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L’appello civile dopo la riforma c.d. Cartabia
Di Giuliano Scarselli -
Sommario: 1. La principale novità della riforma dell’appello civile: il nuovo art. 350 bis c.p.c. e la riscrittura dell’art. 348 bis c.p.c. 2. I poteri del Presidente della Corte di Appello di cui al nuovo art. 349 bis c.p.c. 3. L’esplicita tendenza della riforma a preferire la definizione del giudizio secondo il rito semplificato dell’art. 350 bis c.p.c. piuttosto che quello ordinario degli artt. 350 e 352 c.p.c. 4. Raffronto tra le modalità di definizione dell’appello con le forme semplificate rispetto a quelle ordinarie. 5. Gli altri procedimenti di appello. Premessa. 6. L’appello contro le sentenze del giudice di pace. 7. L’appello del rito del lavoro. 8. L’appello del nuovo procedimento in materia di persone, minorenni e famiglia. 9. Una sintesi di queste complesse e divergenti discipline, che niente hanno a che vedere con la sollecita definizione dei giudizi.
1.Direi che la più importante novità sull’appello civile introdotto dalla riforma di cui al d. lgs. 10 ottobre 2022 n. 149 sia stata la riscrittura dell’art. 348 bis c.p.c. e la soppressione dell’art. 348 ter c.p.c., ovvero sia stata l’abrogazione della riforma del 2012 secondo la quale l’appello che non aveva ragionevole probabilità di essere accolto poteva essere dichiarato inammissibile con ordinanza[2].
La riforma del 2012, infatti, e come molti ricorderanno, suscitò da subito numerose perplessità, e soprattutto divise la Corte di Cassazione tra la seconda e la terza sezione[3], fino alla pronuncia delle Sezioni unite del 2 febbraio 2016 n. 1914[4]
La riforma c.d. Cartabia ha pensato, e direi in modo condivisibile, di abbandonare quei meccanismi, e soprattutto di superare l’idea che un processo di appello possa chiudersi con un provvedimento avente la forma dell’ordinanza; tuttavia non ha abbandonato l’idea di avere due diverse procedure d’appello: una, che potremmo definire ordinaria o tradizionale, e l’altra che potremmo invece etichettare semplificata o accelerata[5].
A seconda dei casi, di volta in volta, ogni appello può così seguire l’una o l’altra strada.
Ed infatti la riforma ha introdotto, in questo quadro, una nuova norma, l’art. 350 bis c.p.c., che viene rubricata “Decisione a seguito di discussione orale”, e poi ha riscritto l’art. 348 bis c.p.c., che oggi, al primo comma, recita: “Quando ravvisa che l’impugnazione è inammissibile o manifestamente infondata, il giudice dispone la discussione orale della causa secondo quanto è previsto dall’articolo 350 bis c.p.c.”.
L’idea è ben tracciata: se l’appello è inammissibile o manifestamente infondato, esso viene trattato e deciso nella forma semplificata del nuovo art. 350 bis c.p.c.,; mentre se l’appello è meritevole di analisi più approfondite, allora il giudizio si svolge nelle forme consuete, e la definizione di esso si darà con le regole della Trattazione di cui all’art. 350 c.p.c., e poi della Decisione ex art. 352 c.p.c. (così le rubriche) che da sempre disciplinano il procedimento in via ordinaria del giudizio di appello.
Dunque, due percorsi chiari e ben delineati: uno semplificato di cui al combinato disposto degli artt. 348 bis e 350 bis c.p.c.; l’altro ordinario di cui al combinato disposto degli artt. 350 e 352 c.p.c. [6]
2.Più sfumati sono invece i meccanismi con i quali una parte possa trovarsi a percorrere l’una o l’altra strada.
Al riguardo deve dirsi che la prima determinazione spetta al Presidente, che esercita questo potere secondo le regole di un’altra nuova disposizione, che è l’art. 349 bis c.p.c., la quale ha altresì creato una nuova figura (o l’ha riportata in vita): l’istruttore.
Esattamente, tutti i fascicoli vanno al Presidente della Corte di Appello; il Presidente, ai sensi dell’art. 349 bis c.p.c., opta per uno dei due percorsi; se si indirizza sul percorso ordinario, egli nomina l’istruttore, il quale poi procederà in ossequio alle disposizioni di cui agli artt. 350 e 352 c.p.c.; se al contrario il Presidente ritiene che l’impugnazione possa e/o debba definirsi secondo il rito semplificato, rimetterà allora immediatamente: “le parti davanti al collegio per la discussione orale”.
