L’art. 38 disp. att. c.c. e i procedimenti de responsabilitate

Di Claudia Onniboni -

Corte d’Appello di Milano, Sez. V Civile, decr. 15 luglio 2024, n. 1418 – Pres. Tanara – Est. Tanara – M.N. e L.T. (avv. Pintucci) –  T.A. e PA. (avv. Cumin e avv. Quadri) – M.S (Curatore speciale dei minori) – P.G. (dott.ssa Russo).

Conf. Trib. Minorenni Milano decr. 11 gennaio 2014, n. 82.

Procedimento ex artt. 330 e ss. c.c. – Affidamento dei minori – Riparto di competenza fra TO e TM – Applicabilità art. 38 disp. att. c.c. – Esclusione.

Nel caso di contemporanea pendenza fra il procedimento ex art. 337 bis c.c. instaurato dai genitori avanti al tribunale ordinario e il procedimento de responsabilitate instaurato dai nonni avanti al tribunale per i minorenni, va esclusa la vis attractiva del giudice ordinario non pendendo i due giudizi fra le stesse parti e non potendo i nonni intervenire nel procedimento avanti al tribunale ordinario. Va dichiarato il non luogo a provvedere essendo le istanze avanzate dai nonni rimaste assorbite dal provvedimento del tribunale ordinario che regolamenta l’esercizio della responsabilità genitoriale.

I fatti di causa rilevanti, lo svolgimento del processo e le ragioni della decisione.

Va subito premesso che la controversia in esame è stata trattata e decisa sulla base della previgente normativa processuale (ante Riforma Cartabia) sia per quanto la disciplina del riparto di competenze fra giudice minorile e giudice ordinario sia per i riti allora applicabili.

A conclusione del procedimento promosso ai sensi degli artt. 330, 333, 336 c.c., 337 ter e 38 disp. att.  c.c. dalla nonna paterna, con successivo intervento nel giudizio del nonno sociale, per ottenere l’affidamento a sé e il collocamento presso la sua abitazione dei due nipoti minori d’età[1], il Tribunale per i Minorenni di Milano[2], preso atto della preventiva pendenza, dinanzi al Tribunale ordinario, di un giudizio relativo all’esercizio della responsabilità genitoriale instaurato dai genitori dei minori ai sensi dell’art. 337 bis c.c., deliberando in via definitiva dichiarava il non luogo a provvedere in ordine alle domande proposte dai nonni, essendo le stesse rimaste assorbite dal decreto del Tribunale ordinario che provvedeva, seppur provvisoriamente, in ordine alla regolamentazione dell’affidamento e al collocamento dei minori, e disponeva la trasmissione degli atti a quest’ultimo.

I nonni proponevano reclamo avverso detto decreto di archiviazione avanti alla Corte d’Appello di Milano ai sensi del (previgente) art. 739 c.p.c. chiedendone la riforma e avanzando sostanzialmente le richieste portate avanti al giudice di prime cure. Per quanto in questa sede interessa, tralasciando dunque le doglianze relative al merito del decreto reclamato, i reclamanti sostenevano che il giudice minorile aveva errato nel ritenere le loro domande assorbite dal decreto del giudice ordinario in quanto ai sensi dell’art. 38 disp. att. c.c.[3] il giudizio de responsabilitate proposto da un parente a ciò legittimato dall’art. 336, co. 1, c.c. rimane di competenza del Tribunale dei Minorenni anche qualora sia già pendente un giudizio ex art. 337 bis c.c. tra i genitori davanti al Tribunale ordinario posto che la vis attractiva di quest’ultimo trova applicazione, ai sensi dell’art. 38, co. 1, disp. att. c.c., solo se i due giudizi pendono fra le stesse parti e, per giurisprudenza costante, agli ascendenti è precluso l’intervento nel giudizio ex art. 337 bis c.c. che vede come parti i genitori.

La Corte d’Appello, nel rigettare il reclamo, esclude innanzitutto, e correttamente ad avviso di chi scrive, l’applicabilità alla fattispecie sottoposta al suo esame, dell’art. 38 disp. att. c.c. quanto alla possibilità da esso prevista di riunione del procedimento instaurato dai nonni ai sensi degli artt. 330, 333 e 336 c.c. avanti al giudice specializzato con quello pendente fra i genitori davanti al giudice ordinario, non potendo gli ascendenti in quella sede intervenire in giudizio[4]. Si esclude in sostanza la competenza per attrazione del Tribunale ordinario in ragione della mancanza della condizione, espressamente rappresentata dalla disposizione attuativa, dell’essere le cause (aventi lo stesso oggetto e cioè la regolamentazione, in senso lato, dell’esercizio della responsabilità genitoriale) pendenti fra le stesse parti.

