La questione di merito implicitamente decisa tra pregiudizialità logica e ragione più liquida: brevi considerazioni anche sul sindacato di legittimità

Di Luca Conte -

SOMMARIO: 1. La vicenda in esame: la decisione implicita di una questione (di merito) è censurabile solo come violazione di legge o come difetto di motivazione ma non per omessa pronuncia – 2. La tesi sostenuta nell’ordinanza: la decisione implicita di una questione tra l’applicazione del criterio dell’antecedente logico-giuridico e (forse) della ragione più liquida – 3. (segue) La tipologia di motivo azionabile nel ricorso per cassazione e riflessioni conclusive

 

Cass., sez. III, 17 gennaio 2024, n. 1859, ord. (Pres. A. Scrima, Rel. M. Dell’Utri)

Abstract: La recente ordinanza della S.C. torna – piuttosto sbrigativamente – sul tema della decisione implicita delle questioni di merito riconfermando il proprio orientamento tanto nei presupposti relativi alla sua operatività quanto nell’individuazione del motivo di censura in sede di legittimità. L’occasione offre lo spunto per una riflessione in proposito non senza manifestare qualche perplessità circa il perimetro degli istituiti coinvolti e dei principi caratterizzanti il processo civile.

 

È configurabile la decisione implicita di una questione (connessa a una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o rilevabile d’ufficio) quando queste risultino superate e travolte, benché non espressamente trattate, dalla incompatibile soluzione di un’altra questione, il cui solo esame presupponga e comporti, come necessario antecedente logico-giuridico, la loro irrilevanza o infondatezza; ne consegue che la reiezione implicita di una tesi difensiva o di una eccezione è censurabile mediante ricorso per cassazione non per omessa pronunzia (e, dunque, per la violazione di una norma sul procedimento), bensì come violazione di legge e come difetto di motivazione, sempreché la soluzione implicitamente data dal giudice di merito si riveli erronea e censurabile oltre che utilmente censurata, in modo tale, cioè, da portare il controllo di legittimità sulla decisione inespressa e sulla sua decisività.

 1.La vicenda in esame: la decisione implicita di una questione (di merito) è censurabile solo come violazione di legge o come difetto di motivazione ma non per omessa pronuncia

In data 26.7.2021, la Corte d’Appello di Salerno rigettava il gravame proposto da LH S.r.l. volto ad ottenere la condanna di A.V. al risarcimento dei danni subiti dalla società a causa del negligente o imperito assolvimento da parte di A.V. degli obblighi professionali sul medesimo incombenti in qualità di progettista e direttore dei lavori; lavori che, materialmente, venivano eseguiti dall’impresa individuale di G.F. A detta del giudice di seconde cure, in esito alle indagini tecniche svolte, era emerso il corretto adempimento del menzionato professionista con conseguente insussistenza di ogni responsabilità in relazione alle contestazioni sollevate dalla società committente. L.H. S.r.l. ricorreva, dunque, per cassazione sulla base di quattro motivi e, per quel più rileva, il terzo veniva esplicitato nella violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e sussunto nell’art. 360 n. 4 c.p.c. per aver la corte territoriale omesso di decidere su alcuni motivi di appello (i.e. mancato assolvimento da parte di A.V. sia dei doveri di informazione che di consegna alla committente di un programma di manutenzione delle opere murarie). La S.C., con ordinanza del 17 gennaio 2024, rigettava il motivo formulato da L.H. S.r.l. pronunciandosi nel senso della massima in epigrafe.