Quindi ancora: la forma ordinaria vede la presenza dell’istruttore, quella semplificata no, e semplicemente le parti si troveranno dinanzi al collegio per discutere la causa.
Ma sulla base di cosa il Presidente fa la scelta?
Qui la risposta non è scontata.
Lo spartiacque dovrebbe essere, di nuovo, l’art. 348 bis c.p.c., che vuole la forma semplificata per l’impugnazione inammissibile o manifestamente infondata.
Però questo inciso dell’art. 348 bis c.p.c non è riportato nell’art. 349 bis c.p.c., cosicché qualcuno potrebbe dubitare che la scelta del Presidente debba necessariamente basarsi su un simile presupposto; anche perché il Presidente, se davvero dovesse mandare le parti dinanzi al collegio solo nei casi di impugnazione manifestamente infondata e inammissibile, dovrebbe studiarsi nel dettaglio tutti i fascicoli della propria sessione, e dovrebbe in ogni caso attendere la costituzione dell’appello prima di provvedere, in quanto il 2° comma dell’art. 348 bis c.p.c. espressamente prevede che: “Se è proposta impugnazione incidentale, si provvede ai sensi del primo comma solo quando i presupposti ivi indicati ricorrono sia per l’impugnazione principale che per quella incidentale”.
Inoltre, se fosse veramente così, la scelta dell’art. 349 bis c.p.c. di far prendere questa decisione al Presidente con un provvedimento avente la forma del decreto, peraltro privo di motivazione in combinato disposto con l’art. 135 c.p.c., potrebbe apparire non corretta, poiché i questi casi la legge non avrebbe assegnato al Presidente la sola nomina del giudice, bensì lo avrebbe investito del potere di esprimere un giudizio sull’impugnazione stessa, ovvero sulla sua (o meno) inammissibilità o manifesta infondatezza.
La soluzione potrebbe allora essere altra, ovvero potrebbe essere quella che il Presidente nomina l’istruttore se ritiene l’impugnazione complessa o dipendente da una attività istruttoria, mentre rinvia alla discussione orale in tutti gli altri casi[7]. Spetterebbe invece all’istruttore ai sensi del successivo art. 350 c.p.c. valutare la manifesta infondatezza o inammissibilità dell’impugnazione; e questa soluzione parrebbe più rispettosa del dato formale dell’art. 348 bis c.p.c., che infatti prevede che “il giudice dispone la discussione orale”, ecc…., e non il Presidente, e più rispettosa del contraddittorio, visto che l’istruttore, a differenza del Presidente, assumerebbe questa decisione “sentite le parti” ex art. 350, 3° comma c.p.c.; ed infine più pratica, poiché questa soluzione libererebbe il Presidente dall’onere di doversi studiare i fascicoli.
Quid iuris?
Vedremo quali saranno gli orientamenti della giurisprudenza.
Fin d’ora però possiamo dire che il testo normativo poteva essere sul punto più chiaro[8].
3. Ma la questione più interessante è altra, ed è quella che i due riti, ordinario e semplificato, non stanno sullo stesso piano, poiché il legislatore ha creato una serie di norme che convergono tutte sull’idea che la scelta debba cadere prevalentemente sul rito semplificato anziché su quello ordinario, sì che quest’ultimo possa darsi in ipotesi del tutto rare, e comunque solo dopo il superamento di una serie di ostacoli.
Esattamente infatti:
a) la prima scelta spetta, come detto, al Presidente; è lui che, ai sensi dell’art. 349 bisp.c. può rimettere le parti davanti al collegio per la decisione semplificata dell’art. 350 bis c.p.c. oppure far sì che il procedimento, previa la nomina dell’istruttore, segua le forme ordinarie.
b) Ma la circostanza che il Presidente abbia nominato l’istruttore e scelto il percorso ordinario, non assicura affatto le parti sulla circostanza che l’appello sarà così definito, poiché, come sopra abbiamo già anticipato, la riforma ha aggiunto un 3° comma all’art. 350 c.p.c. che ora statuisce: “Quanto rileva (l’istruttore) che ricorre l’ipotesi di cui all’art. 348 bis il giudice, sentite le parti, dispone la discussione orale della causa ai sensi dell’art. 350 bis. Allo stesso modo può provvedere quando l’impugnazione appare manifestamente fondata, o comunque quando o ritenga opportuno in ragione della ridotta complessità o dell’urgenza della causa”.
