La tutela del consumatore secondo la CGUE e le Sezioni Unite, e lo Stato di diritto secondo la civil law

Di Giuliano Scarselli -

Sommario: 1. Premessa. La tutela del consumatore secondo la CGUE e secondo le Sezioni Unite. 2. Analisi della sentenza Cass. sez. un. 6 aprile 2023 n. 9479. 3. Alcune considerazioni di sintesi.

1.Questo il fatto.

1.1. Un debitore non opponeva un DI e questo diventava esecutivo.

Il creditore, quindi, intraprendeva l’esecuzione forzata contro il debitore.

Il debitore, però, poiché il credito si basava su una fideiussione contenente clausole abusive secondo le norme a tutela del consumatore, proponeva opposizione all’esecuzione, ed in particolare eccepiva che il DI era stato emesso da giudice territorialmente incompetente in forza di una clausola del contratto di fideiussione illegittimamente derogatrice del foro del consumatore.

Il creditore opponeva al debitore la definitività del DI e il suo passaggio in giudicato per mancata opposizione, e quindi la preclusione a far valere in sede di opposizioni all’esecuzione questioni che andavano al contrario necessariamente fatte valere con l’opposizione a DI.

L’opposizione all’esecuzione, e poi quella agli atti esecutivi, venivano pertanto respinte.

La vicenda arrivava però dinanzi alla Corte di Cassazione, e poiché nel frattempo interveniva la pronuncia della CGUE del 17 maggio 2022, e si apriva sulla questione ampio dibattito dottrinale[1], la terza sezione della Cassazione, sollecitata dalla stessa Procura Generale ai sensi dell’art. 363 c.p.c. dopo che il ricorrente aveva rinunciato al ricorso, rimetteva gli atti al Primo Presidente, e questi li rimetteva alle Sezioni unite.

Le Sezioni unite decidevano la questione con la sentenza oggetto di questa nota, Cass. sez. un. 6 aprile 2023 n. 9479.

1.2. La posizione della CGUE sul punto appare questa.

Con una insieme di pronunce che in questa sede non è necessario riportare estesamente, la Corte di Giustizia ha statuito che gli artt. 6 e 7 della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993: “devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione del debitore, il giudice dell’esecuzione non possa – per il motivo che l’autorità di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validità delle clausole del contratto che ne è alla base – successivamente controllare l’eventuale carattere abusivo di tali clausole”.

La ratio appare essere questa: “Una normativa nazionale secondo la quale un esame d’ufficio del carattere abusivo delle clausole contrattuali si considera avvenuto e coperto dall’autorità di cosa giudicata anche in assenza di qualsiasi motivazione in tal senso contenuta in un atto quale un decreto ingiuntivo può, tenuto conto della natura e dell’importanza dell’interesse pubblico sotteso alla tutela che la direttiva 93/13 conferisce ai consumatori, privare del suo contenuto l’obbligo incombente al giudice nazionale di procedere a un esame d’ufficio dell’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali. In un caso del genere, l’esigenza di una tutela giurisdizionale effettiva impone che il giudice dell’esecuzione possa valutare, anche per la prima volta, l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto alla base di un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore e contro il quale il debitore non ha proposto opposizione”[2].

In sostanza la CGUE ha sostenuto che:

a) se il giudice del monitorio ha controllato il carattere abusivo delle clausole contrattuali e ha dato conto di ciò nella motivazione dello stesso DI, la mancata opposizione del debitore nei 40 giorni prevista dall’ordinamento italiano producono effettivamente la cosa giudicata, e la questione non può più essere sollevata dinanzi al giudice dell’esecuzione.

b) Al contrario, se il giudice del monitorio niente motiva sul punto, allora è incerto che lo stesso abbia o meno adempiuto a l’obbligo di procedere a un esame d’ufficio dell’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali, ed in questi casi la mancata opposizione al DI da parte del debitore non produce la cosa giudicata, anche perché l’assenza della motivazione può pregiudicare la tutela effettiva del consumatore, e la questione in ordine all’abusività delle clausole contrattuali può essere posta successivamente al giudice dell’esecuzione.

1.3. Va poi ricordato, e come è noto, che le decisioni della CGUE sono fonti di diritto eurounitario ed hanno effetto vincolante e diretto nel nostro ordinamento ai sensi degli stessi artt. 11 e 117 Costituzione, così come peraltro precisato dalla nostra Corte costituzionale[3].