2.La tesi sostenuta nell’ordinanza: la decisione implicita di una questione tra l’applicazione del criterio dell’antecedente logico-giuridico e (forse) della ragione più liquida

La pronuncia della S.C., che possiamo suddividere in due parti, si caratterizza per la concisa motivazione, che ad una prima lettura può anche esercitare una sorta di fascinum per la sua pragmatica logicità. Il tema e le implicazioni sottostanti, però, riteniamo siano più complesse e – come si dirà – dovrebbero condurre ad un approccio differente nella gestione di fattispecie assimilabili a quella che qui ci occupa. Ciò detto, in primo luogo, al fine di meglio comprendere il decisum della S.C., appare utile spendere qualche parola sul concetto di “questione” e sui criteri che presiedono alla sua disamina-decisione. Prendiamo le mosse dal disposto di cui all’art. 276, commi 2-5, c.p.c. – valevole quantomeno anche per il giudizio di appello – ove è previsto che il collegio decida ‹‹gradatamente le questioni pregiudiziali (…) e quindi il merito della causa››. L’avverbio gradatamente suggerisce l’esistenza di un ordine delle questioni in virtù del quale dovrebbero primariamente essere decise le quaestiones litis ingressum impedientes e, poi, con una progressione – basata sull’infondatezza della questione precedente “a monte” – proseguire ad esaminare, rispettivamente, le questioni preliminari di merito, quelle pregiudiziali e, infine, l’oggetto della domanda. Tale ordine è tradizionalmente considerato vincolante[1], soprattutto con riferimento alla distinzione tra rito e merito ‹‹alla luce di un’evidente ragione logico-giuridica››[2] ed atteso anche il dettato dell’art. 118 disp. att, c.p.c.[3]. Si aggiunga, poi, la sua ulteriore rilevanza dal punto di vista sistematico in quanto, e ci avviciniamo al tema oggetto di indagine, detto ordine ha stimolato l’elaborazione del principio dell’antecedente logico necessario – qualora (qui siamo già nel rapporto merito-merito) sussista un nesso di pregiudizialità logica[4] nella fattispecie portata all’attenzione del giudicante – e la teoria del giudicato implicito. Secondo tale impostazione, qualora il diritto dedotto in giudizio rappresenti uno dei (molteplici) rapporti semplici scaturenti dall’unitario rapporto giuridico obbligatorio (elemento pregiudicante) e per decidere del primo è necessario conoscere del secondo, il giudice potrà accertare (implicitamente) l’intero rapporto giuridico fondamentale pur in assenza di domanda di parte o espressa previsione di legge[5].

Differente è, invece, l’approccio seguito nella decisione delle sole questioni di merito (in senso stretto e preliminari escluse, dunque, quelle legate da un nesso di pregiudizialità-dipendenza) o di rito ove la scelta della questione da risolvere per prima può seguire il canone della c.d. ragione più liquida[6]. Con specifico riferimento alle questioni di merito come sopra identificate la norma di riferimento risiede nell’art. 187, comma 2, c.p.c. La littera legis, consentendo al giudice di definire la situazione soggettiva controversa risolvendo una sola questione preliminare di merito[7], sta nella sostanza dicendo che una causa può essere decisa anche senza che vengano esaminate e risolte tutte le questioni dedotte dalle parti. Come è stato già autorevolmente osservato[8] dalla disposizione testè citata si possono trarre due regole. La prima consiste nella definizione della controversia ogniqualvolta una questione di fatto o di diritto consenta di accertare l’esistenza o l’inesistenza del diritto sostanziale oggetto di causa senza che sia indispensabile prendere posizione su tutti i temi di merito che, dunque, non verranno decisi rimanendo assorbiti (c.d. principio di assorbimento delle questioni non decise). La seconda predica l’assenza di un ordine logico e cronologico nella trattazione delle questioni di merito, le quali, tra loro, sono fungibili e la cui decisione in termini di priorità è dettata unicamente dalla più agevole soluzione (c.d. primato della ragione più liquida[9]). Detto altrimenti, non si impone un vincolo di completezza che costringa il giudicante a ricostruire tutta la vicenda materiale e a risolvere tutti i punti in contestazione. Applicando il principio della ragione più liquida si ottiene una contrazione della durata del processo e, conseguentemente, un risparmio di risorse giudiziarie ed energie processuali. Sulla base di queste considerazioni, la S.C. riconosce il fondamento della “ragione più liquida” nel principio di economia processuale e, in particolare, in quello di ragionevole durata del processo ex art. 111, comma 2, Cost[10].