Dunque, al Presidente è data solo la prima scelta, che non impedisce una successiva revisione della stessa all’istruttore, in quanto, appunto, il 3° comma dell’art. 350 c.p.c. sancisce che l’istruttore possa fare quello che il Presidente non abbia fatto.
Ed anzi l’istruttore ha un potere in più rispetto al Presidente, perché può disporre la decisione semplificata anche nelle ipotesi di manifesta fondatezza, di urgenza e di semplicità della controversia, esercitando così ampi poteri discrezionali.
c) Ma, ancora, l’istruttore potrebbe egualmente fissare l’udienza ex 352 c.p.c. e disporre che l’appello debba continuare a procedere nelle forme ordinarie.
Però, di nuovo, ciò non significa tassativamente che la decisione sarà allora assunta in quelle forme, poiché l’art. 352 c.p.c. recita che: “Esaurita l’attività prevista negli articoli 350 e 351, l’istruttore, quando non ritiene di procedere ai sensi dell’art. 350 bis c.p.c.,”, ecc…….
Quindi sembra che all’istruttore si dia una nuova, ultima possibilità (“Esaurita l’attività prevista negli articoli 350 e 351”), di evitare la decisione ordinaria e disporre in suo luogo quella semplificata dell’art. 350 bis c.p.c.
E così, par chiaro, l’impugnazione può esser decisa nelle forme ordinarie dell’art. 352 c.p.c. solo se supera tre ostacoli: la decisione del Presidente ex art. 349 bis c.p.c. e due decisioni dell’istruttore ex artt. 350 c.p.c. e 352 c.p.c.
d) Infine l’appello non ha garanzie di essere deciso nelle forme ordinarie nemmeno se supera questi tre ostacoli, poiché v’è ancora una quarta variabile che consente il rito semplificato, ed è quella data dall’udienza ex 351 c.p.c., che si ha quando una parte chieda l’inibitoria dell’esecutività della sentenza impugnata.
Precisamente, l’ultimo comma dell’art. 351 c.p.c. prevede che il giudice: “se ritiene la causa matura per la decisione, può provvedere ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c.”; dal che, anche l’udienza per l’inibitoria può essere una buona occasione per far definire il giudizio di appello in via semplificata.
4.Orbene, appare davvero fuori da ogni dubbio che il legislatore preferisca la decisione semplificata (art. 350 bis c.p.c.) a quella ordinaria (art. 352 c.p.c.); ed infatti a questa ultima ci si arriva solo se in senso contrario non dispongono ne’ il Presidente, ne’ l’istruttore, ne’ il giudice dell’inibitoria.
Il principio è chiaro: fuori da casi di particolare meritevolezza, le impugnazioni devono essere decise in forme semplificate, poiché, evidentemente, più idonee a definire in tempi brevi il giudizio.
Ora, però, la cosa curiosa è che se si va a vedere com’è che si chiude l’appello ai sensi dell’art. 350 bis c.p.c. e com’è che si chiude l’appello ai sensi dell’art. 352 c.p.c., si nota come la prima norma non disponga affatto una procedura più semplice e immediata, ma anzi assicuri alle parti addirittura in modo più articolato il diritto alla difesa e al contraddittorio[9].
Precisamente:
a) se il giudizio si chiude ai sensi dell’art. 350 bisp.c. il giudice “fatte precisare le conclusioni, fissa udienza davanti al collegio e assegna alle parti termini per note conclusionali antecedente alla data di udienza. All’udienza istruttore svolge la relazione orale della causa”.
Dunque, in questi casi, si ha, secondo le regole comuni, la precisazione delle conclusioni e la possibilità di depositare una memoria conclusionale; inoltre, seppur la norma non lo dica espressamente, par evidente che, dopo l’esposizione della causa da parte del relatore, le parti possano prendere la parola e partecipare alla discussione orale, visto che queste, sempre ai sensi dell’art. 350 bis c.p.c., trovandosi fisicamente dinanzi ad un collegio, non possono non avere la possibilità di rivolgersi ai loro componenti prima della pronuncia della sentenza.
