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L’avvocato di famiglia alle prese con le ADR negoziali: riflessioni in punto di mediazione familiare e negoziazione assistita
Di Francesca Locatelli -
Sommario: 1. Introduzione. – 2. La negoziazione assistita familiare. – 2.1. Il dovere di informazione. – 2.2. L’erosione progressiva della giurisdizione costitutiva necessaria. – 2.3. Fairness, ovvero della correttezza e collaborazione tra le parti in n.a. – 2.4. Lo spinoso tema della “partecipazione” dei figli alla n.a.- 2.5. Il profilo più critico: l’avvocato “istruttore”. -3. 3. Mediazione familiare. – 4. Conclusioni.
1.Introduzione
L’avvocato di famiglia, per il particolare ambito in cui si trova ad operare da sempre, deve possedere requisiti che lo differenziano rispetto al novero degli altri colleghi avvocati: una certa propensione all’ascolto, capacità di enucleare gli elementi giuridicamente rilevanti per la fattispecie all’interno di un racconto carico di emotività, particolare attenzione alla tutela dei soggetti più deboli.
La materia del diritto di famiglia, infatti, richiede all’avvocato di confrontarsi con contenziosi che non hanno soltanto risvolti patrimoniali ed economici, ma che coinvolgono delle persone e molto spesso dei minori, o dei soggetti considerati fragili, come ad esempio la prole maggiorenne ma non economicamente autosufficiente, oppure portatrice di handicap.
Il mutato contesto normativo e la sostanziale riscrittura delle norme procedurali con riferimento ai processi di famiglia evidenziano ancora di più questo ruolo e impongono una riflessione sulla figura dell’avvocato familiarista a tutto tondo, con peculiare riferimento agli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie, su cui pure la recente novella ha particolarmente insistito e rispetto ai quali, forse ancor di più che nel processo civile dinanzi all’autorità giudiziaria, emerge la delicatezza e l’importanza del ruolo giocato dal difensore[1].
Ai fini del nostro discorso, la riforma Cartabia ha inciso soprattutto sul tema delle ADR negoziali, andando ad implementare ed ampliare l’ambito di operatività della negoziazione assistita dagli avvocati ex articolo 6 decreto-legge 132 del 2014, come convertito con legge 162 del 2014, e normando per la prima volta in maniera più esplicita l’istituto della mediazione familiare[2].
Nel quadro della novella, come noto, e come emerso pacificamente dalla relazione introduttiva della ministra di cui la riforma porta il nome, questi metodi alternativi di risoluzione delle controversie di natura negoziale si pongono in termini di complementarità rispetto al processo civile[3].
Una complementarità che, forse, nel contesto processuale potrebbe non essere completamente realizzata, poiché il concetto implica un’integrazione, un completamento e un coordinamento rispetto al processo davanti all’autorità giudiziaria.
Tuttavia, questa prospettiva non appare perfettamente integrata, poiché un’analisi più approfondita rivela che le Alternative Dispute Resolution (ADR) negoziali vengono richiamate e rafforzate dalla riforma con l’obiettivo di esternalizzare, per quanto possibile, una parte delle controversie. Il fine è chiaramente orientato ad una riduzione e alleggerimento del carico di procedimenti pendenti nei tribunali.
Lungi dal costituire dei procedimenti alternativi che si integrano realmente in chiave complementare con il processo[4], le ADR negoziali rischiano di rimanere degli istituti cosiddetti stand alone: cioè, dei procedimenti che nascono e finiscono senza che ci possa essere un’effettiva utilità in relazione al processo dinanzi all’autorità giudiziaria (cosiddetti procedimenti end to end)[5] o vero un favor del legislatore verso metodi di risoluzione delle controversie collaborativi.
I momenti di raccordo che si intravedono nella vigente normativa, infatti, sono essenzialmente disciplinati con un’attenzione proiettata già al giudizio di merito, ma paradossalmente nella previsione del fallimento del negoziato. Ciò è particolarmente vero ed evidente in riferimento alla mediazione civile e al rinforzato assetto di regole sanzionatorie oggi previste dal decreto legislativo numero 28 del 2010, ma vale anche per la negoziazione assistita, dove vengono stravolti i fondamenti del diritto collaborativo[6], potenzialmente potendosi trasformare il ruolo degli avvocati da negoziatori ad “ausiliari” – in senso lato, naturalmente – del giudice (il riferimento è alla possibilità, con il consenso delle parti previamente espresso nella convenzione di negoziazione assistita, di acquisire dichiarazioni di terzi su fatti rilevanti in relazione all’oggetto della controversa nonché dichiarazioni della controparte sulla verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli alla parte nel cui interesse sono richieste, disciplinata, rispettivamente, negli articoli 4-bis e 4-ter nella novella del D.L. 132/2014). [7]
Eppure, riallacciandoci all’assunto da cui siamo partiti, pur con i limiti intrinseci della riforma Cartabia, che rimane certamente viziata dalla finalità malcelata di deflazionare il contenzioso e di abbreviare i tempi dei procedimenti giudiziari anche per non perdere cospicui aiuti di carattere economico di provenienza europea, la novella offre un importante momento di riflessione proprio in relazione alla figura e al ruolo dell’avvocato di famiglia nell’ambito dei procedimenti ADR ed, in particolare, quelli più lontani dal modello contenzioso del processo civile: quelli di matrice negoziale.
2.La negoziazione assistita familiare.
Provando ad osservare più da vicino il ruolo dell’avvocato nella negoziazione assistita, si può anzitutto intravedere come le recenti riforme abbiano voluto assegnare un ruolo di sicuro spicco alla gestione negoziata della controversia e propongano quindi all’avvocato familiarista la necessità di un approccio diverso da quello tradizionale del processo, che richiede l’integrazione delle conoscenze con altre capacità e un diverso modo di affrontare la risoluzione delle controversie[8].
