzontale)[47] più che con il 116, comma 3, ma è anche vero che il procedimento con legge aggravata potrebbe alla fine dare più stabilità al sistema nel suo complesso.

In questa prospettiva il tema della differenziazione perderebbe la sua intrinseca carica divisiva spostando la contesa sul piano dell’amministrazione. Un piano non del tutto nuovo nel quale si può registrare un potenziale conflitto sia tra la Regione e gli enti che appartengono all’amministrazione periferica dello Stato[48] ma anche tra le Regione e gli enti locali nell’ipotesi di mancata adozione delle leggi di attribuzione delle funzioni.

Siamo, pertanto, dinanzi ad un bivio è fondamentale operare nel perimetro tracciato dall’articolo 5 della Costituzione, «un principio fondamentale ed indefettibile»[49] che individua l’autonomia (e quindi la differenziazione) e l’unità nazionale come due facce della stessa medaglia, ossia di un unico valore in gioco.

In questa prospettiva va declinata l’unità e pluralismo ed il gioco tra i diversi livelli di governo del territorio, in una partita dove c’è un unico vessillo, quello tricolore, con lo Stato, le Regioni e le autonomie locali ad indossare la stessa maglia, quella della Repubblica, al servizio dei valori fondamentali di libertà ed eguaglianza che sono il cuore e la sostanza del sistema costituzionale e della sua identità più profonda.

 

 

 

 

 

Abstract

 

The relationship between unity and pluralism is the thread that permeates our constitutional system. The art. 5 of the Constitution in the logic of constitutionalism declines unity and pluralism in synergistic terms. In a logic that tends to put together, reconciling two concepts that could only apparently seem to be in antithesis. Protecting autonomies, guaranteeing territorial autonomies and territorial diversity to express themselves, guarantees the path towards unity, which is not uniformity but the ability to hold together the different characteristics, needs and requests of the territories. Therefore, two souls of a single, entirely composite value coexist in the constitutional system, which is that of the promotion – the maximum possible under the objective conditions of the context – of autonomy in the unity and indivisibility of the Republic or – if one prefers to reverse the terms aforementioned, but without variation in results – is that of unity, in the promotion of autonomy.

Il rapporto tra unità e pluralismo è la trama che permea il nostro sistema costituzionale. L’art. 5 Cost. nella logica del costituzionalismo declina unità e pluralismo in termini sinergici. In una logica che tende a mettere insieme, conciliando due concetti che solo apparentemente potrebbero sembrare in antitesi. Tutelare le autonomie, garantire le autonomie territoriali e le diversità territoriali di esprimersi, garantisce la via verso un’unità, che non è uniformità ma capacità di tenere insieme le diverse caratteristiche, le esigenze e le istanze dei territori. Convivono nel sistema costituzionale, pertanto, due anime di un unico, interamente composito, valore che è quello della promozione – la massima possibile alle condizioni oggettive di contesto – dell’autonomia nella unità ed indivisibilità della Repubblica ovverosia – se si preferisce rovesciare i termini suddetti, ma senza variazione di risultato – è quella della unità, nella promozione dell’autonomia.

[1] Per i primi commenti sulla decisione n. 192/2024 della Corte costituzionale si rinvia a C. Buzzachi, Pluralismo, differenze, sussidiarietà ed eguaglianza: dalla sentenza n. 192 del 2024 il modello per il sistema regionale «differenziato», in Consulta On Line per g. c. di Astrid; R. Manfrellotti, La sent. N. 192 del 2024 della Corte Costituzionale e gli atti amministrativi generali a contenuto normativo, in Consulta On Line per g. c. di lecostituzionaliste.it, dicembre 2024; A. Spadaro, La “Quadratura del cerchio”… o della Sent. Cost. N. 192/2024, in Consulta On Line per g. c. di Diritti Regionali, 29 gennaio 2025; L. Violini, Alcune considerazioni sulla sentenza nr. 192/2024 della Corte Costituzionale, in Consulta On Line per g. c. di lecostituzionaliste.it, dicembre 2024; si occupa, invece, del vaglio di ammissibilità del referendum dopo il giudizio di legittimità A. Poggi, Il referendum sul regionalismo differenziato: i principi, l’attuazione, le Corti e la sovranità popolare, in federalismi.it, Editoriale – 1 gennaio 2025, che anticipa quelle che poi sono state alcune delle argomentazioni spiegate dalla Corte nella recente sentenza n. 10 del 2025 che ha dichiarato inammissibile la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione della legge 26 giugno 2024, n. 86 (Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione), come risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 192 del 2024, richiesta dichiarata conforme a legge, con ordinanza pronunciata il 12 dicembre 2024, dall’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione.