Risulta certamente rispettato il riparto di competenza per materia delineato dall’art. 38 disp. att. c.c. e ciò è dimostrato anche dal fatto che il decreto del Tribunale per i Minorenni è un decreto di archiviazione/di non luogo a provvedere e non invece un provvedimento di declinatoria di competenza impugnabile con regolamento di competenza ai sensi dell’art. 42 c.p.c.

Il Collegio, nei motivi della sua decisione, ravvisa piuttosto una situazione – resa percorribile dalla normativa applicabile – di sovrapposizione e concorrenza di competenze fra i giudici chiamati ad amministrare la giustizia minorile[5] e la necessità di dover fare fronte, in considerazione della materia trattata e in assenza di strumenti positivi, a problemi di coordinamento decisorio. Affermata l’inconferenza dell’art. 38 disp. att. c.c. e così l’impraticabilità di una trattazione e decisione (a seguito di riunione) dei due procedimenti davanti allo stesso giudice e preso atto dell’impossibilità per gli ascendenti di poter articolare le proprie deduzioni e svolgere domande autonome avanti al giudice ordinario, la Corte d’Appello conferma la decisione del giudice minorile di prime cure con una pronuncia di natura esclusivamente processuale rilevando come una eventuale statuizione sul merito delle domande avrebbe potuto determinare un eventuale contrasto di giudicati[6]. La Corte tuttavia rileva come, nonostante l’impossibilità normativamente prevista da parte del Tribunale ordinario, giudice preventivamente adito e competente per materia, di attrarre a sé il giudizio pendente avanti al Tribunale per i Minorenni, il giudice ordinario ha avuto cognizione del medesimo materiale istruttorio a conoscenza del giudice specializzato con ciò escludendo, in sostanza, vuoti di tutela quanto all’interesse superiore dei minori o situazioni di denegata giustizia.

Una decisione questa che, a parere di chi scrive, merita di essere condivisa laddove, seppure superando la lettera dell’art. 38 disp. att. c.c., attua un meccanismo di raccordo fra due giudizi aventi lo stesso oggetto ma pendenti fra parti diverse davanti a giudici diversi ma egualmente e funzionalmente competenti per materia; un pronuncia che rimedia inoltre ad una scopertura della norma che non consentiva la riunione dei due procedimenti, poggiandosi, e valorizzandone così significativamente il contenuto, sul principio di concentrazione delle tutele quale ratio complessiva sottesa al riparto di competenza fra giudice ordinario e giudice minorile in ordine alle controversie de responsabilitate. Una pronuncia nel merito da parte del giudice minorile o della Corte d’Appello adita in sede di reclamo avrebbe potuto determinare una impossibilità pratica di coesistenza fra provvedimenti provvisori (prima), e un contrasto di giudicati (poi) quanto alla regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, senza parlare delle inevitabili difficoltà connesse alla esecuzione delle due pronunce. Viene in sostanza esclusa la possibilità di concedere spazio alla frammentazione delle pronunce quando dirette alla salvaguardia del superiore interesse del minore con una decisione che, seppure forzando un poco il dato normativo, è indubbiamente orientata da esigenze di effettività della tutela.

L’art. 38 disp. att. c.c. nella sua formulazione previgente.

La formulazione previgente della disposizione attuativa in esame, che ancora oggi rappresenta la norma generale sul riparto di competenza per materia fra giudice ordinario e giudice minorile[7], va ricondotta alla l. 10 dicembre 2012, n. 219, e al successivo d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, sulla parificazione dello stato giuridico dei figli.

