La soluzione pacifica dei conflitti nei fondamenti dell’Islam

Di Fabio Valerini -

Abstract – Il Corano indica come metodo preferibile per affrontare le varie tipologie di controversie quello della ricerca di una soluzione pacifica fornendo anche le basi e gli strumenti comportamentali per poter raggiungere una conciliazione in applicazione di un principio di sussidiarietà a favore di una soluzione autonoma e non eteronoma dei conflitti.

                                               

وَٱلصُّلْحُ خَيْرٌۭ

L’accordo è la soluzione migliore

(Corano, IV.128)

 

1[1]. Nello sviluppo dei sistemi di risoluzione delle controversie pacifici e, in genere, alternativi all’intervento aggiudicativo[2], la letteratura, specialmente più recente, riconosce un ruolo importante alle religioni e, in particolare, alle tre monoteiste[3] e tra queste  l’Islam che tradizionalmente ha sostenuto e incoraggiato il ricorso a tutte e tre le forme originali di quelle che si possono ricomprendere nell’ambito delle alternative dispute resolution: Sulh (transazione), Wasalah (conciliazione, mediazione) e Tahkim (arbitrato)[4].

Ed infatti, in continuità con le esperienze pre-islamiche, l’Islam, a partire dal testo del Sacro Corano[5], nella Sunnah e nel comportamento del Profeta, ha indicato chiaramente la sua preferenza per una  risoluzione pacifica dei conflitti – da quelli familiari a quelli internazionali – fornendo anche fondamenti di tecniche per affrontare i conflitti considerando le caratteristiche dei soggetti coinvolti, le abilità del conciliatore o del mediatore, dell’arbitro e del giudice, ma anche il tempo e lo spazio per un’efficace gestione del conflitto finalizzata alla pacificazione sociale.

L’incoraggiamento a preferire sistemi di risoluzione delle controversie risente anche di una caratteristica riscontrata dai sociologi delle religioni[6] e, cioè, il forte senso della comunità musulmana dalle origini e sino ad oggi nonché il ruolo dell’onore (sharaf)[7] e dei precetti islamici.

Le peculiarità del modello di società descritto dal Corano e le caratteristiche della società musulmana hanno avuto come conseguenza quella di delineare un sistema per affrontare la risoluzione delle controversie fondato su un approccio – quello del mondo musulmano (e in generale di quello arabo) – diverso rispetto a quello del mondo c.d. “occidentale”: il primo più orientato alla pacificazione dei rapporti e dell’armonia sociale – in vista del mantenimento delle relazioni e il secondo più orientato alla massimizzazione dell’interesse[8].

In questa prima fase dello studio – di individuazione delle fonti – i riferimenti all’Islam e alla società islamica appariranno come riferiti ad un modello unitario.

Tuttavia, la doverosa avvertenza è che manca un’unità (si pensi già soltanto alle diverse scuole di interpretazione[9]), ma soprattutto le differenti società islamiche presentano differenze che influiscono – talvolta anche notevolmente – su come possa essere affrontato un conflitto[10].

Ed infatti, rappresenta oramai un’acquisizione scientifica che la struttura e i valori fondanti una società sono rilevanti per l’individuazione del metodo di risoluzione delle controversie preferibile in relazione alla tutela di quella struttura e  di quei valori che hanno un ruolo fondamentale per arrivare all’accordo[11].

2. L’approfondimento delle radici teologiche della soluzione pacifica dei conflitti nell’Islam appare, ancora di più oggi, necessario per superare quello che può essere definito “scontro di civiltà[12] tra la società “occidentale” e la società “musulmana”.

E ciò sia per valorizzare la ricerca di strumenti per il dialogo, non soltanto tra le religioni e le culture, sia per superare conflitti – specialmente, ma non esclusivamente – in ambito familiare in presenza di più frequenti “contaminazioni” dovute, per esempio, ai matrimoni misti[13].