[2] Per un’interessante riflessione sulla compatibilità costituzionale dell’autonomia differenziata si rinvia al recente contributo di A. Morrone, Differenziare le regioni senza un disegno di Repubblica, Rivista Quadrimestrale di Diritto Pubblico, Numero Speciale 1/2024, pp. 219-238, l’A. sottolinea come il 116.3 Cost. è una disposizione-mezzo che deve essere mantenuta coerente con le disposizioni-fine. L’ordine delle competenze degli enti di governo territoriale è funzionale alla realizzazione dei valori della Prima Parte della Costituzione (che, peraltro, traspaiono in molte delle previsioni dell’art. 117 Cost. e, quindi, dell’art. 116.3 Cost.). Va da sè che i regimi differenziati, quandanche realizzati in tutte le regioni ordinarie, devono comunque permettere alle istituzioni del federalismo di realizzare i valori materiali sottesi ai principi costituzionali (libertà, eguaglianza, solidarietà). Per un’ampia e recente disamina sul tema si rinvia agli atti del Convegno Autonomia regionale differenziata in Nuove Autonomie, Rivista Quadrimestrale di Diritto Pubblico, Numero Speciale 1/2024, pp. 1-360, ed ivi alle conclusioni di G. Corso, pp. 349-358.

[3] Come è stata sensibilmente anticipato, infatti, il rischio più evidente di un modello totalmente asimmetrico, che si estende alle Regioni ordinarie, consiste nell’inizio di una corsa senza fine tra Regioni differenziate (ricche) e indifferenziate (meno ricche), secondo una dinamica di perenne riavvicinamento -distanziamento, in tal senso analizzando in parallelo l’esperienza spagnola, G. Giardini, Stato regionale e differenziazione territoriale: le esperienze straniere, in Nuove Autonomie, Rivista Quadrimestrale di Diritto Pubblico, Numero Speciale 1/2024, pp. 239-258; restando all’esperienza italiana un altro bel saggio che valorizza il regionalismo ed invita ad assumere un atteggiamento vigile rispetto alle concrete ipotesi di attuazione del regionalismo differenziato affinché siano coerenti con la Costituzione e quindi anche funzionali allo sviluppo delle zone più povere del Paese o almeno non lesive dei loro interessi si rinvia a D. Mone, Autonomia differenziata come mezzo di unità statale: la lettura dell’art. 116, comma 3 cost., conforme a costituzione, in Rivista AIC, n. 1/2019, pp. 329-350.

[4] L’espressione è mutuata da D. Mone, Autonomia differenziata come mezzo di unità statale: la lettura dell’art. 116, comma 3 cost., conforme a costituzione, cit., p. 350.

[5] Tuttavia, come afferma la Corte costituzionale, tale accentuato pluralismo, che si riflette anche sul piano istituzionale (artt. 5 e 114 Cost.), non porta alla evaporazione della nozione unitaria di popolo. La nostra democrazia costituzionale si basa sulla compresenza e sulla dialettica di pluralismo e unità, che può essere mantenuta solamente se le molteplici formazioni politiche e sociali e le singole persone, in cui si articola il “popolo come molteplicità”, convergono su un nucleo di valori condivisi che fanno dell’Italia una comunità politica con una sua identità collettiva. In essa confluiscono la storia e l’appartenenza a una comune civiltà, che si rispecchiano nei principi fondamentali della Costituzione. A tutto ciò si riferisce la stessa Costituzione quando richiama il concetto di “Nazione” (artt. 9, 67 e 98 Cost.). Il popolo e la nazione sono unità non frammentabili. Esiste una sola nazione così come vi è solamente un popolo italiano (punto 4 della Considerazioni in Diritto). Per un recente contributo in chiave prospettica si v. G. Guzzetta, Potenzialità, rischi e aspettative dell’autonomia differenziata, in Nuove Autonomie, Rivista Quadrimestrale di Diritto Pubblico, Numero Speciale 1/2024, pp. 323-328, l’A. evidenzia come nessuna delle potenzialità pur insite nella riforma è stata effettivamente sviluppata e implementata con il paradosso che ancora l’autonomia differenziata non ha mosso alcun passo, ma già in molti ne prevedono fauste e infauste conseguenze.

[6] M. A. Cabiddu, La favola brutta dell’autonomia differenziata, in Democrazia e diritto, 2023, p. 39 e ss., l’A., contestando la possibilità delle regioni di poter accedere a tutte le materie del 117.3 Cost. svuotandolo, sottolineava appunto l’incostituzionalità di una disposizione intepretata a maglie così larghe.