La novella del 2012, che segna l’avvio della progressiva erosione delle competenze del tribunale minorile, aveva già portato a un drastico ridimensionamento delle competenze civili del giudice specializzato, in particolare per quanto riguardava i procedimenti de responsabilitate, strutturando una norma in grado di consentire, in base al criterio della prevenzione di cui all’art. 39, co. 3, c.p.c., una attrazione da parte del giudice ordinario, adito per primo con un procedimento sul conflitto familiare (separazione, divorzio, scioglimento dell’unione civile, affidamento e mantenimento dei figli non matrimoniali), di tutti i procedimenti in questione  e di cui agli artt. 330, 332, 333, 334, 335,  c.c., quando correnti tra le stesse parti; era stata introdotta una competenza c.d. “per attrazione” a favore del tribunale ordinario, se per primo adito, che in pendenza (e per tutta la sua durata, sino al giudicato) di un procedimento avente ad oggetto la crisi genitoriale-coniugale veniva investito anche del potere di emettere quei provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale, riservati altrimenti al giudice minorile. Quest’ultimo, in siffatta evenienza, era tenuto a declinare la propria competenza in favore del tribunale ordinario[8].

La presenza di due organi giurisdizionali chiamati ad occuparsi della tutela del minore in materia di responsabilità genitoriale, unitamente ad una formulazione per certi versi ambigua della norma deputata a regolare il riparto delle rispettive competenze per i procedimenti in questione, aveva condotto al proliferare, in sede applicativa, di non poche questioni. La Corte di cassazione, adita innumerevoli volte in sede di regolamento di competenza, dopo un lungo percorso teso alla lettura nomofilattica della disposizione in esame era giunta tuttavia a circoscriverne con apprezzabile chiarezza l’ambito processuale di efficacia[9].

Per quanto riguarda in particolare la questione affrontata dalla sentenza in commento, si era evidenziato, in ragione del fatto che la disposizione attuativa richiedeva per l’operare della vis attractiva riconosciuta al giudice ordinario l’identità delle parti dei due procedimenti, che la competenza del tribunale per i minorenni per i provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale sarebbe rimasta comunque ferma qualora il procedimento ex art. 330 o 333 c.c.[10] fosse stato instaurato, in pendenza di quello sulla crisi genitoriale, dal P.M. minorile o da taluno dei parenti, soggetti questi legittimati ad agire ai sensi dell’art. 336 c.c. ma privi della medesima legittimazione nei giudizi sulla crisi familiare[11]. In tali ipotesi, il principio della concentrazione delle tutele in capo ad uno stesso giudice chiamato a decidere questioni riguardanti il minore quanto ad affidamento, collocamento e in generale esercizio della responsabilità genitoriale non poteva essere invocato: nessuna possibilità di riunione e di processo simultaneo stante la diversità delle parti dei due procedimenti aventi lo stesso oggetto o comunque oggetti fortemente connessi, contemporaneamente pendenti avanti a giudici diversi.

L’art. 38 disp. att. c.c. nella sua formulazione attuale

I recenti interventi del legislatore sull’art. 38 disp. att. c.c. si devono ricondurre in primo luogo e per la parte più significativa alla legge delega n. 206 del 2021 che ha inteso sgombrare definitivamente il campo da tutte quelle incertezze interpretative che la precedente formulazione della disposizione aveva restituito a tutti gli operatori del settore recependo le istanze della dottrina, i protocolli d’intesa e le soluzioni elaborate dalla giurisprudenza.

La legge delega n. 206 del 2022 (art. 1, co. 28) intervenendo sul co. 1 dell’art. 38 disp. att. c.c., ha, con disposizione immediatamente precettiva (in vigore dal 22 giugno 2022) e con riferimento ai giudizi de responsabilitate, da un lato, confermato la competenza funzionale del giudice specializzato sulle domande autonome proposte ai sensi degli artt. 330 e 333 c.c., ma, dall’altro, ha ampliato la competenza per attrazione del giudice ordinario sulle medesime domande prevedendo che in tutti i casi in cui sia pendente o anche sia successivamente instaurato avanti a quest’ultimo giudice tra le stesse parti, un procedimento sulla crisi familiare questi dovrà occuparsi anche delle domande di limitazione o ablazione della responsabilità genitoriale. Ciò anche se la domanda ex artt. 330 e 333 c.c. è stata o è proposta dal pubblico ministero minorile avanti al giudice specializzato. Non vi è tuttavia deroga alla competenza per materia del tribunale per i minorenni quando il procedimento de responsabilitate sia stato introdotto dai parenti o meglio dagli altri soggetti a ciò legittimati dall’art. 336 c.c. In questo caso i due giudizi, mancando il presupposto delle “stesse parti” proseguiranno autonomamente su binari paralleli.

