La riesumazione dell’istruttore ed i moduli decisori differenziati nell’appello civile riformato

Di Luciano Guaglione -

SOMMARIO: 1. La tendenza alla monocraticità ed alla differenziazione dei riti – 2. La nuova fase presidenziale ex art. 349 bis c.p.c. – 3. La trattazione e l’istruzione del giudizio innanzi all’istruttore ex art. 350 c.p.c. – 4. I moduli decisori ex artt. 350 bis e 352 c.p.c.

 1.La tendenza alla monocraticità ed alla differenziazione dei riti.

La storia degli interventi di riforma del processo civile negli ultimi trent’anni insegna che il legislatore – per far fronte al problema dell’arretrato che intasa gli uffici giudiziari e realizzare un’accelerazione nella definizione dei processi nell’ottica del “giusto processo” – ha puntato decisamente, almeno in primo grado, sul sacrificio della collegialità (considerato un lusso) a vantaggio della monocraticità e sulla differenziazione dei riti, non più legata alla specificità delle situazioni sostanziali tutelate, ma alla mera diversità dei percorsi procedimentali, più o meno semplificati (v. processo sommario di cognizione e, oggi, processo semplificato) rispetto a quello ordinario[1].

Il risultato di questa politica è sotto gli occhi di tutti: il problema dell’arretrato persiste e la qualità delle sentenze di primo grado è paurosamente diminuita, sì da determinare un ricorso sempre maggiore alle impugnazioni.

Ciononostante, la riforma Cartabia interviene pesantemente anche sulle impugnazioni insistendo, per l’appello, nella tendenza alla monocraticità ed alla differenziazione dei riti.

L’attuale formulazione del testo ex d.lgs. n. 149/2022 appare in più parti ambiguo e contraddittorio, frutto di una tecnica redazionale approssimativa, sì da essere improponibile l’individuazione delle soluzioni applicative corrette sulla scorta della mera interpretazione letterale, dovendosi viceversa ricorrere alla interpretazione logica, sistematica e teleologica, alla luce della finalità della riforma che è quella di ridurre l’arretrato pendente dinanzi alle Corti d’appello ed assicurare una considerevole diminuzione dei tempi di giudizio.

 2.La nuova fase presidenziale ex art. 349 bis c.p.c.

Nell’ottica di implementare i poteri del giudice in senso monocratico la riforma delinea anzitutto una nuova fase presidenziale, nella quale il Presidente è chiamato a svolgere in limine un compito particolarmente delicato nell’ottica della differenziazione del rito decisorio.

Sennonchè ambigua ed incompleta appare la formulazione del primo comma dell’art. 349 bis c.p.c..

In base ad un’interpretazione meramente letterale della disposizione normativa sembrerebbe che il Presidente sia di fronte ad un’altenativa secca: “nominare il relatore e disporre la comparizione delle parti davanti al collegio per la discussione orale” oppure “designare un componente del collegio per la “trattazione e istruzione della causa” (cioè l’istruttore in base alla rubrica della norma).

In altri termini, la nomina del relatore pare collegata esclusivamente alla sussistenza dei presup-posti per la discussione orale ex art. 350 bis c.p.c. e, quindi, alla possibilità di una immediata defini-zione dell’intero giudizio senza necessità di una fase di trattazione, ed eventuale istruzione, innanzi al consigliere istruttore; in assenza di quei presupposti si imporrebbe la nomina dell’istruttore.

Questa opzione interpretativa esclude, dunque, la possibilità di una trattazione collegiale con nomina del relatore.

La sottolineata esigenza di non fermarsi al dato letterale, privilegiando invece interpretazioni funzionali alla ratio legis (che è quella di assicurare la maggiore celerità del giudizio di appello) impone, tuttavia, di riflettere sulla possibilità che il potere presidenziale possa, in realtà, essere esercitato in una triplice direzione, e cioè:

1) nominare il relatore ove ravvisi i presupposti per la decisione immediata all’esito di discussione orale, in base al modulo decisorio semplificato ex art. 350 bis c.p.c.;

2) nominare l’istruttore, ove ritenga che la causa abbia bisogno di una fase istruttoria di una certa complessità;

3) nominare il relatore, ove ritenga che la causa non abbia bisogno di una fase istruttoria[2].

Avallando tale ipotesi ricostruttiva, la nomina dell’istruttore non costituisce più un’alternativa obbligatoria rispetto alla mancata adozione del modulo decisorio semplificato, dipendendo invece dalla verifica delle concrete esigenze istruttorie del giudizio di appello.

Plurime ragioni di carattere testuale, operativo e logistico depongono per tale soluzione.

 

a) Sul piano testuale.

L’art. 350, comma 1, c.p.c. dispone che “Davanti alla corte di appello la trattazione dell’appello è affidata all’istruttore, se nominato, e la decisione è collegiale…”, non escludendosi dunque la possibilità di una trattazione collegiale ove l’istruttore non sia nominato.

Poiché in caso di attivazione della procedura semplificata ex art. 350 bis c.p.c. non si passa attraverso una fase di trattazione, che significato dovrebbe attribuirsi all’inciso “se nominato” se non quello di ammettere che possa esserci una trattazione non affidata all’istruttore, e quindi collegiale?

L’art. 349 bis, comma 2, c.p.c. dispone che “Il presidente o il giudice istruttore può differire, con decreto da emettere entro cinque giorni dalla presentazione del fascicolo, la data della prima udienza fino a un massimo di quarantacinque giorni”. Orbene, mentre la previsione del differimento della prima udienza per opera dell’istruttore non crea dubbi, perché è all’istruttore che è affidata la trattazione della causa nella prima udienza, pur “se nominato”, la possibilità che sia anche il presidente a poter differire l’udienza stessa fa pensare che il riferimento non possa che essere alle ipotesi in cui l’istruttore non sia nominato, ma, nonostante ciò, si debba svolgere una prima udienza di trattazione, senza che vi sia quindi il passaggio diretto a discussione orale; il che sembra avallare la possibilità alternativa di svolgimento della udienza di trattazione innanzi al collegio[3].

L’art. 351 c.p.c. disciplina l’inibitoria nel senso che la pronuncia è data sempre con ordinanza collegiale da pronunciarsi in prima udienza, lasciando aperta la possibilità che sia l’istruttore “se nominato” a dover sentire le parti, per poi riferire al collegio. Nel precisare che l’istruttore agisce come indicato soltanto “se nominato”, il legislatore lascia evidentemente aperta la possibilità che l’istruttore possa non essere stato nominato e che l’udienza sia quindi tenuta dal collegio, che deciderà in questo caso direttamente con la medesima ordinanza non impugnabile[4].

L’art 356 c.p.c. prevede che, in caso di ammissione di prove in corte d’appello da parte del collegio, questo “delega l’assunzione delle prove all’istruttore, se nominato, o al relatore …”.

Questa previsione presuppone evidentemente che sia stato nominato un relatore al di fuori delle ipotesi di definizione immediata della causa ex art. 350 bis c.p.c.

b) Sul piano operativo

Sono evidenti le difficoltà operative legate alla nomina dell’istruttore:

– non tiene conto del sistema di assegnazione automatica delle cause tramite algoritmo, che, come tale, sfugge alla indicazione del presidente;

– impone al presidente uno studio approfondito del fascicolo, allo scopo di individuare il modulo procedimentale più adeguato alle specificità della causa, con evidente dispendio di energie e tempo; – presuppone un vaglio preventivo di inammissibilità o manifesta infondatezza o fondatezza dell’ap-pello che sarebbe opportuno compiere a contraddittorio integro, mentre nel caso di specie la scelta tra i due riti avviene al momento dell’iscrizione della causa a ruolo, quando l’appellato non si è ancora costituito;

– impone il ripristino di un ruolo distinto da quello collegiale e la tenuta di udienze distinte, laddove sull’unico ruolo collegiale confluiscono (con il sistema a trattazione interamente collegiale) cause chiamate in prima udienza di trattazione, cause a precisazione delle conclusioni e cause rinviate per varie ragioni (es. integrazione contraddittorio, sanatoria invalidità ecc.), senza aggravio per i singoli consiglieri e per la cancelleria;

– non aumenta la produttività della Corte, posto che le maggiori incombenze dei singoli consiglieri istruttori rischiano di influire negativamente sul numero di cause da decidere pro capite settimanalmente.

 

c) Sotto il profilo logistico.