2.1. Il dovere di informazione.
Ciò emerge con tutta evidenza da un concetto già contenuto sin dal momento iniziale dell’introduzione della n.a. nel nostro ordinamento, e precisamente dell’articolo 2, comma 7, del decreto-legge 132 del 2014, il quale prescrive che l’avvocato ha il dovere deontologico di informare il cliente all’atto del conferimento dell’incarico della possibilità di ricorrere alla negoziazione assistita[9].
Va infatti chiarito che vi è una chiara scelta del legislatore, venuta a sempre maggiore emersione, nell’attribuire al difensore un ruolo non solo meramente informativo circa la possibilità di avvalersi di questo istituto, bensì anche di progettazione circa le modalità di gestione del contenzioso che, nel caso della negoziazione assistita ex articolo 6 del decreto legislativo 132 del 2014, assume un significato ancora più particolare: la negoziazione assistita familiare, infatti, a differenza di quanto avviene in altri ambiti della giustizia civile, rimane di natura esclusivamente volontaria e non costituisce mai condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Essa è sempre, pertanto, il frutto di una scelta[10].
Se è così, si comprende l’importanza, da parte dell’avvocato familiarista, di aiutare la parte assistita a valutare in concreto la possibilità di utilizzare questo strumento nonché, naturalmente la necessità che il difensore conosca in profondità l’istituto non soltanto nella sua cornice puramente normativa, ma anche soprattutto in relazione alle regole del procedimento negoziale[11].
Un procedimento, quest’ultimo, che intenzionalmente ho voluto definire tale: ossia una serie concatenata di atti, secondo l’osservanza di una serie di regole e strutturato in fasi, ognuna delle quali deputata ad una funzione specifica ed entro la quale si pongono in essere attività peculiari, finalizzato al raggiungimento di un risultato, che nel caso di specie è costituito dall’auspicato accordo conciliativo. Un tema, questo, rispetto al quale l’avvocatura italiana è ancora molto arretrata, poiché il solo modello di composizione delle controversie a cui gli operatori del diritto sono stati formati e istruiti è stato quello, di matrice puramente avversariale e competitivo, del processo in sede contenziosa dinanzi all’autorità giudiziaria.
L’obbligo deontologico di informativa e assistenza nella gestione della crisi familiare[12], nel caso della negoziazione familiare, è poi ancora più stringente, perché l’avvocato deve altresì informare anche della possibilità di ricorrere all’istituto della mediazione familiare, su cui torneremo tra breve e che si coordina e si inserisce ulteriormente nell’ambito anche della negoziazione assistita, oltre che del processo civile.
2.2. L’erosione progressiva della giurisdizione costitutiva necessaria
Il ruolo dell’avvocato di famiglia nelle ADR negoziali e in particolare nella negoziazione assistita diventa inoltre particolarmente rilevante nella misura in cui s’opera una riflessione di più ampio respiro, la quale ci porta a prendere atto della circostanza che la stessa nozione di giurisdizione costitutiva necessaria, che classicamente trovava proprio nelle controversie di diritto di famiglia il suo ambito principale di applicazione, è stata di molto ridimensionata[13]. Infatti, seppur il decreto sulla negoziazione assistita enuncia che la medesima si applica solo in relazione a controversie aventi ad oggetto i diritti disponibili, è innegabile che nell’ambito della negoziazione ex articolo 6 le parti hanno la possibilità di elaborare un accordo che va a toccare anche aspetti tipicamente e tradizionalmente considerati indisponibili nel nostro ordinamento, in particolare in relazione al tema dell’affidamento e del collocamento della prole e del mantenimento della medesima o dell’altro membro della coppia[14].
Rispetto a tali profili certamente rimane il controllo del pubblico ministero, che però si riduce ad un mero simulacro e non è certamente paragonabile all’intensità del controllo (e dei poteri) esercitato dal giudice nell’ambito del processo di famiglia[15]. Si annida quindi, nel nostro ordinamento, forse, il germe di un cambiamento epocale, che potrebbe essere foriero di produrre risultati importanti non solo in ambito di negoziazione assistita (v. infra, nelle conclusioni).
La prassi di molte Procure[16] è fra l’altro quella di relazionarsi con grande apertura con gli avvocati di famiglia, mediante la possibilità di sottoporre in via preliminare ed informale i termini essenziali di eventuali accordi di negoziazione assistita che siano borderline dal punto di vista dei contenuti rispetto alla struttura degli accordi classici in questa materia. Un confronto sereno, franco e diretto con il pubblico ministero prima del deposito dell’accordo consente, invero, di eventualmente intervenire su eventuali aspetti critici onde evitare una reiezione dell’accordo e un deferimento al presidente del tribunale; un controllo, questo, assai diverso dal tipo di riscontro esercitato, in chiave assai più spiccatamente autoritativa, dal giudice del processo di famiglia: e, in tal senso, è come se il principio di collaborazione si estendesse dalle parti al diverso ambito del rapporto parti-giudice (tema caro, questo, anche al processo civile), con la finalità di evitare il rigetto dell’accordo e la necessità, questa volta sì, di un passaggio avanti al presidente del tribunale[17].
A proposito della progressiva erosione degli ambiti classicamente intesi come appannaggio della giurisdizione costitutiva necessaria, deve essere ricordato anche che l’ambito applicativo della negoziazione di famiglia è risultato ulteriormente ampliato dalla riforma Cartabia, come è noto, potendosi ora applicare l’istituto anche ai figli nati fuori dal matrimonio, al caso del mantenimento dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti sempre nati fuori dal matrimonio.[18]
Sotto questo aspetto, il punto che forse è più interessante è la circostanza che la negoziazione assistita familiare si può oggi utilizzare anche per la determinazione degli alimenti ex articolo 433 del codice civile e per la modifica di tali determinazioni. Il profilo interessa fra l’altro anche la disciplina dell’articolo 65, comma 1, della legge Cirinnà, la quale dispone che, in caso di cessazione della convivenza di fatto, il convivente che versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento ha diritto a percepire dall’ex convivente un assegno alimentare proprio ai sensi del menzionato articolo 433, nella misura determinata in osservanza dell’articolo 438 comma due codice civile e proporzionale alla durata della convivenza[19].