Tanto premesso, è ora possibile concentrarsi sulla prima parte della motivazione di cui all’ordinanza che qui ci occupa. Secondo la prospettazione della Corte poiché l’antecedente logico-giuridico al ‹‹mancato adempimento dei doveri di informazione›› ed ‹‹elaborazione e consegna di una programma di manutenzione delle opere murarie›› era già stato risolto nel senso della sua incompatibilità rispetto alla menzionata questione, allora quest’ultima doveva correttamente essere considerata come decisa implicitamente. L’approdo raggiunto dalla S.C. – in quella che è la prima parte della propria motivazione – non ci persuade sino in fondo né facendo riferimento allo schema della pregiudizialità logica né tantomeno avvalendosi della “ragione più liquida”. Invero, il collegio di legittimità, sembra in qualche modo – quantomeno a livello terminologico – richiamare il principio dell’antecedente logico necessario, ma, a nostro avviso, i fattori dell’operazione non coincidono con quelli canonici. La violazione dei doveri di informazione e l’omessa elaborazione e consegna di cui sopra non ci sembrano rappresentare un diritto o un rapporto semplice, ma semmai, il fatto costitutivo di un’azione (costitutiva) di inadempimento (assumiamo di un contrato di prestazione d’opera intellettuale), ossia una questione di merito in senso stretto[11]. D’altro canto, poi, non ravvisiamo neppure quale sarebbe il rapporto giuridico obbligatorio logicamente pregiudiziale ed anche qualora lo stesso dovesse essere identificato con la ‹‹natura dei materiali›› e ‹‹talune soluzioni costruttive›› rilevate dal c.t.u. come addebitabili alla committente, ci sembra arduo sussumerli in un rapporto giuridico fondamentale avente valore strumentale sui singoli rapporti di cui si compone e accertabile in un autonomo giudizio. Il richiamo all’antecedente logico-giuridico ci appare, quindi, fuorviante. Sarebbe stato, forse, più corretto impostare il discorso sulla scorta dell’art. 187, comma 2, c.p.c. per quanto entrambe le soluzioni (supponendo di assumere come corretta anche la prima, che è stata quella in concreto seguita) in ultima analisi non ci soddisfano appieno nelle conseguenze che dalle stesse discendono. Ad ogni modo, volendo considerare le omesse informazioni/consegna una questione di merito (potremmo dire pura) equivalente alle altre, avremmo ritenuto più pertinente l’applicazione della “ragione più liquida” per cui, in buona sostanza, considerati come pronti i rilievi del c.t.u., il giudice di primo grado avrebbe avuto buon gioco per non affrontare l’ulteriore questione di merito (per intenderci l’omissione addebitata al convenuto e oggetto di successiva doglianza in cassazione) la quale sarebbe rimasta assorbita. Ebbene, se assumiamo che la questione sia rimasta assorbita (perciò non decisa) e il soccombente abbia in relazione alla medesima formulato uno specifico motivo di appello oppure l’abbia riproposta ex art. 346 c.p.c.[12], è evidente che la parte manifestati non soltanto un interesse, ma una volontà ben precisa a che quella questione venga esplicitamente affrontata e decisa.