Se non vi sono richieste istruttorie e se l’unica attività (dopo le verifiche preliminari) è quella di fissare il termine per la decisione, corrispondente alla precisazione delle conclusioni, non si comprende come la nomina dell’istruttore possa agevolare una celere definizione del giudizio rispetto all’ipotesi della trattazione collegiale. Al contrario la duplicazione di ruoli e delle attività (di com-petenza dell’istruttore e del collegio) costituirebbe un’inutile complicazione in contrasto con la ratio legis acceleratoria della riforma.

Si deve convenire allora che, solo se nell’atto di appello si chiedono prove costituende di una certa complessità e verosimilmente le stesse vanno ammesse, allora può avere senso la nomina l’istruttore; ma nella maggior parte dei casi questo non avviene date le strettoie dell’art. 345 c.p.c..

In tal senso si sono orientate le Corti di Appello di Roma[5] e di Bari[6].

Pertanto, appare auspicabile che la regola sia costituita dalla designazione del relatore, individuato automaticamente dall’algoritmo operante presso l’Ufficio. I singoli consiglieri togati nominati relatori, coadiuvati dai funzionari addetti all’ufficio per il processo, tenuti allo spoglio dei fascicoli, provvederanno a segnalare al presidente la necessità – ravvisata la complessità delle questioni e l’ammissibilità di mezzi istruttori – della nomina dell’istruttore, che verrà designato nella stessa persona del relatore, in presenza dei presupposti.

Ci occuperemo di seguito del diverso problema relativo al modulo decisorio da adottare in assenza dell’istruttore, non potendosi – in prima approssimazione – condividere la soluzione[7] secondo cui “il processo debba seguire automaticamente il rito semplificato ex art. 350 bis c.p.c.”, a prescindere dalla verifica in concreto dei presupposti dettati da tale norma.

Proseguendo l’analisi dell’art. 349 bis c.p.c., una volta delineate le possibili varianti nell’esercizio del potere presidenziale contemplato da tale disposizione, occorre chiedersi in quali casi il Presidente può attivare subito il procedimento semplificato, e cioè “nominare il relatore e disporre la compa-rizione delle parti davanti al collegio per la discussione orale”.

La disposizione in esame non lo specifica, a conferma della sua incompletezza e della necessità di ricorrere ad altri referenti normativi e ad una interpretazione sistematica, a meno che si ritenga che la scelta presidenziale del modulo a decisione semplificata sia assolutamente discrezionale, svincolata cioè da qualsivoglia presupposto normativo.

La risposta al quesito impone un collegamento tra l’art. 349 bis c.p.c. e l’art. 350 bis c.p.c., che riserva alle controversie più semplici il procedimento di decisione immediata a seguito di discussione orale, richiamando le ipotesi di cui agli artt. 348 bis (vale a dire i casi di inammissibilità e manifesta infondatezza dell’appello) e 350, co. 3, c.p.c. (e cioè le ipotesi di manifesta fondatezza, ridotta complessità della causa o urgenza della sua definizione), per le quali viene richiamato il modulo decisorio previsto dall’art. 281 sexies c.p.c..

Sennonchè le difficoltà interpretative non sono terminate, non essendo scontato che la scelta presi-denziale possa riguardare tutte e cinque le ipotesi menzionate, tenuto conto che quelle di cui all’art. 350, co. 3, c.p.c. sembrano riservate all’istruttore.

La soluzione più agevole sembra essere quella di limitare la scelta presidenziale ai casi di cui all’art. 348 bis c.p.c., in conformità a quanto avveniva in limine litis (limitatamente alla mancanza di qualsivoglia probabilità di accoglimento dell’appello per ragioni di merito) nel regime previgente alla riforma Cartabia, trattandosi di un vero e proprio filtro preventivo.

Tale interpretazione restrittiva troverebbe un supporto nella Relazione alla legge di riforma, ove si legge che la previsione della nomina dell’istruttore da parte del presidente sarebbe “temperata, anche alla luce del ‘filtro’ introdotto per le impugnazioni inammissibili o manifestamente infondate, pre-vedendo che comunque il presidente possa, all’esito di un vaglio preliminare, fissare direttamente udienza davanti al collegio per la discussione orale della causa[8].

Tuttavia pare difficile escludere a priori la possibilità di esercizio del potere presidenziale anche laddove ricorrano i presupposti di cui all’art. 350, co. 3, c.p.c.,, poiché – al di là di quello che si legge nella Relazione – resta il fatto che l’art. 349 bis c.p.c. non fissa alcun limite a tale potere, sicchè non si vede come, ex positivo iure, si possa impedire al Presidente di nominare un relatore e disporre l’immediata discussione orale della causa, anche qualora non dovessero ricorrere le ipotesi di cui all’art. 348 bis c.p.c. e ritenga, ad es., che l’appello sia manifestamente fondato ovvero che ben possa essere comunque deciso in limine litis (perché semmai attiene esclusivamente a questioni di diritto).

Aggiungasi che, al di là della lettera della disposizione, un’interpretazione restrittiva dei poteri del presidente non pare condivisibile neppure sul piano sistematico. Innanzi tutto, perché, così argo-mentando, si finisce per attribuire al consigliere istruttore un potere più ampio di quello del presidente; in secondo luogo perché sembra incongruo pensare che il presidente, dopo aver rilevato, all’esito di un vaglio preliminare della causa, che l’impugnazione ben possa essere decisa in forma accelerata e semplificata (ad es., perché manifestamente fondata o perché non particolarmente complessa o ancora perché di peculiare urgenza), debba comunque e necessariamente designare il consigliere istruttore perché sia lui, eventualmente, ad assumere siffatta decisione. Invero, un meccanismo del genere sarebbe, all’evidenza, sterilmente farraginoso e dilaterebbe inutilmente i tempi della decisione, senza una ragionevole motivazione[9].

Quale che sia la soluzione che si voglia privilegiare, non possono ignorarsi in ogni caso le difficoltà applicative che detto vaglio preliminare (quale che sia la sua latitudine) comporta.

Mentre il vecchio filtro ex art. 348 bis c.p.c. veniva effettuato alla prima udienza di comparizione, nel contraddittorio delle parti (tanto da essere, nella prassi, subordinato alla formulazione di una eccezione da parte dell’appellato), alla luce del nuovo art. 349 bis c.p.c. il vaglio preventivo del Presidente deve avvenire in limine (in una fase assolutamente preliminare) sulla scorta del solo atto di appello e prima della costituzione dell’appellato[10].

Pertanto, mentre può risultare più agevole il sindacato di inammissibilità (ad es., la decadenza dal-l’impugnazione per mancato rispetto del termine, la carenza di uno degli elementi che l’atto di appello deve contenere a norma dell’art. 342 c.p.c.), rispetto alla quale l’assenza del contraddittore pare inin-fluente (almeno nell’ipotesi di appello incidentale tardivo, destinato a destinato a perdere efficacia ex art. 334, comma 2, c.p.c. in caso di inammissibilità dell’appello principale), non così deve ritenersi per l’ipotesi di delibazione della manifesta infondatezza.

Relativamente poi ad entrambe le ipotesi va ricordato che, ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., in presenza di impugnazione incidentale, l’attivazione del modulo procedimentale semplificato di cui all’art. 350 bis c.p.c. è possibile “solo ove i presupposti di cui al primo comma ricorrano per entrambi gli appelli”; altrimenti “il giudice procede alla trattazione di tutte le impugnazioni”.  Ed allora come può il Presidente decidere prima della costituzione dell’appellato? Si pensi che la scelta del percorso semplificato implica che non si passi dalla fase di trattazione[11] e si fissi direttamente per saltum la fase di discussione innanzi al collegio[12].

Le altre tre ipotesi di percorso semplificato sono collocate all’interno dell’art. 350 c.p.c., a ragion veduta, perché il loro vaglio implica una valutazione che non può prescindere dalla costituzione dell’appellato, soprattutto ai fini della delibazione della complessità o meno della causa.

E’ fin troppo evidente, infatti, che sia la ridotta complessità della lite che la manifesta fondatezza dell’impugnazione difficilmente possono valutarsi senza l’esame delle prospettazioni di entrambe le parti, non nota quanto alla parte appellata in questa fase del giudizio.