Il nucleo delle disposizioni economiche in tema di alimenti, cioè quel concetto che non richiama la più ampia nozione di mantenimento[20], ma si appunta su quella somma di denaro minima necessaria per la sussistenza, infatti, da sempre ha costituito lo zoccolo duro e il principale argomento invalicabile volto ad estendere la possibilità per le parti di disporre in qualche modo direttamente in relazione a questi aspetti.[21]
Ebbene proprio la nuova normativa in tema di negoziazione assistita in materia di famiglia ci dimostra invece che, forse, sotto questo profilo qualcosa sta cambiando. E questo aspetto va messo qui in luce anche in relazione al ruolo del difensore, che si trova ad avere nell’assistenza della parte margini di manovra molto importanti per lavorare in vista della ricerca di un accordo che consenta di occuparsi anche di temi che, tradizionalmente, erano considerati appannaggio esclusivo del giudice ordinario.
Un motivo di più, questo, per riflettere sulla funzione e sul ruolo dell’avvocato di famiglia, anche di fronte alla situazione di grave difficoltà oggettiva attraversata dai nostri uffici giudiziari in questo momento storico di crisi della giustizia civile, perché significa che nel paniere degli strumenti dell’avvocato di famiglia oggi ci sono anche degli istituti in più che possono e devono essere utilizzati, vista la particolare ampiezza di intervento e di manovra che essi effettivamente consentono.
2.3. Fairness, ovvero della correttezza e collaborazione tra le parti in n.a.
Il ruolo dell’avvocato di famiglia nel procedimento di negoziazione assistita emerge anche in relazione al dovere di collaborazione e trasparenza nel fornire elementi oggettivi su cui basare il negoziato.
Trattasi di principio cardine di qualunque procedimento negoziale, purtroppo spesso trascurato in quanto il retaggio dello schema competitivo ed avversariale del processo civile e dal mancato recepimento, nella nostra normativa, del principio per cui l’avvocato che segue le parti nel procedimento negoziale non può patrocinare la causa in caso di fallimento del negoziato, faticano a scalfire antichi schemi puramente avversariali. dove – in ottica difensiva e competitiva – non si è portati a mettere in comune le informazioni, in particolare quelle economiche.
La riforma del diritto processuale di famiglia, peraltro, che ha previsto importanti obblighi di disclosure in sede giudiziale[22], dovrebbe spingere sin già dal negoziato le parti e gli avvocati ad una maggior collaborazione anche in tal senso: in effetti, si tratterebbe di anticipare in sede di trattativa elementi che, in ogni caso, sono oggi richiesti dalla normativa in sede giudiziale.
Sotto tale profilo, bene hanno fatto alcuni tribunali a porre regole assai più stringenti di quelle paventate in altri contesti, che si concretano nella possibilità di domandare – anche nei procedimenti consensuali – in sede di valutazione di congruità ed in ogni altro caso si renda necessario, di richiedere alle parti la produzione della documentazione di cui all’art. 473-bis.12 comma 3[23], nonché, nel caso dei procedimenti contenziosi, di intimare, che “Nei casi in cui la norma prevede, o il Giudice ordina”, deve essere versata in atti la produzione degli estratti conto dei rapporti bancari o finanziari degli ultimi 3 anni, con allegazione degli estratti conto integrali, con indicazione per ciascuna annualità della relativa giacenza media. (Nel caso di impossibilità o difficoltà di reperire per tempo la documentazione ai fini della relativa produzione in giudizio, la Parte è onerata della produzione della richiesta specifica dei documenti inoltrata agli Istituti in cui sono in essere i conti correnti).
Un negoziato efficace dovrebbe ispirarsi agli stessi principi, se non altro perché la recente novella apportata con il D. Lgs. 149/2022 ha posto in capo agli avvocati che assistono le parti in n.a. l’onere di effettuare quel giudizio di congruità che normalmente compete al giudice.
Ed invero, gli avvocati, di cui ciascuna parte deve essere assistita, devono dare atto nell’accordo non solo del tentativo espletato al fine di conciliare le parti e dell’informativa circa l’importanza di avvalersi di della n.a., ma anche di aver operato un giudizio di congruità, nel caso di pattuizione della c.d. “una tantum” divorzile, che nella versione previgente dell’art. 6 d.l. 132/2014 non era invece ammissibile.[24]
La Riforma ha invero previsto che nella negoziazione assistita il giudizio di equità previsto dall’art. 5, comma 8, l. div. sia effettuato dai difensori con la certificazione dell’accordo delle parti.
Tale giudizio verte in particolare sulla situazione patrimoniale di cui le parti sono chiamate a fornire la documentazione: vi è quindi un chiaro indice normativo che impone ora agli avvocati familiaristi di cambiare il paradigma e di ottemperare ad un principio di trasparenza e reale collaborazione (ed è invero evidente che la presenza di altre fonti di reddito non dichiarate rende impossibile per gli avvocati il giudizio di congruità a cui sono ora tenuti per legge), al di là dei principi in tema di procedimento negoziale, e più precisamente perché una delle caratteristiche generali del processo di famiglia riformato è proprio quella di prevedere un obbligo di verità in relazione a tutti quegli aspetti che tipicamente rientrano in quegli aspetti tradizionalmente considerati indisponibili, come assegni per la prole o per il coniuge (ma che, pur sotto il controllo formale del pubblico ministero, diventano “disponibili” nel quadro di un accordo negoziale: v. infra, nel testo, per altri riferimenti).
2.4. Lo spinoso tema della “partecipazione” dei figli alla n.a.
Un altro elemento di notevole interesse, nella prospettiva di delineare meglio il ruolo dell’avvocato nella negoziazione assistita, riguarda l’ascolto del minore, aspetto assai enfatizzato nel riformato processo di famiglia, ma del tutto assente nella disciplina relativa alla n.a. familiare[25].
