La perizia tecnica in materia sanitaria tra consulenza tecnica preventiva e mediazione.

Sommario: 1. Le condizioni di procedibilità in materia sanitaria. - 2. La consulenza tecnica e il fallimento della conciliazione. - 3. Conclusioni.

Di Raffaella Porto -

1. Le condizioni di procedibilità in materia sanitaria.

L’art. 8 della l.n. 24/2017, c.d. legge Gelli[1], rubricato “Tentativo obbligatorio di conciliazione”, introduce due alternative condizioni di procedibilità in materia sanitaria: la mediazione disciplinata dall’art. 5 comma 1 bis del d.lgs. n. 28/2010, e la consulenza tecnica preventiva di cui all’art. 696 bis c.p.c. .

In particolare, l’art. 8 stabilisce che chi vuole esercitare un’azione giudiziale relativa ad una controversia in materia di responsabilità sanitaria al fine di domandare il risarcimento del danno, deve preliminarmente introdurre il procedimento di consulenza tecnica preventiva con funzione conciliativa ex art. 696 bis c.p.c., o, in alternativa, esperire il tentativo di mediazione ex art. 5 comma 1 bis d.lgs. n. 28/2010. La norma di fatto lascia facoltà al danneggiato di scegliere a quale condizione di procedibilità ricorrere.

Occorre premettere che il d.d.l. approvato alla Camera il 28 gennaio 2016 prevedeva di derogare al d.lgs. n. 28/2010 stabilendo che nelle controversie in materia sanitaria, l’unica condizione di procedibilità dovesse essere la consulenza tecnica preventiva a fini conciliativi disciplinata dall’art. 696 bis c.p.c.. Lo stesso d.d.l. prevedeva inoltre la non applicazione della negoziazione assistita disciplinata dalla l.n. 162/2014, allo scopo di evitare sovrapposizioni tra discipline[2]. Nei successivi passaggi parlamentari si è però verificata un’inversione di rotta: come già detto sopra l’art. 8 della legge Gelli reintroduce[3] la mediazione obbligatoria come condizione di procedibilità alternativa alla consulenza tecnica preventiva.

L’uno e l’altro istituto operano su piani differenti essendo la mediazione una forma di ADR, mentre la CTP una procedura giudiziale che si istaura con ricorso.

Quanto alla funzione conciliativa, essa è propria ed esclusiva del procedimento di mediazione, invece, con riferimento alla consulenza tecnica dell’art. 696 bis c.p.c., rappresenta solo uno degli scopi della CTP. Ed invero, mentre nella mediazione, ove la conciliazione non riesca, il procedimento si chiude, nella consulenza tecnica preventiva, laddove il consulente non riesca a favorire l’accordo, il procedimento prosegue con il deposito della relazione peritale che poi potrà essere acquisita nel futuro processo.

Tanto consente di evidenziare un ulteriore elemento di differenza tra i due istituti in punto di ruolo del consulente tecnico.  Nel procedimento speciale dell’art. 696 bis c.p.c. la nomina del consulente è  una fase necessaria della procedura: dopo la nomina, infatti, è come se la causa venisse affidata al tecnico, che si occupa sia di tentare la conciliazione che di redigere la relazione peritale. Quest’ultima, poi,  ha il duplice compito di agevolare l’accordo dei litiganti e di fornire un ausilio tecnico al giudice che sarà investito del merito della causa..

Nella mediazione, invece, la consulenza tecnica è prevista come eventualità nel sol caso in cui venga rilevata la necessità dell’intervento di un esperto e al solo scopo di favorire l’accordo delle parti.

2.La Consulenza tecnica ed il fallimento della conciliazione.

Il comma 5 dell’art. 696 bis c.p.c. che disciplina l’istituto della consulenza tecnica preventiva, sancisce che “Se la conciliazione non riesce, ciascuna parte può chiedere che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito”. Dalla lettera della norma si può facilmente affermare che la relazione tecnica depositata in occasione del tentativo conciliativo dell’art. 696 bis c.p.c. può ben essere utilizzata nel successivo processo.

Il legislatore non è altrettanto chiaro nella disciplina relativa alla mediazione obbligatoria. Infatti, l’art. 8 comma 1 del d.lgs. n. 28/2010, sancisce che “Nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche, l’organismo può nominare uno o più mediatori ausiliari”. Il comma 4 dello stesso articolo aggiunge che “Quando non può procedere ai sensi del comma 1, ultimo periodo, il mediatore può avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali. Il regolamento di procedura dell’organismo deve prevedere le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi spettanti agli esperti”.

È quindi esplicitamente prevista, la facoltà di nominare un consulente tecnico esperto, laddove né il mediatore, né il suo eventuale ausiliario, abbiano competenze tecniche specifiche e necessarie per il caso oggetto del procedimento.