[7] Si legge nel Paper  n. 93 di Astrid, 11, che la scelta del modello pluralista (unità nella diversità) risponde alle esigenze di un paese molto differenziato e disomogeneo sotto il profilo economico-sociale e storico-culturale quale è l’Italia (che non ha alle spalle molti secoli di unità nazionale come la Francia, l’Inghilterra o la Spagna): un paese ricco di storie, tradizioni, culture, morfologie geografiche, realtà economiche e sociali molto diversificate, che l’unità nazionale deve potenziare e valorizzare, non sacrificare. Il rispetto e la valorizzazione delle diversità e dunque dell’autonomia e dell’autogoverno regionale e locale – bilanciati da un proporzionato ed efficace uso dei poteri statali di coordinamento, di garanzia dei diritti di tutti gli italiani e di tutela e attuazione degli interessi strategici del paese – rafforza, non indebolisce l’unità della Nazione.

[8] Come sottolinea con un’immagine molto evocativa A. Pioggia, La Costituzione e il diritto amministrativo, in E. B. Liberati, M. Clarich (a cura di), Per un diritto amministrativo coerente con lo Stato costituzionale di diritto. L’opera scientifica di Aldo Travi, Pisa, 2022, 43 ss., la Costituzione non è solo trama, in essa c’è anche il disegno e, senza di essa, il diritto è un insieme di fili che il vento può disperdere e annodare a suo piacimento.

[9] Come scrive A. Andriopoulou, Autonomia differenziata e divari di cittadinanza, reperibile su www.federalismi.it, fasc. n. 23/2023, 35, le sfide ontologicamente insite negli ordinamenti compositi erano ben presenti ai padri fondatori. Sfide alle quali hanno, invero, risposto con scelte coraggiose sul piano storico e lungimiranti sul piano dei principi fondamentali.

[10] Per una ricostruzione approfondita del travagliato iter che ha caratterizzato l’istituzione delle regioni ordinarie si v. S. Cassese, Governare gli italiani: storia dello Stato, il Mulino, Bologna, 2014; per il rapporto tra autonomia legislativa ed autonomia politica si v. R. Bin, Unità e differenziazione: il problema costituzionale e le prospettive, in Munus 3/2020.

[11] La letteratura è ampia, per una ricostruzione della disposizione costituzionale si rinvia a G. Berti, Art.5, in G. Branca (a cura di), Commentario alla Costituzione, Bologna, 1975, p. 286; R. Bifulco, Art. 5, in Commentario alla Costituzione, R. Bifulo, A. Celotto, M. Olivieri, (a cura di), vol. I, Milano 2006, 136 ss., S. Staiano, Costituzione italiana: articolo 5, Roma 2017, G. Rivosecchi, Articolo 5, in La Costituzione italiana, Commento articolo per articolo, Vol. I, F. Clementi et al., Bologna, 2018, 41 ss.

[12] C. Napoli, Il persistente disallineamento tra previsioni costituzionali e allocazione in via legislativa delle funzioni amministrative: quali prospettive di attuazione dell’art. 118 Cost., cit., 219, l’A. evidenzia come l’opzione per un modello di amministrazione per lo più locale abbia sì ricevuto nuova linfa con l’entrata in vigore della legge cost. n. 3/2001, per quanto fosse da considerarsi ben salda già nel testo costituzionale per come licenziato in Assemblea costituente. Ed avverte anche come il vigente art. 118 Cost. capovolge il criterio originario di distribuzione delle funzioni amministrative, che dall’alto della piramide dell’amministrazione muoveva verso il decentramento in periferia, collocando le funzioni amministrative «nel punto più basso dell’articolazione dei poteri amministrativi: quello primario dei Comuni e da lì ripartire verso l’alto» in applicazione del principio di sussidiarietà, temperato dalla differenziazione e dall’adeguatezza: con la continuità garantita dall’art. 5 Cost., si impone a decorrere dal 2011 un principio di tendenziale preferenza per l’esercizio municipale delle funzioni amministrative, il quale fa sì che l’amministrazione comunale si configuri come avente una competenza generale dinanzi alla quale ogni diversa allocazione deve ritenersi eccezionale, realizzandosi “per sottrazione” rispetto ai poteri generali assegnati al livello comunale. Sul criterio di riparto delle funzioni amministrative si v. anche P. Urbani, L’allocazione delle funzioni amministrative secondo il Titolo V della Cost., in Le Regioni, 2003, 460.