Sotto tale profilo, la normativa si limita a prevedere che: “Quando ritiene che l’accordo non risponde all’interesse dei figli o che è opportuno procedere al loro ascolto, il procuratore della Repubblica lo trasmette, entro cinque giorni, al presidente del tribunale, che fissa, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo”[26].
Di certo vi è che, con specifico riguardo agli avvocati, un primo e considerevole ostacolo è rappresentato dall’art. 56 Cod. Deont. Forense, il quale contiene una specifica disposizione dedicata all’“ascolto del minore”, ma solo per sancire la carenza di potere di ascolto da parte dell’avvocato.
Questo risulta in contrasto con la normativa internazionale[27] e, soprattutto, con gli artt. 315-bis, 336-bis, 337-octies c.c. e 38 disp. att. c.p.c. che sanciscono il diritto del minore di 12 anni (o di età inferiore se capace di discernimento) ad essere ascoltato su tutte le questioni e nelle procedure che lo riguardano e fissano le relative modalità[28].
In assenza di certezze in materia, per il caso della n.a. familiare si sono allora prospettate varie soluzioni[29], de iure condendo: in primo luogo, la possibilità per il legislatore di prevedere l’obbligo per l’avvocato di certificare che l’accordo raggiunto rende superfluo l’ascolto perché conforme alla volontà dei figli, soluzione che è già stata seguita nella prassi e che anche il Consiglio Nazionale Forense ha suggerito. La lacuna potrebbe così essere superata «tramite un potere-dovere dei genitori di sentire i minori, informarli ed acquisire la loro opinione di cui si terrà conto nell’assetto relazionale, dandone atto nell’accordo di negoziazione» (e che contrasta, però, con il dovere di riservatezza tipico della negoziazione assistita).
In secondo luogo: ci si ispira al modello francese del procedimento di divorzio per mutuo consenso a mezzo di atto notarile con l’assistenza dell’avvocato (prefigurato dal Code Civil francese artt. 229 e 229-2), in cui i genitori informano il minore del proprio diritto all’ascolto da parte del giudice, con garanzia dei professionisti a che il minore sia stato informato di tale possibilità.
Un altro argomento collegato, che pone all’avvocato di famiglia la necessità di confrontarsi con il problema, è poi inerente alla partecipazione del figlio maggiorenne economicamente non autosufficiente alla n.a. La riforma, infatti, non prevede la partecipazione del figlio alla formazione dell’accordo tra i genitori[30], ma consente che costui possa attivarsi, in via diretta ed autonoma, per farsi riconoscere dal genitore non convivente il versamento diretto del contributo periodico in suo favore. Il che, invero, pare connaturale al dato che il figlio maggiorenne è titolare di un diritto soggettivo e come tale è legittimato a farlo valere in giudizio e, di conseguenza, anche in un procedimento alternativo come la n.a.
Ad ogni modo, la novità in esame è di particolare rilievo, giacché pone in evidenza che nella crisi della famiglia i soggetti che possono fruire della negoziazione assistita non sono più solo i genitori, ma anche i figli (purché maggiorenni e non autosufficienti).
Alla luce della normativa vigente si reputa che il figlio maggiorenne economicamente non autosufficiente non sia vincolato all’accordo di negoziazione assistita raggiunto dai genitori e che possa agire in giudizio, ovvero attivare autonomamente un procedimento di n.a. per conseguire l’erogazione diretta del mantenimento; sicché ove venga accolta la sua domanda, il genitore obbligatosi a versare l’assegno per il mantenimento del figlio all’altro coniuge in sede di negoziazione assistita potrà chiederne la modifica con una nuova convenzione di negoziazione assistita, o in via giudiziale.
2.5Il profilo più critico: l’avvocato “istruttore”
Nel contesto della negoziazione assistita in Italia, gli avvocati possono, conformemente a quanto previsto dalla convenzione di negoziazione, condurre un processo di “istruzione stragiudiziale”. Questo processo comporta una serie di attività che includono l’acquisizione di dichiarazioni di terzi relative a fatti rilevanti per la controversia e la richiesta scritta alla controparte di confermare la veridicità di fatti favorevoli e sfavorevoli all’altra parte, con il rischio di considerare tali dichiarazioni come confessioni stragiudiziali in caso di rifiuto[31].
Vale la pena notare che questa pratica non è una novità, in quanto era già stata proposta precedentemente nel contesto del disegno di legge Bonafede. La giustificazione di questa innovazione risiede nella necessità di agevolare l’acquisizione di prove prima dell’inizio del processo, consentendo alle parti coinvolte una valutazione più accurata dei potenziali esiti del procedimento e incoraggiando così soluzioni transattive.
L’attività di istruzione stragiudiziale mira anche a raccogliere elementi che possono rivelarsi utili in caso di fallimento della negoziazione assistita, da utilizzare in un futuro procedimento giudiziario, seppure sia importante notare che il giudice mantiene comunque la facoltà di avviare ulteriori indagini istruttorie se lo ritiene opportuno.
Da parte di alcuni, questa pratica ha suscitato diverse osservazioni, tutte di natura critica, e che meritano considerazione.
Il concetto in questione sembra tentare di emulare, in maniera imperfetta, il modello adottato nel sistema legale inglese. In questo schema, si richiede alle parti di collaborare con il tribunale per perseguire l’obiettivo prevalente e di cooperare tra loro[32]. Le parti e i loro avvocati, sotto la guida del giudice[33], cercano di risolvere la controversia prima di arrivare a un processo vero e proprio, allo stesso tempo rivelando elementi rilevanti per le allegazioni in fatto e le prove. In questo modo, anche se il tentativo di risoluzione tramite Alternative Dispute Resolution (ADR) fallisce, non si è perso tempo[34].
Tuttavia, il punto critico della proposta italiana è che tutto ciò si svolgerebbe al di fuori del ruolo direttivo del giudice, in una situazione come la negoziazione assistita dagli avvocati, che, nonostante le dichiarazioni di principio contenute nella legge e nella convenzione di negoziazione, di fatto assai sovente rimane palesemente avversariale. Di conseguenza, è facile immaginare con quale atteggiamento avverrebbe questa fase di istruzione stragiudiziale[35].