Viene, in sostanza introdotta una potenziata vis actractiva a favore del giudice della crisi familiare per i procedimenti aventi ad oggetto le domande appena individuate, con abbandono quindi del tradizionale criterio della prevenzione adoperato in generale per regolare competenze concorrenti fra giudici diversi ed utilizzato, come visto, anche dalla precedente normativa[12]. Si è voluto in questo modo, in ragione del principio di concentrazione delle tutele, contenere ulteriormente il rischio di contrasto fra provvedimenti del giudice minorile sull’esercizio della responsabilità genitoriale e i provvedimenti del giudice ordinario pronunciati nel giudizio avente ad oggetto il conflitto genitoriale sullo stesso oggetto, stante la prioritaria esigenza di coordinare le statuizioni ablative o limitative della responsabilità genitoriale con il regime di affidamento e di mantenimento del minore .

Il legislatore delegato al fine di regolamentare il coordinamento fra i due giudici per quanto alla necessità di operare la translatio e così il processo cumulativo, ha disciplinato anche il meccanismo di raccordo fra le due autorità giudiziarie.  In tutte quelle ipotesi in cui si verifica la contemporanea pendenza (non rileva, vale la pena ribadire, chi sia il giudice preveniente) di un giudizio de responsabilitate  davanti al tribunale per i minorenni e un procedimento sulla crisi familiare davanti al tribunale ordinario, il  giudice specializzato, d’ufficio o su istanza di parte, senza indugio o comunque nel termine di 15 giorni dalla richiesta, dopo avere pronunciato tutti gli opportuni provvedimenti temporanei e urgenti nell’interesse del minore deve trasmettere gli atti, cioè il fascicolo, al giudice ordinario davanti al quale, previo provvedimento di riunione, il procedimento potrà continuare[13].

Quanto alla sorte dei provvedimenti emessi dal tribunale dei minori prima della trasmissione del fascicolo al tribunale ordinario, ad essi viene attribuita dalla legge una efficacia ultrattiva: detti provvedimenti, conservano la loro efficacia sino a che non siano confermati, modificati o revocati dal giudice della crisi familiare che tuttavia non è vincolato alle decisioni prese dal giudice minorile[14].

Con il d.lgs. n. 149 del 2023, il legislatore delegato ha ritoccato nuovamente l’art. 38 disp. att. c.c. intervenendo sia nel senso dell’adeguamento rispetto al nuovo rito per le persone, famiglie e minori, di cui agli artt. 473 bis ss. c.p.c., sia nel senso della precisazione di una particolare fattispecie che poteva risultare foriera di equivoci all’atto applicativo.

In particolare, per quanto riguarda il primo punto, l’art. 2 del d. lgs. n. 149/2022 (Modifiche alle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie) ha previsto che, all’art. 38 disp. att. c.c., co. 1, secondo periodo, le parole «o dell’articolo 710 del codice di procedura civile e dell’articolo 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898» sono sostituite dalle seguenti: «procedimento per la modifica delle condizioni dettate da precedenti provvedimenti a tutela del minore». Si è in sostanza eliminato il riferimento all’abrogato art. 710 c.p.c. in tema di modificabilità dei provvedimenti relativi alla separazione dei coniugi e all’abrogato art. 9 l. divorzio anche esso in tema di procedimento per la revisione delle condizioni del divorzio con una formulazione più generale che fa riferimento alla pendenza di un procedimento per la modifica delle condizioni dettate da precedenti provvedimenti a tutela del minore; detti procedimenti di revisione sono stati sostituiti dall’art. 473 bis 29 c.p.c.

Per quanto riguarda invece il secondo punto, al co. 2, primo periodo della disposizione attuativa, le parole «previsto dall’articolo 709 ter del codice di procedura civile» sono sostituite dalle seguenti: «per l’irrogazione delle sanzioni in caso di inadempienze o violazioni,» e, al secondo periodo, le parole «previsto dall’articolo 709 ter del codice di procedura civile» sono sostituite dalle seguenti: «per l’irrogazione delle sanzioni».

Anche qui si è eliminato il riferimento all’art. 709 ter c.p.c., abrogato e ora sostituito dall’art. 473 bis 39 c.p.c., seppure con rilevanti modifiche. La nuova formulazione della norma è chiara nell’attribuire alla competenza del giudice specializzato la cognizione su ricorsi e procedimenti aventi ad oggetto inadempienze e unicamente la richiesta conseguente di irrogazione di sanzioni per l’ipotesi in cui il TM sia stato adito con un procedimento de responsabilitate ex art. 330 ss. c.c.[15].