[13] Come scrive R. Bin, Unità e differenziazione: il problema costituzionale e le prospettive, cit., autonomia significa differenziazione. L. Violini, Autonomia differenziata e interesse nazionale: una ridefinizione, in Nuove Autonomie, Rivista Quadrimestrale di Diritto Pubblico, Numero Speciale 1/2024, pp. 55-62, l’A. sottolinea la necessità di una parziale modifica del modo tradizionale di ragionare sull’interesse nazionale, che viene normalmente considerato come presupposto per l’esercizio di funzioni uniformi da parte dello Stato centrale ma che ben potrebbe essere rispettato e promosso anche tramite accordi in cui lo Stato centrale si fa garante del tasso di uniformità necessario mentre la Regione o le Regioni avanzano ragionevoli richieste volte a rendere maggiormente adeguato l’esercizio delle loro funzioni. Sul tema anche N. Gullo, Autonomia differenziata e interesse nazionale: spunti di riflessione per una ridefinizione, in Nuove Autonomie, Rivista Quadrimestrale di Diritto Pubblico, Numero Speciale 1/2024, pp. 43-54.

[14] A. Andriopoulou, Autonomia differenziata e divari di cittadinanza, cit., 36, l’A. evidenzia come la dialettica tra unità e differenziazione messa in tensione dalla riforma del Titolo V e dai tentativi in corso di dare concreta implementazione alla clausola dell’autonomia differenziata deve essere letta anche nella prospettiva dei contemporanei e paralleli sviluppi dell’integrazione sovranazionale e, più recentemente, del Piano Nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).

[15] O. Chessa, Sussidiarietà ed esigenze unitarie: modelli giurisprudenziali e modelli teorici a confronto (nota a Corte cost., sent. n. 6/2004), in Forum Quaderni Cost., 2003, 1-9, l’A. sottolinea come dentro la Repubblica si realizza una dialettica bilanciata tra le due polarità contrapposte dell’unità e della diversità, dell’uniformità e della differenziazione, della dipendenza e dell’autonomia. Posto che delle istanze dell’autonomia e della differenziazione è portatore ciascun livello di governo, il quale può farle valere contro qualsiasi altro che ne voglia sminuire irragionevolmente il valore e la portata, resta però da chiarire quale sia il portatore dell’istanza unitaria, cioè il legittimo rappresentante del principio unitario, il soggetto che, all’interno della Repubblica ne fa valere legittimamente le ragioni; V. Tondi della Mura, Il tempo della sussidiarietà. Un’introduzione, reperibile su www.federalismi.it, n. 4/2013.

[16] Come osserva O. Chessa, Sussidiarietà ed esigenze unitarie: modelli giurisprudenziali e modelli teorici a confronto (nota a Corte cost., sent. n. 6/2004), cit., le esigenze unitarie sono solo punti di intersezione, un minimo comune denominatore tra tutti i livelli di governo; e tali devono rimanere per non sbilanciare l’equilibrio tra unità ed autonomie differenziate.

[17] Parla di «due profili inautonomi» A. Ruggeri, Sliding doors per il prossimo futuro dell’autonomia regionale. Degrado o ripresa? in Il futuro delle Regioni, cit., 248. Ed in maniera più approfondita sempre A. Ruggeri, Il valore di unita autonomia quale fondamento e limite dei giudizi in via d’azione e della “specializzazione” dell’autonomia regionale (prime notazioni), in Riv. Gruppo di Pisa, 3, 2020, 100 ss.

[18] A. Ruggeri, Sliding doors per il prossimo futuro dell’autonomia regionale. Degrado o ripresa? in Il futuro delle Regioni, cit., 248.

[19] A. Ruggeri, Sliding doors per il prossimo futuro dell’autonomia regionale. Degrado o ripresa? in Il futuro delle Regioni, cit., 248.

[20] Ibidem.

