La tutela del consumatore ed il vaso di pandora

Di Massimo Cirulli -

Sommario: 1. L’inoperatività della preclusione del deducibile. – 2. La rilevazione della nullità protettiva in sede monitoria. – 3. L’iperprotezione del consumatore. – 4. La rilevazione nella fase satisfattiva. – 5. La condictio indebiti post executionem ed i titoli esecutivi contrattuali. – 6. Nullità (anche virtuali) di protezione e nullità relative. – 7. La sentenza contumaciale. – 8. La sentenza non contumaciale. – 9. Corollari e criticità della sentenza delle Sezioni unite.

1. I numerosi e qualificati commenti alle sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea del 17 maggio 2022 e delle Sezioni unite della Corte di cassazione 6 aprile 2023, n. 9479 finora editi concordano nel ritenere che la nullità di protezione della clausola vessatoria, non rilevata d’ufficio dal giudice in sede monitoria, possa essere successivamente invocata dal consumatore, benchè non abbia tempestivamente opposto il decreto ingiuntivo. La preclusione del deducibile non si estende, quindi, alla nullità speciale.

Nella specie non può neppure operare la preclusione pro iudicato di redentiana memoria, circoscritta al credito del quale è stato ingiunto il pagamento, ma non estesa all’antecedente logico necessario e quindi all’esistenza, validità ed efficacia del rapporto contrattuale fondamentale, dal quale dipende il diritto di obbligazione dedotto in via sommaria[1]. La prevalente dottrina[2] e la giurisprudenza[3], invece, equiparano il decreto non opposto alla sentenza di condanna non impugnata, anche in ordine alla formazione del giudicato implicito sul rapporto obbligatorio sottostante.

La tesi redentiana sembra confortata dall’art. 640 c.p.c., che in caso di rigetto del ricorso per decreto ingiuntivo non preclude la riproponibilità della domanda, con la conseguenza che neppure l’accoglimento soltanto parziale del ricorso è di ostacolo alla deducibilità in separato giudizio, ordinario o sommario, della residua pretesa: conclusione incompatibile con l’esistenza di un accertamento pieno del diritto monitoriamente azionato[4]. L’art. 656 c.p.c. non depone in contrario: anzi, con l’ammettere la revocazione del decreto ingiuntivo non opposto per il motivo di cui all’art. 395, n. 5, c.p.c. dimostra che il provvedimento è ancora impugnabile in via ordinaria. Inoltre, la disposizione da ultimo citata ammette la revocabilità della sentenza “contraria ad altra precedente (sentenza) avente fra le parti autorità di cosa giudicata”, non attribuendo rilevanza all’eventuale contrarietà della decisione ad un’anteriore ingiunzione non opposta. Insomma, gli effetti dell’acquiescenza prestata dal debitore al decreto ingiuntivo dovrebbero esaurirsi nell’esecutività del provvedimento e nell’iscrivibilità dell’ipoteca giudiziale (che rappresentano due poteri processuali, non sostanziali, del creditore)[5], senza alcun implicito accertamento di un valido ed efficace negozio giuridico tra le parti. Con la conseguenza che, ad es., l’ingiunzione non opposta per il pagamento di un canone non dovrebbe precludere il successivo accoglimento di un’impugnativa negoziale e quindi la dichiarazione di nullità o la pronuncia di annullamento, rescissione o risoluzione del contratto di locazione; il giudicato invalidatorio del negozio caducherebbe l’ingiunzione, rendendo il pagamento indebito e quindi ripetibile.

Si può obiettare che, così argomentando, non opererebbe nessuna preclusione: i vizi di rito e di merito del decreto non impugnato potrebbero allegarsi con l’opposizione all’esecuzione o con un’azione di accertamento negativo non sottoposta a termine, salvo quello decennale di prescrizione della condictio indebiti; nessuna differenza esisterebbe, quanto ad efficacia vincolante, tra l’ingiunzione esecutiva ab origine e quella divenuta tale per scadenza del termine di opposizione, spettando comunque al creditore i soli poteri processuali di agire esecutivamente e di iscrivere ipoteca. Se invece si assume che si accerti stabilmente il solo credito ingiunto, ma una successiva pronuncia annulli retroattivamente il contratto, come può sopravvivere quel diritto alla prestazione, divenuto ex tunc acausale? Anche l’esempio del ricorso monitorio accolto solo parzialmente non è probante: chiesto 100 ed ingiunto 70, il decreto diventa definitivo per 70, senza precludere al creditore di chiedere in separato giudizio 30, sol perché il creditore non è legittimato a proporre opposizione avverso il rigetto totale o parziale; il giudicato si forma eccezionalmente secundum eventum litis e nei limiti del decisum, non del petitum.

In definitiva, la questione è oggettivamente controvertibile, né può essere compiutamente trattata in questa sede. E’ comunque sufficiente notare che, se pure si accede alla tesi prevalente che estende il giudicato sull’ingiunzione al dedotto ed al deducibile, il secondo non copre le nullità di protezione. Ed infatti se il decreto ingiuntivo, emesso nonostante la nullità relativa della clausola vessatoria e non opposto, può essere vittoriosamente impugnato dal debitore quando è scaduto il termine previsto dall’art. 641, comma 1, c.p.c., purchè in ragione dell’abusività del patto[6], allora sul punto – e solo sul punto – non vi è alcun vincolo impediente. La preclusione del deducibile si estende, invece, ai fatti impeditivi, modificativi ed estintivi.

2. Le Sezioni unite dettano le regole operazionali osservande pro futuro nel procedimento monitorio promosso dal professionista contro il consumatore. “Il giudice del monitorio: a) deve svolgere, d’ufficio, il controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto stipulato tra professionista e consumatore in relazione all’oggetto della controversia; b) a tal fine procede in base agli elementi di fatto e di diritto in suo possesso, integrabili, ai sensi dell‘art. 640 c.p.c., con il potere istruttorio d’ufficio, da esercitarsi in armonia con la struttura e funzione del procedimento d’ingiunzione: b.1) potrà, quindi, chiedere al ricorrente di produrre il contratto e di fornire gli eventuali chiarimenti necessari anche in ordine alla qualifica di consumatore del debitore; b.2) ove l’accertamento si presenti complesso, non potendo egli far ricorso ad un’istruttoria eccedente la funzione e la finalità del procedimento (ad es. disporre c.t.u.), dovrà rigettare l’istanza d’ingiunzione; c) all’esito del controllo: 1) se rileva l’abusività della clausola, ne trarrà le conseguenze in ordine al rigetto o all’accoglimento parziale del ricorso; 2) se, invece, il controllo sull’abusività delle clausole incidenti sul credito azionato in via monitoria desse esito negativo, pronuncerà decreto motivato, ai sensi dell‘art. 641 c.p.c., anche in relazione alla anzidetta effettuata delibazione; 3) il decreto ingiuntivo conterrà l’avvertimento indicato dall‘art. 641 c.p.c., nonché l’espresso avvertimento che in mancanza di opposizione il debitore-consumatore non potrà più far valere l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto e il decreto non opposto diventerà irrevocabile”[7].

Mentre nel processo dichiarativo alla rilevazione di una nullità protettiva non può seguire automaticamente la relativa dichiarazione (neppure nella sola motivazione della sentenza, occorrendo la domanda del contraente legittimato)[8], nel procedimento monitorio il giudice deve invece per tale motivo rigettare la domanda del creditore (od accoglierla solo parzialmente, per la parte non pregiudicata dalla nullità)[9]. Non occorre, come in sede cognitiva, la domanda di accertamento incidentale ex art. 34 c.p.c., che il debitore non potrebbe proporre, non essendo stato ancora provocato a contraddire con la notifica dell’ingiunzione. Il giudice del monitorio disapplica, totalmente o parzialmente, il contratto contenente clausole vessatorie. Questa disapplicazione non solo non forma giudicato materiale, ma è priva di qualunque efficacia preclusiva, potendo il creditore riproporre la domanda, anche in via ordinaria. La sentenza che dichiara la nullità di protezione su domanda del consumatore, invece, contiene un accertamento che, se non impugnato, diventa stabilmente vincolante.

Il decreto di rigetto non è tuttavia privo di utilità per il debitore: previene la pronuncia dell’ingiunzione, in forza della quale – se esecutiva – il creditore può iscrivere ipoteca giudiziale e procedere in executivis. La prima già costituisce fonte di grave e talora irreparabile pregiudizio per il (preteso) debitore, potendo precludergli l’accesso al credito bancario (l’eventuale sospensione ex art. 649 c.p.c. non cancella il vincolo, a tal fine l’art. 2884 c.c. tuttora richiedendo la sentenza passata in giudicato)[10]; danno che viene prevenuto dal rigetto del ricorso. A ragione, quindi, prima la Corte di giustizia[11], quindi le Sezioni unite[12], hanno rifiutato la consecutio rilevazione-accoglimento-eventuale opposizione.

In sede monitoria la pattuizione abusiva non viene caducata, ma disapplicata: la nullità di protezione viene dichiarata incidenter tantum (o, se si preferisce, conosciuta ma non decisa), senza che il consumatore l’abbia chiesto, in apparente violazione della regola sulla legittimazione riservata. Ma il destinatario della domanda d’ingiunzione non può esercitare poteri processuali prima che gli sia stato notificato il provvedimento di accoglimento ed il giudice supplisce, con la disapplicazione della clausola vessatoria, a questa impossibilità per il consumatore di difendersi. Nel processo di condanna, soggetto alle regole della cognizione piena, il convenuto può invece difendersi; è logico, quindi, che il giudice debba limitarsi a segnalare alle parti la nullità, perché il consumatore se ne avvalga – ove lo voglia – proponendo domanda di accertamento.

3. Nel dispositivo della sentenza delle Sezioni unite, all’enunciazione dei doveri funzionali del giudice del monitorio segue quella relativa all’espropriazione forzata, promossa in virtù di decreto ingiuntivo emesso in favore del professionista ed a carico del consumatore, che non abbia proposto tempestiva opposizione. “Il giudice dell’esecuzione: a) in assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo dell’abusività delle clausole, ha il dovere – da esercitarsi sino al momento della vendita o dell’assegnazione del bene o del credito – di controllare la presenza di eventuali clausole abusive che abbiano effetti sull’esistenza e/o sull’entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo; b) ove tale controllo non sia possibile in base agli elementi di diritto e fatto già in atti, dovrà provvedere, nelle forme proprie del processo esecutivo, ad una sommaria istruttoria funzionale a tal fine; c) dell’esito di tale controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole – sia positivo, che negativo – informerà le parti e avviserà il debitore esecutato che entro 40 giorni può proporre opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell‘art. 650 c.p.c. per fare accertare (solo ed esclusivamente) l’eventuale abusività delle clausole, con effetti sull’emesso decreto ingiuntivo; d) fino alle determinazioni del giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell‘art. 649 c.p.c., non procederà alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito; e) se il debitore ha proposto opposizione all’esecuzione ex art. 615, comma 1, c.p.c., al fine di far valere l’abusività delle clausole del contratto fonte del credito ingiunto, il giudice adito la riqualificherà in termini di opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. e rimetterà la decisione al giudice di questa (translatio iudicii); f) se il debitore ha proposto un’opposizione esecutiva per far valere l’abusività di una clausola, il giudice darà termine di 40 giorni per proporre l’opposizione tardiva – se del caso rilevando l’abusività di altra clausola – e non procederà alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito sino alle determinazioni del giudice dell’opposizione tardiva sull’istanza ex art. 649 c.p.c. del debitore consumatore”[13].

