La Sezione “Immigrazione” del Tribunale di Roma nega, né più e né meno di come era tenuta a fare (non solo a seguito di CGUE, 4 ottobre 2024, C‑406/22 …), la convalida del trattenimento dei primi richiedenti asilo “oggetto” del c.d. Protocollo Albania…

Di Alessandro Fabbi -

In breve: dell’atto normativo che si crede(va) atto politico

 1.Il “decreto Cutro”, la procedura accelerata di frontiera, e i decreti di diniego di convalida (sul comunicato del Presidente della sez. Immigr. XIII del Tribunale di Roma, in data 18 ottobre 2024) dei primi trattenuti in terra albanese. – 2. CGUE 4 ottobre 2024, C‑406/22. Il c.d. Protocollo Albania e l’istituto dei paesi di origine sicuri. – 3. Il(i) possibile(i) day(s) after.

1. L’approccio governativo di cui si discute massicciamente in queste ore nella stampa è sin dall’inizio partito da un sostanziale equivoco[1], a conti fatti marchiano errore degli addetti ai lavori che l’hanno ideato: partendo dalla tacita ma sbagliata supposizione che la designazione dei c.d. “paesi di origine sicuri”, permessa e regolata nell’ambito del quadro di fonti di cui al c.d. CEAS, così come sarà pure in futuro in attuazione del patto europeo sulla migrazione[2], sia uno strumento libero per gestire, su basi politiche e ragioni di opportunità e strategia diplomatica o financo ideologica, il controllo di accesso ai confini nazionali e quindi dei flussi migratori tutti.

Le cose stanno del tutto diversamente, essendo questo un tool tecnico, in primis procedurale, tra i più ardui e rischioso nella sua stessa genesi giacché utilizzato al fine della tutela giurisdizionale e ridondante in gravi limitazioni nell’esercizio in action di un diritto fondamentale, quello di asilo: le limitazioni, infatti, sono destinate ad angustiare tale diritto al primo tempo della sua richiesta di apprezzarne la sussistenza da parte degli organi statali preposti e poi per tutto il corso successivo del procedimento[3].

Così, se si esce dall’involuto (a dir poco) mood comunicativo del nostro tempo, per approdare al piano tecnico che solo interessa, enormi dovevano subito a chiunque apparire le frizioni in gioco sul piano costituzionale, euro-unitario, e in ultimo, nella nostra personale ottica, processuale. Neppure un granello o germe di atto politico insindacabile è dato rinvenire in quelli (gli atti c.d. “normativi”[4]) in successione possibili e qui in concreto assunti.

Era dunque onestamente ingenuo attendersi che le novità del c.d. decreto Cutro – D.L. n. 20/2023, conv. in L. n. 50/2023: che in sintesi ha introdotto per la prima volta una procedura accelerata di frontiera, ed altre criticissime regole speciali, per (conoscere di e se del caso) rigettare le richieste dei richiedenti la protezione internazionale provenienti da paesi di origine sicuri permettendone per ciò solo, nel frattempo, il trattenimento – potessero restare esenti dal necessario sindacato dell’autorità giudiziaria[5].

Non stupiscono quindi apparato motivazionale e contenuto dispositivo dei decreti emessi dal Tribunale di Roma (riassunti nel comunicato del Presid. Sez. XVIII), che al contrario appaiono la semplice esplicazione del dovere di decidere secondo diritto i casi considerati: per i paesi di provenienza dei trattenuti, i giudici romani hanno –appunto in esercizio di un dovere– semplicemente consultato le fonti privilegiate della materia[6], per molti versi assimilabili a fonti di moderni “notori” certo processualmente sui generis perché qualificati e tipizzati[7], e di qui concluso per la (peraltro evidente) inappropriatezza della designazione, juxta il diritto europeo.

A conferma: la c.d. Direttiva Procedure, n. 32/2013, ancora vigente e volta a regolare i casi in esame, consente che gli Stati si avvalgano di tale istituto giuridico per semplificare il trattamento procedurale (per noi bifasico: prima amministrativo e poi giurisdizionale) delle richieste di protezione internazionale. Il sistema, anche dove non si esprime, è però intriso dello spirito per cui ove il fast track risulti erroneamente applicato di esso si debba fare disapplicazione ex nunc, ergo: ogni autorità investita del caso (non solo quella giurisdizionale, ma indubbiamente anche quella amministrativa in prima fase, nel nostro sistema[8]) ha il dovere di valutare se sia appropriata la premessa maggiore (la appropriatezza dell’etichetta di paese di origine sicuro) e in caso negativo discostarsene, intanto ai fini del rito. Detta in altre e più semplici parole, il giudice (ma ugualmente l’autorità amministrativa) deve sempre valutare d’ufficio la correttezza del rito speciale incardinato davanti a sé, non importa se richiesto dal ricorrente e perciò, a questi fini, come avevamo già altrove concluso, a prescindere dalle allegazioni del medesimo[9], il che è a maggior ragione supportato dalla sedes di riferimento (convalida del trattenimento, che rappresenta restrizione della libertà personale, talché l’autorità di controllo deve attivarsi a tutto tondo in punto di verifica di validità/regolarità), ma vale anche al di fuori di essa (ossia, pure se per la prima volta, nel successivo procedimento accelerato per il riconoscimento della protezione).