Ovviamente l’art. 38 disp. att. c.c. si vedrà privato di qualsiasi rilevanza pratica quando sarà istituito Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie[16] e, quindi, nel momento in cui verrà meno la difficile coesistenza, quanto alla amministrazione della giustizia minorile, di giudice ordinario e di giudice specializzato.

La competenza del giudice minorile sui provvedimenti de responsabilitate richiesti dagli ascendenti alla luce della vigente normativa.

Alla luce del testo riformato della disposizione attuativa in esame, la questione affrontata dalla pronuncia in commento, sembra non poter trovare una diversa soluzione. La competenza per attrazione del tribunale ordinario per i procedimenti de responsabilitate, che pure prescinde ora dall’applicazione del criterio della prevenzione, opera solo in presenza del presupposto della identità delle parti, e pertanto qualora la domanda ex artt. 330 e 333 c.c. sia proposta dai parenti avanti al giudice minorile non pare esservi nessuna possibilità di riunione del procedimento pendente avanti a quest’ultimo con quello più ampio sul conflitto genitoriale pendente avanti al giudice ordinario[17].

Va osservato tuttavia che il nuovo rito unitario di cognizione in materia di persone, minorenni e famiglie, prevede all’art. 473 bis.20 c.p.c. l’intervento volontario del terzo, ammesso a intervenire non oltre il termine stabilito per la costituzione del convenuto, salvo che compaia volontariamente per l’integrazione necessaria del contradittorio[18].

La nuova normativa, disciplinando l’intervento del terzo in causa, sembra così poter aprire uno spiraglio alla possibilità di concepire un intervento degli ascendenti nei giudizi sul conflitto genitoriale nei quali si discuta dell’affidamento, del collocamento e del mantenimento della prole minore di età e in generale dell’esercizio della responsabilità genitoriale, al fine di consentirgli di ivi veicolare le domande ex artt. 330 e 333 c.c. Il diritto dei nonni di chiedere l’adozione di provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale risulta infatti fortemente connesso, se non talvolta identico (qualora, come nel caso affrontato dalla sentenza in commento, le domande de responsabilitate erano state svolte ugualmente, seppure da parti diverse, sia davanti al tribunale ordinario che davanti al tribunale specializzato) con le questioni oggetto del giudizio separativo in senso lato[19] nel quale il giudice, chiamato in presenza di prole minore ad occuparsi di regolamentare a tutto tondo l’esercizio della responsabilità genitoriale, si muove liberamente in un ambito che, in ragione della esigenza di tutelare il superiore interesse del minore, consente la deroga ai principi quali quello della domanda e dell’impulso di parte.

Ritenere ammissibile l’intervento degli ascendenti nel giudizio avente ad oggetto la regolamentazione in senso lato della responsabilità genitoriale e pendente avanti al tribunale ordinario, realizzerebbe in modo concreto il principio della concentrazione dell’accertamento giudiziale e delle tutele riguardanti il minore in capo ad un unico giudice, assicurandone così, per mezzo del loro coordinamento, anche l’effettività.

[1] I nonni si sono rivolti al tribunale minorile per chiedere l’affidamento e il collocamento dei minori e non, come più spesso accade, la regolamentazione del loro diritto di visita funzionale al mantenimento di rapporti significativi con gli ascendenti di cui all’art. 317 bis c.c. Nel vigente riparto di competenza fra giudice minorile e giudice ordinario, dette domande degli ascendenti sono ancora di competenza del tribunale per i minorenni.

[2] Tribunale per i Minorenni di Milano, decr. 11 gennaio 2024, n. 82, Pres. Ortolan.

[3] L’art. 38 disp. att. c.c. nella previgente formulazione dovuta alle modifiche introdotte dalla l. 10 dicembre 2012, n. 219 e astrattamente applicabile al caso in esame così recitava: “Sono di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 84, 90, 330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma, del codice civile. Per i procedimenti di cui all’articolo 333 resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell’ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell’articolo 316 del codice civile; in tale ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario. Sono, altresì, di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 251 e 317-bis del codice civile.

Sono emessi dal tribunale ordinario i provvedimenti relativi ai minori per i quali non è espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria. Nei procedimenti in materia di affidamento e di mantenimento dei minori si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile.