Con l’opposizione monitoria tardiva (ma dalla S.C. sottoposta al medesimo termine di quella tempestiva, benchè con una decorrenza differita alla comunicazione dell’ordinanza con la quale il giudice dell’esecuzione abbia rilevato la nullità protettiva), rectius ultratardiva (in quanto ammessa decorsi dieci giorni dal pignoramento), il consumatore può dolersi “solo ed esclusivamente” della pretesa vessatorietà della clausola. Non può invece eccepire la prescrizione, la novazione, i vizi del consenso, la lesione enorme ecc., che sono preclusi dalla definitività dell’ingiunzione. E non può neppure eccepire l’eventuale nullità assoluta di fonte codicistica, che sarebbe stata rilevabile d’ufficio, ma che la preclusione del deducibile gli impedisce di far valere.

Se il contratto è nullo per un vizio strutturale, per violazione di norme imperative o per illiceità della causa o dei motivi, il riesame della questione è impedito dal giudicato. E così se, per assurdo, al debitore viene ingiunto di pagare il prezzo di un reato-contratto (si pensi al compenso per un atto contrario ai doveri d’ufficio: art. 319 c.p.), senza che la nullità sia stata doverosamente rilevata ex officio, ed il decreto non viene opposto, al debitore non spetta alcun rimedio. Invece, se il fideiussore consumatore non oppone l’ingiunzione emessa da giudice territorialmente incompetente (che non abbia disapplicato la clausola derogatoria del foro del consumatore, dichiarando inammissibile il ricorso per difetto di una condizione di trattabilità nel merito), il giudicato è solo apparente e può essere caducato.

Questa iperprotezione accordata al consumatore rispetto al comune contraente non sembra ragionevole. L’art. 7 della direttiva 93/13/CEE del 5 aprile 1993 impone agli Stati membri di fornire ai consumatori “mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori”. Anche la sentenza della Corte di giustizia in commento dichiaratamente applica i principi di equivalenza e di effettività[14]: le situazioni soggettive previste da fonti unionali (comprese quelle in materia consumeristica) devono ricevere, da parte degli Stati membri, tutela giurisdizionale non inferiore a quella assicurata agli interessi sostanziali protetti dal diritto interno; le norme processuali non devono rendere impossibile od eccessivamente difficile l’esercizio di diritti conferiti dall’Unione.

In forza del principio di equivalenza, il soggetto che esercita il potere processuale di azione, affermandosi titolare (ed invocando la pertinente misura di tutela) di una situazione materiale di vantaggio attribuitagli dall’ordinamento unionale, non deve subire un trattamento deteriore rispetto a colui che agisce a tutela di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo di fonte nazionale. Tale principio richiede, pertanto, che la normativa dello Stato membro non operi discriminazioni tra i rimedi apprestati nei casi di violazione del diritto interno e quelli previsti a tutela di situazioni di matrice eurounitaria: si vuole così evitare che posizioni soggettive di derivazione europea siano tutelate secondo forme e modalità meno efficaci rispetto a ricorsi analoghi di natura interna. A tanto non consegue, tuttavia, che gli Stati membri siano obbligati ad estendere le proprie disposizioni processuali più favorevoli a tutte le azioni a tutela di situazioni fondate sul diritto dell’Unione europea, ma soltanto che una norma processuale interna vada applicata, qualora ne sussistano le condizioni, indifferentemente tanto ad azioni fondate sul diritto unionale, quanto a reclami che tutelino posizioni di diritto interno. Tale principio si risolve, in sostanza, nella dimensione processuale del più generale canone di non discriminazione, risultando funzionale ad assicurare pari trattamento ai diritti di fonte nazionale ed a quelli di derivazione comunitaria[15].

Nella specie, la caducazione del decreto ingiuntivo in danno del consumatore non opponente è misura che, lungi dall’equivalere, prevale su quella accordabile in favore di qualunque altro soggetto, che non sia titolare di diritti soggettivi direttamente riconosciuti da fonti europee. Peraltro, la Corte di Lussemburgo “ha altresi riconosciuto che la tutela del consumatore non è assoluta. In particolare, essa ha ritenuto che il diritto dell’Unione non imponga a un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata a una decisione, anche quando ciò permetterebbe di porre rimedio a una violazione di una disposizione, di qualsiasi natura essa sia, contenuta nella direttiva 93/13”, salvo tuttavia il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività[16]. Quanto al primo, la sentenza in commento ne esclude la lesione da parte del diritto italiano, là dove “non consente al giudice dell’esecuzione di riesaminare un decreto ingiuntivo avente autorità di cosa giudicata, anche in presenza di un’eventuale violazione delle norme nazionali di ordine pubblico”[17]. Quanto al secondo, la decisione richiama il precedente alla cui stregua “il rispetto del principio di effettività non può tuttavia supplire integralmente alla completa passività del consumatore interessato”[18].

Tuttavia, prosegue la sentenza, “una normativa nazionale secondo la quale un esame d’ufficio del carattere abusivo delle clausole contrattuali si considera avvenuto e coperto dall’autorità di cosa giudicata anche in assenza di qualsiasi motivazione in tal senso contenuta in un atto quale un decreto ingiuntivo può, tenuto conto della natura e dell’importanza dell’interesse pubblico sotteso alla tutela che la direttiva 93/13 conferisce ai consumatori, privare del suo contenuto l’obbligo incombente al giudice nazionale di procedere a un esame d’ufficio dell’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali. Ne consegue che, in un caso del genere, l’esigenza di una tutela giurisdizionale effettiva impone che il giudice dell’esecuzione possa valutare, anche per la prima volta, l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto alla base di un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore e contro il quale il debitore non ha proposto opposizione”[19].

La doverosità del controllo endoesecutivo della vessatorietà della clausola è quindi correlata all’omessa motivazione sul punto da parte del giudice del monitorio. Se ne trae, a contrario sensu, che se nel pronunciare l’ingiunzione il giudice abbia dato atto di avere esaminato le clausole del contratto, prodotto dal creditore professionista contro il debitore consumatore, escludendone l’abusività, sul decreto non opposto si forma il giudicato. La somma preclusione (secondo la nota definizione chiovendiana) non opera, quindi, solo se il decreto ingiuntivo è affetto da totale deficit motivazionale in ordine alla verifica della nullità delle clausole ex art. 33 e 36 cod. cons. La sentenza della Corte di giustizia individua, infatti, nella “assenza di qualsiasi motivazione” il presupposto della rimessione in termini dell’ingiunto, che abbia prestato acquiescenza alla misura ingiunzionale senza essere stato reso previamente edotto della presenza di clausole abusive, né della possibilità di denunciarne la nullità con l’opposizione. Conseguentemente le Sezioni unite ritengono che il giudice del monitorio possa assolvere l’obbligo motivazionale anche con “apparato argomentativo estremamente sintetico, semmai strutturato anche per relationem al ricorso monitorio ove questo si presti allo scopo”[20].

L’autorità della cosa giudicata viene così a dipendere dalla motivazione del provvedimento sommario: se il decreto ingiuntivo, benchè a torto, dà atto che il giudice ha escluso profili di vessatorietà delle clausole ed il debitore non si oppone, la decadenza dal potere di impugnazione è ormai consumata, sempre che l’ingiunto sia stato avvertito – come prescrivono le Sezioni unite – che in assenza di opposizione “non potrà più far valere l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto e il decreto non opposto diventerà irrevocabile”.

Alla figura del giudicato senza motivazione od implicito, che non incontra il favore della Corte di giustizia[21], si oppone quella dell’omessa motivazione (e dell’omesso avvertimento) che impedisce la formazione del giudicato contro il consumatore. Secondo la nota dicotomia dei vizi che possono affliggere i provvedimenti decisori[22], l’ingiunzione immotivata in punto di eventuale vessatorietà delle clausole non è ingiusta, ma invalida; ed il rimedio (per quanto la Corte di giustizia non lo affermi) dovrebbe allora essere l’imprescrittibile actio nullitatis, come era stato proposto dal Procuratore generale della S.C. nella sua requisitoria scritta[23]. Ma ne sarebbe seguito uno stato di protratta incertezza circa la stabilità del decreto ingiuntivo e la sorte del processo esecutivo, che le Sezioni unite hanno meritoriamente evitato individuando, pur con qualche deroga al diritto positivo (rectius, con la necessitata disapplicazione della norma processuale interna – art. 650, comma 3, c.p.c. – che avrebbe impedito al consumatore, decorsi dieci giorni dal pignoramento, di opporsi al decreto ingiuntivo in forza del quale è sottoposto ad espropriazione forzata, in violazione del principio di effettività ripetutamente affermato dalla Corte di giustizia), nell’opposizione ultratardiva all’ingiunzione l’idoneo rimedio.

Il consumatore non avvertito della nullità speciale della clausola contrattuale, il quale non sia tempestivamente insorto contro la misura monitoria, viene equiparato all’ingiunto che non abbia potuto proporre tempestiva opposizione per causa a lui non imputabile. L’ignoranza del vizio genetico della clausola contrattuale viene ricondotta al caso fortuito ed alla forza maggiore, benchè l’omessa rilevazione della nullità determini un impedimento che non è esterno, ma interno al debitore. Sussiste una condizione soggettiva di ignoranza incolpevole, analoga a quella dell’ingiunto che non abbia ricevuto valida notifica del decreto, non un impedimento materiale a proporre opposizione. L’omessa rilevazione della nullità speciale non è dovuta né alla forza maggiore, né al caso fortuito, bensì a negligenza del giudice. Tuttavia l’art. 650 c.p.c. sostanzialmente riproduce, con più compendiosa formulazione, l’art. 20 r.d. 7 agosto 1936, n. 1531[24], che concedeva l’opposizione tardiva quando l’ignoranza non fosse imputabile al debitore. Nella specie l’ingiunto ha avuto tempestiva conoscenza del decreto, ma non della nullità e quindi – con interpretazione assai estensiva – la fattispecie può anche sussumersi nell’art. 650 c.p.c.

4. Non intendo tuttavia criticare le decisioni in rassegna. I supremi giudici nazionali hanno dovuto svolgere (con risultati apprezzabili, anche per la chiarezza espositiva) l’ufficio di giudici dell’ottemperanza. La sentenza delle Sezioni unite è, infatti, una decisione resa in esecuzione del giudicato unionale. L’affermazione della “complementarietà funzionale delle norme processuali nazionali rispetto al diritto europeo sostanziale che, orientato dai principi di equivalenza ed effettività, trova svolgimento in un processo dinamico e complesso di integrazione”[25] non è che il doveroso riconoscimento della primazia dell’ordinamento eurounitario su quello interno (art. 117, comma 1, Cost.). Le regole processuali italiane, in primis quella della stabilità del giudicato (già subordinato alle norme sul funzionamento dell’Unione europea e quindi cedevole)[26], recedono dinanzi alle norme materiali europee. Al cospetto di una decisione avente effetti vincolanti e diretti nel nostro ordinamento, con la medesima efficacia cogente di una fonte normativa sovraordinata (la Corte di giustizia non solo dicit ius, ma facit ius), le Sezioni unite avrebbero forse potuto applicare i cc.dd. controlimiti interni: ma probabibilmente ne sarebbe seguito un conflitto di rilevanza anche politica tra l’Italia e le istituzioni comunitarie, che non avrebbe giovato al nostro Paese, in attesa dell’erogazione dei fondi del P.N.R.R.

Ho però motivo di temere che la Corte di Lussemburgo abbia scoperchiato il vaso di Pandora, con effetti che proverò a descrivere, ragionando ad consequentias e senza animo polemico.