Il secondo comma dell’art. 350 bis c.p.c. asserisce altresì che “la sentenza è motivata in forma sintetica anche mediante esclusivo riferimento al punto di fatto o alla questione di diritto ritenuti risolutivi o mediate rinvio a precedenti conformi”; ma questo modo di motivare le sentenze, direi, non costituisce più un’eccezione, e tutte le sentenze possono infatti essere motivate in forma sintetica dopo la riforma dell’art. 132 c.p.c., punto 4, e soprattutto dopo che nel 2009 è stato riscritto l’art. 118 disp. att. c.p.c. per il quale, in generale “La motivazione della sentenza di cui all’art. 132, secondo comma n. 4 consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi”.
b) Viceversa, se la decisione è presa ai sensi dell’art. 352 c.p.c. le parti hanno termine di 60 giorni prima dell’udienza per concludere, 30 giorni per depositare comparsa conclusionale, e 15 giorni per il deposito delle note di replica. Dopo di che la causa è trattenuta in decisione.
In questo caso, nulla osta a che l’udienza possa essere cartolare ai sensi dell’art. 127 ter c.p.c., mentre ciò non sembra possibile nell’ipotesi dell’art. 350 bis c.p.c., poiché trattasi di una udienza collegiale nella quale “l’istruttore svolge la relazione orale della causa”; ed inoltre, considerato quanto sopra detto con riferimento all’art. 118 disp. att. c.p.c., il rischio di avere una sentenza motivata in modo sintetico, e/o con semplici richiami a precedenti conformi, è una eventualità che non è certo esclusa dalla procedura di cui all’art. 352 c.p.c.
c) Dicevo, in estrema sintesi, che non si scorgono differenze in punto di ragionevole durata del processo tra gli adempimenti di cui all’art. 350 bisp.c. e quelli dell’art. 352 c.p.c., mentre sotto il profilo delle garanzie, per assurdo, la forma ritenuta semplificata in realtà è quella più garantista.
Ed ancora, per meglio precisare:
ca) nel caso dell’art. 350 bisp.c. si ha un’udienza in presenza dinanzi al collegio, mentre nelle ipotesi di cui all’art. 352 c.p.c. le parti non hanno mai contatto diretto con il collegio e l’udienza ben può essere resa cartolare ai sensi dell’art. 127 ter c.p.c.;
cb) nel caso dell’art. 350 bisp.c. le parti possono egualmente concludere e depositare memoria conclusionale, non hanno le repliche ma hanno una discussione orale dinanzi al collegio che la sostituisce;
cc) infine nel caso dell’art. 350 bisp.c. la sentenza ha motivazione sintetica, ma la motivazione sintetica costituisce da anni una regola generale, dal che, anche sotto questo profilo, è difficile scorgere differenze rilevanti tra l’una e l’altra forma di definizione dell’appello.
5.Ma i problemi non terminano qui poiché, in verità, oltre all’appello di cui agli artt. 339 e ss. c.p.c., ne abbiamo oggi (almeno) altri tre che a quello vanno ad addizionarsi, e questi ulteriori procedimenti di appello, che certo non semplificano il quadro generale dell’impugnazione, sono: a) l’appello contro le sentenze del giudice di pace; b) l’appello nel rito del lavoro ex artt. 433 e ss. c.p.c.; c) infine l’appello del nuovo giudizio uniforme in materia di persone, minorenni e famiglia di cui agli artt. 473 bis 30 e ss. c.p.c.
Un cenno, separatamente, ad ognuno di essi.
6.La riforma Cartabia, intanto, non ha una disciplina specifica dell’appello avverso le sentenze del giudice di pace; tuttavia le differenze rispetto agli appelli avverso le sentenze pronunciate dai tribunali si scova facilmente con la stessa lettura delle disposizione di cui agli artt. 339 e ss. c.p.c.
Esattamente, nelle norme artt. 349 bis, 350, 350 bis, 2° comma, 351, 1° comma, 352, 2° comma c.p.c. è inserita la frase: “davanti alla corte di appello”; cosicché, evidentemente, quelle disposizioni non si applicano quando l’appello di svolge in tribunale ai sensi dell’art. 341 c.p.c., e quindi non si applicano per tutti gli appelli avverso le sentenze del giudice di pace.
A questi ultimi appelli si applicheranno invece le disposizioni che restano, ovvero l’art. 348 bis, 350 bis 1° comma, e 352, 1° comma c.p.c.
Il che significa che anche il tribunale in appello può valutare, ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., quali siano le impugnazioni manifestamente infondate o inammissibile dalle altre che abbiano invece una loro possibilità di successo.
Anche in tribunale si mantiene così il doppio binario:
a) i primi appelli saranno decisi nella forma semplificata di cui all’art. 350 bis 1° comma c.p.c.