Quanto invece al riferimento all’urgenza della causa, trattasi di espressione che fa pensare all’inibi-toria e a quel passaggio dalla decisione della stessa alla discussione orale previsto dall’art. 351, comma 4° c.p.c., che anch’esso è previsto in relazione a una fase processuale successiva che si svolge dopo la costituzione dell’appellato ed il cui adattamento alla prima fase del giudizio non è comunque immediato.

Ed allora aumentano le perplessità circa le concrete possibilità di esercizio, nella realtà applicativa, del potere conferito al Presidente nella primissima fase del giudizio d’appello.

Se ne trae, in conclusione, l’impressione di una disposizione non soltanto ambigua ed incompiuta sotto il profilo della sua formulazione, ma anche di scarsa incidenza in concreto rispetto alla sottesa ratio acceleratoria perché di complicatissima (ed in parte impossibile) attuazione pratica anche sotto il profilo organizzativo.

E’ evidente, infatti, che per poter battezzare il giudizio di appello come meritevole di una defini-zione accelerata non si può prescindere dall’onere per il Presidente di Sezione (dopo l’assegnazione automatica delle cause) di esaminare ciascun fascicolo processuale per decidere se ragionevolmente procedere o meno alla nomina dell’istruttore.  A meno che non si voglia ipotizzare che il Presidente, per una ragione di sopravvivenza (e cioè per evitare eccessivo aggravio), sarà indotto sempre e senz’altro a nominare il consigliere istruttore.

E dunque tutto ciò richiede, ferma la necessaria regolazione tabellare, un efficiente assetto orga-nizzativo, che sarà nella fase iniziale ostacolato pure dalla coesistenza delle cause di vecchio e nuovo rito. Né è pensabile che il problema del filtro preliminare possa essere risolto soltanto ricorrendo all’apporto dei funzionari dell’ufficio del processo (cosa che prevedibilmente avverrà), al fine di monitoraggio del ruolo sezionale e di delibazione circa la complessità delle cause, trattandosi di scelta assai delicata che non può coinvolgere in prima persona la responsabilità monocratica del Presidente, attesa l’insindacabilità della stessa scelta da parte del collegio (che pure è responsabile della fase decisoria).

3.La trattazione e l’istruzione del giudizio innanzi all’istruttore ex art. 350 c.p.c.

In base al previgente testo dell’art. 350 c.p.c. davanti alla Corte di appello la trattazione dell’appello era collegiale, potendo peraltro il Presidente delegare per l’assunzione dei mezzi istruttori uno dei suoi componenti.

Dando attuazione alla legge delega, che ripristina la figura del consigliere istruttore[13], il nuovo art. 350 c.p.c. prevede che “davanti alla corte di appello la trattazione dell’appello è affidata all’istrut-tore, se nominato, e la decisione è collegiale[14];  correlativamente l’art. 349 bis c.p.c. prevede di norma, nel caso di appello proposto innanzi alla Corte di appello, la nomina dell’istruttore da parte del presidente.

Si assiste in tal modo ad un ritorno alla versione originaria del codice di procedura civile del 1940, caratterizzato dalla netta dualità tra fase di trattazione, affidata all’istruttore, e decisione, spettante invece al collegio.

Nel testo iniziale dell’art. 349 c.p.c., poi abrogato, era infatti disciplinata la nomina dell’istruttore, a cui l’art. 350 attribuiva ampi poteri, prevedendo poi all’art. 352 la rimessione al collegio per la decisione; così da replicare il «compromesso» tra esigenze di celerità e ponderazione della decisione.

La trattazione in appello divenne collegiale come contrappeso alla monocraticità del primo grado con la legge 26 novembre 1990, n. 353 (Provvedimenti urgenti per il processo civile) che, modificando l’art. 350 c.p.c, improntò l’appello ad una collegialità piena, così da compensare l’istituzione del giudice unico di tribunale in primo grado, introdotto con l’art. 190-bis[15].

Le ragioni che condussero all’abrogazione della dicotomia furono ampiamente meditate ed illu-strate nei vari progetti di riforma (Fabbrini, Proto Pisani e Verde, disegno di legge Vassalli) che condussero al varo della riforma del ’90.

Da allora, tuttavia, si assiste ad un lento ritorno verso la monocraticità.

Dapprima, la riforma del 1998 ha reso monocratico il giudizio d’appello davanti al tribunale; poi la giurisprudenza ha avallato la prassi di delegare le attività istruttorie ai singoli membri del collegio della Corte d’appello, secondo una interpretazione discussa; finchè la legge n. 183/2011 ha reintro-dotto, anche a livello normativo, la possibilità di delegare l’assunzione delle prove ad uno dei componenti del collegio.

Con l’attuale legge di riforma si assiste oggi al definitivo ripristino della dicotomia tra monocraticità nella trattazione e collegialità in fase decisoria, senza tuttavia una profonda e convincente enuncia-zione delle ragioni che inducano a preferire il ritorno al passato (a fronte delle più convincenti e specifiche motivazioni che indussero nel 1990 ad eliminare la dicotomia istruttore-collegio in appello), al di là dell’enfasi posta dal legislatore sul giudice monocratico, il quale, alla luce dell’in-tento di celerità ed efficienza cui la riforma si ispira, sembrerebbe presentato come uno dei possibili “rimedi” alla lentezza del processo anche in appello[16].

Invero l’idea di una trattazione monocratica affidata al consigliere istruttore pare verosimilmente legata alla convinzione che la collegialità piena, che a partire dalle riforme degli anni ’90 del secolo scorso ha impegnato costantemente tre giudici, possa essere stata la causa del tracollo dei tempi d’attesa della decisione.

Trattasi in realtà di una prospettiva fuorviante, già segnalata nel corso dei lavori preparatori[17], tenuto conto che il giudizio di appello, per come negli anni è diventato, differisce di molto da quello di primo grado dove la causa è istruita e, anche a causa del divieto di nova, non necessita nella maggior parte dei casi di alcuna istruttoria[18].

E è per questo che la figura dell’istruttore appare come una inutile riesumazione, in carenza di valide ragioni per superare le critiche che ne decretarono l’abolizione nell’ancien regime[19].

Ad eccezione del potere di ordinare la inibitoria della sentenza impugnata, il consigliere istruttore torna ad essere investito di alcuni dei poteri ordinatori che ad esso competevano in base al vecchio art. 350 c.p.c. Non gli è attribuito invece alcun potere decisorio, sicché può fortemente dubitarsi che la riforma possa sortire benefici concreti sul piano del più rapido smaltimento dei giudizi di appello, stante anche la eccezionalità dei casi in cui, in grado di appello, sorge la esigenza di compiere atti istruttori[20].

Probabilmente in ragione di queste perplessità e riserve il legislatore delegato ha immaginato una soluzione variegata, maggiormente flessibile nelle intenzioni, in cui la nomina del consigliere istruttore non appare come soluzione unica e obbligata, lasciando spazio a varianti che non risultano però del tutto cristalline[21].

Ad una prima lettura dell’art. 349 bis c.p.c. sembra che tale previsione possa essere derogata in una sola ipotesi: l’art. 349 bis c.p.c. prevede, infatti, la nomina dell’istruttore da parte del presidente, quando non ritenga di nominare un relatore e disporre la comparizione delle parti davanti al collegio per la discussione orale.

Si delineano, in tal modo, due alternativi moduli procedimentali: un modulo ordinario, con nomina dell’istruttore, ed uno semplificato, con nomina del relatore per la discussione.

La scelta tra i due moduli in rito dipenderà evidentemente dalla valutazione relativa alla sussi-stenza o meno dei presupposti per la discussione orale ex art. 350 bis c.p.c. (impugnazioni inam-missibili o manifestamente infondate ovvero manifestamente fondate o di ridotta complessità o ur-genti) e, quindi, della possibilità di una immediata definizione dell’intero giudizio senza necessità di una fase di trattazione – ed eventuale istruzione – innanzi al consigliere istruttore.

Al riguardo la Relazione illustrativa al d.lgs. n. 149/2022 sottolinea che “Si è inteso così assicurare la possibilità di adattare le forme del rito alle effettive esigenze dello specifico procedimento, in modo da privilegiare la snellezza e la celerità della decisione quando ciò sia opportuno, riservando modelli processuali più articolati alle cause il cui grado di complessità lo richieda”.