L’interesse è, dunque, quello di verificare le fondamenta teologiche che ci consentiranno di mettere in evidenza le differenti modalità di approccio al tema della risoluzione delle controversie rispetto al quale siamo solitamente abituati e che potrà fornire un utile strumento anche operativo per cercare di porre le basi di un dialogo quando due civiltà si incontrano onde evitare che quell’incontro diventi scontro.

E ciò muovendo dalla condivisa osservazione degli interpreti secondo cui ciò che il modello indicato dal Corano per la soluzione delle specifiche controversie in realtà ha valore generale e può essere applicato per ogni tipologia di controversia (sia, quindi, per esempio, tra privati che tra Stati).

3. L’esame delle fonti dimostra, come vedremo, che il messaggio del Sacro Corano sia un messaggio di pace.

Del resto, il primo indizio che questo sia l’approccio preferibile per affrontare i conflitti lo si può ricavare già dal nome della religione: l’Islam si propone come religione di pace laddove la pace è nel termine stesso di Islam la cui radice è uguale a quella di salam (per l’appunto “pace”).

Applicazione pratica dell’affermazione generale è, poi, la formula di saluto e della risposta, indicata nel Sacro Corano, che è proprio salam aleikum (e, cioè, la pace sia su di voi).

Che l’approccio pacifico sia quello preferibile è testimoniato proprio, in primo luogo, dal comportamento del Profeta ispirato alla pacificazione di ogni conflitto sia esso di natura personale, di gruppo o tra gruppi (non soltanto tra musulmani, ma anche con non musulmani) e nel rispetto delle diversità[14].

Valgano tra tutti due esempi fondamentali nella tradizione islamica.

Il primo esempio è quello del conflitto per la posa della Pietra Nera nella Ka’ba. Qui il Profeta per risolvere il contrasto tra i capi delle varie tribù che si contendevano l’onere di porre la Pietra Nera nella Ka’ba intervenne come mediatore: posò la pietra su un tappeto e chiese ad ogni capo di tenerlo per un lembo ordinando loro di sollevarlo e ponendo tutti insieme – Lui compreso – la Pietra Nera nella Ka’ba.

Il secondo esempio è quello della pace di Hadaybuyah quando il Profeta unitamente ai Suoi Compagni erano intenzionati ad entrare, come pellegrini, alla Mecca per l’Umra (il pellegrinaggio rituale minore). Senonché, a quindici chilometri il Profeta si ferma perché i meccani vedevano in quel pellegrinaggio una possibile minaccia e, violando la regola che il pellegrino potesse entrare nella città, non intendono consentirne l’entrata. All’esito delle trattative viene stipulato un trattato di pace che prevede, tra l’altro, che quell’anno il pellegrinaggio non potrà avere luogo, ma soltanto l’anno successivo sarà consentito ai musulmani di entrare, spada nel fodero, per tre giorni per il loro pellegrinaggio e prevedendo una pace di dieci anni[15].

4. In secondo luogo, il passaggio forse più evidente nel Corano che indica come l’Islam sia fondato su un approccio pacifico alla risoluzione dei conflitti è quello che emerge nella Sura 49 (Appartamenti intimi) al versetto 13:

O voi umani! Noi vi abbiamo creato da un maschio o da una femmina poi vi abbiamo spartito in nazioni e tribù perché facciate la reciproca conoscenza. Il più nobile di voi al cospetto del Dio è il più devoto. In verità il Dio è il sapiente colui che è informato veramente”.

Questo versetto tende fondamentalmente ad abbattere tutte le barriere all’interno del genere umano e a bandire i conflitti tra le nazioni sovrapponendo un egualitarismo tra i credenti all’ineluttabile differenza di condizione e di ereditarietà[16].

Ma quali sono i luoghi del Sacro Corano dove emerge la preferenza per un sistema pacifico di risoluzione dei conflitti in sostanziale continuità, in questo, con le esperienze delle società pre-islamiche[17]?