Poiché, però, ai tribunali può applicarsi solo il 1° e il 3° comma di quella disposizione ma non il 2°, la decisione non si avrà davanti ad un collegio bensì dinanzi ad un giudice singolo e nelle forme dell’art. 281 sexies c.p.c., ovvero senza note scritte e solo con la discussione orale; la sentenza, anche in questo caso, sarà succintamente motivata.
b) Gli altri appelli, ovvero quelli per i quali in limine litis non si sia riscontrata una inammissibilità o manifesta infondatezza, saranno invece decisi ai sensi dell’art. 352 c.p.c. ovvero, di nuovo, con la possibilità per le parti di avere un termine di 60 giorni prima dell’udienza per concludere, 30 giorni per depositare comparsa conclusionale, e 15 giorni per il deposito delle note di replica.
Anche in questo caso la decisione non sarà presa da un collegio, ma da un giudice singolo, visto che l’art. 352, 2° comma c.p.c. recita che: “Davanti alla Corte di Appello, l’istruttore riserva la decisione al collegio”; così la norma lasciando intendere che la riserva di collegialità valga solo, appunto, per la Corte di Appello.
Sinceramente, mi sia consentito rilevare che non capisco perché il rito del lavoro debba continuare a differenziarsi anche dopo il primo grado; e così come nessuno avverte la necessità che in Cassazione la sezione lavoro proceda con un rito diverso rispetto a quello delle altre sezioni civili, allo stesso modo io non comprendo perché anche l’appello non possa esser disciplinato con un rito unico per tutte le controversie civili e del lavoro, dopo la differenziazione data in primo grado.
La riforma Cartabia non ha pensato a questa semplificazione, e l’appello lavoro trova ancor oggi, così, la sua diversa disciplina negli artt. 433 e ss. c.p.c. rispetto a quelli degli artt. 348 bis e ss c.p.c.
Qui deve darsi un’esegesi diversa da quella sopra praticata per gli appelli avverso le sentenze del giudice di pace: là, infatti, tutte le disposizioni si applicano salvo quelle escluse dall’inciso “davanti alla corte di appello”; qui nessuna di quelle norme può applicarsi, poiché il rito lavoro ha una sua autonoma e distinta disciplina, e ciò salvo che lo stesso rito richiami espressamente l’applicazione di qualche altra disposizione.
A questo riguardo la riforma Cartabia ha inserito infatti un nuovo articolo nel codice, ovvero l’art. 436 bis c.p.c., il quale si premura di disporre che: “Nei casi previsti dagli articoli 348, 348 bis e 350, 3° comma, all’udienza di discussione il collegio, sentiti i difensori delle parti, pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo e della motivazione redatta in forma sintetica, anche mediante esclusivo riferimento al punto di fatto o alla questione di diritto ritenuti risolutivi o mediante rinvio a precedenti conformi”.
Dunque, all’appello rito del lavoro possono applicarsi gli artt. 348, 348 bis e 350, 3° comma c.p.c.; e quindi il giudizio dovrebbe svolgersi secondo le seguenti scansioni:
a) l’appello si propone con ricorso; il Presidente, entro 5 giorni dal deposito del ricorso, nomina il relatore e fissa l’udienza di discussione dinanzi al collegio non oltre 60 giorni (art. 435 c.p.c.);
b) il ricorrente deve notificare nei 10 giorni successivi il ricorso e il decreto che fissa l’udienza (art. 435 c.p.c.);
c) il convenuto si deve costituire almeno 10 giorni prima dell’udienza e nello stesso termine può proporre impugnazione incidentale, che deve essere notificata a pena di decadenza (art. 436 c.p.c.);;
d) all’udienza, con la riforma Cartabia, di nuovo, si ha un bivio:
da) se il collegio ritiene che l’impugnazione sia manifestamente infondata oppure inammissibile (art. 438 bisp.c. richiamato dal nuovo art. 436 bis c.p.c.), oppure se il collegio ritiene che l’impugnazione sia manifestamente fondata oppure sia opportuno in ragione della ridotta complessità o dell’urgenza della causa provvedere in modo semplificato (art. 350, 3° comma c.p.c. sempre richiamato dal nuovo art. 436 bis c.p.c.), il collegio: “pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo e della motivazione redatta in forma sintetica”.
db) Altrimenti, se il collegio ritiene che l’appello abbia invece possibilità di accoglimento, ma non manifesta, questi applica l’art 437 c.p.c., ed in questi casi: “Il collegio, sentiti i difensori, pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo nella stessa udienza”.