In primo luogo, mi chiedo per quale ragione il giudice dell’esecuzione non potrebbe rilevare, dopo l’esaurimento della fase espropriativa, l’omissione nella quale è incorso il giudice del monitorio. Fino alla vendita od all’assegnazione del bene o del credito pignorato la rilevazione è doverosa. Perché non dovrebbe esserlo anche nella fase satisfattiva dell’espropriazione mobiliare ed immobiliare, ferma l’intangibilità del decreto di trasferimento del bene in favore del terzo aggiudicatario od assegnatario? Del terzo, non del creditore professionista, che subisce la caducazione del titolo esecutivo illegittimamente formatosi in suo favore ed in danno dell’esecutato consumatore (l’art. 187 bis disp. att. c.p.c. protegge i terzi), con consequenziale perdita della proprietà del bene acquistato o della titolarità del credito assegnato, ritrasferiti all’escusso[27].

Se il decreto ingiuntivo silente sulla nullità protettiva è un titolo esecutivo intrinsecamente viziato, il difetto è rilevabile fino all’esaurimento del processo esecutivo. Il giudice dell’esecuzione deve pertanto sollevare la questione in sede di esame del piano di riparto da parte del debitore e dei creditori concorrenti o di pronuncia dell’ordinanza di attribuzione in favore dell’unico creditore, concedere termine all’esecutato per proporre l’opposizione monitoria e sospendere la devoluzione del ricavato in favore del creditore professionista fino alla deliberazione sull’istanza ex art. 649 c.p.c., il cui accoglimento imporrà all’ufficio esecutivo di procedere all’accantonamento. Se l’ingiunzione sarà caducata, la somma spetterà al debitore (che è ancora proprietario del ricavato), salvo il diritto di costui di agire per il risarcimento del danno sofferto in conseguenza della vendita forzata: domanda proponibile con l’opposizione a decreto ingiuntivo, a norma dell’art. 96, comma 2, c.p.c.

In tal senso milita la sentenza Ibercaja Banco del 17 maggio 2022 (coeva a quella SPV Project 1503 e Banco di Desio e della Brianza che ha risolto la questione pregiudiziale nei termini già esposti, recepiti dalle Sezioni unite), là dove statuisce che l’art. 6, comma 1, e l’art. 7, comma 1, della direttiva 93/13 “devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che non autorizza un organo giurisdizionale nazionale, che agisce d’ufficio o su domanda del consumatore, a esaminare l’eventuale carattere abusivo di clausole contrattuali quando la garanzia ipotecaria sia stata escussa, il bene ipotecato sia stato venduto e i diritti di proprietà relativi a tale bene siano stati trasferiti a un terzo, purché il consumatore il cui bene è stato oggetto di un procedimento di esecuzione ipotecaria possa far valere i suoi diritti in un procedimento successivo al fine di ottenere il risarcimento, ai sensi della direttiva in parola, delle conseguenze economiche risultanti dall’applicazione di clausole abusive”[28].

Escluso che nel sollevare contestazione contro il piano di riparto ex art. 512 c.p.c. il debitore possa proporre domanda risarcitoria, trattandosi di accertamento che eccede l’oggetto del giudizio (circoscritto, a mio avviso, all’accertamento del diritto al concorso), il consumatore esecutato potrebbe teoricamente chiedere la consegna del ricavato, instaurando un separato processo a cognizione piena per conseguire il risarcimento del danno per equivalente pecuniario e non in forma specifica (i.e., mediante la retrocessione del bene venduto), stante l’intangibilità del diritto del terzo acquirente; chè se invece il bene fosse stato trasferito al creditore professionista, il soggetto passivo avrebbe il potere di esigerne il ritrasferimento in suo favore, previa caducazione dell’aggiudicazione o dell’assegnazione.

Si può tuttavia obiettare che avrebbe così luogo, nella fase sommaria, la verifica endoesecutiva del vizio intrinseco del decreto ingiuntivo; che l’ordinanza risolutiva della contestazione distributiva sarebbe impugnabile con l’opposizione ex art. 617 c.p.c., la quale non garantirebbe il doppio grado di giurisdizione, in ragione dell’inappellabilità della sentenza; che, in definitiva, verrebbe apprestato un rimedio che le Sezioni unite hanno motivatamente e condivisibilmente ripudiato[29].

Resto convinto che la separazione tra cognizione ed esecuzione vada tenuta ferma; che il giudice dell’esecuzione non abbia il potere di dichiarare la nullità del titolo esecutivo di natura contrattuale, dovendo soltanto rilevarla (e quindi sottoporla al contraddittorio delle parti), salvo il potere-onere del debitore di proporre la domanda di accertamento nella sede propria, esterna al processo esecutivo; che questa limitazione consegua all’assenza di poteri istruttori pieni, non essendovi luogo per l’ammissione di prove costituende da parte del giudice dell’esecuzione, neppure in sede di risoluzione delle contestazioni sorte in sede distributiva; che l’attività istruttoria sarebbe sì espletabile nella successiva ed eventuale opposizione ex art. 617 c.p.c., ma con la perdita di un grado di giudizio[30]. L’esigenza di una rituale e non deformalizzata istruttoria è tanto più avvertita nel caso delle nullità di protezione in materia consumeristica: la vessatorietà delle clausole elencate dall’art. 33, comma 2, cod. cons. è infatti presunta iuris tantum ed il professionista ha il potere-onere di dimostrare (anche per testi) che hanno formato oggetto di una trattativa individuale “seria ed effettiva”[31].

La preferibile alternativa è allora rappresentata, anche nella specie, dall’opposizione ultratardiva a decreto ingiuntivo: il giudice dell’esecuzione, rilevato – d’ufficio o su contestazione del debitore – che l’ingiunzione tace sulla nullità di protezione, deve concedere termine al consumatore per opporsi al decreto ingiuntivo entro quaranta giorni, sospendendo provvisoriamente l’attribuzione del ricavato in favore del professionista unico creditore o disponendo del pari interinalmente l’accantonamento della quota a costui devolvenda, nell’ipotesi di concorso di creditori, fino alla pronuncia del giudice dell’opposizione sull’istanza ex art. 649 c.p.c.; all’ordinanza di sospensione seguirà la conferma dell’accantonamento, mentre avrà luogo la distribuzione in caso di diniego dell’inibitoria. L’accantonamento in favore del creditore professionista non viene disposto a norma dell’art. 510, comma 3, c.p.c., norma eccezionalmente applicabile ai soli creditori intervenuti non titolati i cui crediti siano stati contestati, né a norma dell’art. 512, comma 2, c.p.c., che ha riguardo alla sospensione ordinata in pendenza di controversie distributive: si tratta, piuttosto, di effetto consequenziale ed automatico della pregressa sospensione esterna ex art. 649 c.p.c. del titolo del creditore professionista. L’accantonamento dura fino alla decisione di primo grado sull’opposizione, che assorbe o caduca l’inibitoria, salvo protrarsi se l’efficacia della sentenza sarà sospesa dal giudice dell’impugnazione[32].

5. Ma se la nullità non viene rilevata in costanza dell’esecuzione forzata? Poiché sulla non vessatorietà della clausola non si è formato il giudicato, il debitore potrà esperire l’azione di ripetizione dell’indebito post executionem? La risposta negativa presuppone che si riconosca all’esito satisfattivo una stabilità che, invece, solo la cosa giudicata sostanziale può assicurare[33]. La nullità di protezione, diversamente da quella codicistica, è peraltro sanabile[34]; si riconosce efficacia sanante al pagamento eseguito dal consumatore consapevole della nullità (comportamento che, se il negozio fosse annullabile, integrerebbe convalida tacita, in quanto eseguito nonostante la conoscenza del vizio). Quindi neppure l’esecuzione volontaria dell’ingiunzione non opposta sana in ogni caso la nullità speciale; a fortiori non la sana mai l’esecuzione forzata, che il consumatore subisce. Va quindi ammessa la ripetibilità del pagamento coattivo.

In questo caso il giudice dell’esecuzione functus est munere suo; ha consumato ogni suo potere, anche meramente ordinatorio, con la chiusura del processo esecutivo; non può, pertanto, rilevare la nullità ed assegnare termine al debitore per l’opposizione monitoria. Non escludo che, in futuro, la Corte di giustizia sarà investita della questione: e, se resterà fedele ai principi affermati in tema di nullità protettive, affermerà che le norme unionali ostano a che il diritto interno precluda al consumatore, che è stato dapprima ingiunto e quindi escusso senza essere stato avvertito dell’abusività della clausola, l’esercizio della condictio indebiti in sede cognitiva, nell’ordinario termine prescrizionale decennale (salvo il potere del professionista di vincere la presunzione di vessatorietà della clausola nel giudizio di ripetizione). Per soprammercato, si noti che la prescrizione, secondo la Corte di Lussemburgo, non decorre dal pagamento, ma, se posteriore, dall’acquisita conoscenza, da parte del consumatore, dell’abusività della clausola[35].

Ed è pure da avvertirsi che, se il decreto ingiuntivo non opposto (ed a parer mio anche la sentenza contumaciale non impugnata)[36] ha esaminato una sola clausola, escludendone l’abusività, non si può escludere la presenza di altre pattuizioni vessatorie. Il giudicato non si estende al deducibile secondo la Corte di giustizia, che nella sentenza Banco Primus ha già esaminato la fattispecie nella quale il giudice nazionale si era limitato ad esaminare una sola clausola del contratto, dichiarandola nulla con sentenza divenuta regiudicata; il giudice successivamente adito dal consumatore ha il dovere “di valutare, su istanza delle parti o d’ufficio qualora disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, l’eventuale carattere abusivo delle altre clausole di detto contratto”, perché altrimenti “la tutela del consumatore si rivelerebbe incompleta ed insufficiente e costituirebbe un mezzo inadeguato ed inefficace per far cessare l’utilizzo di questo tipo di clausole”, in violazione dell’art. 7, comma 1, della direttiva 93/13[37].

I giudici di Lussemburgo sembrano così presupporre un giudicato sulle questioni controverse, anziché sul rapporto controverso, che quindi non può ritenersi implicitamente dedotto in giudizio nella sua interezza; se il giudice, adito dal professionista con domanda di condanna del consumatore all’esecuzione del contratto, rileva, d’ufficio o su eccezione del convenuto, la nullità di una clausola può discutersi, in un successivo processo, della vessatorietà delle altre pattuizioni. La preclusione opera soltanto se il giudice ha esaminato tutte le disposizioni contrattuali, negandone la vessatorietà, con provvedimento munito dell’efficacia del giudicato[38]. Per la Corte di giustizia non è in discussione l’istituto della cosa giudicata materiale, funzionale alla certezza dei rapporti giuridici ed alla stabilità dei provvedimenti giurisdizionali, come riconosce anche la sentenza SPV Project 1503[39]; vengono in rilievo, piuttosto, i limiti oggettivi del giudicato, intesi diversamente da come li intende la nostra giurisprudenza, con esclusione – benchè non espressamente sancita dalla Corte unionale – dell’antecedente logico necessario e delle questioni non espressamente trattate e decise.