A tal proposito i conflitti oggetto dei versetti coranici – secondo un criterio interpretativo per il quale ogni volta che il Corano si riferisce ad un evento o a un caso, il valore del suo significato è, comunque generale – sono da intendersi riferiti a ogni tipologia di conflitto, sia esso interno al nucleo della famiglia, della tribù, ma anche tra tribù.

Ne deriva che la finalità di pacificazione (ma anche di attenuazione del conflitto) deve essere estesa ad ogni tipologia di conflitto.

Inoltre, richiamerò l’attenzione sulla formalizzazione del metodo pacifico di risoluzione delle controversie e quei passaggi in cui vengono indicate alcune caratteristiche che sono essenziali per la funzione del mediatore.

Naturalmente, poiché le regole e i principi specifici, sia in materia di giustizia (intesa come organizzazione della giustizia e come procedura) sia in materia di risoluzione pacifica delle controversie si trovano anche nelle opere giurisprudenziali (Fiqh) di diversi giuristi musulmani classici sarà doveroso riferirsi anche ad esse[18].

5. Il primo e generale fondamento della raccomandazione di ricercare la soluzione pacifica delle controversie la ritroviamo in Corano, Al Nisaa, IV, 114:

Non c’è nulla di buono nella maggior parte dei loro discorsi segreti, solo nel comandare la carità, o il bene, o la riconciliazione tra le persone

Ed ancora in Corano, Al Nisaa, IV, 128

“…se entrambi giungono a un accordo pacifico, perché la pace è la cosa migliore”.

Ed è sempre nella Surat Al Nisaa che troviamo l’invito a percorrere la soluzione arbitrale per la gestione del tipico contenzioso familiare e che costituisce un’applicazione pratica dei principi generali essendo quella che appare la più strutturata all’interno del Sacro Corano.

Nel versetto 35 della Surat Al Nisaa leggiamo, infatti:

se temete che due congiunti vogliano divorziare andate in cerca di un arbitro da parte della famiglia di lui e di un altro da parte della famiglia di lei se la coppia desidera riconciliarsi il Dio è capace di ristabilire fra loro due l’intesa il Dio è sapiente e ben informato”.

Orbene, leggendo il versetto coranico troviamo un riferimento all’arbitrato (Tahkim): questo riferimento, però, ben potrebbe comprendere anche la mediazione.

Ed infatti, la distinzione, per come la conosciamo oggi, tra i due metodi di risoluzione delle controversie non appariva così netta[19] anche perché, secondo gli autori, sia l’arbitro (hakam[20]) che il mediatore (wasit) sono sostanzialmente simili, differenziandosi per avere le parti nella mediazione qualche canale comunicativo.

Secondo gli interpreti i due hakam[21] generalmente si limitano a tentare la conciliazione tra i coniugi, ma possono eventualmente anche decidere se le parti li autorizzano espressamente in questo senso[22].

Seguendo l’indicazione del Corano la lite, che, a questo punto non può più rimanere circoscritta alla casa della coppia sarebbe almeno risolta all’interno delle loro famiglie, senza necessariamente avere necessità di rivolgersi al tribunale così diventando di dominio pubblico[23].

Questa preferenza per i metodi alternativi di risoluzione delle controversie  emerge anche in un ordine emesso da Omar Ibn El Khattab  ai suoi giudici e, cioè:

Rimanda loro le controversie tra parenti in modo che facciano pace con l’aiuto reciproco, poiché una decisione del tribunale genera ardori e ostilità”.

Secondo i giuristi musulmani la nomina di due arbitri per la pace tra due parti in lite non è limitata alle controversie tra marito e moglie ben potendo essere impiegata con profitto in altre aree.

Una decisione giudiziaria, infatti, è una soluzione a breve termine del problema di base, lasciando nel cuore delle persone colpite i germi dell’odio e dell’ostilità, che riaffiorano col passare del tempo in forme fin troppo sgradevoli[24].