Dunque, il compito delle Sezioni unite non era quello di stabilire se il dettato della CGUE fosse logico o condivisibile, ma semplicemente quello di adeguare il nostro ordinamento a quelle regole comunitarie precisate dalla CGUE.

La sentenza a commento ha ben precisato questo aspetto ricordando come esiste “un meccanismo di complementarietà funzionale delle norme processuali nazionali rispetto al diritto europeo sostanziale”, e che: “Ciò sta a significare che le categorie e gli istituti di diritto processuale interno potranno mantenere intatto il proprio fisiologico spazio applicativo là dove sia possibile rinvenire nel sistema, e fintanto che lo sia, l’apparato di tutela giurisdizionale che garantisca appieno l’effettività del diritto eurounitario, per come interpretato dalla CGUE nel suo ruolo di fonte del diritto e, dunque, nell’esercizio della sua funzione nomogenetica”[4].

La sentenza ha altresì precisato che il giudice nazionale, in tale attività di coordinamento del diritto comune europeo con quello nazionale, opera con due diversi strumenti, che sono quelli dell’interpretazione conforme oppure della disapplicazione.

Con essi il giudice nazionale dà concretezza “al principio di leale collaborazione di cui all’art. 4 TUE, in forza del quale gli Stati membri sono tenuti ad assicurare la conformità dell’ordinamento interno al diritto dell’Unione[5].

Dunque: la decisione della CGUE è fonte di diritto comunitario, direttamente vincolante nel nostro ordinamento in base agli stessi artt. 11 e 117 Cost.; le Sezioni unite, nel loro compito di nomofilachia, non potevano certo mettere in discussione la decisione, ma solo indicare le modalità con le quali coordinare il nostro ordinamento processuale al dettato della CGUE; ciò è esattamente quanto è stato fatto con la sentenza in commento, che ha provveduto a determinare il modo con il quale i giudici nazionali devono adeguarsi per rispettare le regole comunitarie fissate dalla CGUE; le modalità comportamentali cui sono tenuti i giudici di merito sono quelle che si rilevano dalla lettura del dispositivo di detta sentenza[6].

1.4. Come può comprendersi, però, mentre alcuni principi dettati dalla CGUE erano e sono perfettamente conformi al nostro ordinamento processuale, altri non lo sono; quindi il compito delle Sezioni unite di trovare l’armonizzazione di norme tra loro (in parte) disarmoniche, non può dirsi esser stato facile, e le difficoltà erano già emerse nei molti commenti e dibattiti seguiti alla decisione della CGUE del 17 maggio 2022.

Dunque, sia consentito questo: che se per taluni momenti le Sezioni unite non hanno dovuto faticare per trovare la necessaria armonizzazione, per altri, al contrario, hanno dovuto forzare (un po’) la mano, e affermare cose che, se tolte dal contesto nel quale si trovano, possono apparire a taluni elementi estranei al nostro sistema processuale.

Senza che ciò costituisca critica alla sentenza che si annota, poiché abbiamo già premesso che il nostro giudice nazionale non poteva (in gran parte) fare altrimenti, sia consentito tuttavia evidenziare questi passaggi.

2.E così:

2.1. Le Sezioni unite hanno detto che, nel rispetto della pronuncia della CGUE, il giudice del monitorio ha “il dovere di esaminare d’ufficio il carattere abusivo della clausola contrattuale e di dare conto degli esiti di siffatto controllo[7].

Il rilievo è senz’altro corretto, e certamente imporre al giudice il controllo delle clausole contrattuali non solo costituisce rispetto dell’ordinamento comune europeo, ma è anche pretesa perfettamente conforme alle nostre disposizioni interne, visto che ciò si ricava facilmente dagli artt. 633 – 644 c.p.c. che prevedono che il giudice del monitorio debba verificare i presupposti di fatto e di diritto della concessione dell’ingiunzione, e quindi anche la validità o meno delle clausole contrattuali in forza delle quali l’ingiunzione è richiesta, e poi soprattutto dall’art. 641 c.p.c., che prevede che il decreto ingiuntivo debba essere motivato.

Credo che questo sia il punto principale di tutta la sentenza.