A tal riguardo, autorevole dottrina[13] ha già avuto modo di evidenziare come pur in un momento storico dominato dai valori dell’economia processuale e della ragionevole durata del processo, il criterio della ragione più liquida incontri delle eccezioni – espressione anche del potere dispositivo – tali per cui qualora la parte manifesti espressamente la propria volontà, sì da indicare l’ordine di decisione delle allegazioni costitutive chiarendo il proprio interesse a tale graduazione oltre all’interesse ivi sotteso, il giudice è vincolato nella propria attività decisoria a rispettare la sequenza delle questioni voluta dalla parte. Da ciò ne deriva che la violazione da parte del giudice dell’ordine di preferenza indicato dalla parte si traduce in un vizio di procedura attesa la violazione dell’art. 112 c.p.c.[14]. Se così stanno le cose ci sembra che la conclusione sulla tipologia di vizio censurabile in cassazione espressa nell’ordinanza dovrebbe essere rivista in una direzione opposta rispetto a quella prospettata.

3.(segue) La tipologia di motivo deducibile nel ricorso per cassazione e brevi considerazioni conclusive

La S.C. non è nuova a pronunce similari[15] rispetto a quella annotata e per quanto faccia leva sul suggestivo ed estremamente razionale “rasoio di Occam[16]” a nostro parere presenta qualche criticità. Ci pare, difatti, che in entrambi i possibili itinerari argomentativi l’esito sia il medesimo, cioè una questione di merito che sarebbe più corretto definire come non decisa a dispetto dell’edulcorata locuzione “decisione implicita.” Quanto osservato – che si riverbera ovviamente anche sui motivi di censura in sede di legittimità – a nostro avviso si configurerebbe anche qualora la S.C. avesse fatto buon governo della categoria della pregiudizialità logica. Invero, la statuizione esplicita su uno degli effetti del rapporto giuridico che ha presupposto, pur in assenza di una domanda in tal senso, l’accertamento dell’antecedente logico necessario si traduce evidentemente in una decisione di cui non v’è traccia, invisibile e prodromica, poi, al giudicato implicito; modus ragionandi quest’ultimo, che ha ormai trovato definitiva consacrazione nel circuito pretorio quantomeno a far data dalle sentenze rese a S.U. nn. 26242-26243 del 12 dicembre 2014[17]. Ebbene, non può dirsi peregrina la preoccupazione adombrata da autorevole dottrina[18], che ha già intravisto nella teorizzazione dell’implicito una dispensa in capo al giudice dal proprio fondamentale dovere di prendere posizione su un certo tema decisorio; dispensa che nella sostanza conduce irrimediabilmente ad attribuire cittadinanza a sentenze (parzialmente) prive di motivazione in chiaro conflitto con l’art. 111 Cost. Del pari, anche il criterio della ragione più liquida si espone ad altrettante critiche non fosse altro che qui la questione di merito assorbita non viene decisa (neppure implicitamente) e neanche quando sulla medesima la parte – in appello – come accaduto nel caso di specie l’abbia espressamente riproposta manifestando una precisa volontà in tal senso, il che ci lascia l’impressione di come non sia stato rispettato l’art. 112 c.p.c.[19]

Per entrambe le ipotesi ricostruttive ci sia consentito di osservare come l’attuale approccio giurisprudenziale si ponga in antitesi con il principio dispositivo, “quel principio di iniziativa e di responsabilità” inteso da Calamandrei quale “forza motrice del processo[20]”. Segnatamente, nel caso della pregiudizialità logica, attraverso la presa di posizione sulla questione logicamente pregiudiziale senza che vi sia stata domanda di parte e, al contrario, quando si fa applicazione della ragione più liquida, nel non dare seguito (anche in appello) alla richiesta di decisione sulla questione rimasta assorbita. Venendo, ora, agli aspetti rimediali tratteggiati dalla S.C. e portando a compimento le brevi considerazioni fatte sino ad ora sembrerebbe, quantomeno per coerenza, più ragionevole un approccio valorizzante la violazione dell’art. 112 c.p.c. come sostenuto dal ricorrente. Se, difatti, è vero che per la pregiudizialità logica c’è stata una decisione implicita su una questione pur in assenza di una domanda e, d’altro canto, per il criterio della ragione più liquida tale questione non ha trovato risposta, seppur richiesta, in grado di appello, forse non è errato concludere nel senso che un problema tra la decisione impugnata e la norma da ultimo citata ci sia. Pertinente ci sembra, invece, il richiamo (almeno con riferimento al principio dell’antecedente logico necessario) al difetto di motivazione sussumibile nell’art. 360, comma 1, n.5 c.p.c., per quanto la propria riscrittura definita il ‹‹frutto avvelenato della L. n. 134/2012[21]›› ne ha reso molto più angusti i confini, peraltro escludendone dal 1° gennaio 2023 l’invocabilità in caso di doppia conforme ‹‹per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti››. La parte, quindi, da un lato, si ritroverebbe con una decisione invisibile non richiesta oppure senza una decisione in relazione alla quale ha interesse e domandato che fosse oggetto di pronuncia e, dall’altro, con un motivo per cassazione circoscritto nel proprio margine di operatività, il tutto accentuato da un atteggiamento della giurisprudenza di legittimità che pare più improntato all’ossequio del disposition time e del clearance rate piuttosto che della nomofilachia.