Del resto – notava Ibn Uthaymeen nel suo Tasfir (IV.128) – il raggiungimento di un accordo evita il ricorso al giuramento nel processo, evita il rancore tra le parti, ma anche verso il giudice e verso i testimoni.

Come efficacemente sintetizzato da Muhammad Shafi il meccanismo coranico per la risoluzione delle controversie familiari (estensibile, come abbiamo visto, a tutte le controversie) può essere così descritto:

1. Risolvere le controversie familiari all’interno della casa utilizzando un metodo dopo l’altro. 2.Quando ciò non è possibile, i funzionari governativi o i parenti concludono la pace tra le parti in lite attraverso due arbitri, in modo che la controversia non esca dalla cerchia familiare allargata, anche se esce dalla casa stessa.

3.Quando anche questo non è possibile e la questione passa definitivamente al tribunale, è dovere dell’autorità giudiziaria indagare sui precedenti processuali di entrambe le parti e giungere a una decisione che sia giusta”.

Il principio che si ricava, dunque, dalla lettura del Corano e degli Autori è, quindi, quello della sussidiarietà nell’affrontare il conflitto preferendo metodi autonomi di risoluzione del conflitto, prima diretti e poi supportati dall’intervento di un terzo e, soltanto quando i precedenti si sono rivelati infruttuosi, il ricorso a metodi eteronomi[25] sia essi nella forma dell’arbitrato o dell’intervento dell’autorità (come, ad esempio, il qadi).

6. Occorre tenere presente che il tema della conciliazione è affrontato tenendo conto anche dell’importanza del perseguimento della giustizia intesa come “a ciascuno il suo” e nella necessità di rispettare la legge coranica: l’accordo è preferibile, ma a condizione che non venga utilizzato con intento elusivo delle norme non derogabili.

Nel versetto  60 della Surat Al-Nisaa leggiamo:

ma tu non hai fatto attenzione a coloro che hanno la pretesa di credere a ciò che è stato rivelato a te e a ciò che fu rilevato prima di te? essi vogliono rimandare le loro dispute all’arbitrato dei Taghut dovrebbero essere increduli nei suoi riguardi. Si è che il shaytan li vuole portare lontano assai per vie traverse sbagliatissime”.

Il riferimento all’arbitrato dei Taghut  è ad una soluzione arbitrale cha ha applicato una norma diversa da quella islamica.

Nella Lettera di Omar Ibn El Khattab[26] a Moussa Al Achâari sulla giustizia e che invita sempre il qadi a tentare la conciliazione delle parti specialmente quando si tratta di lite tra parenti[27] – si legge che

l’accordo è accettabile tra tutti tranne quello che autorizza il proibito o quello che vieta l’autorizzazione[28].

Da qui la massima presente anche nella Sunnah secondo cui

se qualcuno ha raggiunto una conciliazione su una base illegale, la loro conciliazione è nulla[29].

Ne deriva che sia la decisione eteronoma (cui si riferisce Corano II.58-59 e rivolta a tutte le controversie indipendentemente dal credo religioso delle parti) sia quella autonoma devono essere eque e giuste alla luce del Corano e della Sunnah.

7.Abbiamo visto che dal punto di vista sistematico della costruzione del sistema di risoluzione delle controversie il favor è per le soluzioni pacifiche del conflitto secondo un principio di sussidiarietà.

Ma v’è di più. Ed infatti, la lettura di molti versetti coranici dimostrano come la praticabilità e il successo dei metodi incoraggiati dipenda dalle caratteristiche della società e dei suoi membri.

Si insiste molto sulle qualità personali e di chi è chiamato a gestire le controversie sia per prevenirle (evitando il chiacchiericcio, per esempio, oppure tenendo a mente le regole probatorie per evitare contrasti come quando – II.282 – si devono scrivere i contratti che devono essere adempiuti in un secondo momento) che per risolverle, ma anche – ed è questa una finalità che spesso viene sottovalutata – per attenuarle.