Se la nullità di protezione inficia le clausole di un contratto in forma pubblica e quindi provvisto di efficacia esecutiva[40], potremo assistere al fenomeno, che avevo già in altra sede denunciato (ritenendolo contrario al sistema), del frazionamento dell’opposizione all’esecuzione (nella specie, contro titolo di formazione stragiudiziale). Il debitore contesta dapprima la clausola del contratto di mutuo che, ad es., indicizza gli interessi ad un certo parametro, siccome non enunciata in forma chiara e comprensibile; chiede ed ottiene l’inibitoria ex art. 615 c.p.c. o la sospensione ex art. 624 c.p.c.; l’opposizione viene rigettata con sentenza, alla quale tuttavia segue una seconda opposizione, con la quale il consumatore si duole dell’eccessività della penale prevista in caso di inadempimento. Ritengo invece che il debitore debba proporre uno actu tutti i possibili motivi dell’opposizione, da reputarsi infrazionabile[41]. Quando la questione sarà sottoposta al giudice italiano, dovrà valutarsi se i principi di ragionevole durata del processo, anche esecutivo, di efficacia ed efficienza dell’attività giurisdizionale, di non illimitatezza della c.d. risorsa giustizia, del divieto di abusare del processo, rappresentino controlimiti interni suscettibili di impedire quella potenzialmente indefinita reiterazione di giudizi relativi al medesimo contratto che la sentenza Banco Primus sembra consentire.

6. Le nullità di protezione (diversamente dalle nullità relative stricto sensu, soggette al principio di tipicità)[42], possono esseri testuali o virtuali, come hanno riconosciuto anche le Sezioni unite nel 2014[43]. Tra le prime rientrano quelle previste dal codice del consumo, oggetto delle pronunce in rassegna. Il dovere di rilevazione si estende alle nullità virtuali? Purchè si tratti di nullità di protezione, la risposta è affermativa.

La questione va diversamente risolta con riferimento alle nullità relative stricto sensu, che non sono previste da norme di diritto interno emanate in esecuzione di direttive comunitarie, bensì dal codice civile (v. il testo originario degli artt. 190 e 780 c.c.) e da leggi speciali che non recepiscono fonti unionali. Mi riferisco, oltre che alle clausole vessatorie contenute nelle condizioni generali di contratto (art. 1341, comma 2, c.c.), la cui nullità può essere opposta dall’aderente e non dal predisponente, alla violazione del divieto di subaffitto dei fondi rustici (art. 21 legge 3 maggio 1982, n. 203) ed alla vendita di immobili da costruire (art. 2 d.lgs. 20 giugno 2005, n. 122).

La nullità di protezione affetta singole clausole inessenziali e ciò giustifica l’inestensibilità del vizio all’intero contratto, senza che rilevi la c.d. volontà ipotetica di cui all’art. 1419, comma 1, c.c.: si sostituisce la singola pattuizione vessatoria e si conserva il negozio così emendato (art. 36, comma 1, cod. cons.). La nullità relativa, invece, può invalidare l’intero contratto, come quando il venditore di immobile da costruire non consegni al compratore la fideiussione. A queste nullità, che sono previste a tutela esclusiva di un contraente e non tutelano (diversamente dalle nullità di protezione) anche un interesse superindividuale, non si applicano le regole in disamina: se non diversamente disposto, non sono rilevabili d’ufficio[44] e, quindi, il giudicato ne preclude la successiva deducibilità.

Le nullità previste dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, benchè operino solo a vantaggio del cliente, possono essere rilevate d’ufficio dal giudice (art. 127, comma 2, d.lgs. 1° settembre 1983, n. 385) e sono considerate di protezione[45]. L’art. 23 d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 sanziona di nullità relativa i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento non redatti per iscritto, attribuendo al cliente la legittimazione esclusiva ad opporla, ma non prevede espressamente la rilevabilità d’ufficio del vizio. Sorgerà certamente questione se anche queste fattispecie (che tutelano il cliente in quanto fruitore di servizi bancari e finanziari, con la conseguenza che la nullità trascende l’interesse individuale, tutelando anche quello della categoria alla quale il contraente appartiene) siano soggette alle nuove regole di fonte pretoria.

7. Cupi presagi? Temo non siano i più infausti. Per quanto la Corte di giustizia e le Sezioni unite si siano occupate esclusivamente della sorte del decreto ingiuntivo non opposto, non pare che il ragionamento possa essere diverso quando l’omessa rilevazione della nullità di protezione affligga il contratto che costituisca causa petendi di una domanda di condanna, proposta in via ordinaria dal professionista ed accolta con sentenza pronunciata nella contumacia del consumatore, che non l’abbia successivamente impugnata nei termini di rito[46].

Il decreto ingiuntivo fu assimilato, da autorevole dottrina, alla sentenza di condanna emessa contro il debitore contumace sotto l’abrogato codice di procedura civile del 1865, che prevedeva l’opposizione contumaciale, mezzo ordinario di impugnazione proponibile davanti al giudice che aveva emesso la sentenza[47]. Anche l’opposizione monitoria regolata dal codice vigente è stata considerata analoga all’opposizione contumaciale[48]. Sussistono tuttavia differenze strutturali fra il procedimento monitorio ed il processo contumaciale, perché (in disparte la considerazione che può essere contumace l’attore, ma non il ricorrente) il convenuto contumace ha già ricevuto notifica della citazione, mentre l’ingiunto viene a conoscenza della domanda solo quando gli viene notificato il decreto che l’ha accolta, totalmente o parzialmente; nel processo contumaciale il contraddittorio si costituisce per iniziativa dell’attore prima della decisione, in quello ingiunzionale può instaurarsi su impulso dell’ingiunto; il convenuto si può costituire in giudizio fino alla riserva della causa in decisione, mentre l’ingiungendo ignora la pendenza del ricorso monitorio. Il quid commune è nondimeno rappresentato dall’emanazione del provvedimento decisorio inaudita altera parte: il giudice provvede sulla domanda in assenza di attività difensiva del convenuto.

Nel procedimento monitorio il giudice deve rilevare d’ufficio la nullità di protezione, rigettando il ricorso. Perché non dovrebbe segnalarla anche nel processo contumaciale, informando il consumatore che una o più clausole del contratto sono vessatorie? Il giudice unionale ha già statuito che la direttiva n. 93/13 deve essere interpretata nel senso che “un giudice nazionale, che si pronuncia in contumacia ed è competente, secondo le norme di procedura nazionali, ad esaminare d’ufficio se la clausola su cui si basa la domanda sia contraria alle norme nazionali di ordine pubblico, è tenuto ad esaminare d’ufficio se il contratto contenente tale clausola rientri nell’ambito di applicazione della direttiva medesima e, se del caso, la natura eventualmente abusiva di detta clausola”[49]. E la regola, enunciata in fattispecie soggetta al diritto belga (il rinvio pregiudiziale era stato disposto dal giudice di pace di Anversa), è applicabile anche nel nostro ordinamento, nel quale la contumacia equivale a ficta contestatio e non a ficta confessio. E’ infatti diritto ricevuto che la contumacia non rende incontroversi i fatti allegati a fondamento della domanda proposta dall’attore, sul quale grava l’onere di provare la titolarità del diritto in contesa[50]. L’attore che chiede l’esecuzione del contratto si afferma titolare del diritto alla controprestazione, che ha la sua causa petendi nel negozio, del quale deve quindi provarne l’esistenza e la validità: la non nullità del contratto è fatto costitutivo di segno negativo[51]. Anche nella contumacia del convenuto il giudice deve quindi rilevare la nullità codicistica del contratto, la quale si risolve nell’inesistenza di un fatto costitutivo. Se non dovesse rilevare anche la nullità di protezione sarebbe violato il principio di equivalenza, perché si riserverebbe al consumatore, tutelato da norme di fonte eurounitaria, un trattamento deteriore rispetto al comune contraente, salvaguardato dalle disposizioni nazionali.

Definito il processo contumaciale con la condanna del consumatore, senza che sia stata rilevata la nullità speciale, è insomma da ritenersi che sul punto non si formi il giudicato e la questione resti quindi impregiudicata. In diversi termini, la preclusione del deducibile non si estende, neppure in questo caso, alla nullità di protezione.

Si deve allora individuare il congruo rimedio a disposizione del consumatore rimasto contumace, condannato ed esecutato. Il debitore subisce il pignoramento ed il giudice dell’esecuzione rileva il vizio: ma a tal fine deve esercitare poteri istruttori, acquisendo l’intero fascicolo del giudizio di merito, ed esaminare gli atti e documenti di causa, onde verificare se la nullità sussista e non sia stata rilevata; all’esito della positiva verifica, deve disporre la restituzione nel termine dell’esecutato per l’impugnazione ordinaria, con possibile inibitoria, funzionante quale causa di sospensione esterna del processo esecutivo. Il consumatore ingiunto è stato equiparato dalle Sezioni unite al debitore che non abbia potuto proporre opposizione tempestiva per caso fortuito o forza maggiore[52]; si può quindi ipotizzare l’applicabilità dell’art. 327, comma 2, c.p.c., considerando involontariamente contumace il convenuto che non abbia proposto appello contro la sentenza di condanna, emessa senza rilevare la nullità della clausola vessatoria.

Se nel processo contumaciale il giudice rileva d’ufficio la nullità, è infine da ritenersi che l’ordinanza debba essere personalmente notificata al contumace, a norma dell’art. 292 c.p.c., ivi comprendendosi una nuova e non codificata ipotesi, in applicazione del principio unionale di effettività della tutela consumeristica. Il convenuto va inoltre avvertito – come deve esserlo l’ingiunto – che può costituirsi in giudizio per proporre domanda di accertamento della nullità di protezione (che non può essere dichiarata nella sola motivazione, diversamente dalla nullità codicistica)[53].

8. E’ invece da escludersi che il consumatore, il quale si sia costituito nel giudizio di condanna all’esecuzione della prestazione a suo carico o di risoluzione del contratto per il suo preteso inadempimento, senza proporre domanda di accertamento della nullità di protezione, possa chiedere, post rem iudicatam, di essere restituito nel termine per l’impugnazione, quando abbia esplicitamente od implicitamente rinunciato ad eccepire l’inefficacia della clausola vessatoria. E così, non solo se abbia espressamente dichiarato di non volersi avvalere della nullità, ma anche se abbia riconvenzionalmente chiesto la risoluzione per inadempimento del professionista, sull’assunto che il contratto non sia nullo: l’eventuale dichiarazione di nullità non gli gioverebbe, circoscrivendo la risarcibilità del danno all’interesse negativo.

Ma se nel contegno processuale del consumatore non possa ravvisarsi espressa o tacita rinuncia alla nullità, né il giudice abbia esercitato il potere-dovere di rilevazione? Chiesta in via ordinaria la condanna del consumatore al pagamento del prezzo, determinato dal professionista sulla base del listino in vigore alla data della consegna [in violazione dell’art. 33, comma 2, lett. n) cod.cons.], il convenuto si limita ad eccepire – infondatamente – la prescrizione ed il giudice accoglie la domanda, omettendo il controllo officioso della clausola vessatoria. La sentenza non viene impugnata ed il professionista procede in executivis contro il consumatore. Il giudice dell’esecuzione è tenuto a rilevare la nullità di protezione ed a rimettere in termine il debitore per l’impugnazione ordinaria?

Occorre preliminarmente richiamare le regole sulla rilevazione e dichiarazione delle nullità speciali enunciate nel 2014 dalle Sezioni unite. All’epoca fu statuito che il giudice ha il dovere di sottoporre la questione alle parti, ma non può dichiarare la nullità di protezione ove la parte legittimata non invochi tale pronuncia[54]. Pertanto, se a seguito della rilevazione ex officio di una nullità speciale non viene proposta domanda di accertamento dell’invalidità, il giudice rigetta od accoglie la domanda originaria: “pur avendo rilevato la nullità di protezione in corso di giudizio, non la dichiara in motivazione, limitandosi a rigettare la domanda, ove ne ricorrano i presupposti, per altro motivo, ovvero ad accoglierla, se fondata; non v’è accertamento della nullità speciale nella sentenza, dunque non si pone alcun problema di giudicato, attesa la peculiare natura della nullità”[55]; se invece la domanda di accertamento è proposta dal contraente protetto, il giudice dichiara la nullità nel dispositivo della sentenza, con statuizione idonea al giudicato sostanziale ed opponibile ai terzi aventi causa. Nella specie non ha quindi modo di operare la dichiarazione della nullità nella sola parte motiva della sentenza[56], con effetti variamente definiti dalla dottrina (vincolo al motivo portante della decisione, secondo la nota teorica zeuneriana, o giudicato pieno), che in questa sede non interessa esaminare.