2. Che l’autorità investita del caso debba entrare nel concreto della valutazione (a maggior ragione se, come qui, prioritaria e presunta) della sicurezza del paese di origine anche ai soli fini del rito ha confermato da ultimissimo la Corte di Giustizia dell’Unione[10], non lasciando spazio a dubbio alcuno non tanto quando ha trattato dell’aspetto della eccezione territoriale, ma quando ha nella parte finale della pronuncia (i) previamente[11] riconosciuto che “… la désignation d’un pays tiers comme pays d’origine sûr relève de ces aspects procéduraux des demandes de protection internationale en ce que … une telle désignation est de nature à comporter des incidences sur la procédure d’examen portant sur de telles demandes”, e così (ii) affermato il principio di effettività della tutela (per come da essa concepito) nella presente materia, con il che “… lorsqu’une juridiction est saisie d’un recours contre une décision rejetant une demande de protection internationale examinée dans le cadre du régime particulier applicable aux demandes introduites par les demandeurs provenant de pays tiers désignés, conformément à l’article 37 de cette directive, comme pays d’origine sûrs, cette juridiction doit, au titre de l’examen complet et ex nunc imposé par cet article 46, paragraphe 3, soulever, sur le fondement des éléments du dossier ainsi que de ceux portés à sa connaissance lors de la procédure devant elle, une méconnaissance des conditions matérielles d’une telle désignation, énoncées à l’annexe I de ladite directive, même si cette méconnaissance n’est pas expressément invoquée à l’appui de ce recours”.

Del precedente hanno preso atto e fatto doveroso richiamo i giudici romani: ché, del resto, anche in assenza di tale recentissimo arresto –come visto di sopra–, chiunque avesse voluto leggere e interpretare i principi minimi del diritto europeo in materia, avrebbe dovuto conseguire identici risultati. Vero è che la Corte di Giustizia avrebbe in astratto potuto decidere in maniera diversa, ma – senza timore di smentita sino ai giorni nostri e con uguale speranza per il futuro – in generale, ai lumi e all’indipendenza della C. del Kirchberg quando si è trattato di giustizia e rispettivi modi poco o punto può rimostrarsi.

Lo strepito è qui a dire il vero dettato dalla circostanza che erano questi i primi casi di applicazione del c.d. Protocollo Albania, curioso caso di normazione e di esercizio del potere, come si è scritto, offshore[12], che tuttavia –non privo di criticità tra cui particolarmente all’evidenza sono quelle sul processo e l’assistenza legale[13]– va sgombrato il campo dagli equivoci, non è affatto direttamente interessato dai provvedimenti in nota: che investono l’istituto dei paesi sicuri e nient’altro, ogni differente riferimento essendo solo disinformativo.

Se poi si concludesse che questo recente “impeto” per le procedure di frontiera ed i trattenimenti da fare e gestire in Albania è stato messo in piedi sull’assunto di sfruttare l’istituto dei ‘Pos’ per la maggioranza dei migranti che sbarcano in Italia in questi anni da paesi di maggioritaria provenienza che tuttavia così sicuri non sono, allora i conti pro Albania sarebbero stati compiuti senza un adeguato calcolatore alla mano (senza reale comprensione della normativa di riferimento: v. supra), ma questo –come si vede– è un fatto terzo, che fuoriesce dai decreti annotati e che non è nostro interesse approfondire.

3. Annunciate levate di scudi verso i decreti, si attende un veloce ricorso alla Corte di Cassazione, che però già a Sezioni Unite, a seguito di rinvio pregiudiziale, con la succitata sentenza n. 11399 del 9 aprile 2024 ha sfiorato il punto di interesse risolvendo garantisticamente l’aspetto delle conseguenze derivanti dal superamento dei termini nelle procedure c.d. accelerate di frontiera; mentre attende(va) di essere deciso il quesito, di esatto rilievo nella specie, del pari inviato alla S.C., dal Tribunale di Roma nello scorso luglio 2024[14] ove si è chiesto di chiarire “se in caso di soggetto proveniente da paese di origine sicuro, nell’ambito del procedimento conseguente al provvedimento di rigetto per manifesta infondatezza ai sensi dell’art. 28 ter, D.Lvo. n. 25/2008 emesso dalla C. T. R. P. I. R. … il giudice ordinario sia vincolato alla lista dei paesi di origine sicura approvata con il decreto interministeriale, o se il giudice debba, anche in ragione del dovere di cooperazione istruttoria, comunque valutare, sulla base di informazioni sui paesi di origine (COI) aggiornate al momento della decisione, se il Paese incluso nell’elenco dei “Paesi di origine sicuri” sia effettivamente tale alla luce della normativa europea e nazionale vigente in materia”.