Il legislatore però nulla prevede riguardo le sorti della relazione tecnica resa durante il procedimento di mediazione in caso di insuccesso della conciliazione obbligatoria. Sorge spontaneo domandarsi quale sia la sorte della relazione, considerando anche il fatto che le parti hanno dovuto sostenere i costi relativi al compenso dell’esperto incaricato. Ed è qui che nuovamente emergono le differenze tra i due istituti posti come condizioni di procedibilità che ne evidenziano la maggiore utilità di uno rispetto all’altro.

Secondo una parte della dottrina, sarebbe opportuno escludere la producibilità in giudizio della relazione tecnica ivi espletata in ragione degli obblighi di riservatezza previsti dall’art. 9 del d.lgs. n. 28/2010[4], e della regola di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite durante il procedimento di mediazione ex art. 10 d.lgs. n. 28/2010.

Nella consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c., invece, non è imposto al consulente il requisito della riservatezza, in quanto dal tenore della norma e dalla funzione assegnata all’istituto risulterebbe “naturale” la destinazione al processo di merito della ricostruzione effettuata dal terzo neutrale.

Tuttavia, quanto ai rapporti tra mediazione e processo, non mancano pronunce[5] che dopo aver riconosciuto al principio di riservatezza la funzione di garantire nel processo un confronto quanto più possibile libero tra le parti, affermano che tale principio non va portato ad estreme conseguenze in quanto si rischierebbe di andare oltre quello che il legislatore ha stabilito.

Riservatezza ad ogni costo e sempre non significa infatti agevolare il successo della mediazione con il raggiungimento dell’accordo. È sufficiente evidenziare, per dimostrarlo, che le parti in mediazione potrebbero essere tentate, per il timore della sua circoscritta utilità, dovuta all’impossibilità di utilizzo della perizia tecnica svolta nella fase conciliativa,  di rifiutarsi di acconsentire alla nomina di un esperto, anche quando l’ausilio di un tecnico specializzato nella materia potrebbe chiarire aspetti fondamentali, perché dubbi, della situazione in conflitto, agevolando l’incontro delle volontà delle parti.  In questi casi farsi carico della spesa non irrisoria per il compenso da attribuire all’esperto in mediazione potrebbe apparire inappropriato e non conveniente proprio per la prospettiva di non poter produrre la relazione dell’esperto nella causa che potrà seguire al mancato raggiungimento dell’accordo.

Secondo tale posizione giurisprudenziale, per quanto concerne il divieto posto dall’art. 10, d.lgs. n. 28/2010, questo ha per oggetto esclusivamente le dichiarazioni rese dalle parti e le informazioni acquisite durante la mediazione, e che l’attività del consulente non consiste nel raccogliere dichiarazioni delle parti e informazioni provenienti dalle stesse, bensì nella motivata esposizione dei risultati dei propri accertamenti tecnico-specialistici. Di conseguenza, la produzione della consulenza tecnica resa nel procedimento conciliativo nel successivo processo, non violerebbe il disposto dell’art. 10 d.lgs. 28/2010, tant’è vero che dal tenore delle norme non è possibile rilevare alcun divieto in tal senso.

In conclusione, secondo l’appena descritta ricostruzione, pur considerando le risultanze della perizia in mediazione ammissibili ed utilizzabili in giudizio, queste hanno valore ed efficacia ben diversa rispetto a quelle della consulenza tecnica d’ufficio. E ciò in quanto la consulenza in mediazione non rappresenta uno strumento di ausilio per il giudice da lui disposto, controllato e diretto, con la conseguenza che anche le sue possibilità accertative potrebbero in concreto incontrare dei limiti ed ostacoli a causa del mancato raccordo tra consulenza in mediazione e processo. Potrebbe al più considerarsi quella consulenza alla stregua di una prova atipica[6], purché assunta nel rispetto del contraddittorio e degli altri principi che governano l’acquisizione delle prove.

Ne consegue che, secondo il suddetto condivisibile orientamento, la relazione depositata durante il procedimento di mediazione potrà essere usata nel successivo processo come prova atipica, con tutte le conseguenze che discendono da tale qualificazione[7].

3. Conclusioni

La perizia tecnica depositata durante il procedimento di mediazione può quindi essere utilizzata nel successivo processo come prova atipica, conservando però dei limiti (propri della prova atipica) che invece non sussistono per la perizia depositata durante la consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c., di cui il comma 5 prevede esplicitamente l’acquisizione nel successivo processo.

Ci si interroga sull’opportunità della scelta fatta dal legislatore della legge Gelli di reintrodurre quindi la  mediazione come condizione di procedibilità alternativa alla consulenza tecnica nella materia sanitaria.

Ed invero, poiché nella controversie medico – sanitarie risulta quasi sempre necessaria (o almeno auspicabile) la nomina di un esperto per la soluzione di questioni specifiche, e posto che la consulenza pienamente utilizzabile nel processo è solo quella svolta nel procedimento ex art. 696 bis c.p.c., non si comprende quali ragioni dovrebbero spingere il danneggiato a ricorrere in mediazione in alternativa alla CTP.