Fermo restando quanto previsto per le azioni di stato, il tribunale competente provvede in ogni caso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, e i provvedimenti emessi sono immediatamente esecutivi, salvo che il giudice disponga diversamente. Quando il provvedimento è emesso dal tribunale per i minorenni, il reclamo si propone davanti alla sezione di corte di appello per i minorenni.”.

[4]  Va osservato tuttavia che gli artt. 337 bis e ter c.c., così come anche interpretati dalla S.C. non consentivano di ravvisare nessun presupposto sostanziale o processuale che potesse legittimare un intervento degli ascendenti ai sensi dell’art. 105 c.p.c. (sia 1° co. che 2° co.) nei giudizi pendenti davanti al Tribunale ordinario relativi alla regolamentazione della responsabilità genitoriale. Nel senso della inammissibilità dell’intervento degli ascendenti nei giudizi in senso lato separativi, Cass. 16 ottobre 2009, n. 22081; Danovi, Ancora inammissibile l’intervento dei nonni nella separazione e nel divorzio, in Dir. Fam. Pers., 4/2010.

[5] In generale sulle istituzioni chiamate ad amministrare la giustizia minorile, v. Ballarani, Le istituzioni a tutela dei minori, in Diritto civile minorile, a cura di Cordiano e Senigaglia, Napoli, 2022, p. 63 ss.

[6] Il Collegio esclude anche la sussistenza dei presupposti per la sospensione del procedimento pendente avanti a sé non ritenendo sussistente fra le due cause un nesso di dipendenza processualmente rilevante ai sensi dell’art. 295 c.p.c. posto che nei due procedimenti venivano esaminate le medesime questioni: affidamento e collocamento dei minori.

[7] L’art. 38 disp. att. c.c. è disposizione destinata ad essere abrogata posto che con la legge delega 26 novembre 2021 n. 206 e il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, è stata prevista l’istituzione di un Tribunale unico e specializzato per le persone, per i minorenni e per le famiglie (TPMF), articolato su base circondariale (presso ogni sede di Tribunale ordinario), e distrettuale (presso ciascuna sede di Corte d’appello).

[8] Cfr. sul tema, Tommaseo, La nuova legge sulla filiazione: profili processuali, in Fam. e Dir., 2013, 3, p. 251 ss.; Id., L’art. 38 disp. att. c.c.: riparto di competenze tra tribunale minorile e tribunale ordinario, in Fam. e Dir., 2018, 7, p. 711 ss.; Danovi, Giudizi de potestate, vis attractiva e perpetuatio iurisdictionis, in   Fam. e Dir., 2017, 6, p. 506 ss.; Buffone, Riparto di competenza tra T.O. e T.M. in materia di provvedimenti ablativi: iudicium finium regundorum della cassazione, in Fam. e Dir., 2015, 7, p. 657 ss.

[9] Cfr., per una esaustiva rassegna delle principali questioni emerse e delle soluzioni interpretative restituite dalla S.C. relative all’art. 38 disp. att. c.c. nelle diverse formulazioni che hanno preceduto la riforma Cartabia, Figone, La riscrittura dell’art. 38 disp. att. c.c., in Fam e Dir., 2022, 4, pp. 430 ss.; nonché, Querci, Il riparto di competenza sui provvedimenti de potestate: una questione ancora aperta, in Fam. e Dir., 2022, 7, p. 706 ss.

[10] Va rilevato che seppur dopo qualche iniziale contrasto, si era comunque consolidato l’orientamento in virtù del quale la competenza per attrazione del giudice ordinario, quando adito per primo, abbracciava non solo i provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale ma anche quelli ablativi della stessa; sul punto Cass. 11 febbraio 2021, n. 3490, in Fam. e Dir., 2022, 7, 403, con nota di Querci, Il riparto di competenza sui provvedimenti de potestate: una questione ancora aperta, cit.; Cass. 10 giugno 2021, n. 16340; Cass. 2 dicembre 2020, n. 27594; Cass. 25 luglio 2018, n. 19780, con nota di Danovi, Provvedimenti relativi a minori e garanzia del ricorso per Cassazione: un fronte (giustamente) sempre più aperto. In dottrina, sin dall’entrata in vigore della norma hanno condiviso l’interpretazione “estensiva” della norma, Proto Pisani, Note sul nuovo art. 38 disp. att. c.c. e sui problemi che essa determina, in Foro it., 2012, V, 128; Tommaseo, La nuova legge sulla filiazione: profili processuali, in Fam. e Dir. 2013, 3, p. 256; Tommaseo, L’art. 38 disp. att. c.c.: riparto di competenze tra tribunale minorile e tribunale ordinario, cit., p. 713.