Se adita con ricorso contro i presenti decreti, la Corte Suprema, dopo aver già giustamente mostrato di voler interpretare restrittivamente il concetto di paesi sicuri ai fini processuali che ne discendono, avrà dunque una via del tutto segnata da seguire, forte anch’essa dei chiarimenti della Corte di Giustizia di cui sopra, non si crede dunque possano giungerne sorprese. Si aggiunga che – nella eventuale sede di legittimità – non sarà possibile sindacare della valutazione concretamente fatta coi decreti del contenuto delle COI poste al confronto, per svalutarla, con la designazione di paese sicuro di cui al decreto interministeriale. Se è corretta, e a nostro avviso lo è e merita sviluppi, la ascrizione al notorio dei fatti che in questi giudizi debbono ex lege fare ingresso, si traduce in violazione di legge (come sarebbe stato qui se i giudici avessero omesso di interrogarsi in proposito ai fini della correttezza del rito), la loro mancata considerazione; ma all’opposto, resta insindacabile al di fuori delle sedi di merito il giudizio con cui, in espletamento di siffatto dovere (qui neppure arguibile come discrezionale), si sia in tal senso provveduto[15].

Una diversa modalità di designazione dei “Pos”, con legge ordinaria invece che con decreto ministeriale, non muterebbe di una virgola gli approdi, atteso che l’eventuale norma di errata ed ingiusta designazione di un paese terzo come sicuro sarebbe del pari disapplicata, in ossequio alla interpretazione del diritto europeo in punto di effettività delle tutele.

Si deve pertanto accettare che l’istituto dei paesi di origine sicuri va ricondotto ad adeguate ed equilibrate dimensioni e ancora una volta concludere che, su questo ideale tracciato, le tutele processuali elargibili allo straniero – non ammettendosi (eccessive…) differenze allo stato attuale della normativa costituzionale e tantomeno europea – debbano ancora spettare, allo stesso modo in cui spettano a chiunque.

[1] Si omettono i riferimenti alle molteplici notizie di stampa. Il comunicato della Sezione è in allegato. Due dei dodici decreti del Tribunale di Roma, in data 18 ottobre 2024, sono reperibili al link https://www.meltingpot.org/2024/10/i-12-richiedenti-asilo-portati-nei-centri-in-albania-dovranno-essere-lasciati-liberi-e-riportati-in-italia/.

[2] V. tra l’altro Reg. (UE), n. 2024/1348, del 14 maggio 2024, “che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell’Unione e abroga la direttiva 2013/32/UE”, spec. artt. 61 ss., nonché cons. da 79 a 82.

[3] Con applicazione della procedura di frontiera, caratterizzata da una complessiva contrazione delle garanzie, come già ab verbis riconosciuto dalla S.C., in Sez. Un., sentenza n. 11399 del 9 aprile 2024 e come abbiamo più ampiamente discusso in Garanzie procedurali e trattenimento di richiedenti la protezione internazionale provenienti da paesi di origine sicuri, in Giur. It., X, 2024.

[4] Ne diciamo, di “atti normativi”, in chiave di teoria generale: alla Allorio, alla Carnelutti, alla Cordero, o alla “molti altri” (non ci riferiamo insomma … non si sa mai, serva chiarirlo … alla legislazione soltanto).

[5] L’equivoco generato dai mass media ha anzi, come prevedibile, causato una reazione diametralmente opposta, se si vuole e motivatamente ancor più accesa: sin dai decreti catanesi di oltre un anno orsono, e ben oltre: v. amplius, se vuoi, ancora il nostro Garanzie procedurali, cit., ed ivi i riff. dettagliati del caso.

[6] Sul rilievo delle COI nei contenziosi in esame, ex plurimis, v. ad es. Cass., ord. n. 4618/2021.