Inoltre, la previsione di garanzie nell’assunzione delle prove e di sanzioni penali per chi non rilascia dichiarazioni veritiere, così come la possibilità che il giudice possa rinnovare la prova nel successivo processo, sembrano insufficienti a mitigare i rischi precedentemente evidenziati. La semplice facoltà del giudice di rinnovare la prova non è invero sufficiente ad evitare abusi, poiché forse sarebbe stato necessario concedere a ciascuna parte il diritto di richiedere tale rinnovazione e contestare le prove raccolte in precedenza. E va anche considerato che anche una rinnovazione dell’assunzione delle prove potrebbe essere di scarsa utilità, poiché è probabile che il testimone sia condizionato dalle dichiarazioni rese per iscritto in quel momento. Infine, considerato l’insuccesso della disposizione sulla testimonianza scritta, che è praticamente rimasta lettera morta a causa dei rischi associati, suggerisce che la proposta in oggetto è destinata a non avere alcun impatto significativo e a rimanere inattuata.
Senza tacere che appare fondamentale dissociarsi da un disposto normativo che altera il ruolo intrinseco dell’avvocato, il quale, per definizione, agisce come difensore di parte. Il difetto principale, in questa situazione, risiede nella completa mancanza di comprensione del ruolo dell’avvocato, il quale sembra essere quasi trasformato in un ausiliario del giudice o in un soggetto neutrale, trascurando il fatto che il suo primo dovere di fedeltà e assistenza è verso il proprio assistito. Il ruolo dell’avvocato è, quindi, in tutti gli aspetti un ruolo di parte per definizione[36].
L’avvocato, nel rispetto della legge, ha il compito di difendere il suo assistito, e il diritto di difesa non può essere spinto a un punto tale da costringere la parte (qui si fa riferimento alla prospettiva della stessa e del suo avvocato) a fornire dichiarazioni ai sensi dell’articolo 2735 del codice civile. Questa circostanza, specialmente alla luce del principio “nemo se detegere tenetur”, che deriva direttamente dall’articolo 24 della Costituzione, appare notevolmente incoerente[37].
Nel contesto della negoziazione assistita, che rappresenta un metodo di composizione delle controversie autonomo e non eteronomo[38], le parti sono tenute a concentrarsi innanzitutto sulla leale collaborazione per raggiungere una soluzione amichevole della controversia (si veda il decreto-legge 132/2014, convertito in legge 162/2014). L’idea di attribuire agli avvocati il ruolo di istruttore implica, dunque, anche un allontanamento dal quadro del cosiddetto “diritto collaborativo”[39], per rientrare invece nell’ambito di una prospettiva avversariale, che non è propria di questo istituto.
Il negoziato, infatti, si svolge in un contesto non avversariale quando le parti collaborano in posizione di parità per raggiungere una soluzione vantaggiosa per entrambe, mirando a un risultato soddisfacente per tutti.
La negoziazione assistita, basata sulla cooperazione delle parti ma anche sulla trattativa condotta solo con la presenza degli avvocati e non di un “facilitatore” come il mediatore, si sviluppa in un contesto ancora più delicato, in cui è facile perdere di vista l’obiettivo collaborativo. Si può immaginare cosa potrebbe accadere se fosse introdotta anche la figura dell’avvocato istruttore in un simile contesto. Ed è di piana evidenza che, in una materia incandescente quale quella del contenzioso di famiglia, anche il solo pensare di avvalersi di simil possibilità sia, oltre che enormemente inopportuno, del tutto deleterio.
È perciò di tutta evidenza che, specialmente nelle convenzioni di n.a. di famiglia, tale opzione dovrebbe sempre essere scartata in partenza.
3.Mediazione familiare
La Riforma Cartabia, con l’introduzione del nuovo titolo IV-bis nel libro II del Codice di procedura civile, prende atto della profonda trasformazione del modello tradizionale di famiglia e individua nella mediazione familiare un valido strumento per la risoluzione della crisi familiare soprattutto per la particolare vulnerabilità emotiva dei soggetti coinvolti, capace di offrire sostegno e appoggio alla genitorialità condivisa. Risolve infine il vuoto normativo sulla figura del mediatore, professione organizzata mediante libere associazioni private riconosciute dal Ministero.
Il processo di privatizzazione dei legami familiari che segue l’evoluzione sociale di tali relazioni, in realtà, non conduce peraltro completamente all’abbandono della centralità della giurisdizione come modalità di soluzione delle controversie, ma affida un ruolo ancora più attivo al giudice della famiglia in crisi. Ciò risulta particolarmente evidente anche con riguardo alla mediazione familiare, dove l’accordo raggiunto in quella sede deve pur sempre essere suggellato dal giudice.
Nell’art. 337 ter, co. 2, c.c. si prevedeva già che il giudice dovesse prendere atto, se non contrari agli interessi dei figli, degli accordi intervenuti fra i genitori “in particolare qualora raggiunti all’esito di un percorso di mediazione familiare”[40]. Oggi, l’art. 473 bis.10 c.p.c. prevede addirittura la possibilità per il giudice di sollecitare, con espresso invito, il ricorso all’istituto. La disposizione, quindi, palesa apertis verbis la possibilità di un percorso di mediazione familiare che si svolge in parallelo al procedimento giurisdizionale e la norma sembra suggerire che tale accordo sarà maggiormente meritevole di considerazione proprio perché raggiunto in esito a detto percorso.[41]
Al di là di quanto previsto circa la possibilità per il giudice di invitare le parti alla mediazione familiare (art. 473 bis.10 c.p.c.)[42] ai fini del discorso sul ruolo dell’avvocato familiarista nelle adr, è peraltro importante rammentare che l’art. 12 bis disp. att. del c.p.c. prevede che le parti possono decidere anche spontaneamente di rivolgersi ad un mediatore familiare per ricercare una soluzione consensuale: ritorna quindi con prepotenza la necessità di una specifica formazione dell’avvocato di famiglia alle ADR di carattere negoziale.