Sinceramente, non comprendo le differenze.
Non vedo che differenza vi sia tra: “pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo e della motivazione redatta in forma sintetica” (soluzione A, art. 436 bis c.p.c.), o: “Il collegio, sentiti i difensori, pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo nella stessa udienza” (soluzione B, art. 437 c.p.c.).
L’unica differenza è che ai sensi dell’art. 436 bis c.p.c. si dà in udienza “lettura del dispositivo e della motivazione redatta in forma sintetica”; mentre ai sensi dell’art. 437 c.p.c. si dà solo: “lettura del dispositivo nella stessa udienza”; e dunque, mentre in forza dell’art. 436 bis c.p.c. il collegio dovrebbe provvedere non solo a leggere in udienza il dispositivo ma anche a leggere la “motivazione redatta in forma sintetica”, nell’ipotesi dell’art. 437 c.p.c. basta leggere il dispositivo.
Credo, però, che i più troveranno difficile, per non dire bizzarro, che in udienza si possa leggere la motivazione di una sentenza; e allora si avrà molto probabilmente una prassi che sceglierà sempre di definire il giudizio ai sensi dell’art. 437 c.p.c., ovvero una prassi che sconfesserà questa riforma, atteso che il nuovo art 436 bis c.p.c. ha introdotto una novità di difficilissima, e, se si vuole, incomprensibile, gestione pratica.
In ogni caso, poiché l’unica differenza che contrappone l’art. 436 bis all’art. 437 c.p.c. è questa, visto che sempre una sentenza può essere motivata in forma sintetica ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c. (cosicché non ha rilevanza l’ulteriore inciso “motivazione redatta in forma sintetica”, che si trova nell’art. 436 bis ma non nell’art. 437 c.p.c.), mi sembra si sia creato un doppio binario che in verità conduce a chiudere il processo (sostanzialmente) sempre nello stesso modo, sia si applichi l’art. 436 bis c.p.c. sia si applichi l’art. 437.
8.Resta, infine, l’appello del nuovo processo in materia di persone, minorenni e famiglia di cui agli artt. 473 bis 30 e ss. c.p.c.[11]
Anche qui, se si vuole, non comprendo perché il processo di famiglia, differenziato in primo grado, debba poi mantenere differenze anche nel grado di appello, quando una logica di semplificazione avrebbe dovuto invece indurre il legislatore a creare un solo processo di appello per tutti i processi civili.
Ma, di nuovo, tant’è.
Possiamo addirittura dire che questo ulteriore procedimento di appello, al pari di quello del lavoro, è disciplinato esclusivamente da proprie disposizioni, cosicché ad esso non si applicheranno quelle comuni di cui agli artt. 348 bis c.p.c.
Sempre come nell’appello rito lavoro, anche l’appello rito famiglia viene introdotto con un atto che ha la forma del ricorso (art. 473 bis 30 c.p.c.) e il Presidente della Corte di Appello, e di nuovo sulla falsariga del giudice del lavoro, entro 5 giorni fissa l’udienza con decreto e nomina il relatore.
La differenza sta nei termini: nel processo del lavoro non si può andare oltre i 60 giorni, mentre qui non v’è l’indicazione di un termine oltre il quale non possa disporsi l’udienza (art. 473 bis 31 c.p.c.); nell’appello rito famiglia, tra la notificazione del ricorso e del decreto e l’udienza di discussione deve esserci un termine non minore di 90 giorni (art. 473 bis 31 c.p.c.), mentre nel rito del lavoro il termine non deve essere “minore di 25 giorni” (art. 435, 3° comma c.p.c.); l’appellato, sempre rito famiglia, deve costituirsi almeno 30 giorni prima dell’udienza, e in quel rito, sono consentite repliche, una memoria per l’appellante entro 20 giorni dall’udienza, infine una nuova replica all’appellato entro 10 giorni dall’udienza (art. 473 bis 32 c.p.c.); il rito del lavoro, al contrario, non conosce memorie di replica e il termine della costituzione dell’appellato è di 10 giorni avanti l’udienza (art. 436 c.p.c.).