Il corretto esercizio del potere discrezionale del presidente di sezione,  sì da orientare la trattazione della causa sin dalle prime battute, appare di essenziale rilievo ai fini della realizzazione di un “filtro” efficace e di consentire la selezione delle impugnazioni: se esercitato senza timidezza, il filtro presidenziale consentirà di riservare la trattazione con modulo ordinario e designazione dell’istruttore alle cause di maggiore complessità, prevedendo per le altre il modulo decisionale semplificato, con fissazione della discussione orale e nomina del relatore.

Tuttavia si sono già messe in rilievo le criticità che prevedibilmente osteranno ad una efficiente utilizzazione del filtro nella fase presidenziale.

Orbene, al di fuori della predetta ipotesi derogatoria (modulo semplificato), la trattazione del procedimento di appello sembrerebbe – alla luce di una interpretazione letterale della previsione dell’art. 349 bis c.p.c. – doversi necessariamente svolgersi davanti al consigliere istruttore[22].

E nel caso di adozione del modulo ordinario l’art. 350 c.p.c. attribuisce all’istruttore  ampi poteri: verifiche preliminari alla prima udienza sull’integrità del contraddittorio, dichiarazione di contumacia dell’appellato o disposizione di rinnovazione della notificazione dell’atto di appello, riunione degli appelli proposti contro la stessa sentenza, tentativo di conciliazione avanti a sé disponendo anche, ma solo se ritenuto opportuno, la comparizione delle parti (che è, invece, obbligatoria alla prima udienza in primo grado: art. 183, comma 1, c.p.c.),

E’ pure confermata la possibilità, anche in appello, della “mediazione demandata” dal giudice, alla quale il legislatore della riforma ha dedicato un distinto articolo (art. 5 quater, d. l.vo. n. 28/2010).

Il potere più caratterizzante del nuovo istruttore è però senz’altro quello di decidere l’ammissione delle prove – entro i limitati di ammissibilità ex art. 345, comma 3, c.p.c. – e procedere alla relativa assunzione avanti a sé (prima del ’90 l’istruttore non ammetteva le prove occorrendo un provvedi-mento del collegio).

Sul piano delle garanzie l’attribuzione di tale potere al consigliere istruttore presta il fianco alla critica, atteso che – come autorevolmente rilevato in relazione al rapporto fra il giudice istruttore e il collegio – “non si può ammettere che un giudice collegiale sia composto in modo tanto sbilanciato e tanto poco garantista: altro è che uno dei componenti del collegio faccia da relatore e/o sia stato delegato dallo stesso collegio all’assunzione di una prova, altro è che abbia fatto da istruttore[23], a nulla rilevando che in appello la trattazione non è nella realtà applicativa particolarmente importante e che le questioni in materia di prove non sono così frequenti come in primo grado[24].

La censura testè mossa non appare confutabile richiamando sic et simpliciter la possibilità per il collegio di dissentire dall’operato del consigliere istruttore, tenuto conto che il collegio, e non soltanto perché valuterà ex post, tenderà verosimilmente a salvare più del dovuto quanto disposto dal- l’istruttore. Aggiungasi che un conto è valutare l’ammissibilità di una prova ex ante, altro è valutarla dopo ch’essa è stata ammessa e assunta, specie poi quando si tratta di una consulenza tecnica[25].

In definitiva questo consigliere istruttore è un istruttore che fa tutto lui, analogamente al giudice istruttore di primo grado[26]. La decisione resta poi riservata al collegio, così contemperando, anche in appello, la garanzia di una maggiore ponderazione (tradizionalmente ritenuta) insita nella decisione collegiale[27] con le esigenze di rapidità che nel giudice singolo trovano massima espressione[28].

Nell’ottica di adattare il modulo decisorio alle esigenze del caso concreto il novellato art. 350, comma 3, c.p.c. prevede che l’istruttore possa disporre – dopo aver sentito le parti[29] – la discussione orale della causa davanti al collegio per la decisione in forma semplificata non solo nei casi di cui all’articolo 348-bis c.p.c. (inammissibilità o manifesta infondatezza), ma anche, a prescindere dal “filtro” ivi previsto, quando l’appello appaia manifestamente fondato (ipotesi cui il legislatore delegante ha conferito particolare rilievo, contemplandola espressamente nell’articolo 283) o quando lo ritenga comunque opportuno in ragione della ridotta complessità della causa o dell’urgenza della sua definizione. E dunque è possibile la conversione, in corso di giudizio, dal modulo ordinario a quello semplificato.

Trattasi di un potere particolarmente ampio ed incisivo, perché la norma in esame non conferisce al consigliere istruttore soltanto il potere di delibare la sussistenza di certi requisiti e di sottoporre la questione al collegio, ma anche quello, ben più pregnante, di disporre – sulla scorta della sua valutazione – che la causa sia decisa mediante discussione orale[30]; discussione orale che per di più, ai sensi dell’art. 350 bis, 1° comma, c.p.c., deve necessariamente svolgersi con le forme di cui all’art. 281 sexies c.p.c., e cioè, in base alla norma, senza possibilità di depositare note scritte prima della (udienza di) discussione orale della causa.

Anche tale previsione non può allora non suscitare grosse perplessità, tenuto conto che la decisione sull’appello spetta al collegio nella sua interezza e che appaiono assai scarse le possibilità di far cambiare idea al consigliere istruttore (che verosimilmente arriverà all’udienza con la decisione già presa e forse anche redatta) o di convincere il collegio a non far propria la valutazione dell’istruttore.

D’altro canto, la legge neppure prevede alcunché in relazione alla pur rara ipotesi in cui il collegio non dovesse condividere la valutazione del consigliere istruttore in ordine alla ricorrenza dei presupposti indicati dall’art. 350, comma 3°, c.p.c., non essendo previsto alcun meccanismo di “raccordo” fra la decisione in forma semplificata e quella in forma ordinaria[31].

Abbiamo già esaminato nel paragrafo precedente le ragioni (di carattere testuale, operativo e logistico) per cui – proprio in ossequio alla ratio acceleratoria della riforma – la nomina dell’istruttore non è necessaria tutte le volte in cui non vi sono esigenze istruttorie particolarmente complesse da soddisfare, risolvendosi altrimenti in un fattore di rallentamento anziché di accelerazione del giudizio.

L’art. 350 c.p.c. va dunque letto – peraltro in conformità alla sua lettera – nel senso che “davanti alla corte di appello la trattazione dell’appello è affidata all’istruttore, se nominato …”, il che equivale a dire che negli altri casi la trattazione resta collegiale.

   Sarà dunque il collegio – tramite il relatore – nel contraddittorio delle parti a compiere le verifiche preliminari, altrimenti di competenza dell’istruttore, a rilevare la ricorrenza delle ipotesi in cui avviare il giudizio a definizione semplificata ex art. 350 bis c.p.c., ad ammettere e ad assumere – tramite delega al relatore – le prove.

L’opzione interpretativa, che rende facoltativa e non obbligatoria la presenza dell’istruttore, è avallata da gran parte dei primi commentatori della riforma[32], oltre che dalle prime indicazioni operative di talune Corti d’Appello[33], pur con alcune distonie relativamente al modulo decisorio da adottare in assenza dell’istruttore e non ricorrendo i presupposti per una definizione semplificata della causa, come meglio si vedrà nel prossimo paragrafo.   

4. I moduli decisori ex artt. 350 bis e 352 c.p.c.

Il modulo decisorio pensato e scritto per il giudizio di appello è assai duttile e muta in ragione delle esigenze del caso concreto e del singolo procedimento, favorendo la snellezza e celerità della deci-sione, riservando i modelli processuali più articolati alle cause il cui grado di complessità lo renda necessario.

Più precisamente la legge di riforma disegna per l’appello due percorsi decisionali differenti, ancorati a due velocità diverse:

1) il modello semplificato ex art. 350 bis c.p.c., che viaggia su corsia velocissima (discussione orale e sentenza ex art. 281 sexies c.p.c.);

2) il modello ordinario, che viaggia a velocità normale e si conclude con la trattazione scritta (sia pure con termini concessi a ritroso).

L’art. 350-bis c.p.c., di nuova introduzione, reca la disciplina del procedimento per la decisione semplificata a seguito di discussione orale, che può essere instaurato su iniziativa del presidente di sezione (349-bis) o del consigliere istruttore (350) e che è riservato alle controversie più semplici.

La norma richiama al riguardo i casi previsti dagli artt. 348 bis e 350, comma 3, c.p.c., e cioè le ipotesi di inammissibilità e manifesta infondatezza, da un lato, e le ipotesi di manifesta fondatezza, ridotta complessità della causa o urgenza della sua definizione, per le quali viene richiamato il modulo decisorio previsto dall’articolo 281-sexies c.p.c..