Infatti, sebbene la mediazione familiare non costituisca mai, nell’assetto dell’attuale normativa, una sorta di condizione di procedibilità della domanda giudiziale, probabilmente l’avvocato di famiglia, proprio per lo specifico ambito in cui si trova ad intervenire, deve tenere in debita considerazione la concreta possibilità, se non l’opportunità, di suggerire questo strumento alle parti.
Da notare che già la normativa originaria del 2014 sulla negoziazione assistita prevedeva l’obbligo per gli avvocati di informare le parti di potersi avvalere dell’istituto. E, se si osservano i modelli di convenzione di negoziazione elaborati dal Consiglio Nazionale Forense in materia di famiglia, ci si avvede che oggi di tale possibilità va ben oltre il mero obbligo informativo, essendo stato addirittura previsto un modello di clausola aggiuntiva che prevede già, in sede di convenzione di negoziazione, che le parti avviino la mediazione familiare.[43] Nel quadro normativo che viene a delinearsi in argomento, emerge perciò la possibilità di affiancare questo istituto non solo al processo civile, ma anche ad altri procedimenti ADR negoziali.
Nel sistema attuale, infatti, ogni possibile accordo raggiunto in mediazione familiare, vertendo su materia indisponibile, deve ricevere una ratifica da parte del giudice, con l’unica variante del caso della mediazione familiare svolta in parallelo ad una negoziazione assistita, in cui il (più blando) controllo del pubblico ministero sull’intero accordo – che dovrebbe, nel caso, recepire quanto concordato in mediazione familiare – è sufficiente, in un contesto in cui la negoziazione permette l’accesso ai diritti anche di natura indisponibile, a fronte di un oramai evidente divieto sul contenuto ma non sull’oggetto[44] degli accordi, e con un controllo preventivo di questo processo affidato agli avvocati – che ricevono un mandato dalle parti coinvolte, circa il rispetto delle norme imperative e dell’ordine pubblico – oltre al coinvolgimento del pubblico ministero.
Anche la relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 149 evidenzia che la mediazione familiare viene considerata come un processo guidato dall’autorità giudiziaria. Questo perché la mediazione non è in grado di porre fine direttamente alle dispute, specialmente quando si tratta di risolvere i conflitti tra coniugi in crisi. In particolare, quando si tratta di decisioni riguardanti i figli, la mediazione mira poi più che altro a ricostruire e rinnovare la relazione tra le parti coinvolte, aiutandole durante la difficile transizione da una relazione affettiva interrotta al mantenimento di una relazione genitoriale.
Occorre allora domandarsi se l’invito ad intraprendere la mediazione familiare ovvero l’inserimento nella convenzione di negoziazione assistita di una clausola per la mediazione familiare, come quella suggerita dal modello elaborato dal Consiglio Nazionale Forense, abbiano semplicemente il più limitato significato di invitare le parti ad avvalersi anche di tale strumento di composizione negoziale delle controversie, con la finalità più limitata del ripristino di una modalità di comunicazione più serena ed efficiente e per favorire quindi il raggiungimento degli accordi relativi ai figli e nucleo familiare che saranno poi riversati nell’eventuale accordo di negoziazione, ovvero se la mediazione familiare possa di per sé condurre le parti al raggiungimento in quella sede di una serie di accordi.
Il tema si pone in quanto la normativa non fornisce una descrizione del ruolo specifico del mediatore familiare.
Ad avviso di chi scrive la prima interpretazione sembra da preferire, anche al fine di non creare pericolose sovrapposizioni tra il ruolo del mediatore familiare e degli avvocati che assistono le parti e negoziano nella negoziazione assistita. Nulla peraltro vieta, con l’accordo di tutte le parti e degli avvocati che li assistono, se dalla mediazione familiare dovessero scaturire ipotesi di accordo più concrete, di recepire il frutto di tale lavoro di conciliazione nel testo dell’accordo di negoziazione che sarà poi sottoposto al vaglio del pubblico ministero. Tale seconda opzione, fra l’altro, appare rispettosa dei criteri di controllo sugli accordi raggiunti in sede di mediazione familiare dal Codice di rito e dal decreto sulla negoziazione assistita e, nel contempo, rispettosa delle diverse forme di sostegno alla famiglia in crisi oggi esistenti e che portano a distinguere la mediazione familiare e il ruolo del mediatore familiare da altri istituti.[45]
Dunque, nella prospettiva del ruolo dell’avvocato di famiglia, occorrerà avere particolare attenzione e valutare la funzione specifica da attribuire al percorso di mediazione familiare che eventualmente in certe situazioni potrebbe essere opportuno consigliare alle parti di intraprendere. Emerge allora in tal senso, di nuovo, la necessità da parte dell’avvocato familiarista di rapportarsi ai procedimenti alternativi di risoluzione delle controversie con uno spirito di programmazione sulle modalità più utili per la gestione del conflitto e della lite nel caso concreto.
4.Conclusioni
La trattazione del tema del ruolo dell’avvocato familiarista nei procedimenti alternativi di risoluzione delle controversie non potrebbe infine essere completo senza un cenno anche alla possibilità, assai discussa è completamente negata in passato, di utilizzare anche l’arbitrato.
In effetti, anche nel nostro ordinamento, i tempi sono probabilmente maturi per valutare un’estensione dell’ambito applicativo di questo istituto anche alle controversie in materia di famiglia, tradizionalmente ritenute escluse in quanto inerenti rapporti e diritti di natura indisponibile.
Le suggestioni in tal senso provengono innanzitutto osservando il problema in chiave comparatistica, dove possono essere registrate svariate aperture all’applicazione dell’arbitrato in materia di famiglia, sia alla luce dei tratti caratteristici dell’istituto che lo rendono appetibile (ossia l’elemento della volontarietà, la possibilità per le parti di controllare le regole del procedimento, la celerità e la riservatezza) e lo individuano qua lo strumento flessibile e, proprio per questo, facilmente adattabile alle diverse forme che ha assunto la famiglia.