[21] In senso critico V. Tondi Della Mura, I LEP sulle montagne russe. Primi rilievi sul «Rapporto finale» del Comitato per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni, in Nuove Autonomie, Rivista Quadrimestrale di Diritto Pubblico, Numero Speciale 1/2024, pp. 9-32, l’A. evidenzia come l’attuale dibattito presenta un limite d’impostazione che ne pregiudica l’esito: concentra l’attenzione solo sull’an e sul quomodo della differenziazione, trascurando di parametrarne la portata al quantum effettivamente coinvolto; considera la questione della determinazione dei Lep astrattamente e alla stregua di un’entità ontologica a sé stante, indistinta, immutabile e avulsa dalla complessiva forma di Stato regionale; ed anche E. Cavasino, L’autonomia differenziata nella xix legislatura: ordine logico di priorità e strumenti normativi da ripensare per l’attuazione dell’art. 116 c. 3° cost., Rivista Quadrimestrale di Diritto Pubblico, Numero Speciale 1/2024, pp. 191-204, secondo l’A. l’impianto del titolo V, parte II della Costituzione richiede, innanzitutto, di procedere nell’attuazione dei principi costituzionali in materia finanziaria di una prospettiva coerente con la I parte della Costituzione, come più volte hanno ribadito la dottrina e la giurisprudenza costituzionale. Soltanto dopo la conclusione di questo percorso sarà possibile immaginare l’attuazione dell’art. 116 c. 3° Cost.

[22] Chi si è occupato di politiche di coesione o meglio ancora del fenomeno dal punto di vista giuridico ha osservato che non vi è un’esatta definizione della coesione, spesso individuata in maniera atecnica, essendo «una materia sfuggente, mutevole, un rompicato» in tal senso F. Manganaro, Politiche di coesione, in B. G. Mattarella, M. Ramajoli (a cura di), cit., 839, ed ivi si rinvia alle nt. 1, 2, 3, 4, 5 ed alla bibliografia citata; F. Manganaro, Note sul regionalismo differenziato nel disegno di legge approvato dal Senato, in Nuove Autonomie, Rivista Quadrimestrale di Diritto Pubblico, Numero Speciale 1/2024, pp. 33-42. Si è occupato del delicato tema in una prospettiva di sistema più ampia rispetto al discorso che si sta svolgendo P. Logroscino, Governare le differenze, Bari, 2008, l’A. osserva come la complessità socio-politica si alimenta lungo due linee tra loro intrecciate: quella della crescita delle differenze interne agli stati e quello dello sviluppo di forme ordinamentali nuove che travalicano i confini nazionali. In questa dimensione l’A. evidenzia ed approfondisce la corrispondenza biunivoca tra integrazione e coesione. Si v. anche il recente saggio di F. Tigano, Le politiche di coesione e il ruolo delle Regioni, in Nuove Autonomie, Rivista Quadrimestrale di Diritto Pubblico, Numero Speciale 1/2024, pp. 303-322, l’A. evidenzia come la riforma in tema di regionalismo differenziato sarebbe priva di senso se prescindesse dai valori della coesione interna e comunitaria e dai principi di solidarietà ed omogeneità degli standard di vita delle popolazioni e di sviluppo dei singoli territori.

[23] P. Logroscino, Governare le differenze, cit., 14, evidenzia come sia un’esigenza indefettibile di ogni ordinamento quella di raggiungere (e quindi poter raggiungere) e conservare l’equilibrio tra condizioni diseguali, identità specifiche ed appartenenza, ossia la propria coesione; si v. F. Manganaro, Politiche di coesione, in B. G. Mattarella, M. Ramajoli (a cura di), cit., 854, l’A. osserva che al fine di individuare un contenuto specifico del principio di coesione e come esso serva a perseguire l’eguaglianza sostanziale, il migliore indicatore valutabile è il modo i cui vengono garantiti i servizi pubblici alle persone.

[24] In questo ambito l’intervento del diritto e del diritto amministrativo in particolare assume la funzione di strumento di coesione per l’eguaglianza, in tal senso si v. F. Manganaro, Politiche di coesione, in B. G. Mattarella, M. Ramajoli (a cura di), cit., 853.

[25] Esigenze unitarie che, come rileva O. Chessa, Sussidiarietà ed esigenze unitarie: modelli giurisprudenziali e modelli teorici a confronto (nota a Corte cost., sent. n. 6/2004), cit., non si identificano con le competenze statali, cioè di un solo livello di governo (quello dalla generalità più ampia). Infatti, non tutte le competenze del livello superiore rappresentano in sé istanze unitarie rispetto al livello inferiore. Si prendano ad esempio le materie di spettanza statale ex art. 117 cost. Mentre talune, le c.d. “materie-materie”, attengono ad esigenze esclusive del livello statale, esaurendo interamente la loro portata dentro quest’ambito, altre invece, le c.d. “materie non materie”, attengono ad esigenze unitarie della Repubblica e pertanto interessano l’azione integrata di tutti i livelli di governo. Vale a dire: non tutte le competenze esclusive dello Stato veicolano esigenze unitarie, bensì soltanto quelle che si strutturano nella forma di titoli d’intervento «trasversale». Inoltre, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale sul principio di sussidiarietà, si deve concludere che pure gli ambiti materiali di competenza concorrente operano come titoli trasversali attinenti ad esigenze unitarie.