Sotto il profilo critico sorge spontaneo chiedersi quale possa  essere il comune denominatore che accomuni  il caso di  urgenza della causa (cui poco potrebbe calzare,  se fosse complessa, il modulo definitorio semplificato)  e quello in cui la causa  sia  di ridotta complessità; non sembra sussistere una eadem ratio nell’assimilazione delle cause urgenti e di  quelle  di non particolare complessità, sebbene in entrambe tali ipotesi  sia consentito al Presidente ed al C.I. di esercitare una discrezionalità  tale da  indirizzare la causa verso il modulo definitorio semplificato.

La ricerca di riferimenti che possano orientare il giudice nell’esercizio di tale discrezionalità, relativamente alle controversie di non particolare complessità, consentono probabilmente di richiamare le ipotesi previste per il rito cd semplificato dell’art. 281 decies, comma 1, c.p.c., di nuova introduzione (quando i fatti di causa non sono controversi, o la domanda è fondata su prova documentale o è di pronta soluzione o richieda un’istruzione non complessa). Si prescinde, ad ogni modo, dal rito seguito nel primo grado di giudizio che non condiziona il modulo procedimentale e decisorio da seguire in grado di appello.

Quanto all’urgenza, poi, la stessa implica la valutazione dell’influenza del decorso del tempo sulla capacità della decisione di incidere con i propri effetti sulle situazioni giuridiche controverse.

Vero è che la sentenza non si è confrontata mai con il concetto di urgenza, essendo elemento emerso e rilevante al più per le pronunce cautelari o per l’inibitoria; ed infatti, potrebbe ritenersi sussistere l’urgenza quando si profili la necessità di contenere gli effetti che scaturiscono dal limite di non frazionare gli effetti della esecutività della decisione a fronte di posizioni differenti e alla preclusione ad una sospensione frazionata, ma la casistica saprà certamente offrire risposte a questi interrogativi[34].

Sotto il profilo procedurale, nell’ipotesi in cui il presidente abbia fissato direttamente la discussione orale davanti al collegio, questo inviterà le parti a precisare le conclusioni ed all’esito della discussione orale pronuncerà la sentenza o si riserverà di depositarla nel termine di legge, ferma restando la possibilità, su richiesta di parte, di differire la discussione ad altra data, eventualmente anche concedendo alle parti termine per note (prassi abitualmente impiegata nell’applicazione dell’art. 281-sexies, pur in assenza di una esplicita previsione in proposito).

Per l’eventualità invece che la trattazione dell’appello si sia svolta davanti all’istruttore, si è previsto (art. 350 bis, comma 2 ss.) che questo, fatte precisare le conclusioni, debba fissare l’udienza davanti al collegio assegnando alle parti un termine anteriore all’udienza per il deposito di note conclusionali.

All’udienza l’istruttore svolge la relazione orale della causa[35].

Si è prevista a questo punto una forma semplificata di sentenza, motivata in forma sintetica anche mediante esclusivo riferimento al punto di fatto o alla questione di diritto ritenuti risolutivi o mediante rinvio a precedenti conformi.

L’altro modello di decisione è quello della trattazione scritta disciplinato dall’art. 352 c.p.c.

In base a tale disposizione normativa l’istruttore, esaurita la fase di trattazione e di eventuale istruzione, quando la causa è matura per la decisione, e non sussistono i presupposti ex art. 350 bis c.p.c. (per disporre la discussione orale e la decisione in forma semplificata), deve fissare udienza davanti a sé per la rimessione della causa in decisione, assegnando alle parti – salva la possibilità di rinuncia – un triplice termine perentorio (rispettivamente non superiore a 60, 30 e 15 gg.)[36] calcolato a ritroso rispetto alla data dell’udienza di rinvio per il deposito 1) di una nota di precisazione delle conclusioni, 2) delle comparse conclusionali e 3) delle note di replica.

All’udienza, l’istruttore rimetterà la causa al collegio per la decisione (ovvero, negli appelli davanti al tribunale, che decide in composizione monocratica, tratterrà la causa in decisione), fermo restando il termine di sessanta giorni per il deposito della sentenza.

Una evidente discrasia riguarda l’utilità dell’ultima udienza innanzi al consigliere istruttore, che interviene quando le parti hanno già illustrato diffusamente le rispettive posizioni con gli atti introduttivi, in sede di precisazione delle conclusioni, con le comparse conclusionali e le memorie di replica. Sarebbe stato forse preferibile quantomeno limitare la celebrazione dell’udienza ai casi in cui sia espressamente richiesta dalle parti ed ai giudizi di appello in cui siano stati assunti nuovi mezzi di prova o rinnovati quelli già assunti in primo grado.

Dopo aver analizzato i moduli decisori delineati dal legislatore della riforma occorre approfondire il tema – tutt’altro che scontato nelle applicazioni pratiche – dell’adozione dell’uno o dell’altro a seconda della fase processuale in cui il giudizio di appello di trova e della nomina dell’istruttore o del relatore.

Può ritenersi anzitutto incontestabile che, ove ricorrano i presupposti dell’art. 350 bis c.p.c il modulo decisorio da seguire sia quello semplificato ex art. 350 bis c.p.c.

E’ altrettanto pacifico che, ove il Presidente provveda (eccezionalmente) alla nomina dell’istruttore, il modulo decisorio da seguire – semprechè lo stesso non ravvisi in corso di giudizio la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 350 bis c.p.c., promuovendo la conversione del rito – sia quello ordinario ex art. 352 c.p.c.        

L’equivoco può sorgere, ed è sorto, ove manchi la nomina dell’istruttore, essendosi sostenuto che la designazione del relatore imponga il passaggio obbligato al modello semplificato della discussione orale. In tal senso vanno richiamate le linee guida dettate presso la Corte di Appello di Roma[37] e la prassi instaurata presso la Corte di Appello di Bari[38].

Tale opzione interpretativa non appare assolutamente condivisibile, poiché contraddice i referenti normativi che individuano i presupposti di scelta del modulo decisorio e stravolge il carattere eventuale del modulo semplificato (che diviene invece la regola) rispetto a quello normale del modulo ordinario.

L’art. 350 bis c.p.c., di nuova introduzione, reca la disciplina del procedimento per la decisione semplificata a seguito di discussione orale, riservandolo alle controversie più semplici.

La norma richiama al riguardo i casi previsti dagli artt. 348 bis e 350, comma 3, c.p.c., e cioè le ipotesi di inammissibilità e manifesta infondatezza, da un lato, e le ipotesi di manifesta fondatezza, ridotta complessità della causa o urgenza della sua definizione, per le quali viene richiamato il modulo decisorio previsto dall’articolo 281-sexies c.p.c..

Trattasi dunque di ipotesi in cui la decisione appare semplice e agevole, sì da poter essere adottata in forme semplificata già in limine litis, una sorta di filtro preventivo allargato rispetto alla previgente ipotesi di cui all’abrogato art. 348 bis c.p.c.

Al di fuori di queste ipotesi tipizzate il modulo decisorio non può essere che quello ordinario dettato dall’art. 352 c.p.c., e ciò a prescindere dalla nomina o meno dell’istruttore, essendo peraltro difficile ipotizzare (quand’anche si volesse escludere il carattere tassativo della previsione ex art. 350 bis c.p.c.) altri casi che si prestano ad una rapida definizione, apparendo l’elencazione dei casi previsti dagli artt. 348 bis e 350, comma 3, c.p.c. esaustiva.

L’equivoco di fondo in cui incorre l’opzione qui contestata è quella di ritenere che la designazione del relatore detti automaticamente il modulo decisorio semplificato, laddove invece tale modulo non dipende dalla presenza del relatore bensì dalla natura della causa, in quanto rientrante nei casi previsti dagli artt. 348 bis e 350, comma 3, c.p.c. (o affini)

Se dunque si ammette che la nomina del relatore sia la regola, anche quando non ricorrono le ipotesi di cui all’art. 350 bis c.p.c., con conseguente trattazione collegiale, non è possibile poi adottare il medesimo modulo decisorio semplificato, perché altrimenti non avrebbe senso la tipizzazione norma-tiva.