Si nota invero, quale tratto distintivo di questa tendenza, l’esigenza di un superamento dei vecchi schemi con un allargamento della nozione di arbitrabilità.
Le speculazioni teoriche che in tanti ordinamenti stranieri si stanno effettuando in argomento fanno leva in particolare su una nozione di compromettibilità in arbitri che rivede il concetto con l’intento di chiarire meglio la distinzione tra liti a contenuto patrimoniale e non patrimoniale, con la precisa finalità di favorire l’utilizzo dell’arbitrato in ogni caso di controversie a contenuto patrimoniale.
Anche il nostro Codice di procedura civile offre importanti spunti di riflessione, specialmente da quando, a seguito della novella apportata nel 2006 virgola in seno all’articolo 806 è stata operata una netta sterzata in favore della tesi che delinea l’ambito della compromette in arbitri alla luce del perimetro della natura del diritto disponibile, Con espulsione di ogni riferimento alla transigibilità della lite.
Ad oggi la disposizione utilizza poi una curiosa formulazione a contrario, secondo la quale gli arbitri possono conoscere di tutte le controversie e rispetto alla quale quelle che hanno ad oggetto i diritti indisponibili, per i quali l’arbitro l’arbitrabilità in linea generale viene considerata preclusa, rappresenta l’eccezione.
Un altro spunto di importante riflessione è poi rappresentato dalla distinzione che emerge sempre di più della differenza tra indisponibilità e imperatività di determinate disposizioni.
Tutto ciò, unitamente all’affievolimento generale della nozione di giurisdizione costitutiva necessaria in ambito di famiglia, sopra già approcciata, impone uno sforzo volto a domandarsi fino a che punto sia ancora possibile continuare ad affermare il principio di indisponibilità in relazione a tutta una serie di rapporti che interessano la crisi della famiglia e che oggi possono essere anche oggetto di un accordo redatto semplicemente con l’assistenza degli avvocati, seppure con un controllo, che peraltro si riduce ad un mero simulacro, da parte del pubblico ministero[46]: domanda, questa, che rischia di portarci però un poco fuori tema rispetto alle ADR negoziali di famiglia e che sarà oggetto di un’altra prossima trattazione.
Alla luce dell’excursus sin qui svolto, per concludere, ci si avvede allora che ciò che si rende necessario nel prossimo futuro è, soprattutto, dotare gli avvocati di una maggiore specializzazione, necessaria a seguito del nuovo ruolo decisamente assunto dai medesimi in relazione all’avvio, gestione e conclusione della composizione negoziale in seno al contenzioso di famiglia, la quale nel disegno del legislatore acquisisce un ruolo sempre più di rilievo.
Non si tratta di fornire esclusivamente un sostegno tecnico che consenta alla parte di assumere la decisione più congrua nell’interesse della coppia, aiutandola a comprendere gli obblighi assunti e che questi siano conformi alle aspettative in precedenza nutrite: l’avvocato deve svolgere un ruolo inedito, denso di responsabilità, che lo colloca in posizione centrale e, dunque, necessariamente terza nella gestione della crisi della famiglia.
A conferma di tale ruolo è non solo, some sopra detto, un dovere di informativa circa la possibilità di utilizzo di un novero ampliato di strumenti, ma il dovere del legale di perseguire l’interesse del proprio assistito fornendogli un valido aiuto per affrontare la fine del legame affettivo e tutelare i rapporti futuri, soprattutto in presenza di figli minori o maggiorenni non economicamente indipendenti, attraverso l’utilizzo di tutti gli istituti che l’ordinamento oggi prevede.
Ciò passa necessariamente attraverso una formazione specifica degli avvocati in relazione al sistema delle ADR negoziali, le quali debbono essere conosciute e studiate per poter essere correttamente utilizzate, con l’avvertenza che si tratta di strumenti assai diversi da quelli classici del diritto processuale civile, per nulla sostitutivi di quest’ultimi, ma non per questo meno efficaci, specialmente in un ambito dove il diritto arriva solo fino ad un certo punto, il contenzioso intrecciandosi a doppio filo con l’emotività e le vicende personali.
[1] Per tali aspetti si segnalano in particolare le riflessioni di Ardone – Chiarolanza, Relazioni affettive, I sentimenti nel conflitto e nella mediazione, Bologna, 2007, 66.
[2] In argomento, ex multis, si segnalano Dalmotto, Riforma Cartabia: il nuovo processo civile (II parte) – La negoziazione assistita nell’ultima riforma della giustizia civile, in Giur. it., 2023, n. 3, 736 ss.; Miccolis, Le nuove norme in tema di mediazione familiare e negoziazione assistita, in Riv. dir. proc., 2023, n. 3, 1058; Romeo, La negoziazione assistita familiare riformata: le novità in vigore dal 22 giugno 2022, in Nv. leggi civ. comm., 2023, n. 4-5, 1303 ss.; Sesta, La riforma e il diritto di famiglia. la prospettiva paidocentrica dal diritto sostanziale al diritto processuale, ivi, 1054 ss.; Nicolussi, La mediazione familiare, ivi, 1354 ss., nonché Id., La nuova disciplina giuridica della mediazione familiare, in Fam. e dir., 2022, 1016 ss.; Siciliano, sub art, 6 d.l. 12 settembre 2014, n. 132, in La riforma Cartabia del processo civile, a cura di R. Tiscini, con il coordinamento di M. Farina, Pisa, 2023, 1351 ss.; Pizzocri, Riforma processo civile: la mediazione familiare e una nuova negoziazione assistita, giugno 2022; D’Adamo, La riforma della mediazione familiare, ivi, 2022, 390 ss.; Albiero, I fatti di violenza e il processo, in C. Cecchella (a cura di), La riforma del giudice e del processo per le persone, i minori e le famiglie, Torino, 2022, 359 ss.; Fiorendi, L’identità professionale del mediatore familiare, in IlFamiliarista, 2 dicembre 2022; Rodella, Riforma del processo civile. La mediazione e una nuova negoziazione assistita, ivi, 28 giugno 2022; Rodella, Simone, Sapi, Il civilista “Il nuovo processo per le famiglie e i minori”, Milano, 2022; Sull’importanza di valorizzare, nel contesto della famiglia, strumenti alternativi di risoluzione delle controversie, come la mediazione familiare e la negoziazione assistita, cfr. Irti, Gestione condivisa della crisi familiare: dalla mediazionefamiliare alla negoziazione assistita, in Dir. fam. pers., 2016, 666 ss..