Dare la propria disponibilità come mediatori – e in questo l’esempio del Profeta costituirà il modello di riferimento – rappresenta per l’Islam un atto di pietà (Cor. II.85 e II.114) e di misericordia (Cor. 49.10) tanto che le parti devono prestare rispetto al mediatore e, in genere, a chi risolve la loro lite.

Leggiamo, ad esempio, questo importante passaggio della Sura 49.9:

Può capitare che due partiti di credenti muovano guerra l’uno all’altro: siate voi gente di pace tra loro. Se uno dei due riesce a scavalcare l’altro combatteteli fino a che ceda all’ordine del Dio. Se egli cede allora siete uomini di pace fra loro con rettitudine iddio apprezza molto chi agisce con equità”.

Viene riservata molta attenzione alle modalità di comportamento da rispettare anche nelle trattative per raggiungere un accordo: avere pazienza, agire gentilmente[30], rispettare i patti e compiere atti di pietà.

Esempi di questi comportamenti “gentili” possono essere la dilazione o la remissione del debito a favore di chi sia in difficoltà ad adempiere (Cor. II, 280) oppure il rapporto tra marito e moglie per negoziare il divorzio eventualmente e per giungere a determinare il khul (Cor. IV).

Possiamo, quindi, così sintetizzare i punti principali su cui si basa il sistema di riconciliazione:

1.rispettare la legge divina;

2.cercare una soluzione pacifica;

3.dissipare l’odio, il risentimento tra protagonisti;

4.diffondere l’amore tra le persone e consolidare le relazioni;

5.rispettare il principio del perdono divino che deve essere trasmesso all’uomo;

6.essere pazienti e corretti durante questo processo tra le parti in lite[31].

In conclusione, possiamo affermare che il Corano, con un’innegabile modernità, indica chiaramente una preferenza per i sistemi di risoluzione dei conflitti, e tra questi delle controversie, fondato su un principio di sussidiarietà che accorda la priorità alla soluzione autonoma dei conflitti rispetto a quella eteronoma[32].

[1] L’occasione di questo scritto è rappresentato dall’intervento svolto il 5 marzo 2023 su “L’Islam e la soluzione delle controversie a partire dalla Sura An Nisaa” nell’incontro organizzato dal Centro Islamico Culturale di Roma – Grande Moschea di Roma con l’Imam Nader Akkad.

[2] Il mancato riferimento allo “stato” (o altro “potere pubblico”) come soggetto che amministra giustizia è qui voluto preferendo qui fare ricorso, semmai, all’espressione “aggiudicazione da parte della società” perché l’intervento di un’organizzazione che noi chiamiamo Stato (o che a questo si avvicini) è relativamente recente e non può, quindi, comprendere esperienze sociali che non la prevedevano, e che, tuttavia, hanno sempre avuto la necessità di affrontare i conflitti (quali quelli che, ad esempio, derivavano dall’uccisione di un membro della collettività) oltre che quelli tra individui all’interno dello stesso gruppo o tra gruppi della stessa comunità o conflitti esterni. Il che poi porterà a dover approfondire, in altra sede, l’evoluzione del rapporto tra la conciliazione e la decisione giudiziaria nei sistemi musulmani.

[3] Una recente pubblicazione offre un quadro generale del ruolo della spiritualità nell’ambito dei metodi di risoluzione delle controversie: Béatrice Blohorn-Brenneur (dir.), Les sources spirituelles de la mediation, Editions Harmattan, 2021.

[4] Jerome T. Barrett, A history of alternative dispute resolution : the story of a political, cultural, and social movement, 2004.

[5] Salvo che non sia differentemente indicato le citazioni in italiano provengono dalla traduzione italiana di Federico Peirone apparsa per Mondadori nel 1979.