Dalla ratio decidendi sembra lecito trarre cinque deduzioni.

La prima: mentre la dichiarazione di una nullità codicistica può essere contenuta nella sola motivazione e non richiede un’esplicita domanda ex art. 34 c.p.c. (necessaria solo affinchè il vizio sia dichiarato anche nel dispositivo, con effetto di giudicato opponibile a terzi), la dichiarazione di una nullità protettiva esige tale domanda. Lo schema è quello norma-fatto-potere-effetto, non quello norma-fatto-effetto, come avverrebbe se il giudice, rilevata la nullità, la dichiarasse, constatata la non opposizione del contraente debole. Invece la sentenza Pannon GSM avverte che il giudice deve officiosamente rilevare la vessatorietà della clausola (nella specie, derogatoria del foro del consumatore), ma “non deve tuttavia, in forza della direttiva, disapplicare la clausola in esame qualora il consumatore, dopo essere stato avvisato da detto giudice, non intenda invocarne la natura abusiva e non vincolante”[57]. Serve quindi una manifestazione di volontà da parte del contraente debole perché la clausola sia eliminata; la parte ha l’onere di esercitare il potere di invalidazione, proponendo la domanda di accertamento della nullità speciale.

La seconda: la necessarietà della domanda di accertamento incidentale trae seco la relativa proponibilità in appello. Con riferimento alla nullità codicistica, le Sezioni unite sono dell’avviso che tale domanda sia inammissibile in sede di gravame, ma se proposta si converta in eccezione in senso lato e dia luogo alla dichiarazione della nullità nella sola motivazione della sentenza[58]. Questa conversione non sembra possa operare per la nullità di protezione, la cui declaratoria esige la domanda della parte legittimata. E’ giocoforza, quindi, ammettere il novum in appello, in deroga all’art. 345, comma 1, c.p.c., perchè altrimenti il consumatore non potrebbe ottenere la caducazione della clausola vessatoria. Peraltro, il giudice d’appello ha il dovere di rilevare la nullità (anche speciale), che non sia stata segnalata dal giudice di primo grado: e si tratterebbe di un vano esercizio euristico, se alla rilevazione non potesse seguire, nel processo di impugnazione, la domanda della parte protetta.

La terza: la domanda di accertamento della nullità di protezione non sembra richiesta quando la questione concerna il rito e non il merito. La nullità della clausola derogatoria del foro del consumatore deve essere rilevata d’ufficio anche nell’inerzia o nella contumacia del convenuto e, nel procedimento monitorio, già nella fase sommaria[59]; alla rilevazione (se compiuta nel termine previsto dall’art. 38, comma 3, c.p.c.) segue la dichiarazione d’incompetenza, con definizione del processo in rito.

La quarta: se “a seguito della rilevazione officiosa del giudice di una nullità speciale le parti non propongono domanda di accertamento della nullità e chiedono al giudice di pronunciarsi sulla domanda originaria”, il giudice l’accoglie o la rigetta ignorando la causa di nullità. Nonostante l’uso della forma plurale, l’accertamento non può essere chiesto da ciascuna delle parti, ma solo da quella protetta. Il contraente forte non può postulare l’accertamento positivo della validità (rectius, della non vessatorietà e quindi della non nullità, ovvero, con una formula equivalente ma involuta, l’accertamento negativo della nullità) della clausola, perchè il rigetto della domanda dovrebbe logicamente implicare la nullità[60], che tuttavia solo il contraente debole può invocare; in tal caso, si può forse ritenere implicita (a dispetto del tenore letterale dell’art. 34 c.p.c., che richiede l’esplicitazione della domanda) la domanda di accertamento della nullità, da parte del contraente debole, nella contestazione della domanda avversaria intesa al riconoscimento della validità[61].

La quinta: nella fattispecie descritta nel precedente capoverso (rilevazione non seguita dalla dichiarazione), per le Sezioni unite “non v’è accertamento della nullità speciale nella sentenza, dunque non si pone alcun problema di giudicato, attesa la peculiare natura della nullità”. La pronuncia non statuisce, quindi, che il contratto è nullo (anche se il giudice l’aveva ritenuto tale), perché non è stata proposta domanda in tal senso; allora statuisce implicitamente che è valido? Chiesto dal venditore di immobile da costruire il pagamento della prima rata del prezzo, rilevata officiosamente la nullità del contratto per assenza della fideiussione ex art. 2 d.lgs. n. 122/2005, senza che però il compratore abbia successivamente proposto la domanda di accertamento, la domanda viene accolta ed il convenuto condannato. La sentenza non viene impugnata. Il compratore esecutato può proporre opposizione ex art. 615 c.p.c., deducendo che il contratto era nullo, od opera la preclusione del giudicato? Nel successivo giudizio avente ad oggetto il pagamento della seconda rata del prezzo, può chiedere che si dichiari la nullità del contratto, per non avergli il venditore consegnato la fideiussione?

Intuitivamente dovrebbe rispondersi in senso negativo, stante il divieto di venire contra factum proprium: il convenuto, benchè la nullità speciale sia stata segnalata dal giudice alle parti nel primo processo, è rimasto silente. Ma ciò presuppone che sulla non nullità si sia formato il giudicato implicito, che invece parrebbe escluso dalle Sezioni unite. Il problema, quindi, è più complesso.

Può infatti avvenire che il giudice sia tenuto a pronunciare sulla domanda concernente un contratto relativamente nullo (del quale la parte interessata abbia chiesto l’esecuzione, la risoluzione, l’annullamento o la rescissione) senza poter dichiarare la nullità, pur avendola doverosamente rilevata (sottoponendola al contraddittorio delle parti), quando la parte legittimata a dolersi del vizio genetico sia rimasta consapevolmente inerte, astenendosi dal proporre la pertinente domanda. Perchè l’omissione abbia valore concludente ed implichi rinuncia a giovarsi della nullità, è necessario che la parte sia stata debitamente informata. Il contegno processuale del litigante (rectius, del suo difensore, che potrebbe anche essere incorso in colpevole negligenza)[62] ha effetto sanante della nullità, in deroga all’art. 1423 c.c.[63]

Autorevole dottrina sostiene che, se il vizio genetico non viene rilevato, sulla non nullità del contratto non si forma il giudicato e la questione rimane impregiudicata; se la parte protetta non chiede dichiararsi la nullità, il giudice non può dichiararla neppure incidentalmente in sentenza e deve accogliere o rigettare la domanda “come se la nullità non sussistesse”[64].

Secondo una diversa opinione, se la nullità di protezione non viene rilevata d’ufficio, nè invocata dalla parte legittimata, ed è accolta una domanda avente ad oggetto un diritto che dipende dalla non nullità del contratto (adempimento, annullamento, rescissione o risoluzione), sulla non nullità si forma il giudicato implicito, con la conseguenza che il contraente protetto non potrà sollevare la questione in un nuovo giudizio; la non nullità rappresenta, infatti, l’antecedente logico necessario della pronuncia favorevole. Se invece la domanda viene rigettata, la preclusione derivante dal giudicato non opera qualora il rigetto sia stato determinato dall’applicazione del criterio della ragione più liquida (ad es., per prescrizione del diritto dipendente), mentre opera in ogni altro caso[65].

Occorre distinguere l’ipotesi della rilevazione non seguita dalla domanda dall’ipotesi dell’omessa rilevazione. Nel primo caso della nullità non potrà più discutersi in un successivo giudizio tra le parti; la preclusione non deriva dal giudicato implicito sulla non nullità, bensì dalla definitiva ed irreversibile sanatoria prodotta dall’inerzia della parte debole, che ha tacitamente, ma consapevolmente (perchè avvertita dal giudice), rinunciato a giovarsi del vizio, astenendosi dal proporre domanda di accertamento. Il contratto va quindi considerato valido.

A diverso esito si potrebbe pervenire qualora la nullità speciale non fosse stata rilevata d’ufficio e la domanda contro il consumatore fosse stata accolta: in questo caso la quaestio nullitatis parrebbe riproponibile in un futuro processo tra le parti, in assenza tanto di anteriore giudicato sulla non nullità, quanto di sanatoria della nullità (che presuppone la rilevazione officiosa e la consapevole, benchè tacita, rinuncia del consumatore a giovarsi del vizio). La pronuncia resa dalle Sezioni unite nel 2023 sembrerebbe somministrare argomento in tal senso: se non vi è rilevazione, non vi è preclusione. Ne segue che il giudice dell’esecuzione dovrebbe, come nell’ipotesi della sentenza contumaciale, riesaminare la decisione, acquisire il fascicolo della causa e, rilevata l’eventuale nullità, rimettere in termine il consumatore per l’eventuale impugnazione.

Oppongo a questa conclusione fallace che: a) se la sentenza è di primo grado, il codice non prevede la rimessione in termine per l’appello, se non in favore del contumace involontario; b) se la decisione è stata confermata in appello, concorre un ulteriore impedimento a denunciare la nullità speciale con il ricorso per cassazione, trattandosi di questione che esige un accertamento di fatto incompatibile con la struttura del giudizio di legittimità, nel quale, non essendo prevista attività istruttoria, il professionista non potrebbe provare che la clausola è stata oggetto di trattativa individuale, tale da escludere la presunzione di vessatorietà; c) se tutti i mezzi ordinari sono già stati sperimentati (perchè la sentenza di primo grado, che ha condannato il consumatore, è stata confermata nei successivi gradi), non è data la revocazione straordinaria, non ricorrendo nessuno dei motivi tassativamente previsti dall’art. 395, nn. 1, 2, 3 e 6, c.p.c.

Mi si obietterà che, così argomentando, finisco con il negare che, nel processo contro il consumatore costituitosi in causa, il giudice abbia l’obbligo di rilevare la nullità di protezione, perchè la violazione del dovere non produce conseguenze: se la sentenza di condanna del consumatore passa in giudicato, la preclusione del deducibile si estende alla nullità, rilevabile ma non rilevata. Ma nessuno dubita che, nonostante la nullità del contratto per illiceità della causa o per altra ragione prevista dal codice civile, il giudicato di condanna impedisca il successivo accertamento del vizio genetico del contratto. La tutela dei diritti riconosciuti dalle fonti eurounitarie deve essere equivalente a quella apprestata dalla normativa nazionale, non prevalente[66]. Quindi la regiudicata, come preclude le nullità codicistiche, così preclude le nullità di protezione.

Ed allora per quale ragione non solo sul decreto ingiuntivo non opposto, ma neanche sulla sentenza contumaciale non impugnata, il giudicato non si estende all’assenza di nullità protettive, non rilevate officiosamente? Perchè il giudice, in questi due casi, supplisce all’omissione di qualunque attività difensiva da parte del consumatore. Invece, quando il consumatore resiste alla domanda proposta dal professionista, avvalendosi della difesa tecnica obbligatoria, si deve ritenere che il difensore abbia diligentemente esaminato il contratto ed altrettanto diligentemente informato il cliente della possibile vessatorietà di una o più clausole, valutando la convenienza di opporre la nullità. E’ il principio di autoresponsabilità, in definitiva, ad impedire postume resipiscenze da parte del consumatore, che conosceva o poteva-doveva conoscere, per il tramite del suo patrono, l’abusività dei patti contrattuali. Inoltre, solo dal contegno processuale del consumatore costituito può trarsi rinuncia tacita alla nullità, mentre la contumacia non ha valore concludente.