[11] Così, Tommaseo, La nuova legge sulla filiazione, cit., p. 257; Figone, La riscrittura dell’art. 38 disp. att. c.c., cit., p. 433; Buffone, Riparto di competenza tra T.O. e T.M., cit., p. 659.

[12] Scomparso il criterio della prevenzione, dubbi sono sorti fra gli interpreti circa la mancanza di un termine entro il quale debba attuarsi la translatio. Le perplessità manifestate sono quelle relative ad un possibile uso strumentale della norma laddove sia adito per primo, con ricorso ex artt. 330 e 333 c.c., il giudice minorile e solo successivamente il giudice ordinario. Si è rilevato come dovrebbe essere evitato che una parte possa vanificare l’attività processuale già svolta dinanzi al tribunale per i minorenni prima della pendenza della causa matrimoniale o regolamentativa dell’affidamento e mantenimento della prole, proponendo un ricorso, anche solo fittizio innanzi al tribunale ordinario. Sullo specifico punto, v. Ballarani, Le istituzioni a tutela dei minori, in Diritto civile minorile, cit. p. 69 nonché il parere del C.S.M.  sul disegno di legge governativo di riforma del processo civile del 15 settembre 2021.

[13] Va tenuto presente che il P.M. minorile, nel caso di trasmissione degli atti dal tribunale per i minorenni al tribunale ordinario, è tenuto a trasmettere i propri atti al P.M. presso la Procura della Repubblica del tribunale ordinario presso cui pende il giudizio relativo al conflitto familiare. Per regolare le modalità della trasmissione molti tribunali hanno già adottato documenti di intesa: v. ad esempio, quello firmato in data 31 gennaio 2023 dal tribunale ordinario di Milano e la Procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni di Milano.

[14] In generale, sulle modifiche apportate dalla legge delega all’art. 38 disp. att. c.c., v. Conti, Il riparto di competenza tra il Tribunale per i Minorenni e il Tribunale Ordinario, in Riforma del processo per le persone, i minorenni e le famiglie, Commento alla l. 206/2021: le novità in vigore dal 22 giugno 2022. Prima lettura del Reg. Ue 1111/2019 in vigore dal 1° agosto 2022, a cura di Giordano-Simeone, Milano, 2022, p. 83 ss.; Ballarani, Le istituzioni a tutela dei minori, in Diritto civile minorile, cit. p. 67 ss..

[15] Sugli interventi del legislatore delegato sulla disposizione attuativa in esame, cfr., Sapi e Simeone, Gli atti introduttivi, in La riforma del diritto di famiglia: il nuovo processo. Commento al d.lgs. 149/2022 e successive modifiche, a cura di Giordano-Simeone, Milano, 2023, p. 9 ss.

[16] Quando cioè entreranno in vigore le norme delegate al Governo dall’art. 1, co. 24, della l. n. 206 del 2021 che prevedono appunto l’istituzione di un tribunale unico e specializzato per persone, famiglie e minori.

[17] In tal senso, v., Figone, La riscrittura dell’art. 38 disp. att. c.c., cit., p. 435, il quale esclude che giudizi complessi come quelli sulla crisi genitoriale possano vedere l’ampliamento della composizione soggettiva mediante l’intervento dei parenti del minore; v. altresì, seppure con riferimento al testo previgente dell’art. 38 disp. att. c.c., Buffone, Riparto di competenza tra T.O. e T.M., cit., p. 659.

[18] In generale, sul nuovo rito unitario per le persone, famiglie e minori, v. Carratta, Un nuovo processo di cognizione per la giustizia familiare e minorile, in Fam. Dir., 4/2022, p. 349 ss.; AA.VV., La riforma del diritto di famiglia: il nuovo processo. Commento al d.lgs. 149/2022 e successive modifiche, a cura di Giordano-Simeone, cit.

[19] In tal senso la recente pronuncia del Tribunale di Brescia, ord. 7.2.2024 (dott. Andrea Tinelli) che ha ritenuto ammissibile l’intervento dei nonni nel giudizio separativo.