[26] Rinvia quale parametro allo statuto logico del canone di sussidiarietà, come elaborato dalla Corte costituzionale, O. Chessa, Sussidiarietà ed esigenze unitarie: modelli giurisprudenziali e modelli teorici a confronto (nota a Corte cost., sent. n. 6/2004), cit., è una “norma-principio”, un “precetto di ottimizzazione”. Non enuncia una regola precisa, un precetto rigido che ci pone dinanzi all’alternativa netta se osservarlo o violarlo, ma solo impone che «qualcosa venga realizzata in misura possibilmente elevata in relazione con le possibilità di fatto e di diritto». La sua applicazione è pertanto suscettibile di gradazioni differenti, poiché pretende soltanto di venire osservato nella misura più estesa possibile, sulla base di valutazioni di ragionevolezza. Indica un favor, cioè una «decisione di preferenza in favore dell’ambito più vicino agli interessati», ed insieme le condizioni sotto le quali è possibile derogarvi: l’azione sussidiaria deve fornire ragioni che giustifichino il venir meno del favor. Deve cioè costituire un mezzo idoneo e non eccessivo, vale a dire strettamente indispensabile, al conseguimento dell’istanza unitaria che il livello superiore si prefigge. Se così non fosse, non avrebbe carattere sussidiario bensì ingiustificatamente invasivo del livello di governo su cui insiste la “decisione di preferenza”.

[27] P. Logroscino, Governare le differenze, Bari, 2008, l’A. osserva come uno dei problemi centrali della contemporaneità è quello delle differenze: come farle convivere ma anche (ed è la sfida più difficile) come consentire di integrarsi. Sui concetti di “coesione” e “coesione territoriale” si v. il recente saggio G. De Giorgi Cezzi, Regioni e politiche europee di coesione, in Nuove Autonomie, Rivista Quadrimestrale di Diritto Pubblico, Numero Speciale 1/2024, pp. 293-302, l’A. evidenzia come la coesione si pone a un tempo come un ‘indicatore’ della «statualità dell’ordinamento europeo» suppletivo/integrativo delle endemiche sue carenze di democraticità e di rappresentatività degli interessi, motore di un sistema pluralista e policentrico che involge tutti i possibili rapporti tra le diverse figure soggettive pubbliche e private operanti sui livelli territoriali dell’Unione, vero e proprio principio «costituzionale» e uno dei pilastri fondanti dell’intero ordinamento europeo, una sorta dunque di sintesi verbale indicativa di un processo di ‘invenzione’ della statualità europea che rimanda ad altri processi simili e ne riproduce le logiche.

[28] F. Manganaro, Politiche di coesione, in B. G. Mattarella, M. Ramajoli (a cura di), cit., 853.

[29] F. Manganaro, Politiche di coesione, in B. G. Mattarella, M. Ramajoli (a cura di), cit., 857.

[30] V. Tondi della Mura, “… de’ remi facemmo ali al folle volo”: i rischi dell’imprudenza nei lavori del Comitato per la determinazione dei Livelli essenziali delle prestazioni, reperibile su www.federalismi.it – paper, 9 agosto 2023.

[31] Si pensi ad una seconda Camera rappresentativa degli interessi territoriali come emerge dall’Indagine conoscitiva sugli effetti nell’ordinamento delle revisioni del Titolo V della Parte II della Costituzione. Sintesi dei principali argomenti delle audizioni, Senato della Repubblica, Servizio studi, Dossier n. 207, si veda diffusamente ed in particolar modo par. 16.3.

[32] E’ sentimento diffuso che tra le cause che «maggiormente hanno concorso» allo «svilimento dell’autonomia […] la prima e più rilevante di essa è di carattere culturale» si v. A. Ruggeri, Sliding doors per il prossimo futuro dell’autonomia regionale. Degrado o ripresa? in Il futuro delle Regioni, cit., 238. Secondo l’A. l’idea de autonomia non è stata mai davvero avvertita per il livello regionale quale genuina espressione del corso sociale ed idonea ad offrirsi al servizio di alcuni suoi più diffusi bisogni e, come tale, metabolizzata dal corpo stesso, diversamente da ciò che – come si sa – si è avuto, in forza di una nobile e risalente tradizione, per il livello comunale.

[33] A questo sembrerebbe riferirsi anche A. Ruggeri, L’autonomia regionale inappagata, la sua “differenziazione” e l’uso congiunturale della Costituzione, in Le Regioni, 2/2023, quando evidenzia come le Regioni siano sentite come un corpo estraneo ed a questa disaffezione ha contribuito il personale politico.