9.  Segnalo infine i corollari che possono trarsi dai dicta delle Sezioni unite.

a) I creditori concorrenti, che hanno interesse ad escludere il creditore professionista dalla partecipazione alla fase satisfattiva, possono proporre opposizione al decreto ingiuntivo in via surrogatoria? Rispondo affermativamente, perché la nullità di protezione può essere opposta dai creditori utendo iuribus del consumatore inerte[67], purchè nel termine previsto a carico di costui, non potendo il surrogante esercitare poteri dai quali il surrogato sia ormai decaduto.

b) Il giudice dell’esecuzione non deve provvedere sull’istanza di vendita o di assegnazione fino a quando non sia scaduto il termine per l’opposizione monitoria ultratardiva e, se proposta, fino a quando il giudice non abbia provveduto sull’istanza ex 649 c.p.c. E se il debitore adisce, deliberatamente, un giudice diverso da quello che ha emesso il decreto ingiuntivo, per lucrare questa sospensione praeter legem (siccome non disposta in pendenza di un’opposizione esecutiva) nelle more della translatio iudicii? Vi sarebbe, credo, abuso del processo: ed il giudice dell’esecuzione dovrebbe dare impulso alla fase espropriativa. In ogni caso, la sospensione cessa se il debitore non prova di avere proposto opposizione nel termine assegnatogli, depositando nel fascicolo telematico copia della citazione notificata ed iscritta a ruolo o del ricorso ex art. 281 decies c.p.c. depositato, con accessoria istanza ex art. 649 c.p.c. Sarà inoltre onere dell’esecutato produrre successivamente copia dell’eventuale provvedimento inibitorio. Spetterà invece al creditore professionista, che vi ha interesse, depositare l’ordinanza che rigetta l’istanza. La protezione del consumatore non autorizza la dilazione sine die degli atti esecutivi. Se l’esecutività del decreto ingiuntivo viene sospesa, seguirà il provvedimento ricognitivo della sospensione esterna da parte del giudice dell’esecuzione, beninteso in assenza di creditori intervenuti cum titulo, che conservano impregiudicato il potere di chiedere la vendita; in tal caso il professionista non potrà compiere atti d’impulso né concorrere al riparto; il giudice dell’esecuzione provvederà all’accantonamento della quota spettante al creditore sospeso fino alla decisione di primo grado[68].

c) L’inibizione della vendita o dell’assegnazione ha luogo anche se il creditore professionista non ottempera all’ordine del giudice dell’esecuzione di esibizione del contratto con il consumatore esecutato. L’ufficio ha il potere di assegnare un termine perentorio, decorso vanamente il quale ha luogo l’estinzione atipica del processo esecutivo? O questo resta sospeso sine die, in assenza di interventori titolati che chiedano la vendita o l’assegnazione? Credo che la risposta corretta sia la seconda, perché la chiusura anticipata può sortire effetti irreversibili, quando il bene pignorato sia stato alienato ad un terzo e siasi prescritta l’azione revocatoria. Per altro verso, il consumatore non può essere pregiudicato dalla colpevole inerzia del professionista. Fino a quando, con la produzione del contratto, non sia reso possibile il sindacato dell’ufficio esecutivo sull’eventuale vessatorietà delle clausole, la fase espropriativa resta sospesa.

d) Dalla data di pubblicazione della sentenza delle Sezioni unite (6 aprile 2023), il giudice dell’esecuzione ha il dovere di procedere alla rilevazione della nullità di protezione, previo esercizio dei necessari poteri istruttori. Se l’omette, sono configurabili la responsabilità disciplinare del magistrato e la responsabilità civile dello Stato a norma dell’art. 2, comma 3, legge 13 aprile 1988, n. 117 (costituisce, infatti, colpa grave “la violazione manifesta della legge nonchè del diritto dell’Unione europea”), qualora la nullità sia accertata successivamente alla vendita od all’assegnazione.

e) Il debitore deve essere informato dell’esame del contratto e, anche se il giudice dell’esecuzione non rilevi una nullità di protezione, dell’assegnazione del termine per l’eventuale opposizione. Le Sezioni unite prescrivono che la relativa ordinanza sia comunicata a cura della cancelleria al debitore, se non comparso in udienza[69]. Ma se l’esecutato non ha, come nella quasi totalità dei casi, eletto domicilio in uno dei comuni del circondario in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione, né indicato il suo indirizzo di posta elettronica certificata, l’avviso gli verrà comunicato in cancelleria (art. 492, comma 2, c.p.c.): e questa mera conoscibilità non soddisfa l’esigenza di piena ed effettiva conoscenza postulata dalla Corte di giustizia. Quindi il giudice dell’esecuzione deve onerare il creditore professionista di notificare copia autentica del provvedimento al debitore, anche avvalendosi della posta elettronica certificata, sempre che il consumatore disponga di un domicilio digitale.

f) Nelle espropriazioni mobiliare ed immobiliare, il giudice dell’esecuzione deve adempiere il dovere di controllo del decreto ingiuntivo prima di nominare lo stimatore, per evitare che, in caso di revoca dell’ingiunzione e di conseguente estinzione atipica del processo esecutivo, il compenso resti a carico del professionista, creditore pignorante. E’ consigliabile che già a seguito del deposito dell’istanza di vendita l’ufficio proceda alle verifiche del caso, previa acquisizione del contratto tra professionista e consumatore. Il giudice può fissare l’udienza di autorizzazione a vendere, invitando il creditore a produrre il contratto e riservandosi di provvedere in udienza, nel contraddittorio delle parti, all’eventuale rilevazione; il decreto di fissazione va notificato personalmente al debitore che non abbia eletto domicilio, neppure digitale. Se rileva la nullità della clausola abusiva dopo l’aggiudicazione, il diritto del terzo acquirente dovrebbe restare salvo. Si può tuttavia ipotizzare che l’art. 187 bis att. c.p.c. vada nella specie interpretato conformemente al principio eurounitario di effettività (nel senso che l’acquisto diventa intangibile non dopo l’aggiudicazione, ma dopo il decreto, che trasforma lo ius ad rem in ius in re); e che pertanto, rilevata la nullità dopo l’aggiudicazione, il giudice dell’esecuzione soprassieda dall’emissione del decreto di trasferimento fino all’eventuale ordinanza di sospensione ex art. 649 c.p.c. La revoca del decreto ingiuntivo dovrebbe caducare anche l’aggiudicazione, improduttiva di effetto traslativo; la sentenza Ibercajo Banco fissa nel trasferimento al terzo acquirente del diritto di proprietà sul bene pignorato il termine fino al quale il consumatore può accedere alla tutela specifica-reintegratoria, successivamente spettandogli il succedaneo rimedio generico-risarcitorio. Nell’esecuzione presso terzi, invece, l’ordinanza di assegnazione definisce il processo e consuma il potere del giudice.

g) Si afferma che, se il debitore ha proposto opposizione all’esecuzione, il rimedio si converte in opposizione tardiva e la (eventuale, perché la causa potrebbe essere di competenza del medesimo ufficio giudiziario) traslazione del processo davanti al giudice competente debba avvenire entro 40 giorni. Anche questo è un esercizio di nomopoiesi, non di nomolofilachia (come l’elevazione a 40 giorni del termine per l’opposizione tardiva), perché l’art. 307, comma 3, c.p.c. fissa in un mese il termine perentorio minimo assegnabile dal giudice. Ma sarà traslato l’intero processo o solo quello concernente la nullità della clausola vessatoria? Dipenderà dai motivi dell’opposizione esecutiva. Con l’opposizione al decreto ingiuntivo non possono proporsi motivi diversi da quelli concernenti la vessatorietà delle clausole contrattuali; va quindi esclusa la traslazione totale dell’opposizione all’esecuzione, con la quale il consumatore abbia sollevato anche altre eccezioni. Se il debitore ha eccepito l’impignorabilità, la relativa questione è devoluta al giudice dell’opposizione ex 615 c.p.c., restando assorbita dalla revoca totale del decreto ingiuntivo; se ha eccepito la prescrizione, la sentenza che accoglie l’opposizione esecutiva determinerà la cessazione della materia del contendere nel giudizio di opposizione monitoria e viceversa; così pure se l’esecutato ha fondatamente contestato la sua qualità di erede del consumatore defunto. Quando i motivi delle due opposizioni sono diversi, non sussiste il pericolo di un conflitto pratico di giudicati. Qualora il debitore, invece, abbia contestato ex art. 615 c.p.c. solo l’abusività della clausola, il giudizio sarà devoluto al giudice dell’opposizione monitoria, previa translatio iudicii.

h) Sembra certo, da ultimo, che la pronuncia totalmente o parzialmente cassatoria del decreto ingiuntivo integri difetto sopravvenuto (e non originario) del titolo esecutivo di formazione giudiziale, con le note implicazioni in caso di concorso di creditori[70]. L’ingiunzione emessa a dispetto della nullità della clausola non era giuridicamente inesistente; la successiva revoca la priva retroattivamente di un’efficacia, sia pure interinale, che possedeva.

Le criticità della sentenza sono due.

a) Il primo concerne la durata del termine per l’opposizione a decreto ingiuntivo Non è tanto il rimedio a perplimere: le alternative della rilevazione endoesecutiva, con ordinanza impugnabile ex 617 c.p.c. (con effetti circoscritti all’esecuzione in corso), dell’actio nullitatis (per sua natura imprescrittibile e con dubbia attribuzione al giudice del potere di sospendere l’efficacia esecutiva del titolo) e dell’opposizione all’esecuzione (incompatibile con la preesistenza del vizio alla formazione del titolo giudiziale; aggiungo che il giudice dell’opposizione non avrebbe il potere di ordinare la cancellazione dell’ipoteca giudiziale iscritta in forza dell’ingiunzione esecutiva) avrebbero presentato maggiori difficoltà sistematiche ed applicative.

Tuttavia, per assoggettare l’opposizione tardiva al medesimo termine della tempestiva sarebbe stato necessario un atto avente forza di legge (non essendo idonea allo scopo, credo, una pronuncia additivo-manipolativa della Corte costituzionale sull’art. 650 c.p.c., essendo rimessa alla discrezionalità legislativa la fissazione dei termini), statuente deroga al capoverso dell’art. 650 c.p.c. quando il giudice del monitorio non abbia rilevato una nullità protettiva (mentre la legge non avrebbe potuto assegnare un termine di decadenza a tutti i debitori per l’eventuale opposizione, mutuando il precedente spagnolo del 2013, censurato dalla Corte di giustizia nella sentenza Banco Primus)[71]. Neanche i motivi di revocazione straordinaria contemplati dall’art. 656 c.p.c. potevano prestarsi allo scopo, salvo voler sussumere nel dolo della parte il silenzio del creditore ingiungente (contra se!) sull’abusività di una clausola del contratto con il consumatore.

b) Il secondo è che l’ordinanza ex 649 c.p.c. non è reclamabile[72], diversamente da quella di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo ex art. 615 c.p.c. La disparità di trattamento è stata notoriamente giustificata escludendo – discutibilmente – la natura cautelare dell’inibitoria. I poteri processuali del creditore sono peraltro minori di quelli del debitore; nessuna delle parti può gravarsi con il reclamo, ma l’ordinanza che accoglie l’istanza è dichiarata non impugnabile, talchè non può essere revocata o modificata, neppure al sopravvenire di nova, conservando efficacia inibitoria fino alla pronuncia della sentenza[73], mentre il rigetto non preclude la riproponibilità dell’istanza.