Per coordinare diritto interno e diritto comunitario è sufficiente che da domani sia chiaro che il giudice del monitorio deve controllare d’ufficio l’abusività o meno delle clausole contrattuali e deve dare menzione del compimento di tale attività nello stesso DI, con una formula standard che potrebbe essere quella di: “dar atto della sussistenza dell’esame, in base al quale il giudice ha ritenuto che le clausole in discussione non hanno carattere abusivo[8]. Dopo questa precisazione il DI dovrà altresì contenere un avvertimento, che sarà quello che “in mancanza di opposizione il debitore consumatore non potrà più far valere l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto e il decreto non opposto diventerà irrevocabile[9].

Aggiungono le Sezioni unite: “Così letto il sistema, l’istanza di tutela che il diritto dell’Unione impone di soddisfare non trova ostacoli nel modello processuale di diritto interno[10].

Se questo verrà fatto, e non vediamo perché non, e quindi se da domani tutti i DI conterranno queste menzioni, il problema sarà risolto, e il nostro sistema processuale si coordinerà perfettamente con le regole europee.

2.2. Il problema sorgerà solo per quelle ipotesi nelle quali il giudice del monitorio non dovesse dar menzione del controllo dell’abusività delle clausole contrattuali.

Ritengo, in primo luogo, che queste ipotesi, nel futuro, saranno assai poche, poiché se nelle prassi giudiziari entrerà l’uso di utilizzare una formula standard da inserire in ogni DI a conferma dell’avvenuto controllo (formula standard che gli stessi avvocati potrebbero ben indicare al giudice nella redazione dei ricorsi per DI), assai difficilmente si avranno fenomeni patologici di omessa motivazione sul punto.

E però, in quei casi, in base ai principi precisati dalla CGUE, la mancata opposizione non potrà più attribuire al DI non opposto l’autorità della cosa giudicata.

Qui è evidente che la pretesa della CGUE contrasta invece con il nostro diritto interno, poiché, per il nostro diritto, o il debitore presenta opposizione nei 40 giorni ed esercita con essa il suo diritto alla difesa, oppure, se non presenta opposizione, non può lamentarsi della definitività del DI, poiché questa dipende da una sua precisa omissione, che è appunto quella di non aver fatto opposizione nei termini.

Qui le Sezioni unite, per asserire invece che il dictum della CGUE è logico e compatibile con il nostro sistema, si sono viste, secondo me, obbligate ad affermare cose di dubbia consistenza.

a) Si è detto che se il DI non menziona espressamente che il giudice ha controllato d’ufficio l’inesistenza di clausole abusive a danno del consumatore, il consumatore non è in grado di difendersi.[11]

Sinceramente è una tesi ardua, poiché, al contrario, par evidente che il debitore è in grado di difendersi a prescindere da quello che il giudice scriva nel DI, e certo, nel caso di specie, non si vede perché il debitore non avrebbe potuto eccepire l’incompetenza per territorio del giudice adito a prescindere dalle motivazioni contenute nel DI.

In un sistema quale il nostro, ove la difesa tecnica è obbligatoria, l’avvocato del debitore al quale sia stata notificata l’ingiunzione ha certamente la possibilità di rilevare l’incompetenza del giudice a prescindere dal contenuto del DI.

Se una simile affermazione dovesse costituire principio generale del nostro sistema processuale, il DI dovrebbe allora indicare al debitore tutte le possibili eccezioni che egli ha  diritto di sollevare nei 40 giorni di tempo concessi per la proposizione dell’opposizione di cui all’art. 645 c.p.c.

b) Si è detto, poi, che l’omessa motivazione circa il dovere del giudice di controllare l’(in)esistenza di clausole abusive correttamente impedisce al DI di acquisire l’autorità di cosa giudicata in caso di mancata opposizione[12].

Sinceramente, si tratta, di nuovo, di un’affermazione forzata.

Una cosa è infatti l’obbligo di motivazione di cui all’art. 641 c.p.c., altra cosa è ritenere che l’omessa motivazione impedisca il giudicato.

Se tutti i provvedimenti passati in giudicato, perché non opposti o non impugnati, non dovessero acquisire l’autorità di cosa giudicata per vizi della motivazione, ebbene, noi non avremmo probabilmente più alcun provvedimento da potersi considerare passato in giudicato.