[1] Chiovenda, Principii di diritto processuale civile: le azioni, il processo di cognizione, Napoli, 1965, 858; Turroni, La sentenza civile su processo. Profili sistematici., Torino, 2006. 116, nota 13; Vaccarella, Economia di giudizio e ordine delle questioni, in Giusto proc. civ., 3, 2009, p. 643; Liebman, Manuale di diritto processuale civile. Principi, Milano, 2012, p. 166 Luiso, Diritto processuale civile, II, Milano, 2017. Contra Allorio, Critica alla teoria del giudicato implicito, in Problemi di diritto, II, Sulla dottrina della giurisdizione, Milano, 1957, 216; Mandrioli-Carratta, Diritto processuale civile, Torino, 2014, 319-320 i quali negano che tale ordine sia cogente richiamando Cass., S.U., 8 maggio 2014, n. 9936 la quale ha rigettato il merito della domanda ex art. 2051 c.c. senza esaminare l’eccepito difetto di giurisdizione.

In giurisprudenza, cfr. Cass., S.U., 9 ottobre 2008, n. 24883, in Giust. civ. Mass. 2008, 10, 1459 nella quale si sottolinea che ‹‹Questi passaggi, che nel giudizio monocratico non sono scanditi da un apposito rituale, sono plasticamente raffigurati nella prescrizione dell’art. 276, secondo comma, c.p.c. in forza del quale il collegio, sotto la direzione del presidente, “decide gradatamente le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d’ufficio e quindi il merito della causa” (la disposizione, richiamata dagli artt. 131 e 141 disp. att. c,p.c., riguarda anche i giudizi di appello e di cassazione). Vi è dunque un preciso obbligo di legge di decidere prima (“gradatamente”) le questioni pregiudiziali (logico o tecniche) e poi

(“quindi”) il merito››. Più di recente, cfr. Cass., Sez. VI, 26 novembre 2019, n. 30745, in Giustizia Civile Massimario 2020. Contra Cass., Sez. II, 10 febbraio 2020, n. 3049, in Guida al diritto 2020, 27, 99.

[2] Iacumin, La fase decisoria, in Dittrich (diretto da), Diritto processuale civile, II, Milano, 2019, 2126-2127.

[3] Biavati, Appunti sulla struttura della decisione e sull’ordine delle questioni, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 1314 ss.

[4] La distinzione terminologica tra pregiudizialità logica e tecnica è da attribuire a Satta, Commentario al codice di procedura civile, I, Milano, 1966, 149 poi ripresa e sviluppata da Menchini, I limiti oggettivi del giudicato civile, Milano, 1987, 91. Per una trattazione d’insieme, cfr. Tiscini, Itinerari ricostruttivi intorno alla pregiudizialità tecnica e logica, in Giust. civile, 3, 2016.