[6] Roberto Cipriani, La sociologia della religione oggi, il dialogo interreligioso: intervista esclusiva a Roberto Cialdini, docente emerito di Sociologia, in Kalima, VI, 21, novembre-dicembre 2022, 25.

[7] La tutela dell’onore è fondamentale: nella Sura 49, intitolata “Appartamenti intimi” (Al-Hujuraat), almeno due versetti sono dedicati proprio a questo aspetto. Il primo versetto è quello dove viene fissata una regola che oggi diremmo volta a prevenire le fake news: “o voi proprio voi che professate la fede fate attenzione. Se si avvicina a voi un malvagio e vi sussurra un pettegolezzo, cercatene la fonte ché non vi capiti di offendere alcuni per ignoranza e poi non vi dobbiate pentire del male fatto” (49.6). Il secondo versetto è quello dove possiamo leggere “non diffamatevi reciprocamente e neppure scagliatevi appellativi ingiuriosi! L’aggettivo “empio” è odioso fra credenti. Coloro che non si pentono sono i prevaricatori” (49.11). Per un approfondimento del ruolo identitario dell’onore nella società e le sue possibili ricadute anche sul piano della negoziazione si può leggere con riferimento alla popolazione berbera, pur in una prospettiva occidentale, la voce Honneur in Encyclopedie Berbere, XXIII, Edisud., s.d.

[8] Una delle principali caratteristiche che differenzia l’approccio alla soluzione delle controversie del mondo musulmano (e in generale quello arabo) rispetto all’approccio c.d. “occidentale” è che “it is important to continue the relationships between parties and preserve social harmony in the group, unlike the Western approach, which emphasizes the maximization of personal and group interests, the Middle Eastern/Islamic approach focuses on the restoration of broken relationships between the parties and within the community. In other words, the Western approach is based on a zero-sum or nonzero sum (win/lose or win/win) outcome; whereas, the Middle Eastern/Islamic approach emphasizes that is not the zero and non-zero sum outcome that is important, but the preservation of social harmony as a superordinate goal”: così Özçelik, Sezai, Islamic/Middle Eastern Conflict Resolution for Interpersonal and Intergroup Conflicts: Wisata, Sulha and Third-Party, Uluslararası İlişkiler, Vol. 3, No. 12, p. 3-17, in particolare pagina 12 per una tabella riassuntiva delle principali differenze tra i due approcci, s.d.

[9] Per un primo inquadramento si veda Mohammed Mouaqit, Droit public musulman, Afrique orient, 2011.

[10] Per un esempio di queste differenze delle strutture sociali e i possibili riflessi sulle modalità di risoluzione del conflitto familiare si può fare riferimento all’analisi svolta da Corinne Fortier, Le droit au divorce des femmes (khul‘) en islam : pratiques différentielles en Mauritanie et en Égypte, in Droit et cultures, 2019, 59 dove emerge che il differente approccio culturale delle famiglie di origine della donna sposata che deve affrontare un divorzio incidono in maniera determinante sul contenuto delle scelte relative agli accordi che potremmo definire della crisi matrimoniale.

[11] Su questo aspetto si veda Raymond Cohen, Language and Conflict Resolution: The Limits of English, International Studies Review, Vol. 3, No. 1, pp. 25-51.

[12] Se volessimo, con tutti i limiti della sintesi, schematizzare potremmo dire che nella società  “occidentale” la considerazione generalizzata (ma non di tutti) è che  (a) l’Islam appaia come  una “religione di guerra” (lo si legge in questi esatti termini nell’opera del  premio Nobel  Elias Canetti Massa e potere del 1960); (b) si identifichi con la Jihadi (Aqab M. Malik, Jihad: conflict-resolution or its antithesis?, in Strategic Studies, Vol. 32, No. 2/3, pp. 203-211) e che (c) esista un  generale contrasto tra il sistema della Shari’ah e gli ordinamenti giuridici occidentali.