[1] E. REDENTI, Diritto processuale civile2, I, Milano, 1957, pp. 71 s., III, pp. 26 s. In senso sostanzialmente adesivo v. F. CARNELUTTI, Istituzioni del processo civile italiano5, III, Roma, 1956, pp. 135 s.; V. ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile3, IV, Napoli, 1964, pp. 113 ss.; L. MONTESANO, La tutela giurisdizionale dei diritti2, Torino, 1994, pp. 258 ss.; (G. BASILICO)-M. CIRULLI, Le condanne anticipate nel processo civile di cognizione, Milano, 1998, pp. 316 ss.; A. RONCO, Procedimento per decreto ingiuntivo, in AA.VV., I procedimenti sommari e speciali, a cura di S. Chiarloni-C. Consolo, Torino, 2005, pp. 523 ss.; A. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile5, Napoli, 2012, pp. 80 s.; C. CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile11, I, Torino, 2017, p. 193; M. DE CRISTOFARO, Giudicato e motivazione, in Riv. dir. proc., 2017, pp. 63 ss.; G. BALENA, Istituzioni di diritto processuale civile4, III, Bari, 2018, pp. 231 s.; S. RECCHIONI, Rapporto giuridico fondamentale, pregiudizialità di merito c.d. logica e giudicato implicito, in Riv. dir. proc., 2018, p. 1611, testo e nt. 39; I. PAGNI, Il contratto nel processo. Questioni controverse nell’esercizio dell’azione contrattuale in giudizio, Milano, 2022, pp. 35 ss. Per l’inettitudine al giudicato, ancorchè circoscritto allo specifico credito accertato, v. invece G. VIGNERA, Sull’efficacia di cosa giudicata del decreto ingiuntivo non opposto, in www.ilcaso.it, 2021; B. CAPPONI. La Corte di Giustizia stimola una riflessione su contenuto e limiti della tutela monitoria, in Rass. es. forz., 2023, pp. 126 ss.

[2] S. SATTA, Commentario del codice di procedura civile, IV, 1, Milano, 1971, p. 107; L. LANFRANCHI, Profili sistematici dei procedimenti decisori sommari, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1987, pp. 96 ss.; E. GARBAGNATI, Il procedimento d’ingiunzione, Milano, 1991, pp. 9 ss.; A. ATTARDI, Diritto processuale civile, Padova, 1994, p. 117; A. CARRATTA, Profili sistematici della tutela anticipatoria, Torino, 1997, pp. 543 ss.; R. CONTE, Del procedimento d’ingiunzione, in Commentario del codice di procedura civile, a cura di S. Chiarloni, Bologna, 2012, pp. 274 ss.; F.P. LUISO, Diritto processuale civile10, IV, Milano, 2019, pp. 157 ss.;

[3] Cass. 4 novembre 2021, n. 31636; Cass., 28 novembre 2017, n. 28318, in Riv. dir. proc., 2018, p. 1390, con nota di M. LOLLI.

[4] G. BALENA, Istituzioni4, cit., III, p. 232. In tal senso anche Cass., Sez. un., 1° marzo 2006, n. 4510, in Riv. dir. proc., 2007, p. 1047, con nota di R. MARUFFI; in Giust. civ., 2006, I, p. 1157, con nota di G. GIACALONE e C. CACCAVIELLO; in Giur. it., 2006, p. 2105., con nota di M. MAFFUCCINI; in Corr. merito, 2006, p. 744, con nota di G. TRAVAGLINO: “Il decreto ingiuntivo non opposto acquista autorità ed efficacia di cosa giudicata solo in relazione al diritto consacrato e non con riguardo alle domande o ai capi di domanda non accolti, atteso che la regola contenuta nell’art. 640, ult. comma, c.p.c. (secondo cui il rigetto della domanda di ingiunzione non pregiudica la riproposizione della domanda, anche in sede ordinaria) trova applicazione sia in caso di rigetto totale della domanda di ingiunzione che di rigetto parziale (e, quindi, di accoglimento solo in parte della richiesta)”.

[5] M. CIRULLI, La caducazione del contratto tra cognizione ed esecuzione, in Rass. es. forz., 2022, pp. 685 ss.

[6] Il termine “clausola” è polisenso. Può intendersi, in senso formale, come proposizione linguistica, verbale o scritta; oppure come “un precetto negoziale autonomo, un elemento del negozio che, contenuto in una singola proposizione (clausola semplice) o in più proposizioni (clausola composta), costituisca però di per sé una parte elementare, un imperativo giuridico inscindibile”, e quindi come sinonimo di “patto”; od ancora come comando eteronomo, come nell’art. 1339 c.c. (C. GRASSETTI, Clausola del negozio, in Enc. dir., VII, Milano, 1960, p. 185). Nel presente contributo si accoglie la seconda accezione.

[7] Cass., Sez. un., 6 aprile 2023, n. 9479, nel dispositivo.

[8] V. infra, n. 8.

[9] Ad es., chiesta l’emissione di decreto ingiuntivo per il pagamento del prezzo e della penale, che sia però ritenuta manifestamente eccessiva e quindi vessatoria [art. 33, comma 2, lett. f), cod. cons.], il giudice ingiungerà il pagamento del solo prezzo.

[10] Della legittimità costituzionale dell’art. 2884 c.c. può tuttavia discutersi (M. CIRULLI, La caducazione del contratto, cit., pp. 699 ss.). La sopravvivenza dell’ipoteca giudiziale all’ordinanza sospensiva ex art. 649 c.p.c. era stata indubbiata da Trib. Latina, 14 febbraio 2000, in Corr. giur., 2001, p. 811, con nota di C. CONSOLO; ma la questione è stata dichiarata inammissibile, per difetto di rilevanza, da Corte cost., 15 maggio 2001, n. 134.

[11] Corte giust. UE, 21 febbraio 2013, C-472/11, Banif Plus Bank.

[12] Cass., Sez. un., 6 aprile 2023, n. 9479, in motivazione, § 7.1.

[13] Cass., Sez. un., 6 aprile 2023, n. 9479, nel dispositivo.

[14] Corte giust. UE, 17 maggio 2022, C-693/19 e C-831/19, SPV Project 1503 e Banco di Desio e della Brianza, § 55.

[15] Per questa sintesi v. A. IERMANO, I principi di equivalenza ed effettività tra autonomia procedurale e ‘limiti’ alla tutela nazionale, in Dir. un. eur., 2019, pp. 525 ss., ove ulteriori riferimenti.

[16] Corte giust. UE, 17 maggio 2022, cit., § 58.

[17] Corte giust. UE, 17 maggio 2022, cit., § 59.

[18] Corte giust. UE, 17 maggio 2022, cit., § 60.

[19] Corte giust. UE, 17 maggio 2022, cit., §§ 65 e 66.

[20] Cass., Sez. un., 6 aprile 2023, n. 9479, in motivazione, § 7.3.

[21] V. le decisioni richiamate da C. RASIA, Giudicato, tutela del consumatore, ruolo del giudice in sede monitoria ed esecutiva, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2023, pp. 65 ss., il quale nota che secondo la consolidata giurisprudenza unionale l’autorità del giudicato è limitata ai punti di fatto e di diritto effettivamente discussi e decisi.

[22] P. CALAMANDREI, Vizi della sentenza e mezzi di gravame, in Opere giuridiche, a cura di M. Cappelletti, VIII, Napoli, 1979, pp. 245 ss., spec. 251 ss.

[23] Le conclusioni del P.G. sul ricorso n. 24533/2021 R.G., deciso dalle Sezioni unite, possono leggersi in www.procuracassazione.it/procura-generale/it/requisitorie_civili.page

[24] “L’intimato può fare opposizione anche dopo scaduto il termine fissato nel decreto, quando provi che, per la inosservanza delle formalità stabilite dalla legge, oppure per altrui dolo, ovvero per circostanze estranee al fatto e alla volontà propria nonché alla volontà dei suoi familiari, mandatari, domiciliatari, dipendenti o commessi, e in genere di qualunque persona del cui operato debba rispondere, egli non ha avuto tempestiva conoscenza del decreto notificatogli”.

[25] Cass., Sez. un., 6 aprile 2023, n. 9479, in motivazione, § 5.

[26] F.P. LUISO, La cedevolezza del giudicato, in AA.VV., La crisi del giudicato. Atti del XXX convegno nazionale dell’Associazione fra gli studiosi del processo civile, Bologna, 2017, pp. 75 ss.

[27] M. CIRULLI, La nullità della vendita forzata e l’opposizione all’esecuzione, in Giusto proc. civ., 2018, pp. 231 ss.

[28] Corte giust. UE, 17 maggio 2022, C-600/19, Ibercaja Banco, § 59.

[29] Cass., Sez. un., 6 aprile 2023, n. 9479, in motivazione, § 9.1.

[30] M. CIRULLI, Valori funzionali del processo esecutivo e poteri officiosi, in Riv. es. forz., 2019, pp. 250 ss., spec. 268.

[31] Cass., 26 settembre 2008, n. 24262, in Foro it., 2008, I, c. 3528, con note di A. PALMIERI e R. PARDOLESI; in Giust. civ., 2009, I, p. 981, con nota di C. DALIA; in Resp. civ. prev., 2009, II, p. 583, con nota di S. VERUCCI.

[32] V. amplius M. CIRULLI, La distribuzione del ricavato, in G. ARIETA-F. DE SANTIS-A. DIDONE, Codice commentato delle esecuzioni civili, Milanofiori Assago, 2016, pp. 620 ss. e, in senso conforme, Trib. Rovigo, 13 giugno 2018, in www.dejure.it.

[33] Questa è la mia opinione, in dissenso dalla dottrina maggioritaria e dalla giurisprudenza (Cass., 24 ottobre 2018, n. 26297, in Riv. es. forz., 2019, p. 65, con nota di M. CIRULLI).

[34] M. GIROLAMI, Nullità di protezione, in Enc. dir., I tematici, I, Contratto, diretto da G. D’Amico, Milano, 2021, p. 721. Per la convalidabilità del contratto v. P. GALLO, Il contratto, in Trattato di diritto civile, V, Torino, 2017, pp. 682 s. (il quale peraltro distingue la convalida espressa, inefficace, da quella per esecuzione, efficace).

[35] Corte giustizia UE, 8 settembre 2022, C-80/21, C-81/21 e C-82/21, D.P.B. e M.

[36] V. infra, n. 7.

[37] Corte giustizia UE, 26 gennaio 2017, C-421/14, Banco Primus, § 52.

[38] Corte giustizia UE, 26 gennaio 2017, cit., § 54.

[39] Corte giustizia UE, 17 maggio 2022, C-693/19 e C-831/19, SPV Project 1503, § 57, ove il richiamo a precedenti conformi.

[40] Al contratto redatto in forma pubblica non si applica l’art. 1341 c.c., quando le clausole riproducano condizioni generali di contratto unilateralmente predispote da una parte (Cass., 20 giugno 2017, n. 15237). Tuttavia, gli art. 33 ss. cod. cons. si applicano sia in caso di predisposizione di moduli o formulari destinati a regolare un numero indeterminato di rapporti, che di contratto singolarmente predisposto (Cass., 20 marzo 2010, n. 6802). La massima si conforma al precedente secondo cui “la vessatorietà in questione può pertanto riguardare anche il singolo rapporto, laddove l’onerosità ex art. 1341, comma 2, c.c. viceversa attiene a contratti unilateralmente predisposti da un contraente in base a moduli o formulari in vista dell’utilizzazione per una serie indefinita di rapporti” (Cass., 26 settembre 2008, n. 24262, cit., in motivazione, p. 8). Nella giurisprudenza unionale, per la vessatorietà della clausola contenuta in un contratto di mutuo ipotecario rogato da notaio, munito di efficacia esecutiva, v. Corte giust. UE, 26 settembre 2019, C-407/18, Addiko Bank, che ha ritenuto in contrasto con la direttiva 93/13 e con il principio di effettività la normativa slovena, che non attribuisce al giudice dell’esecuzione il potere di rilevare d’ufficio la nullità di protezione e di sospendere l’esecutività del titolo negoziale.