2.3. E qui arriviamo al terzo momento della sentenza.

A mio parere, una volta che le Sezioni unite avevano dato prova di sottostare al dictum della CGUE, confermando che il DI privo di motivazione e non opposto non preclude al debitore di sollevare in sede di esecuzione eccezioni relative all’abusività di clausole contenute nel contratto, potevano considerare esaurito il loro compito, e potevano terminare con ciò la sentenza in questione.

Al contrario, le Sezioni unite non hanno fatto questa scelta, e hanno viceversa pensato di tratteggiare il procedimento con il quale il debitore, scaduti i termini per l’opposizione ex art. 645 c.p.c., possa egualmente sollevare l’eccezione non preclusa.

E qui le Sezioni unite hanno non solo aggiunto nella sentenza una parte a mio parere non necessaria, ma hanno altresì contraddetto le premesse che si erano date al punto 5 della stessa sentenza (e ribadite nello stesso punto 8.3.), ove si avvertiva che la tecnica di coordinamento del diritto nazionale con quello comunitario deve darsi con gli strumenti dell’interpretazione conforme oppure della disapplicazione.

In realtà, in questa parte, le Sezioni unite non sembrano aver posto in essere ne’ interpretazioni conformi, poiché trattasi di regole processuali del tutto avulse dal dettato di CGUE 17 maggio 2022, ne’ disapplicazione di disposizioni interne, poiché il procedimento è stato interamente creato dalla stessa sentenza che stiamo qui commentando, al di là e in assenza di ogni norma di riferimento, e quindi con un procedimento che non credo si possa considerare di disapplicazione.

Precisamente:

a) si dice che lo strumento migliore per consentire al debitore di far valere l’abusività delle clausole scaduti i termini per l’opposizione non è quello dell’opposizione all’esecuzione (ovvero non è lo strumento indicato dalla stessa decisione della CGUE[13]), bensì è quello dell’opposizione tardiva di cui all’art. 650 c.p.c.[14].

b) Una volta precisato ciò, si è aggiunto che la condizione legittimante l’opposizione tardiva ex 650 c.p.c., ovvero il “caso fortuito o forza maggiore”, può essere rinvenuta proprio nell’omessa motivazione circa il dovere del giudice di controllare l’(in)esistenza di clausole abusive nel contratto; dal che, se il DI non motiva sul punto, ciò costituisce per il debitore ragione non imputabile della mancata opposizione tempetiva, e quindi causa di legittimazione all’opposizione tardiva[15].

E’ evidente, tuttavia, che questo significato di “causa non imputabile” può valere solo per il consumatore che non abbia opposto un DI nei termini, e non può essere assunto a criterio ermeneutico generale, poiché se questa esegesi del caso fortuito o della forza maggiore dovesse veramente darsi sempre e per tutti, ovvero se davvero un vizio di motivazione potesse costituire “caso fortuito o forza maggiore”, il nostro sistema delle impugnazioni evidentemente salterebbe completamente, e con esso ogni possibile certezza delle decisioni giurisdizionali.

c) Infine, le Sezioni unite hanno altresì aggiunto che il termine di 10 giorni dal primo atto di esecuzione quale termine ultimo per proporre opposizione tardiva ai sensi del 3° comma dell’art. 650 c.p.c. non è congruo, e si deve allora prevedere che il giudice dell’opposizione informi il debitore di questa tematica, e il termine del debitore per far valere l’abusività delle clausole debba essere quello di 40 giorni anziché di 10[16].

Si è inoltre precisato che prima della scadenza di detto termine il giudice non possa procedere alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito pignorato[17], e che nessun problema sussiste se il debitore invece di procedere con l’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. attiva una opposizione all’esecuzione ex art. 615, 1° comma c.p.c., semplicemente in questi casi “il giudice adito riqualificherà l’opposizione come opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. e rimetterà la decisione al giudice di questa, fissando un termine non inferiore a 40 giorni per la riassunzione[18].

d) Infine la pronuncia non ha mancato di indicare questioni del tutto proprie dei singoli giudici di merito.

E così la sentenza si è preoccupata di precisare che nell’ipotesi di opposizione tardiva o di opposizione all’esecuzione, la sospensione del titolo esecutivo può avvenire in due modi: “Se si tratta di clausola derogativa del foro del consumatore la sospensione sarà totale; se, invece si discute unicamente di una clausola determinativa di interessi moratori eccessivi, la sospensione ben può essere parziale[19].

3.Ora, la sentenza in questione si presta a più letture.