[13] Secondo Mashood A. Baderin , Administration of justice under the Sharonah, common law and civil law system: towards a better understanding, in Malaysian Journal of Syariah and Law, 2010, 2  “there is usually a trend of promoting a climate of total conflict between the Shar ‘ah system and “Western” legal systems, which often overshadows the many areas of common ground between the three systems, especially in relation to the administration of justice”. Peraltro – e tenendo anche presenti le differenze nei vari ordinamenti musulmani dei quali in questa sede non è possibile dare conto – oggi, per effetto delle migrazioni e dei matrimoni misti, gli ordinamenti occidentali e islamici entrano in contatto sempre di più anche in aree dove sono più evidenti le differenze come nel diritto delle persone e della famiglia: per questo rilievo, con specifico riferimento all’ordinamento del Regno del Marocco e all’influenza della giurisprudenza anche della Corte Europea dei Diritti dell’uomo, si veda Mohamed Chafi, Droit de la famille au Maroc, 2022, passim.

[14] Nella Sunnah troviamo il riferimento a ciò che il Profeta sia stato chiamato a decidere di un conflitto tra ebrei e abbia prestato la sua opera chiedendo al rabbino l’indicazione di quale fosse la legge applicabile.

[15] Il caso del trattato di pace (sulh) di Hudaybiyah presenta molti profili di interesse per la negoziazione dei conflitti, tra i quali la circostanza che molti potrebbero nell’accordo una umiliazione (nel caso di specie, il non poter effettuare l’Umra per la quale si erano messi in viaggio) perché agiscono guidati da un animo umano dominato dalla cupidigia (Corano II.35) dimenticando la prospettiva di Dio. Tra i tanti che non avevano compreso il senso dell’accordo e che manifestarono il loro disappunto al Profeta il più significativo è forse Omar Ibn El Khattab perché diventerà poi il secondo califfo autore, come vedremo, della Lettera sulla Giustizia che afferma chiaramente l’utilità del raggiungimento di un accordo per porre fine ai conflitti.

[16] Così nel commento alla Sura 49 de Il Corano, di Alberto Ventura Traduzione di Ida Zilio-Grandi con commenti di Alberto Ventura, Mohyddin Yahia, Ida Zilio-Grandi e Mohammad Ali Amir-Moezzi, Mondadori, Milano, 2010, 766.

[17] Il riferimento alla tradizione pre-islamica non deve far dimenticare che se gli strumenti di risoluzione dei conflitti possono dirsi mutuati, ciò che è cambiato è, però, la struttura della società nella quale sono destinati ad operare: se volessimo semplificare questo mutamento potremmo dire che l’Islam ha sostituito al vincolo di sangue che legava le tribù, il vincolo della fede in Dio (in questi termini David Santillana, Istituzioni di diritto musulmano malichita, Roma, 1925, 1).

[18] Mashood, 2010 ricorda che “an important part of the Shar ‘ah court system during the period of the Abbasids was the formal establishment of a consortium of conciliators called “muslim”” who were  very skilled in conciliation and mediation to facilitate the pacific settlement of disputes between the parties at the pre-litigative stage. They played an important pre-litigation role of conciliation in civil matters such as marriage, debt recovery, property rights, etc, and tried to resolve disputes in that regard pacifically”.

[19] S. Jahel, Le concept de médiation dans l’Islam, in Revue internationale de droit comparé, 2017, 101-105. La lettura del testo sembra far emergere qualcosa che può apparire simile a quella che nella nostra esperienza è l’arbitraggio nella transazione nel momento in cui la parti possono conferire all’arbitro la possibilità di proporre una transazione vincolante per le parti.

[20] Le radicali della parola hakam sono le stesse della parola hukm (sentenza) facendo pensare, quindi, alla condivisione della decisione autoritativa. Tuttavia, l’arbitrato, come sappiano, ha sempre avuto un favor verso la conciliazione delle parti e questo aspetto conferma l’affermazione generale.