[34] A. Ruggeri, Sliding doors per il prossimo futuro dell’autonomia regionale. Degrado o ripresa? in Il futuro delle Regioni, cit., 249-250, l’A. osserva come sia necessario incidere nei luoghi nei quali hanno origine i guasti che poi si diffondono nelle sedi ove prende forma la direzione politica e questi luoghi sono il c.d. sistema politico e, ancor più a fondo, il corpo sociale. Un’opera, dunque, di natura culturale, volta a far cogliere il senso genuino e profondo dell’autonomia quale servizio nei riguardi dei bisogni maggiormente avvertiti in sono al corpo sociale e, a un tempo, orientata verso l’etica pubblica repubblicana cui dà voce la Carta.

[35] A. Ruggeri, Mutamenti di contesto politico-istituzionale, progresso scientifico e tecnologico, teoria della Costituzione (con specifico riguardo al punto di vista della Consulta), in Cosultanline, 2020, Fasc. I, 141, l’A. parla sottolinea come la degenerazione della democrazia ha molte cause, tra le quali centralità di posto va assegnata al vistoso e, a quanto pare, inarrestabile degrado culturale di una classe politica autoreferenziale, afflitta da una crisi d’identità quale mai forse si era registrata prima. Internet ha però dato un concorso non secondario a questa involuzione dagli imprevedibili esiti, tra i quali quello – forse, dotato delle maggiori probabilità di affermazione – dell’avvento di un nuovo ordine politico-istituzionale fortemente connotato da elementi d’ispirazione populista.

[36] Come evidenzia A. Poggi, A vent’anni dalla revisione dell’art. 118: riflessioni a valle di un percorso, cit., 160, offuscata solo da una crisi economica finanziaria e non da ragioni oggettive connesse ad una scarsa rendita del modello (che, peraltro non si è potuto ancora vedere all’opera compiutamente).

[37] R. Bin, Il futuro delle regioni. Un’introduzione, in Il futuro delle Regioni, cit., 8, secondo l’A. vi è un notevole consenso ad abbandonare l’immagine derivata dallo stesso imprinting costituzionale, tutto imperniato sulla concorrenza tra legislazione della regione e quella dello Stato.

[38] G. Amato, Il regionalismo cooperativo. Una risorsa delle democrazie, in Il futuro delle Regioni, cit., 15. Parla contrarietà alla Costituzione del regionalismo competitivo F. Meloni, Salviamo il regionalismo dall’autonomia asimmetrica dell’art. 116, comma 3, della Costituzione, in Il futuro delle Regioni, cit.,   189.

[39] F. Meloni, Salviamo il regionalismo dall’autonomia asimmetrica dell’art. 116, comma 3, della Costituzione, in Il futuro delle Regioni, cit., 189.

[40] R. Bin, Il futuro delle regioni. Un’introduzione, in Il futuro delle Regioni, cit., 8.

[41] A. Barbera, Il peccato originale delle regioni, in Il futuro delle Regioni, cit., 57.

[42] L. Violini, Il regionalismo italiano e le riforme. Le diverse tappe e le complesse prospettive della differenziazione, in Il futuro delle Regioni, cit., 315.

[43] S. Mangiameli, Errori e mancata attuazione costituzionale. A proposito di regionalismo e regionalismo differenziato, cit., come già richiamato in nt. 5.

[44] Tale orientamento troverebbe conforto nella recente pronuncia con la quale la Corte costituzionale, nell’esaminare i ricorsi delle Regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Campania, le difese del Presidente del Consiglio dei ministri e gli atti di intervento ad opponendum delle Regioni Lombardia, Piemonte e Veneto, si è pronunciata sull’incostituzionalità parziale della legge evidenziando che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata, in relazione alla singola regione, alla luce del richiamato principio di sussidiarietà (si v. Comunicato del 14 novembre 2024 Ufficio Comunicazione e Stampa della Corte costituzionale).

[45] M.S. Giannini, In principio sono le funzioni, in Amministrazione civile, n. 1/1957.