3.1. Ribadisco, in primo luogo, che a mio parere essa può essere divisa in tre parti:

a) una prima, ove, in ossequio alle regole fissate dalla CGUE 17 maggio 2022, si è statuito che il giudice del monitorio ha il dovere di accertare l’eventuale esistenza di abusività delle clausole contenute nel contratto portato alla sua attenzione e ha altresì il dovere di motivare circa l’adempimento di tale obbligo;

b) una seconda, dove si è assicurato che, in difetto, la mancata opposizione non darà giudicato al DI non opposto, e la questione potrà successivamente, e senza preclusioni alcuna, essere sollevata anche in sede di opposizione tardiva o dinanzi al giudice dell’esecuzione, il tutto perfettamente conforme al nostro diritto interno, in quanto ragioni di difesa, contraddittorio e giusto processo, inducono ad una lettura del sistema in tal senso, anche considerato e ribadito che “le categorie e gli istituti di diritto processuale interno potranno mantenere intatto il proprio fisiologico spazio applicativo là dove (solo) sia possibile l’effettività del diritto eurounitario per come interpretato dalla CGUE nel suo ruolo di fonte del diritto[20];

c) Infine una terza, ove si è creato un procedimento post opposizione ex 645 c.p.c. ad hoc, con una nuova lettura delle condizioni di cui all’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c., una nuova individuazione dei termini per esercitarla, dei nuovi meccanismi procedurali con i quali fissare il dies a quo della sua proposizione, e con regole prefissate in ordine alla concessione o meno della sospensione dell’esecuzione.

3.2. Ora, se nessuna osservazione può e deve esser fatta con riferimento alla prima parte della sentenza, qualcosa a mio parere deve invece aggiungersi sulle altre due.

Circa la seconda parte, se è vero che da un lato il risultato era obbligato, poiché le Sezioni unite non potevano che adeguarsi al dettato della CGUE, da altro lato lo sforzo di sostenere che i principi sono comunque conformi al nostro ordinamento, a mio parere non sembra apprezzabile.

E’ evidente, infatti, che le questioni attinenti alla motivazione non possono costituire, in generale, ne’ impedimento al giudicato, ne’ impedimento all’esercizio del diritto alla difesa.

Se così fosse, noi saremmo allora obbligati a riscrivere di nuovo gli artt. 132, 360 n. 5 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. e a provvedere immediatamente all’abrogazione dell’appena nato art. 350 bis c.p.c., nonché di tutte le norme analoghe ad essa.

E’ evidente che le motivazioni addotte per sostenere la compatibilità del nostro ordinamento al dettato di CGUE sono ragioni dovute all’ossequio che a tale decisione i nostri giudici hanno portato, perché in verità, e tutto al contrario, il nostro ordinamento interno non è affatto conforme al dictum della CGUE, e infatti fino a quella pronuncia la preclusione da giudicato per la mancata opposizione a DI valeva sempre, per tutti, anche per i consumatori.

Ne’ sembra sufficiente asserire che tutto questo è giustificato dalla “strutturale posizione di debolezza” del consumatore[21], poiché all’orizzonte potrebbero emergere altre debolezze, che il nostro ordinamento interno, anche solo per rispetto all’art. 3 Cost., non potrebbe trattare diversamente.

Se non v’è preclusione da giudicato per il consumatore, perché allora dovrebbe esservi per altri soggetti deboli?

Se l’assenza della preclusione da giudicato deve darsi con riferimento all’abusività delle clausole in contrasto con i diritti dei consumatori, perché non darla anche con riferimento a tutte le clausole abusive, o vessatorie? Perché non darla a fronte di tutte le nullità contrattuali, o a fronte di tutti i provvedimenti giurisdizionali emessi senza le condizioni stabilite dalla legge? Perché non darla anche a favore dei lavoratori, e non solo dei consumatori, perché non darla a favore dei conduttori sotto sfratto, ai disoccupati, ai disabili, a chi abbia un reddito minimo, al coniuge debole nelle separazioni e divorzi, ecc……..?

Va da sé, così, che la preclusione da giudicato, costituendo l’asse primo portante di tutto il sistema processuale, non è qualcosa che si può dare a qualcuno e non dare a qualcun altro, è al contrario una regola che deve essere rispettata indistintamente, eguale per tutti, sempre.