All’udienza, infine, nel processo di appello della famiglia non esiste un doppio binario, come abbiamo riscontrato in tutti i precedenti casi: semplicemente il collegio, all’esito della discussione, “trattiene la causa in decisione” (art. 473 bis 34 c.p.c.; non sono qui infatti richiamate le disposizioni di cui agli artt. 348, 348 bis e 350, 3° comma c.p.c. come abbiamo visto per il rito lavoro con l’art. 436 bis c.p.c.).
9.Sono giustificate tutte queste distinzioni?
Non so, io non credo, ma lascio comunque ad ognuno ogni più ampia riflessione al riguardo.
Mi limito solo a proporre una sintesi degli aspetti che abbiamo analizzato.
a) Ragioni di semplificazione avrebbero dovuto indurre il legislatore della riforma a considerare necessario offrite un unico procedimento di appello a fronte della possibile diversità dei riti in primo grado; ovvero la riforma poteva essere l’occasione per affermare, per la prima volta, che il rito differenziato in primo grado non legittima il mantenimento di quella differenziazione anche nei gradi di impugnazione.
La riforma non ha tuttavia fatto questo, e noi oggi così ci troviamo quattro diversi procedimenti di appello: – avverso le sentenze del giudice di pace, – avverso le sentenze dei tribunali, – avverso le sentenze dei giudici del lavoro, – avverso le sentenze dei giudici della famiglia.
b) Ciò posto, tre di questi quattro riti presentano inoltre quello che abbiamo definito doppio binario, ovvero hanno la possibilità di svilupparsi in due diversi modi, ordinario e semplificato.
Peraltro, la formula semplificata è stata ulteriormente divisa in due, poiché alle modalità di cui all’art. 281 sexies c.p.c. sono state aggiunte quelle dell’art. 350 bis c.p.c.; queste norme offrono diversi modi di procedere alla definizione semplificata (l’art. 281 sexies c.p.c. non presenta, ad esempio, le note scritte rispetto all’art. 350 bis c.p.c.), ed entrambe però possono essere utilizzate quando il procedimento si diriga in tal senso; ed infatti se la definizione semplificata è del tribunale in grado di appello, oppure è disposta dal giudice dell’inibitoria, e ciò anche in Corte di Appello, il procedimento è allora quello disciplinato secondo le regole dell’art. 281 sexies c.p.c.; negli altri casi, invece, il rito semplificato trova la sua disciplina nell’art. 350 bis c.p.c., il quale poi trova una ulteriore variante nell’appello del processo del lavoro con la diversa definizione di cui all’art. 436 bis c.p.c.
c) L’esistenza di questi doppi binari è poi difficile da spiegare, poiché in taluni casi non v’è proprio alcuna sostanziale differenza tra il procedere in un modo oppure nell’altro; e conferma di ciò si ha nella comparazione delle disposizioni di cui agli artt. 436 bis e 437 c.p.c. secondo quanto sopra abbiamo detto.
d) Quando. al contrario, questa contrapposizione vi sia, e si pensi alla differenza tra le forme ordinarie di definizione del giudizio ex 352 c.p.c. e quelle semplificate ex art. 350 bis c.p.c., è possibile però ulteriormente riscontrare che la soluzione considerata semplificata è al contrario quella più complessa e/o più garantista nell’articolazione del diritto di difesa.
e) In ogni caso tutte queste numerose differenziazioni del procedere non hanno niente a che vedere con l’obiettivo di ridurre i tempi del processo, poiché nessuna soluzione, comparata alle altre, può dirsi più sollecita nella definizione dell’impugnazione, ma solo presenta, rispetto alle altre, delle divergenze[12].
Si pensi, e a titolo di esempio, ai termini a difesa: nell’appello civile, tanto in Corte di Appello quanto in Tribunale, il convenuto si deve costituire 20 giorni prima dell’udienza[13]; nell’appello rito lavoro il convenuto si costituisce 10 giorni prima dell’udienza; nell’appello rito famiglia il convenuto si costituisce 30 giorni prima dell’udienza. Si pensi alle memorie di replica, che in appello non sono normalmente consentite, salvo che nell’appello rito famiglia ai sensi dell’art. 473 bis 32, 2° comma c.p.c. Si pensi alle udienze, ove l’unica che può darsi nella forma cartolare ex art. 127 ter c.p.c. è proprio quella dell’art. 352 c.p.c., ovvero quella che dovrebbe considerarsi più solenne in quanto costitutiva della definizione del giudizio in forma ordinaria. O infine si pensi al giudice che provvede a decidere l’appello, normalmente collegiale, ma non necessariamente, o alla discussione orale, in qualche caso prevista, in altri no.