[46] Si tratta di un lavoro complesso quanto ineludibile come sottolinea S. Staiano, Salvare il regionalismo dalla differenziazione dissolutiva, reperibile su www.federalismi.it, fasc. n. 7/2023, l’A. evidenzia come una legge di ridislocazione delle competenze deve necessariamente essere fondata sull’analisi delle funzioni: […] quest’approccio è quanto di meglio prodotto dalla dottrina giuspubblicistica nella parabola del regionalismo in Italia, ed è il solo che ha fatto conseguire risultati di qualche pregio. L’analisi delle funzioni è intesa a compierne la ricognizione generale, al centro e negli enti territoriali, identificando livello dell’interesse coinvolto e dimensione obiettiva, e procedendo su questa base alla dislocazione; si v. anche R. Scarciglia, La ripartizione delle funzioni amministrative negli Stati composti dell’Europa. Il ruolo delle Città nei modelli di sviluppo post pandemia, in DPCE online, 2022 – Numero Speciale, 154, evidenzia come il tema delle funzioni è stato da sempre considerato una necessaria propedeusi allo studio dei rapporti giuridici organizzativi fra le figure soggettive di rilievo pubblico. Sul “parallelismo” fra amministrazione e legislazione si v. L. Torchia, In principio sono le funzioni (amministrative): la legislazione seguirà (a proposito della sentenza 303/2003 della Corte costituzionale), in Astrid on-lin, 2003, 1-4, l’A. osserva come nel nostro ordinamento si sia assistito ad una scissione delle due funzioni  essendo rimaste per molto tempo in capo allo Stato funzioni amministrative in materia di competenza legislativa regionale e poi con la riforma Bassanini siano state attribuite alle Regioni funzioni amministrative in materia di competenza statale; A. Ruggeri, Il parallelismo “redivivo” e la sussidiarietà legislativa (ma non regolamentare…) in una storica (e, però, solo in parte soddisfacente) pronunzia. Nota a Corte cost. n. 303 del 2003, in Forum Quaderni Cost., 2003, 1-5; A. D’Atena, L’allocazione delle funzioni amministrative in una sentenza ortopedica della Corte costituzionale (Nota a Corte cost. n. 303 del 2003), in Forum Quaderni Cost., 2003, 1-3. Sempre in sede di analisi della sentenza della Corte costituzionale n. 303 del 2003 definita «molto ambiziosa» da S. Bartole, Collaborazione e sussidiarietà nel nuovo ordine regionale, in Le Regioni, Fascicolo 2-3, aprile-giugno 2004, 578 ss., si rinvia anche ai primi commenti dell’epoca di A. Morrone, La Corte costituzionale riscrive il Titolo V, in Forum Quaderni Cost., 2003, 1-2; F. Cintioli, Le forme dell’intesa e il controllo sulla leale collaborazione dopo la sentenza 303 del 2003, in Forum Quaderni Cost., 2003, 1-4; Q. Camerlengo, Dall’amministrazione alla legge, seguendo il principio di sussidiarietà. Riflessioni in merito alla sentenza n. 303 del 2003 della Corte costituzionale, in Forum Quaderni Cost., 2003, 1-3; E. d’Arpe, La Consulta censura le norme statali “cedevoli” ponendo in crisi il sistema: un nuovo aspetto della sentenza 303/2003, in Forum Quaderni Cost., 2003, 1-2; L. Violini, I confini della sussidiarietà: potestà legislativa «concorrente», leale collaborazione e strict scrutiny,  in Forum Quaderni Cost., 2003, 1-11; R. Dickmann, La Corte costituzionale attua (ed integra) il Titolo V (Osservazioni a Corte cost., 1° ottobre 2003, n. 303), reperibile su www.federalismi.it, fasc. n. 12/2003.

[47] A. Poggi, A vent’anni dalla revisione dell’art. 118: riflessioni a valle di un percorso, cit., 161, evidenzia come occorre riflettere sulle possibilità (anche) di effettiva attuazione del principio di sussidiarietà c.d. “orizzontale” di cui all’ultimo comma dell’art. 118 Cost. Alcune significative esperienze di questi ultimi anni (codice del Terzo settore, regolamenti sui beni comuni….) parrebbero indicare strade meno “fumose” di attuazione del principio di quelle contenute in molte leggi statali e regionali, nonché in atti normativi comunali e provinciali rimaste sostanzialmente sulla carta.

[48] Come, ad esempio, l’organizzazione scolastica e le Soprintendenze.

[49] A. Ruggeri, Sliding doors per il prossimo futuro dell’autonomia regionale. Degrado o ripresa? in Il futuro delle Regioni, cit., 261, il quale sottolinea come l’art. 5 Cost. sia fondamentale nel gioco che s’intrattiene e si svolge tra i principi, nel loro fare sistema: valore-fine in sé e per sé ma anche valore-mezzo, al servizio dei valori restanti, in ispecie di quelli componenti la coppia assiologica fondamentale di libertà ed eguaglianza.