Peraltro, la figura dell’esperto è indispensabile nello strumento della consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c. posto che il ricorso è proposto al giudice proprio al fine di ottenere la nomina del consulente, mentre per la mediazione obbligatoria, il legislatore stabilisce solo una mera possibilità per l’organismo di mediazione di nominare uno o più mediatori ausiliari, o, tuttalpiù, la possibilità per il mediatore di avvalersi di un consulente tecnico iscritto negli albi dei tribunali (commi 1 e 4, art 8 d.lgs. n. 28/2010).

Per gli aspetti sopra rilevati può ben condividersi quell’orientamento secondo cui, in materia sanitaria, lo strumento della consulenza tecnica preventiva ai fini conciliativi si presenta più efficace rispetto allo strumento della mediazione obbligatoria[8]. Non si comprendono così le ragioni dell’inversione di tendenza adoperata dal legislatore durante l’iter parlamentare, che inizialmente aveva lasciato fuori la mediazione dalle condizioni di procedibilità per le controversie in materia sanitaria, per poi successivamente reinserirla ed approvarla nel testo della legge 8 marzo 2017, n. 24 ponendola come alternativa alla più utile CTP.

[1] Legge 8 marzo 2017, n. 24  sulle disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie. L’art. 8 sancisce che “Chi intende esercitare un’azione innanzi al giudice civile relativa a una controversia di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria è tenuto preliminarmente a proporre ricorso ai sensi dell’articolo 696-bis del codice di procedura civile dinanzi al giudice competente. La presentazione del ricorso di cui al comma 1 costituisce condizione di procedibilità della domanda di risarcimento. E’ fatta salva la possibilità di esperire in alternativa il procedimento di mediazione ai sensi dell’articolo 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28”.

[2] Così Trisorio Liuzzi La riforma della responsabilità professionale sanitaria. I profili processuali in Giust. Proc. civ., 2017, p. 656 e seg.

[3] Si tratta di fatto di una reintroduzione visto che, prima della l. 24/2017, l’art. 5 d. lgs. 28/2010 prevedeva già la mediazione obbligatoria in materia sanitaria.

[4] Così R. Donzelli Profili processuali della nuova responsabilità sanitaria in Riv. Dir. Proc. 2017 p. 1201, ed anche M. Cesaretti Inapplicabilità delle norme di cui al d.lgs. n. 28 del 2010 in caso di domanda giudiziale per una Ctu preventiva , Giur. Mer., 2012, fasc. 4 p. 856 e seg.

[5] Ordinanza Tribunale di Roma Sez. XIII del 17/03/2014 giudice estensore dott. Massimo Moriconi

[6] Nell’ordinamento civilistico manca una norma generale, quale quella prevista dall’art. 189 c.p.p. nel processo penale, che legittima espressamente l’ammissibilità delle prove non disciplinate dalla legge. Tuttavia, l’assenza di una norma di chiusura nel senso dell’indicazione del numerus clausus delle prove, l’oggettiva estensibilità contenutistica del concetto di produzione documentale, l’affermazione del diritto alla prova ed il correlativo principio del libero convincimento del giudice, inducono le ormai da anni consolidate ed unanimi dottrina e giurisprudenza, ad escludere che l’elencazione delle prove nel processo civile sia tassativa, ed a ritenere quindi ammissibili le prove atipiche, con efficacia probatoria comunemente indicata come relativa a presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. od argomenti di prova. Sono così state ritenute prove atipiche gli scritti provenienti da terzi a contenuto testimoniale; gli atti dell’istruttoria penale o amministrativa; i verbali di prove espletati in altri giudizi; le sentenze rese in altri giudizi civili o penali, comprese le sentenze di patteggiamento; le perizie stragiudiziali; i chiarimenti resi al CTU, le informazioni da lui assunte, le risposte eccedenti il mandato, e, appunto, le CTU rese in altri giudizi fra le stesse od altre parti. Così G. Ludovici Prove atipiche: ammissibilità e valore probatorio nel processo civile. Annotazione alla sentenza del Tribunale di Reggio Emilia del 23.05.2013 in La Nuova Procedura Civile 11.06.2013

[7] Così G. Trisorio Liuzzi La riforma della responsabilità , cit., p.. 664 e seg.

[8] Così Trisorio Liuzzi cit. p. 663; Consolo Bertolini e Buonafede, Il tentativo obbligatorio di conciliazione nelle forme di cui all’art. 696 bis cpc e il successivo favor per il rito semplificato, in Corr. Giur. 2017, 763, 768; M. Zulberti La consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite in materia di responsabilità sanitaria. Riflessioni a margine dell’art. 8 della l.n. 24/17 in Riv. Arb 2018 p. 101

Scarica l’articolo in pdf