3.3. Questa osservazione ne chiama altre due:

a) una prima, forse, è che le Sezioni unite, come anche da parte di taluna dottrina era stato sostenuto[22], potevano far più forza sui c.d. controlimiti interni, come nella vicenda Taricco, e sottolineare che il valore della definitività delle decisioni giudiziarie nel nostro sistema non è qualcosa che si possa dare o non dare a seconda dei casi, ma è un valore imprescindibile ai sensi dell’art. 3 Cost., poiché il processo ha il dovere di trattare tutti allo stesso modo, senza distinzioni, e perché alla particolarità di un caso da trattare diversamente potrebbe seguire l’esigenza di un altro caso analogo da trattare allo stesso modo, e così, caso dopo caso, arrivare al dissolvimento totale di un valore cardine del nostro ordinamento quale quello della certezza del diritto in base alla legge scritta.

b) Però, è comprensibile, le Sezioni unite non si sono sentite di intavolare un braccio di ferro con la CGUE, e quindi è condivisibile che la soluzione scelta sia stata quella di immaginare conforme al nostro sistema processuale qualcosa che, in verità, conforme non è (o non è interamente).

Così facendo, però, e passo alla seconda osservazione, questa sentenza mi pare, allora, un vero e proprio punto di svolta, mi sembra davvero una sentenza che segna la fine di un sistema e ne inizia un altro.

Ho già sostenuto che la nostra tutela dei diritti è in cammino verso la common law e l’abbandono della civil law[23]; ebbene questa sentenza credo possa considerarsi il segno del passaggio dall’uno all’altro sistema.

E’ la decisione del caso concreto, e solo del caso concreto; è una decisione che motiva prescindendo da una visione sistematica dell’ordinamento, perché le argomentazioni addotte non potrebbero mai essere utilizzate quali principi generali da applicare a casi diversi rispetto a quello oggetto della decisione; è una sentenza che non si limita ad interpretare le norme, bensì le crea, ponendosi inevitabilmente in questo modo quale fonte di diritto, e quindi superando i limiti tradizionali della civil law.

Questa sentenza, mi sia consentito, conferma quanto vado sostenendo da anni, ovvero che non ha più senso insegnare procedura civile nelle università, poiché essa dimostra che le regole processuali, di nuovo conformemente alla common law e in contraddizione con la civil law, non possono determinarsi a priori, ma vanno regolamentate caso per caso, ed anzi rimesse alla determinazione del giudice, piuttosto che a quelle del legislatore.

3.4. Quanto alla terza parte della sentenza, da pagg. 28 e ss., ove le Sezioni unite hanno dato le regole del nuovo procedimento ex art. 650 c.p.c., solo una ultima osservazione resta da fare.

Io penso che ne’ l’ubbidienza alla CGUE, ne’ la funzione di nomofilachia, possano giustificare la creazione da parte della Corte di Cassazione di un vero e proprio nuovo procedimento giurisdizionale, peraltro nell’ottica secondo la quale, poi, tutti i giudici vi si dovrebbero conformare.

Se veramente era necessaria una nuova procedura per adeguarsi alla CGUE, questa nuova procedura non poteva che essere fissata dalla legge, e quindi dal Parlamento, non rimessa alla creatività del giudice.

Peraltro, la prova che si sia andati oltre la tradizionale funzione giurisdizionale è rappresentata, a mio avviso, dalla circostanza che la sentenza in commento non sembra massimabile se non con il richiamo per intero del dispositivo.

Ma il dispositivo (a me sembra di trovarmi dinanzi a ciò per la prima volta), e la parte anteriore di esso, non contengono uno o più principi di diritto, bensì regole comportamentali, cui sarebbero tenuti i giudici del merito.

La nomofilachia non può spingersi fino al punto di consentire alla Cassazione di esprimersi attraverso la fissazione di regole comportamentali che non emergono dalla legge.

Se questo è possibile, di nuovo, il nostro sistema di civil law è finito, e l’uniformità alle norme eurounitarie è così anche, tutto assieme, l’ingresso dell’Italia alle regole della common law.