[41] M. CIRULLI, Le opposizioni nel processo esecutivo, Milano, 2018, pp. 49 ss.

[42] Nella dottrina civilistica, nonostante l’iniziale contrarietà al riconoscimento della nullità relativa, in quanto intimamente contraddittoria (L. CARIOTA FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, s.d., pp. 344 ss.; F. SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile9, Napoli, 1986, pp. 247 s.; F. CARRESI, Il contratto, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. Cicu-F. Messineo-L. Mengoni, II, Milano, 1987, pp. 627 ss.), era prevalso l’orientamento favorevole, che però predicava l’eccezionalità della figura, in virtù della riserva contenuta nell’incipit dell’art. 1421 c.c. [G. MIRABELLI, Dei contratti in generale2, in Commentario del codice civile, IV, 2, Torino, 1967, pp. 435 s.; F. MESSINEO, Il contratto in genere, in Trattato di diirtto civile e commerciale, diretto da A. Cicu-F. Messineo, II, Milano, 1972, pp. 180 s.; R. TOMMASINI, Nullità (diritto privato), in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, p. 899, nt. 187; F. PECCENINI, Della nullità del contratto, in F. GALGANO-F. PECCENINI-M. FRANZONI-D. MEMMO, R. CAVALLO BORGIA, Della simulazione. Della nullità del contratto. Dell’annullabilità del contratto, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca-Galgano, Bologna-Roma, 1998, p. 167].

[43] La nullità virtuale di protezione è ammessa da V. ROPPO, Il contratto2, in Trattato di diritto privato, diretto da G. Iudica-P. Zatti, Milano, 2011, pp. 790 s.; M. GIROLAMI, Nullità di protezione, cit., pp. 708 s. e, in giurisprudenza, da Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242, in motivazione, § 3.13.4, che giudica irrazionale “invocare la nominatività dell’incipit dell’art. 1421 al fine di escludere un non certo irragionevole ricorso al procedimento di integrazione analogica” e, nel precedente paragrafo, comprende tra le nullità speciali quelle “di protezione virtuale”. Per l’inammissibilità della nullità virtuale di protezione v. invece G. D’AMICO, Nullità virtuale – Nullità di protezione (Variazioni sulla nullità), in AA.VV., Le forme della nullità, a cura di S. Pagliantini, Torino, 2009, pp. 12 ss.

[44] Implicitamente in tal senso, in tema di clausole vessatorie ex art. 1341, comma 2, c.c., la cui inefficacia può essere opposta dal solo aderente, v. Cass., 30 novembre 2020, n. 27320; Cass., 21 agosto 2017, n. 20205; Cass., 20 agosto 2012, n. 14570; esplicitamente, con riferimento alla nullità del contratto di subaffitto di fondo rustico, Cass., 14 gennaio 1988, n. 203.

[45] Cass., 6 settembre 2019, n. 22385; Cass., 21 giugno 2018, n. 16362.

[46] Favorevole all’estensione della regola enunciata dalla Corte di giustizia alle sentenze contumaciali C. RASIA, Giudicato, cit., pp. 82 s.; contrari E. D’ALESSANDRO, Il decreto ingiuntivo non opposto emesso nei confronti del consumatore dopo Corte di giustizia, grande sezione, 17 maggio 2022 (cause riunite C-693/19 e C-831/19, causa C-725/19, causa C-600/19 e causa C-869/19): in attesa delle Sezioni Unite, in www.judicium.it, pp. 11 s.; A.M. SOLDI-B. CAPPONI, Consumatore e decreto ingiuntivo: le soluzioni  ermeneutiche percorribili per l’integrazione tra diritto eurounitario e diritto interno, ivi, p. 2.

[47] P. CALAMANDREI, Il procedimento monitorio nella legislazione italiana, in Opere giuridiche, cit., IX, pp. 39 ss. L’opposizione dell’ingiunto veniva assimilata alla “disgraziatissima opposizione contumaciale” (prevista dagli artt. 474 ss. c.p.c. 1865) anche da G. CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile2, I, Napoli, 1960 (rist.), p. 226; F. CARNELUTTI, Sistema del diritto processuale civile, II, Padova, 1938, p. 621. In senso parzialmente difforme v. G. CRISTOFOLINI, Processo d’ingiunzione, Padova, 1939, pp. 96 ss.

[48] E. GARBAGNATI, Il procedimento d’ingiunzione, cit., pp. 135 ss.

[49] Corte giust. UE, 17 maggio 2018, C-147/16, Karel de Grote, § 37.

[50] Cass., Sez. un., 16 febbraio 2016, n. 2951, in Foro it., 2016, I, c. 3947, con nota di L. ESPOSITO; in Resp. civ. prev., 2016, II, p. 517, con nota di G. MIRABILE; in Riv. dir. proc., 2017, p. 234, con nota di M.F. GHIRGA.

[51] C. CONSOLO-F. GODIO, Contratto e processo, in Enc. dir., I tematici, I, Il contratto, cit., p. 398.

[52] V. supra, n. 3.

[53] V. infra, n. 8.

[54] Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242, in motivazione, § 3.10, 3.12, 3.13. La sentenza può leggersi in Foro it., 2015, I, 862, con note di M. ADORNO, A. PALMIERI-R. PARDOLESI, F. DI CIOMMO, S. PAGLIANTINI, S. MENCHINI, A. PROTO PISANI; in Corr. giur., 2015, p. 88, con nota di V. CARBONE; ivi, p. 225, con nota di C. CONSOLO-F. GODIO; in Riv. dir. proc., 2015, p. 1560, con nota di A. GIUSSANI; in Giur. it., 2015, p. 71, con nota di I. PAGNI; ivi, p. 1387, con nota di M. BOVE; in Contr., 2015, p. 113, con nota di S. PAGLIANTINI; in Giur. comm., 2015, II, p. 970, con nota di L. DELLI PRISCOLI; in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, p. 299, con nota di N. RIZZO; in Danno e resp., 2015, p. 592, con note di R. FORNASARI e P. LAGHEZZA; in Rass. Avv. Stato, 2017, 4, p. 15, con nota di G. VISENTINI.

[55] Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242, in motivazione, § 7.3.

[56] Notano C. CONSOLO-F. GODIO, Patologia contrattuale e (modo dell’) accertamento processuale, in Corr. giur., 2015, p. 229 che il giudice dovrà nella specie statuire “come se quella nullità non esistesse”, con la conseguenza che la questione resterà impregiudicata. Il corollario – pur non esplicitato dagli AA. – è che sul punto potrà discutersi in un nuovo processo: ed allora non si forma il giudicato implicito sulla c.d. non nullità del contratto. Contra: M. LUPANO, Il regime processuale delle nullità di protezione, in Giur. it., 2021, p. 233, testo e nt. 28, secondo il quale, se alla rilevazione della nullità non segue la domanda di accertamento incidentale da parte del contraente protetto, sulla non nullità si forma il giudicato implicito.

[57] Corte giust. UE, 4 giugno 2009, C-243/08, Pannon GSM, § 33. Nel successivo § 35, tuttavia, si legge che “il giudice nazionale deve esaminare d’ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine. Se esso considera abusiva una siffatta clausola, non la applica, tranne nel caso in cui il consumatore vi si opponga. Tale obbligo incombe al giudice nazionale anche in sede di verifica della propria competenza territoriale”.

[58] In tal senso implicitamente Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242, in motivazione, § 7.1, n. 6; esplicitamente Cass., 15 settembre 2020, n. 19161, in motivazione, § 2.2, che interpreta il dictum delle Sezioni unite nel senso che “la domanda di accertamento della nullità di un negozio proposta, per la prima volta, in appello è bensì inammissibile ex art. 345, comma 1, c.p.c., ma è salva la possibilità per il giudice del gravame, obbligato comunque a rilevare d’ufficio ogni possibile causa di nullità, di convertirla ed esaminarla come eccezione di nullità legittimamente formulata dall’appellante, giusta il cit. art. 345, comma 2”. La dottrina è invece favorevole alla proponibilità in appello della domanda, benchè nuova (C. CONSOLO-F. GODIO, Patologia contrattuale, cit., p. 240; I. PAGNI, Il “sistema” delle impugnative negoziali dopo le Sezioni Unite, in Giur. it., 2015, p. 75; amplius M. PILLONI, Profili processuali della domanda di accertamento incidentale, Torino, 2020, pp. 274 ss.).

[59] Cass., Sez. un., 6 aprile 2023, n. 9479, in motivazione, § 7.1.

[60] Anche a non voler trarre la conclusione generalizzante alla cui stregua il rigetto della domanda di accertamento negativo di un diritto ne implica l’accertamento positivo, è sufficiente osservare che la nullità del contratto è questione pregiudiziale (e non preliminare) di merito. Sul tema v. A.A. ROMANO, L’azione di accertamento negativo, Napoli, 2006, pp. 264 ss., ove completi riferimenti, e, s.v., M. CIRULLI, Le opposizioni, cit., pp. 49 ss.

[61] In generale, sulle modalità di proposizione della domanda di accertamento incidentale v., anche per ulteriori riferimenti, M. PILLONI, Profili, cit., pp. 64 ss. Secondo M. LUPANO, Il regime processuale, cit., p. 233, non è sufficiente che il contraente protetto si limiti a dichiarare di voler profittare della nullità.

[62] Il rischio è avvertito da C. CONSOLO-F. GODIO, Patologia contrattuale, cit., pp. 229 s.

[63] M. GIROLAMI, Nullità di protezione, cit., p. 720.

[64] C. CONSOLO-F. GODIO, Patologia contrattuale, cit., p. 229.

[65] M. LUPANO, Il regime processuale, cit., p. 233.

[66] V. supra, n. 3.

[67] G. PASSAGNOLI, Note critiche in tema di sanabilità e rinunziabilità delle nullità di protezione, in Persona e mercato, 2012, p. 30.

[68] V. supra, n. 4.

[69] Cass., Sez. un., 6 aprile 2023, n. 9479, in motivazione, § 8.2.1.

[70] M. CIRULLI, Le opposizioni, cit., pp. 33 ss.

[71] La Corte ha ritenuto incompatibile con gli artt. 6 e 7 della direttiva 93/13 la quarta disposizione transitoria della legge spagnola 14 maggio 2013, n. 1, “che subordina l’esercizio da parte dei consumatori, nei confronti dei quali è stato avviato ma non concluso un procedimento di esecuzione ipotecaria prima della data di entrata in vigore della legge che contiene detta disposizione, del loro diritto di proporre opposizione a tale procedimento sul fondamento dell’asserita abusività delle clausole contrattuali, a un termine di decadenza di un mese, calcolato a partire dal giorno successivo alla pubblicazione di tale legge” (Corte giust. UE, 26 gennaio 2017, C-421/14, Banco Primus).

[72] Trib. Venezia, 4 aprile 2000, in Foro it., 2000, I, c. 3644, con nota di C. CEA; Trib. Arezzo, 28 luglio 1999, ivi, 2000, I, c. 2699.

[73] Trib. Torino, 2 aprile 2010, in Giur. merito, 2011, p. 1585.