[21] Il Corano nulla dice circa il genere dell’arbitro e, quindi, poiché il testo è sempre chiaro, la mancata indicazione nel testo arabo dell’articolo che precede il nome porta alla conclusione che l’arbitro ben potrebbe essere sia uomo che donna.

[22] In questo caso gli arbitri potrebbero decidere per il divorzio oppure per il divorzio con khul. Nel Tasfir di Ibn al Katir si legge che le opinioni degli autori concordano sul fatto che laddove gli arbitri concordino perché i coniugi restino insieme (diversamente dall’ipotesi in cui propendano per il divorzio) la loro decisione è vincolante anche senza previo mandato.

[23]  È quanto osserva Muhammad Shafi nel suo Tasfir Ma’ariful Qur’an a proposito di Corano II.35.

[24] Così Muhammad Shafi nel suo Tasfir Ma’ariful Qur’an a proposito di Corano II.35.

[25] Per il criterio distintivo tra metodi di risoluzione delle controversie in autonomi ed eteronomi si veda, fondamentalmente, F.P. Luiso, Diritto processuale civile, Milano, 2022, V. La soluzione stragiudiziale delle controversie.

[26] Si tratta del secondo califfo e, nella letteratura, troviamo un riferimento alla conciliazione per quello che potrebbe definirsi oggi “giustizia riparativa” nel brano “Il califfo Omar e il beduino” nella raccolta de Le mille e una notte (nella prima versione dall’arabo diretta da Francesco Gabrieli, Le mille e una notte, Einaudi, 1984, II, 420 ss.).

[27]Nejmeddine Hentati,  Mais le Cadi Tranche-t-il?, in Islamic Law and Society, Vol. 14, No. 2 (2007), pp. 180-203.

[28] Secondo qualche autore una versione più breve sarebbe da attribuire al Profeta (ﷺ):  sul tema si veda Mathieu Tillier, « Arbitrage et conciliation aux premiers siècles de l’Islam : théories, pratiques et usages sociaux », Revue des Mondes musulmans et de la Méditerranée, 140 (2016), p. 11

[29] Sahih al-Bukhari 2695, 2696 Book 53, Hadith 6 secondo cui “If some people are (re)conciled on illegal basis, their reconciliation is rejected. Narrated Abu Huraira and Zaid bin Khalid Al-Juhani: A bedouin came and said, “O Allah’s Messenger (ﷺ)! Judge between us according to Allah’s Laws.” His opponent got up and said, “He is right. Judge between us according to Allah’s Laws.” The bedouin said, “My son was a laborer working for this man, and he committed illegal sexual intercourse with his wife. The people told me that my son should be stoned to death; so, in lieu of that, I paid a ransom of one hundred sheep and a slave girl to save my son. Then I asked the learned scholars who said, “Your son has to be lashed one-hundred lashes and has to be exiled for one year.” The Prophet (ﷺ) said, “No doubt I will judge between you according to Allah’s Laws. The slave-girl and the sheep are to go back to you, and your son will get a hundred lashes and one year exile.” He then addressed somebody, “O Unais! go to the wife of this (man) and stone her to death” So, Unais went and stoned her to death”.

[30] Il versetto coranico inviti i creditori ad essere pazienti e gentili nei confronti del proprio debitore in difficoltà sottolineando come quel comportamento sia un comportamento di pietà.

[31] Questa efficace sintesi la si deve a Mohammed El Ghorfi, Mediation et Islam, in Béatrice Blohorn-Brenneur (dir.), Les sources spirituelles de la mediation, Editions Harmattan, 2021 , 155

[32] Avremo modo poi di approfondire le modalità con le quali poi viene attuato nelle varie esperienze il modello di riferimento proprio in considerazione di quel che si diceva in apertura sull’importanza delle differenze nelle modalità di risoluzione delle controversie.