[1] Gli scritti in argomento sono moltissimi e non possono essere richiamati tutti. Tra questi, senza alcuna pretesa di completezza, ricordo SOLDI – CAPPONI, Consumatore e decreto ingiuntivo: le soluzioni ermeneutiche percorribili per l’integrazione tra diritto eurounitario e diritto interno, in www.judicium.it; FIENGO, Il decreto ingiuntivo non opposto privo di motivazione emesso nei confronti del consumatore: alla ricerca del rimedio effettivo, in www.questionegiustizia.it; DE STEFANO, Il decreto ingiuntivo contro il consumatore dopo le sentenze della Corte di Giustizia dell’UE, www.giustiziainsieme.it; ROSSI, Decreto ingiuntivo non opposto e tutela effettiva del consumatore, in www.judicium.it; D’ALESSANDRO, Il decreto ingiuntivo non opposto emesso nei confronti del consumatore, in www.judicium.it; RASIA, Giudicato, tutela del consumatore, ruolo del giudice in sede monitoria ed esecutiva, Riv. trim. dir. proc. civ., 2023.

[2] I passi sono riportati dalla stessa sentenza a commento, pag. 13.

[3] V. infatti Corte cost. 22 dicembre 2022 n. 263.

[4] Così la sentenza, pag. 14.

[5] Così la sentenza, pag. 15.

[6] Questo il dispositivo: “La Corte enuncia i seguenti principi di diritto:

Fase monitoria

Il giudice del monitorio:

a) deve svolgere, d’ufficio, il controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto stipulato tra professionista e consumatore in relazione all’oggetto della controversia;

b) a tal fine procede in base agli elementi di fatto e di diritto in suo possesso, integrabili, ai sensi dell’art. 640 c.p.c., con il potere istruttorio d’ufficio, da esercitarsi in armonia con la struttura e funzione del procedimento d’ingiunzione:

b.1.) potrà, quindi, chiedere al ricorrente di produrre il contratto e di fornire gli eventuali chiarimenti necessari anche in ordine alla qualifica di consumatore del debitore;

b.2) ove l’accertamento si presenti complesso, non potendo egli far ricorso ad un’istruttoria eccedente la funzione e la finalità del procedimento (ad es. disporre c.t.u.), dovrà rigettare l’istanza d’ingiunzione;

c) all’esito del controllo:

c.1) se rileva l’abusività della clausola, ne trarrà le conseguenze in ordine al rigetto o all’accoglimento parziale del ricorso;

c.2) se, invece, il controllo sull’abusività delle clausole incidenti sul credito azionato in via monitoria desse esito negativo, pronuncerà decreto motivato, ai sensi dell’art. 641 c.p.c., anche in relazione alla anzidetta effettuata delibazione;

c.3) il decreto ingiuntivo conterrà l’avvertimento indicato dall’art. 641 c.p.c., nonché l’espresso avvertimento che in mancanza di opposizione il debitore-consumatore non potrà più far valere l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto e il decreto non opposto diventerà irrevocabile.

Fase esecutiva

Il giudice dell’esecuzione:

a) in assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo dell’abusività delle clausole, ha il dovere – da esercitarsi sino al momento della vendita o dell’assegnazione del bene o del credito – di controllare la presenza di eventuali clausole abusive che abbiano effetti sull’esistenza e/o sull’entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo;

b) ove tale controllo non sia possibile in base agli elementi di diritto e fatto già in atti, dovrà provvedere, nelle forme proprie del processo esecutivo, ad una sommaria istruttoria funzionale a tal fine;

c) dell’esito di tale controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole – sia positivo, che negativo – informerà le parti e avviserà il debitore esecutato che entro 40 giorni può proporre opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 650 c.p.c. per fare accertare (solo ed esclusivamente) l’eventuale abusività delle clausole, con effetti sull’emesso decreto ingiuntivo;

d) fino alle determinazioni del giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 649 c.p.c., non procederà alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito;

e) se il debitore ha proposto opposizione all’esecuzione ex 615, primo comma, c.p.c., al fine di far valere l’abusività delle clausole del contratto fonte del credito ingiunto, il giudice adito la riqualificherà in termini di opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. e rimetterà la decisione al giudice di questa (translatio iudicii);

f) se il debitore ha proposto un’opposizione esecutiva per far valere l’abusività di una clausola, il giudice darà termine di 40 giorni per proporre l’opposizione tardiva – se del caso rilevando l’abusività di altra clausola – e non procederà alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito sino alle determinazioni del giudice dell’opposizione tardiva sull’istanza ex 649 c.p.c. del debitore consumatore.