[5] Aderiscono all’applicazione dell’antecedente logico necessario alla pregiudizialità logica oltre a Menchini, cit.; Proto Pisani, Appunti sul giudicato civile e sui suoi limiti oggettivi, oggettivi, in Riv. dir. proc., 1990, 396; Luiso,cit., 166. Contra nel senso di estendere il dettato di cui all’art. 34 c.p.c. anche alla pregiudizialità logica Andrioli, Commento al codice di procedura civile, Napoli, 1954, I, 112 ss; Gionfrida, voce Competenza civile, in Enc. dir. VIII, Milano, 1961, 40 ss.; Cerino Canova, La domanda giudiziale e il suo contenuto,in Allorio (diretto da), Commentario al codice di procedura civile, Torino, 1980, II, 138-141; Vullo, La domanda riconvenzionale. Nel processo ordinario di cognizione, Milano, 1995, 172; Carbonara, Questioni di merito e idoneità al giudicato, in Riv. trim. dir. proc., 2003, 688; Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, I, Le tutele (di merito, sommarie ed esecutive) e il rapporto giuridico processuale, Torino, 2015; ID., Oggetto del giudicato e principio dispositivo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1991, 233; Id, Il cumulo condizionale di domande. Struttura e funzione, Padova, 1985, I,481.

[6] iacumin, cit., 2130.

[7] Secondo Iacumin, cit., 2101 “per questione preliminare di merito idonea a cagionare la rimessione in decisione si intende una questione di fatto o di diritto (…) la mancanza di un fatto costitutivo o l’esistenza di un fatto impeditivo, modificativo o estintivo, per la cui pronuncia non sia necessaria l’assunzione di mezzi di prova ulteriori rispetto a quelli già acquisiti e di cui il giudice supponga la fondatezza”.

[8] Menchini, L’ordine di decisione delle questioni di merito nel processo di primo grado, in Riv. dir. proc., 4-5/2016, 975-976.

[9] Il principio viene così sintetizzato da Picardi, Manuale del processo civile, Milano, 2013, 356 “se sussiste un motivo sufficiente per ritenere la causa matura per la decisione, la controversia va definita con sentenza, senza affrontare questioni che, in astratto, si collocherebbero a monte”.

[10] Cass., Sez. Lav., 26 settembre 2019, n. 24093, in Redazione Giuffrè 2020. In dottrina sostiene il principio di economia processuale quale entità giuridicamente immanente al sistema positivo che impone al giudice di scegliere, tra le varie vie consentite, quella più breve ed economica e impone alle parti di collaborare al fine che il processo giunga a termine con il minor sacrificio di risorse giudiziarie Comoglio, Il principio di economia processuale, I, Padova, 1980.

[11] Secondo Garbagnati, Questioni preliminari di merito e questioni pregiudiziali, in Riv. dir. processuale, 1976, 261 la questione di merito in senso stretto è da intendersi come insieme degli elementi costitutivi della fattispecie concreta, nonché come individuazione e interpretazione delle disposizioni giuridiche applicabili.

[12] Per l’applicabilità dell’art. 346 c.p.c. anche all’appellante che ha visto la propria domanda non esaminata in primo grado per via della preventiva soluzione di una questione pregiudiziale di rito o preliminare di merito, cfr. Cass., Sez. I, 13 novembre 2015, n. 23294, in DeJure.it. Per la non necessità di espressa riproposizione delle argomentazioni in fatto e in diritto che si intendono implicitamente richiamate con la valida riproposizione delle corrispondenti domande ed eccezioni, cfr. Cass., Sez. Trib., 20 ottobre 2010, n. 21506, in Giust. civ. Mass. 2010, 10, 1343; Cass., Sez. Trib., 13 marzo 2001, n. 3653, in Giust. civ. Mass. 2001, 471.