Del resto, diversamente opinando potrebbe accadere che una causa particolarmente complessa non sia accompagnata da articolate richieste istruttorie, dipendendo la complessità da altre variabili (quali, ad es., la pluralità dei motivi di appello principale e/o incidentale, il numero delle parti, la natura e delicatezza o la controvertibilità delle questioni giuridiche sollevate, le difficoltà interpretativa di atti o contratti prodotti, la necessità di riunione di cause connesse, ecc.). In tali, pur non procedendosi alla nomina dell’istruttore (perché non v’è bisogno di alcuna attività istruttoria complessa), si assoggetterebbe la causa complessa (sotto altri profili) allo stesso modulo decisorio riservato alle cause semplici, tradendo palesemente la ratio della previsione normativa ed aggravando non poco il lavoro della Corte[39].

Oltretutto le parti sarebbero espropriate della possibilità di una trattazione scritta completa (con conclusionali e repliche, non essendo ciò normativamente previsto dall’art. 350 bis c.p.c.)[40] e la stessa decisione sarebbe adottata in una forma (quella di cui all’art. 281 sexies c.p.c.) non congeniale alla complessità del contenzioso e, nella maggior parte dei casi, a notevole distanza di tempo[41] tradendo la ratio acceleratoria del modulo semplificato. Infatti, paradossalmente, avallando tale prassi, quello che dovrebbe essere un fattore di accelerazione (adozione del modulo semplificato ad alta velocità) si tramuterebbe, una volta generalizzato, in un boomerang poiché una percentuale altissima di cause sarebbe dirottata ad udienze di discussione orale da tenere a distanza di anni (anziché di pochi mesi o settimane), negli stessi termini cioè di quelle gestite con il modulo decisorio ordinario.

Aggiungasi che la soluzione qui avversata comporta di default l’adozione del rito semplificato ex art. 350 bis c.p.c., ove non sia nominato l’istruttore (cioè quasi sempre), senza neppure indicare alle parti la ragione che giustificano quella scelta di percorso (sulle quali le stesse hanno il diritto di interloquire in sede di discussione orale), recependo di fatto nel giudizio di appello civile riformato un modulo tipico del processo del lavoro (in cui viene fissata direttamente l’udienza di discussione), oltre le stesse intenzioni del legislatore (che non l’ha recepito neppure in primo grado).

Non risulta invero né dai lavori preparatori né dalla legge delega che il legislatore abbia voluto introdurre un rito decisorio generalizzato ad altissima velocità, avendo viceversa ancorato il rito semplificato a precisi presupposti normativi che gli dovrebbero consentire di funzionare in tempi brevi, diversamente da quanto prevedibile per il rito decisorio ordinario.

La diversa opzione interpretativa, che si sostiene, secondo cui in caso di trattazione collegiale (con la nomina del relatore, al di fuori delle ipotesi di cui all’art. 350 bis c.p.c.) la causa va decisa secondo il modulo ordinario, risponde ad evidenti ragioni logiche, oltre che di carattere testuale.

Invero, ammessa la possibilità che le attività di trattazione (art. 350 c.p.c.) e di adozione dei provvedimenti sull’esecuzione provvisoria (art. 351 c.p.c.) siano adottati dal collegio e non dall’istruttore (per il quale, si ribadisce, in entrambe le disposizioni è prevista la riserva “se no-minato”), ne deriva de plano l’applicabilità dell’art. 352 c.p.c., che va letto nei termini seguenti “Esaurita l’attività prevista negli articoli 350 e 351 l’istruttore [o il collegio] fissa davanti a sè l’udienza di rimessione della causa in decisione e assegna alle parti, salvo che queste non vi rinun-cino, i seguenti termini perentori: 1) un termine non superiore a sessanta giorni prima dell’udienza per il deposito di note scritte contenenti la sola precisazione delle conclusioni; 2) un termine non superiore a trenta giorni prima dell’udienza per il deposito delle comparse conclusionali; 3) un termine non superiore a quindici giorni prima per il deposito delle note di replica. 2. All’udienza la causa è trattenuta in decisione. Davanti alla corte di appello, l’istruttore [se nominato] riserva la decisione al collegio. La sentenza è depositata entro sessanta giorni.  

In conclusione, ci pare che una corretta interpretazione (secondo canoni non meramente letterali, ma anche logici e teleologici) della normativa introdotta con la riforma suggerisca la possibilità di gestire i moduli decisori in appello secondo le seguenti variabili:

1) in caso di nomina del relatore nei casi previsti dagli artt. 348 bis e 350, comma 3, c.p.c.: modello di decisione semplificata a seguito di discussione orale ex art. 350 bis c.p.c.;

2) in ipotesi di nomina dell’istruttore, quando dagli atti di impugnazione emergano esigenze istruttorie complesse (con possibilità di assumere o di rinnovare prove costituende): trattazione innanzi all’istruttore ed adozione del modello decisorio ordinario a trattazione scritta disciplinato dall’art. 352 c.p.c., a meno che l’istruttore non ravvisi successivamente i presupposti per procedere con il modello semplificato;

3) in caso di nomina del relatore in assenza dei presupposti ex art. 350 bis c.p.c.:  trattazione collegiale e adozione del modello decisorio ordinario a trattazione scritta disciplinato dall’art. 352 c.p.c., salvo che il collegio non ravvisi successivamente i presupposti per procedere con il modello semplificato.

Trattasi di una ricostruzione che ridimensiona fortemente il ricorso al consigliere istruttore, conformemente del resto alle prassi applicative di diverse Corti di Appello, che paiono decisamente orientate a tumulare definitivamente tale figura.

   [1] v.  Sul tema della tutela differenziata, v. A. Proto Pisani, Tutela giurisdizionale differenziata e nuovo processo del lavoro, in Foro it., 1973, V, c. 205 ss.; ID., Sulla tutela giurisdizionale differenziata, in Atti del XIII convegno nazionale (Catania, 28-30 settembre 1979); ID., La tutela giurisdizionale differenziata, Milano, 1981, 18 ss.; ID., Dai riti speciali alla differenziazione del rito ordinario, in Foro it., 2006, V, c. 85 ss.; L. Montesano, Luci e ombre in leggi e proposte di “tutele differenziate” nei processi civili, in Atti del XIII convegno nazionale, cit., 5; A. Romano  Tassone, Sulla differenziazione dei riti processuali (dalla decodificazione alla ricodificazione), in www.judicium.it;  L. Guaglione, Sulla diffusa tendenza alla differenziazione dei riti processuali tra certezza ed effettività di tutela, in  Il nuovo processo sommario di cognizione, 2009, Roma, 2009, p. 55 ss.

   [2] Da sottolineare che la norma, “ad onta della rubrica”, parla della nomina non dell’istruttore ma di un componente del collegio per soddisfare le esigenze di “trattazione e istruzione della causa”.

   [3] In tal senso, v. L. Salvaneschi, L’appello riformato, in Judicium 2 maggio 2023, pp. 7-8

   [4] Cfr. L. Salvaneschi, L’appello riformato, cit., p. 9.

   [5] Nell’intervento tenuto nel corso del Quarto seminario – La riforma della giustizia civile a cura di Magistratura democratica, tenuto a Roma il 2 marzo 2023, il Presidente della Corte d’appello di Roma ha chiarito che per ragioni organizzative ben evidenziate il protocollo organizzativo della stessa Corte è nel senso di non procedere ordinariamente alla nomina del consigliere istruttore, ma di confermare il sistema in uso di assegnazione automatica dei fascicoli con nomina del relatore e scelta preferenziale verso il modello della discussione orale. La nomina del consigliere istruttore avviene invece con espresso provvedimento del Presidente solo ove ritenga che la causa abbia profili particolari che determinano la necessità di istruttoria (cfr. Linee guida della Corte di Appello di Roma sulla riforma del processo civile, nota del Presidente in data 16.03.2023 – prot. 765/I).

   [6] Nel verbale della riunione intersezionale della Corte barese in data 8.06.2023 si è chiaramente avallata l’opzione secondo cui “la nomina dell’istruttore … debba essere limitata ai casi, che nel giudizio di appello sono normalmente del tutto residuali, in cui si prospetti ictu oculi la necessità di un’istruttoria della causa particolarmente comples

   [7] Pure adottata presso le Corti di appello romana e barese (in tal caso in modo solo prevalente ma non unanime).

   [8] In tal senso, v. quanto si legge a p. 92 della relazione n. 110 del 1° dicembre 2022, dell’ufficio Massimario e del ruolo della suprema Corte di cassazione, sulla riforma del processo civile.