f) In estrema sintesi possiamo dire che con questa riforma si hanno una infinità di sfumature di definizione del giudizio di appello. Se ne possono contare almeno sei, di cui due con ulteriore variante quando l’appello è dinanzi al tribunale: 1) art. 281 sexiesp.c. (differentemente disciplinato in Corte di Appello rispetto al tribunale); 2) art. 350 bis c.p.c.; 3) art. 352 c.p.c. (differentemente disciplinato in Corte di Appello rispetto al tribunale); 4) art. 436 bis c.p.c.; 5). art. 437 c.p.c.; 6) art. 473 bis 34 c.p.c.
g) Chi poi sperasse nel c.d. correttivo per risolvere queste complicazioni troverebbe ulteriore delusione.
Il correttivo esordia infatti asserendo di inserirsi: “armonicamente nel solco della riforma già realizzata, della quale costituisce una prima messa a punto”; e alla quale, condividendola: “non apporta significative modifiche all’assetto realizzato con il decreto n. 149 del 2022, ma si limita a rendere più fluidi alcuni snodi processuali e chiarire punti controversi che avrebbero potuto dare luogo a rallentamenti dell’iter processuale”.
Per quanto riguarda l’appello, le modifiche proposte sono infatti del tutto minime e formali.
Con riguardo al rito civile si interviene su aspetti di contorno degli artt. 350, 351 e 352 c.p.c., aspetti che non riguardano le problematiche accennate in questo scritto; con riferimento all’appello rito del lavoro, gli artt. 436 bis e 437 c.p.c. restano invariati, e solo si modifica l’art. 434 c.p.c. in punto di ricorso, per adeguarlo alla disciplina dell’art. 342 c.p.c.; infine, con riferimento all’appello rito famiglia, nessuna modifica è prevista, e il correttivo infatti passa dalla novellazione dell’art. 473 bis 24 c.p.c. a quella dell’art. dell’art. 473 bis 34 c.p.c., dove è inserito un nuovo comma che niente però ha a che vedere con i temi qui trattati.
[1] Sintesi delle relazioni tenute negli incontri del 30 settembre e 7 ottobre 2024, in un corso organizzato per gli avvocati dalla Camera civile di Arezzo.
[2] A. FERRARO, Riflessioni a margine della riforma sul processo civile di appello, in questa rivista, 15 marzo 2023; A. PAPPALARDO, L’appello, in AA.VV. Il processo civile dopo la riforma, Torino, 2023, 329 e ss.; S. TRABACE, Il giudizio di appello dopo la riforma Cartabia, Giust, proc. civ., 2023, 2.
[3] SCARSELLI, Brevi osservazioni sul ricorso per cassazione avverso l’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., Foro it., 2014, I, 1452.
[5] BOCCAGNA, Le nuove norme sulle impugnazioni in generale e sul giudizio d’appello, in Riv. dir. proc., 2023, 643 ss.
[6] RONCO, Riforma Cartabia: il nuovo processo civile – il giudizio di appello, Giur. it., 2023, II, 718.
[7] F. PETROLATI, La riforma del processo civile in appello, Giustiziainsieme, 18 gennaio 2023.
[8] V. anche, su tutti questi aspetti, MANDRIOLI – CARRATTA, Corso di diritto processuale civile, Torino, 2023, II, 264
[9] A. TEDOLDI, Impugnazioni generali e appello, in AA.VV., Il processo civile dopo la riforma Cartabia, Padova, 2023, 301.
[10] PAPPALARDO, L’appello, cit., 370; G. ALLIERI, Le nuove disposizioni in materia di processo del lavoro, Giustiziainsieme, 1 febbraio 2023.
[11] V. A. ARCERI, Appello e reclami dopo la riforma Cartabia, in Famiglia e diritto, 2023, 959; ed ora CECCHELLA, Il processo in materia di persone, minorenni e famiglie, Pisa, 2024, 123 e ss.
[12] V. anche G. FEDERICO, Il nuovo giudizio di appello, Questione giustizia, 1/2023, per il quale: “Non sembra che, come già rilevato, le modifiche della struttura del giudizio di appello e la reintroduzione della figura del consigliere istruttore garantiscano un rilevante miglioramento in termini di snellezza e celerità del giudizio di appello”.
[13] A. VILLA, Anche post riforma, l’appellato va invitato a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell’udienza indicata in citazione, in questa rivista, 31 maggio 2023.