[13] Menchini, L’ordine di decisione, cit., 981 ss; Parla di volontà implicita a che tutti i motivi d’invalidità dell’atto siano decisi Motto, Poteri sostanziali e tutela giurisdizionale, Torino 2012, 182-183. Cfr. Cass., Sez. I, 23 febbraio 2012, n. 2758, in Giust. civ. Mass. 2012, 2, 209.

[14] Menchini, L’ordine di decisione, cit., 985, 1011 ss.

[15] Cass., Sez. III, 8 maggio 2023, n. 12131, in Giustizia Civile Massimario 2023; Cass., Sez. III, 6 novembre 2020, n.24953, in Giustizia Civile Massimario 2021; Cass., Sez. I, 28 marzo 2014, n.7406, in Giustizia Civile Massimario 2014;

Cass., Sez. II, 24 giugno 2005, n. 13649, in Giust. civ. Mass. 2005, 6; Cass., Sez. III, 29 luglio 2004, n.14486, in Giust. civ. Mass. 2004, 7-8.

[16] Il metodo elaborato dal filosofo del XIV secolo Guglielmo di Occam “novacula Occami” può essere compendiato nel brocardo “nihil fit plura quod fieri potest per pauciora”, ossia è inutile fare con più ciò che si può fare con meno e in ambito giuridico suggerisce la necessarietà di – icasticamente – tagliare l’esame di tutte quelle questioni il cui esame potrebbe prolungare la definizione del processo. Cfr. Arseni, Il rasoio di Occam: quando il principio della ragione più liquida prevale su quello dispositivo, in Persona & danno, 2015.

[17] Per quanto le S.U. menzionino soltanto la Begründungstheorie (Zeuner, Die obiectiven Grenzen der Rechtskraƞ im Rahmen rechtlicher Sinnzusammenhänge, Tübingen, 1959, 42) di fatto la S.C. opta per una soluzione che non si discosta molto dalla dottrina dell’antecedente logico necessario. Come è stato autorevolmente affermato da Tiscini, Itinerari ricostruttivi, cit., 594, ‹‹il richiamo alla teoria zeuneriana non è argomento a tenuta stagna né per ampliare, né per circoscrivere i confini applicativi dell’art. 34 c.p.c. (e di riflesso, ridurre o estendere la portata del principio dell’antecedente logico necessario)››.

[18] Panzarola, Contro il cosiddetto giudicato implicito, in Judicium, 3, 2019, 316.

[19] Nel senso della censurabilità della sentenza d’appello per violazione dell’art. 112 c.p.c. e non per vizio di motivazione ex art. 360, comma 1, n.5 c.p.c. (motivo quest’ultimo che presuppone l’esame della questione oggetto di doglianza), cfr. Cass., Sez. I, 19 maggio 2006, n. 11844, in Giust. civ. Mass. 2006, 5

[20] Cfr. Panzarola, Una lezione attuale di garantismo processuale: le conferenze messicane di Piero Calamandrei, in Riv. dir. proc. 1, 2019, spec. 179.

[21] L’espressione è di Sassani, La cassazione, in Dittrich (diretto da), cit., II, 2019, 2729.

Sulla riformulazione dell’art. 360, n. 5, c.p.c. ad opera della riforma del 2012 si veda a titolo esemplificativo Bove, Giudizio di fatto e sindacato della Corte di cassazione: riflessioni sul «nuovo» art. 360, n. 5, c.p.c., in Gius. Proc. civ., 2012, 679; Consolo, Nuovi ed indesiderabili esercizi normativi sul processo civile: le impugnazioni a rischio «svaporamento», in Corr. giur., 2012, 1139; De Cristofaro, Appello e cassazione alla prova dell’ennesima «riforma urgente»: quando i rimedi peggiorano il male (considerazioni a prima lettura del d.l. n. 83 del 2012), in Judicium.it, 2012; Sassani, La logica del giudice e la sua scomparsa in cassazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2013, 639 ss.