   [9] In tal senso, v. Giovanni Battista De Luca, Il giudizio di appello, in Il Foro Italiano, Gli speciali, La riforma del processo civile, a cura di Domenico Dalfino, p. 264 s.)

   [10] Tale vaglio è immediato, allo stato degli atti, dunque solo con l’atto di appello e senza neppure la comparsa di costituzione (si pensi all’appello tardivo, o che sia meramente formale) e consente di effettuare un immediato invio della causa verso la decisione semplificata, così di fatto effettuando un solo passaggio innanzi al collegio.

   [11]  Cfr. F.P. Luiso, Il nuovo processo civile, Commentario breve agli articoli riformati del codice di procedura civile, Milano, 2023, p. 171.

   [12] Cfr. L. Salvaneschi, L’appello riformato, in Judicium 2 maggio 2023, p. 5 secondo cui: “… la disposizione è anche improvvida, almeno se si ritiene che l’art. 349-bis c.p.c. strutturi un rito super accelerato riservato alle impugnazioni manifestamente infondate, perché è del tutto evidente che il presidente della corte d’appello quando è chiamato a svolgere il compito riservatogli da quest’ultima norma dispone solo dell’atto di appello e non della comparsa di risposta contenente l’eventuale appello incidentale e non potrà quindi avvalersi della facoltà di spedizione diretta e accelerata della causa in decisione se non in pochissimi casi, che dovrebbero risolversi in quelli in cui l’appello principale è tardivo e quindi inammissibile, oppure nei casi in cui non vi sia possibilità di appello incidentale perché l’appellante è soccombente totale e non vi sono quindi statuizioni che legittimino l’appellato non ancora costituito, neppure in via ipotetica, alla proposizione dell’impugnazione incidentale. La riproduzione nel corpo dell’art. 348-bis c.p.c. della richiesta che anche l’appello incidentale sia affetto da manifesta infondatezza finirà quindi con l’impedire nella maggior parte dei casi che in questa fase processuale il presidente possa operare quel filtro che con larga probabilità il legislatore voleva nell’intenzione riservargli, a prescindere dalle difficoltà organizzative che questa selezione iniziale imporrebbe soprattutto con riferimento alle corti d’appello di maggiori dimensioni”.

   [13] L’art. 1, comma 8, lett. l), legge delega del 26 novembre 2021, n. 206 dispone infatti che “la trattazione davanti alla Corte d’appello si svolge davanti al consigliere istruttore designato dal presidente”.

   [14] L’art. 350 c.p.c. dispone in secondo luogo che, quando giudice d’appello è il tribunale, il procedimento è trattato e deciso dal giudice monocratico.

   [15]  Si è sottolineato che «la scelta del giudice monocratico in prima istanza richiedesse a mo’ di contrappeso la realizzazione di una piena collegialità nel giudizio di secondo grado»: v. B. Lasagno, sub art. 55 l. 353/1990, in S. Chiarloni (a cura di), Le riforme del processo civile, Bologna, 1992, 458. Ma la collegialità piena si collegava anche ad esigenze di celerità; si legge infatti nella Relazione Acone – Lipari (Provvedimenti urgenti per il processo civile. Testo approvato il 17 gennaio 1990 in sede redigente dalla Commissione giustizia del Senato e successivamente dall’Aula nella seduta del 28 febbraio 1990. Relazione, in Foro it., 1990, V, 406, in part. par. 10) che l’eliminazione della dicotomia istruttore-collegio in appello, «fonte di ingiustificati ritardi», si poneva nella «prospettiva di una razionale semplificazione del procedimento». Nel senso che nella trattazione collegiale si è visto un fattore di accelerazione, più che di immediatezza, v. B. Sassani, sub art. 350, in C. Consolo, F.P. Luiso, B. Sassani, Commentario alla riforma del processo civile, Milano, 1996, 402. Del resto, non si è mancato di evidenziare come esercitò una diretta influenza in tal senso anche la disciplina prevista dalla legge n. 533/1973 per il processo del lavoro, quale processo «improntato ad una rigorosa collegialità, ed alla concentrazione ed immediatezza che ne costituisce corollario»: v. R. Vaccarella, Il giudizio di appello, in R. Vaccarella, B. Capponi, C. Cecchella, cit., 263.

   [16] Del resto il recupero di tale figura era stata auspicata pure dal testo licenziato dalla Commissione Luiso, che all’art.   6, lett. d) aveva introdotto un’analoga previsione.

   [17] Cfr. G. Costantino, La riforma della giustizia civile, Prospettive di attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, Bari 2022, 239, ove si evidenzia che “con comunicazione del 3 giugno 2021, prot. 18435 il Presidente della Corte d’appello di Roma aveva segnalato alla Ministra della Giustizia che ‘la riesumazione, dopo oltre venti anni, della figura del consigliere istruttore non sembra dare un contributo in tal senso, ed anzi appare incoerente rispetto agli sforzi compiuti in questi anni per ridurre i tempi del processo civile in appello, semplificandone le forme e responsabilizzando, attraverso l’attività di coordinamento dei presidenti di sezione e l’integrale trattazione collegiale, tutti i magistrati dell’ufficio”; G. Federico, Il giudizio di appello, in Questione giustizia 2021, 89 s.; A. Aniello, in AA.VV. La riforma Cartabia del processo civile, a cura di R. Tiscini, Pisa 2023, 484, testo e nota 3.

   [18] Cfr. L. Salvaneschi, L’appello riformato, cit., p. 1, la quale rimarca pure che presso alcune Corti d’appello, come quella di Milano, i tempi siano divenuti del tutto ragionevoli anche con il modello a collegialità piena, il che dimostra che la soluzione non sta sul piano delle norme, ma su quello organizzativo.

   [19] Su quella che è stata autorevolmente definita «la resurrezione del consigliere istruttore in appello», v. G. Costantino, Le impugnazioni, in A.A.VV., La riforma della giustizia civile. Prospettive di attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, a cura di G. Costantino, p. 237, spec. 239.

   [20] Cfr. G. Federico, Il giudizio di appello, in Questione Giustizia, 2021, pp. 89 ss., p. 91 secondo cui: “Il ripristino della figura del consigliere istruttore e la conseguente dicotomia tra organo monocratico e collegio, nonché la tendenziale uniformazione dell’appello civile al giudizio di primo grado suscita qualche perplessità̀, apparendo un elemento di complicazione piuttosto che di snellimento e miglioramento dell’efficienza della fase di gravame”.

   [21] Cfr. L. Salvaneschi, L’appello riformato, cit., p. 1

   [22] Così B. Capponi, Prime note sul maxi-emendamento al d.d.l. n. 1662/S/XVIII, in Giustizia insieme, 18 maggio 2021, p. 13

   [23] Così F. Cipriani, Sull’abrogazione del reclamo al collegio, in Giur. it., 1997, IV, 277 ss.

   [24] In tal senso, v. Giovanni Battista De Luca, Il giudizio di appello, cit., p. 259.

   [25] In tali termini, v. Giovanni Battista De Luca, Il giudizio di appello, cit., p. 259.

   [26] Altra riflessione riguarda i rapporti – nel giudizio di appello – tra il nuovo art. 349 bis c.p.c., che prevede la nomina dell’istruttore, e l’art. 127 c.p.c. (che richiama le nuove disposizioni di cui agli artt.127 bis e ter c.p.c.), consentendo che l’udienza si svolga mediante collegamenti audiovoisivi a distanza o sia sostituita dal deposito di note scritte.

Deve ritenersi al riguardo che, nel momento in cui il consigliere istruttore riceve il fascicolo, a seguito del decreto di designazione del Presidente, lo stesso potrà disporre la trattazione scritta o l’udienza da remoto, nel rispetto dei termini di cui agli artt.127 bis e ter compatibilmente con le attività da svolgere (non certo l’assunzione di prove orali).

   [27] Le «maggiori garanzie di giustizia» a cui si sarebbe ispirato l’appello nella sua forma collegiale sono messe in rilievo da L. Montesano- G. Arieta, Il nuovo processo civile, Napoli, 1991, 81.

   [28] I vantaggi della monocraticità come modello di processo concentrato, in cui si attribuisce la gestione delle attività alla stessa persona sono messi in rilievo da A. Proto Pisani, La nuova disciplina del processo ordinario di cognizione di primo grado e d’appello, in Foro it., 1991, V, 249.