Fase di cognizione

Il giudice dell’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c.

a) una volta investito dell’opposizione (solo ed esclusivamente sul profilo di abusività delle clausole contrattuali), avrà il potere di sospendere, ex art. 649 c.p.c., l’esecutorietà del decreto ingiuntivo, in tutto o in parte, a seconda degli effetti che l’accertamento sull’abusività delle clausole potrebbe comportare sul titolo giudiziale;

b) procederà, quindi, secondo le forme di rito.

[7] Così la sentenza, pag. 18.

[8] Così la stessa sentenza, pag. 26.

[9] Così lo stesso dispositivo della sentenza, pag. 41.

[10] Così la sentenza, pag. 25.

[11] Pag. 19 della sentenza: “Sarebbe monca la provocatio ad opponendum……….Nel nostro caso è proprio l’impedimento al contraddittorio, differito, sulla pregiudiziale dell’abusività delle clausole, conseguente all’omissione del giudice, che frusta il diritto di azione e difesa del consumatore, vulnerandone in modo insostenibile la tutela giurisdizionale effettiva”. E poi pag. 31: “Quindi le indicate carenze formali del decreto monitorio vengono a configurare per il consumatore, privo della necessaria informazione per esercitare con piena consapevolezza i propri diritti”.

[12] Pag. 18 della sentenza: “E’ proprio la carente attivazione del giudice del monitorio – mancato rilievo officioso e omessa motivazione, imposti da norma imperativa, che comporta che la decisione adottata, sebbene non fatta oggetto di opposizione, è comunque insuscettibile di dar luogo alla formazione, stabile e intangibile, di un giudicato”.

[13] Ricordiamo ancora il passo, riportato dalla stessa sentenza, pag. 13: “l’esigenza di una tutela giurisdizionale effettiva impone che il giudice dell’esecuzione possa valutare, anche per la prima volta, l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto”.

[14] Pag. 28 della sentenza: “La risposta che queste Sezioni unite ritengono di dover previlegiare è quella che fa applicazione dell’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo dettata dall’art. 650 c.p.c. con gli adeguamenti che per essa si rendono necessari in ragione di una piena conformazione al diritto unionale di cui alla direttiva 93/13/CEE”.

[15] Pag. 31 della sentenza: “In primo luogo, attraverso un’interpretazione conforme del primo comma dell’art. 650 c.p.c., è dato ritenere che l’assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in punto di valutazione della vessatorietà delle clausole e il mancato avvertimento circa la possibilità di far valere detta abusività solo entro un certo termine configurino un’ipotesi riconducibile alla previsione normativa del “caso fortuito o forza maggiore”.

[16] Pag. 29 della sentenza: “All’esito il G.E., se rileva il possibile carattere abusivo di una clausola contrattuale, ma anche se ritenga che ciò non sussista, ne informa le parti e avvisa il debitore consumatore che entro 40 giorni da tale informazione può proporre opposizione a decreto ingiuntivo e così far valere il carattere abusivo delle clausole contrattuali incidenti sul riconoscimento del credito oggetto di ingiunzione”. E poi pag. 30 della sentenza: “Il giudice darà al consumatore termine di 40 giorni per proporre l’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. e nel frattempo il .G.E. si asterrà dal disporre la vendita o l’assegnazione del bene o del credito”.

[17] Pag. 29 della sentenza: “Prima della maturazione del predetto termine, il .G.E. si asterrà dal procedere alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito”.

[18] Pag. 30 della sentenza.

[19] Pag. 30 della sentenza.

[20] Ancora la sentenza, pag. 14.

[21] Così la stessa sentenza, pag. 31.

[22] Mi riferisco soprattutto a DE STEFANO, Il decreto ingiuntivo contro il consumatore dopo le sentenze della Corte di Giustizia dell’UE, cit., per il quale: “La reazione al dictum di Lussemburgo sarebbe allora giustificata, come nel notissimo precedente Taricco, con l’idonea prospettazione della non tollerabilità, per l’ordinamento nazionale, delle conseguenze di un’applicazione della normativa eurounitaria nella rigorosa, quasi intransigente, sua declinazione come specificamente interpretata dal Kirchberg”.

De Stefano tuttavia avvertiva: “Non si può nascondere che si tratta di una scelta ardua”.

[23] SCARSELLI, La nostra giustizia, in marcia verso la common law, in www.judicium.it.; e ora anche in ID., Mala tempora currunt, Pisa, 2023, 229 e ss.