[7] Il tema, scientificamente preso, è complesso: si è adottata nel testo una visione evolutiva come quella riveniente in Cass., n. 15215/2020, laddove, in consapevole dissenso con la prevalente giurisprudenza di legittimità, argomenta, con acuta motivazione, che “In materia di protezione internazionale e umanitaria il ricorso alla categoria del fatto notorio, generalmente escluso da questa Corte fino al 2008 … va oggi rimeditato, alla luce dei principi del cd. “onere attenuato della prova” e del dovere di collaborazione istruttoria chiaramente affermati da Cass. Sez. U., Sentenza n. 27310 del 17/11/2008, Rv. 605498” e di qui “Deve pertanto ammettersi, nell’attuale contesto normativo ed alla luce dell’elaborazione giurisprudenziale consolidatasi in tema di cooperazione istruttoria e di onere della prova attenuato, da un lato la possibilità del ricorrente di invocare il fatto notorio, e dall’altro il corrispondente dovere del giudice di non ignorarlo. In tal senso va data continuità all’orientamento secondo cui le risultanze delle fonti informative aggiornate sul Paese di origine del richiedente la protezione internazionale o umanitaria (le cd. C.O.I.) costituiscono fatto notorio, proprio in ragione della loro diretta disponibilità da parte della collettività e della loro capillare diffusione mediante i canali informatici disponibili alla pluralità dei consociati (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 6280 del 05/03/2020, non massimata)”.

[8] Su cui pure grava qui il dovere di decidere secondo diritto, come si arguisce dall’art. 21-octies l. n. 241/1990 rapportato al caso di specie.

[9] V. ancora Garanzie procedurali, cit., spec. ult. §.

[10] CGUE, 4 ottobre 2024, C‑406/22, CV c. Ministerstvo vnitra České republiky, Odbor azylové a migrační politiky.

[11] Rispondendo al quesito terzo della corte rimettente (in vers. francese): “S’il est répondu par l’affirmative à l’une des deux [premières] questions préjudicielles […], l’article 46, paragraphe 3, de la directive [2013/32], lu en combinaison avec l’article 47 de la [Charte], doit-il être interprété en ce sens que la juridiction saisie d’un recours visant une décision constatant le caractère manifestement infondé d’une demande au sens de l’article 32, paragraphe 2, de cette directive, décision rendue dans le cadre de la procédure prévue à l’article 31, paragraphe 8, sous b), de [ladite] directive, doit d’office (ex officio), même en l’absence de griefs soulevés par le demandeur, prendre en considération la contradiction entre la désignation d’un pays comme pays [d’origine] sûr et le droit de l’Union pour les motifs précités ?”.

[12] Così, per tutti, Celoria, De Leo, Il Protocollo Italia-Albania e il diritto dell’Unione europea, in Dir. Immigr. Citt., 2024, I, spec. 20 ss.

[13] Nella l. di ratifica del trattato, n. 14/2024, è dedicato alla “Giurisdizione e legge applicabile”, ed anche ma molto scarnamente ai modi delle tutele, l’art. 4, che stabilisce (co. 5) una inedita forma di udienza di necessità da svolgersi ex art. 127-bis c.p.c., ma che tace ad es. sui modi in cui il migrante trattenuto potrebbe conferire previamente e riservatamente, in tempo utile, con il difensore “di fiducia”, ecc. Sennonché, per sintesi: la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nella materia penale che al procedimento di convalida del trattenimento meglio si attaglia, ha già chiarito ripetutamente la consistenza, ai sensi dell’art. 6 della rispettiva Convenzione, del diritto alla assistenza legale, che deve pure includere la fase che preceda l’avvio del procedimento, le fasi iniziali, ecc. (v. ad es. sentenze 27 novembre 2008, Salduz c. Turchia e 13 ottobre 2009, Dayanan c. Turchia).

[14] Ordinanza di rinvio/decreto n. 26085/2024 del 1° luglio 2024. Per il dettaglio del rinvio (assegnato alla I Sez.), https://www.cortedicassazione.it/page/en/ordinanza_di_rinvio_pregiudiziale_del_01_luglio_2024_con_rg_260852024__tibunale_di_roma?contentId=RPC32677.

[15] Siamo dunque agli antipodi rispetto ad una massima come quella di Cass., ord. n. 7726/2019, secondo la quale “Il ricorso, da parte del giudice, alle nozioni di fatto di comune esperienza, le quali riguardano fatti acquisiti alla conoscenza della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabili ed incontestabili, e non anche elementi valutativi che implicano cognizioni particolari ovvero nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, attiene all’esercizio di un potere discrezionale; pertanto la violazione dell’art. 115, comma 2, c.p.c. può configurarsi solo quando il giudice ne abbia fatto positivamente uso e non anche ove non abbia ritenuto necessario avvalersene, venendo in tal caso la censura ad incidere su una valutazione di merito insindacabile in sede di legittimità”: in subiecta materia il ricorso a quegli elementi è doveroso, reso necessario dalla legge; ed ove regolarmente effettuato, si tratterà invece, il che è ovvio, di valutazione di merito insindacabile in sede di legittimità.