   [29] La valutazione e decisione del consigliere istruttore non necessitano di una motivazione sul punto, ma si svolge una verifica a contraddittorio pieno, avendo l’istruttore a disposizione anche le difese del convenuto e delle altre parti.

   [30] Ciò a differenza di quanto accade in primo grado, laddove l’art. 187 c.p.c. consente al giudice istruttore dei giudizi di competenza del tribunale collegiale di valutare se e quando rimettere la causa al collegio, ma non gli consente altresì di stabilire quale forma di fase decisoria adottare, che è invece prevista direttamente dalla legge.

   [31] In tal senso v. Giovanni Battista De Luca, Il giudizio di appello, cit., p. 258, il quale – sulla scorta di tali rilievi – rimarca l’inopportunità che la scelta di adottare una forma semplificata e accelerata di decisione, quale quella che risulta dal combinato disposto degli art. 350, 350 bis e 281 sexies c.p.c., sia di appannaggio del consigliere istruttore e non del collegio.

   [32] Cfr. Adele Ferraro, Riflessioni a margine della riforma sul processo civile, in Judicium, 15 Marzo 2023,  la quale rimarca a p. 11 che “… l’art. 350 c.p.c. sulla “Trattazione” fa riferimento al “giudice” e, in Corte di Appello, la trattazione è demandata all’istruttore solo ove sia stato nominato, altrimenti essa spetta al Collegio”; ed ancora a p. 13 “Orbene, l’art. 350 c.p.c.  è norma che opera, si diceva, anche per il collegio. Si parla del “giudice” perché si rivolge sia al Tribunale che al Giudice di appello, ma non specifica in linea generale e nell’appello se il riferimento sia al Collegio o al CI; in realtà non può che essere riferita anche al collegio che deve comunque svolgere le sue attività di verifica dell’integrità del contraddittorio, riunione e quanto altro indicato nel novellato art. 350 c.p.c.”; Laura Salvaneschi, L’appello riformato, cit., p. 9 secondo cui “Il punto più delicato mi sembra essere quello di determinare se, accanto al rito appena delineato, esista ancora la possibilità di procedere a trattazione collegiale senza nominare l’istruttore, legittimando così nella sostanza la prassi romana. In proposito a me sembra che la risposta sia positiva, nonostante l’insieme delle norme che regolano il procedimento davanti alla corte d’appello sia davvero di difficile coordinamento, perché, comunque le si guardi, c’è sempre qualcosa che non torna e che potrebbe essere interpretato in un altro modo.

   [33] V., in particolare, le Corti di Appello di Roma e di Bari.

   [34] In tal senso, cfr. Adele Ferraro, Riflessioni a margine della riforma sul processo civile, cit., p. 12.

   [35] Con riferimento alla compatibilità della trattazione scritta con i procedimenti in cui l’udienza di discussione è orale, v’è da segnalare – sebbene il riferimento sia alla normativa vigente durante lo stato emergenziale (art. 83, comma 7, lett. h), d.l. n. 18 del 2020, conv. con modif. dalla l. n. 27 del 2020) e con riferimento più propriamente all’udienza di discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c. –  la recentissima statuizione della Suprema Corte del 19 dicembre 2022, n. 37137 che prevede “È legittimo lo svolgimento dell’udienza di discussione orale della causa ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c. in forma scritta, mediante l’assegnazione alle parti di un termine unico e comune anteriore alla data dell’udienza per il deposito di note scritte previsto nel periodo di emergenza pandemica dall’art. 83, comma 7, lett. h), del d.l. n. 18 del 2020, conv. con modif. dalla l. n. 37 del 2020, in quanto tale procedimento – in linea generale e salve le eccezioni normativamente previste – è idoneo a garantire il contraddittorio in tutti i casi in cui sia per legge consentita la trattazione della causa in forma scritta e non sia invece imposta la discussione in forma orale (o addirittura in presenza) e anche, quindi, in relazione alla fase decisoria del giudizio di merito, senza che possa ammettersi in proposito una valutazione casistica fondata sull’oggetto, sulla rilevanza e sull’eventuale complessità della controversia, che determinerebbe una intollerabile incertezza in ordine alla validità dei provvedimenti decisori, non fondata sull’applicazione di precisi schemi procedurali fissi, ma sulla base di valutazioni legate a valori mutevoli, opinabili e controvertibili”.

   [36] Se rispetta il termine massimo, l’udienza non potrà essere fissata prima di 105 giorni (60+30+15) .

    [37] In tali linee guida si legge: “… Il d. lg. 10 ottobre 2022 n. 149 (C.d. Riforma Cartabia del processo civile), tenuto conto di tali criticità, ha introdotto una serie di modifiche alla trattazione del processo civile d’appello, non più necessariamente collegiale, com’era nella disciplina anteriore alla riforma, ma nemmeno esclusivamente monocratico, com’era nel testo originario del progetto di riforma.

Il presidente di sezione può, infatti, adottare due diversi modelli procedimentali: l)nominare il giudice relatore e fissare l’udienza per la discussione orale avanti al collegio; 2) designare il consigliere istruttore tra i componenti del collegio per la trattazione.

La scelta tra i due moduli procedurali appare connessa alla valutazione, da parte del presidente, della sussistenza o meno dei presupposti per la discussione orale ex art. 350bis c.p.c. e, quindi, della possibilità di una definizione dell’intero giudizio senza necessità di una fase di trattazione ed eventuale istruzione talmente complessa da determinare la necessità della nomina del consigliere istruttore.

Nella riunione dei presidenti di sezione, da me convocata e svoltasi il 14 febbraio 2023, tutti i presidenti di sezione hanno manifestato la preferenza per l’adozione del primo modulo procedimentale, che, fra l’altro, evita la duplicazione delle udienze per i consiglieri e la necessità di individuare spazi per lo svolgimento di udienze suppletive allo stato difficilmente reperibili.

Ma quel che più va sottolineato è che tale modello appare conforme alle linee organizzative fatte proprie dalla Corte nei suoi documenti programmatici, ed in particolare nel documento costitutivo dell’ufficio per il processo del 14 maggio 2021 , ove si legge che il modulo decisionale preferibile nell’ufficio per il processo dovrebbe essere quello della discussione orale e della contestuale sentenza ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., favorito “dalla conoscenza dei fatti di causa, dalla discussione che si è appena svolta in udienza e dalla possibilità di focalizzare l’attenzione, nella camera di consiglio che segue l’udienza, sulle questioni veramente decisive”.

Per come segnalato nella riunione del 14 febbraio scorso, la scelta della trattazione collegiale quale modello preferenziale per lo svolgimento del processo d’appello implica che tutti gli appelli iscritti nel ruolo delle sezioni siano trattati dal consigliere individuato dal sistema automatico operante presso la Corte quale giudice relatore, con conseguente rubricazione dell’udienza indicata nell’atto di citazione come udienza collegiale di discussione, essendo riservata l’eventuale nomina del consigliere istruttore ad un apposito e specifico decreto del presidente di sezione”.

   [38] Anche secondo la Corte barese “qualora non si proceda alla nomina dell’istruttore, il processo seguirà il rito semplificato ex art. 350 bis c.p.c., mediante fissazione della comparizione delle parti davanti al Collegio per la discussione orale che avverrà a norma del novellato art. 281 sexies c.p.c.”.

   [39] In primo grado la complessità della causa ha escluso, ante riforma, la possibilità di ricorrere al rito sommario di cognizione.

   [40] La concessione, secondo la prassi barese, di due termini precedenti all’udienza di discussione per note e repliche non è conforme alla previsione dell’art. 350 bis c.p.c., che prevede l’assegnazione di un solo termine per note conclusionali, in conformità alla snellezza del modulo decisorio che non necessità di una articolata trattazione scritta imperniata su conclusionali e repliche, attesa la semplicità del contenzioso da definire.

   [41] Secondo le indicazioni della Corte barese “le prime udienze con il rito semplificato andranno fissate, onde consentire l’esaurimento delle cause già fissate per PC, secondo il rito previgente, in date successive, ove non sia possibile o necessario fissare la discussione orale in tempi più celeri”).  In tal senso si segnalano le prime ordinanze emesse dalla Prima (v. ad es. ord. 4.07.2023) e dalla Terza Sezione Civile (v. ad es. ord. 5.07.2023) della Corte barese.