[3] Cfr., sul punto, p. 6 della relazione illustrativa al decreto delegato.
[4] Indici in tal senso si ricavano anche dal tenore della stessa relazione illustrativa al decreto delegato, laddove, a p. 63, si osserva che la mediazione familiare, soprattutto con riferimento alle ipotesi in cui si tratta di provvedimenti riguardanti i figli, “si propone come un percorso di ristrutturazione e rigenerazione della relazione tra le parti, nella difficile transizione tra la relazione affettiva e il mantenimento di quella genitoriale. È in questo quadro psicologico e comunicativo che interviene l’assistenza di un terzo professionista, il mediatore, che svolge la sua opera con strumenti che non sono puramente giuridici, in un contesto qualificato, o setting, che non faccia percepire alle parti la tensione agonistica e avversariale del processo, ma semmai rafforzi in loro la capacità comunicativa e di confronto e con essa il proposito di mettersi d’accordo. Di qui una serie di peculiarità che deve rispettare la disciplina giuridica di questo istituto, che presenta caratteristiche al contempo endoprocessuali ma anche extraprocessuali”. In particolare sulla mediazione familiare come negozio extraprocessuale avente natura conciliativa, cfr. Patti – Rossi Carleo, Provvedimenti riguardo ai figli. Art. 155-155-sexies, Bologna, 2010.
[5] Se si vuole avviare un discorso serio in punto di complementarità delle ADR negoziali rispetto al processo civile, occorre invece fare una riflessione approfondita e domandarsi se ci si vuole limitare ad uno schema di risoluzione della controversia che può essere definito «indipendente» o stand alone, ossia non in grado di modificare in alcun modo il modello su cui è costruito il processo civile, come avviene nell’attuale concezione della mediazione in materia civile e commerciale, che al più in certi casi assurge a condizione di procedibilità della domanda, ma resta sempre un momento che si celebra al di fuori del processo vero e proprio, anche nei casi limite in cui essa sia demandata dal giudice in corso di causa; ovvero se si voglia provare ad immaginare un sistema di ADR negoziali in cui ogni singola fase sia infatti pensata per lavorare in simbiosi con quella che la precede e per mantenere un’utilità in vista della fase decisoria vera e propria, per il caso di mancata conciliazione (modelli procedurali end to end).
[6] Simile al diritto collaborativo è la giurisprudenza terapeutica, che agisce in un momento anteriore rispetto ad esso: essa mira ad ampliare il ruolo dell’avvocato, prevedendo che eserciti ogni tipo di cura e abilità in proprio possesso, al fine di cercare attivamente il benessere psicologico del cliente, dei suoi diritti ed interessi legali, facendo in modo da impedire il sorgere di problematiche legali ed usando, invece, metodi creativi di risoluzione dei problemi e la loro progettazione. Cfr. Linda C., I nuovi diritti: collaborativo e terapeutico (?), 20/05/2011, http://dirittodigitale.com/tag/giurisprudenza-terapeutica/.
[7] La previsione, in sostanza, consente di esternalizzare parte dell’attività istruttoria processuale anticipandola già alla fase del negoziato. E, forse, questo spiega anche il differente trattamento fiscale per l’accordo concluso in sede di negoziazione assistita, ipotesi in cui in fondo anche lo stesso legislatore mostra così di non credere troppo. Si veda sull’argomento Siciliano, sub art, 6 d.l. 12 settembre 2014, n. 132, in La riforma Cartabia del processo civile, op. cit., p. 1359; Dalmotto, Riforma Cartabia: il nuovo processo civile (II parte) – La negoziazione assistita nell’ultima riforma della giustizia civile, op. cit., loc. cit.; Miccolis, Le nuove norme in tema di mediazione familiare e negoziazione assistita, op. cit., loc. cit..
[8] V. Quiroz Vitale, Schema per uno studio socio-giuridico della negoziazione assistita in Italia, in Soc. e dir., 2019, n. 7, 11 ss.
[9] Su tali profili, in particolare, Nicolussi, La mediazione familiare, op. cit., loc. cit.
[10] Il potere di autodeterminazione delle parti nell’ambito della risoluzione della crisi familiare si inserisce in un contesto già da tempo proteso verso una valorizzazione del ruolo dei litiganti stessi nell’ambito della controversia. Merita di essere ricordata, sotto tale profilo, la decisione espressa delle Sezioni Unite, con la quale la Suprema Corte (Cass., sez. un., 29 luglio 2021, n. 21761), ha sancito l’ammissibilità dei trasferimenti immobiliari contenuti nei provvedimenti giudiziali di separazione e divorzio, sulla base della natura dell’accordo di separazione e divorzio come il frutto di una “negoziazione globale” dei rapporti coniugali, che lo rende idoneo ad “abbracciare ogni forma di costituzione e di trasferimento di diritti patrimoniali, compiuti con o senza controprestazione, in occasione della crisi coniugale”. Nel senso di una tale valorizzazione, si veda anche Cass., 21 gennaio 2020, n. 1202.
[11] Cfr. Romeo, La composizione negoziale del conflitto familiare, in Familia, 2022, n. 5, 645 ss.
[13] La situazione odierna rappresenta il risultato di una progressiva erosione. Cfr. Sfarzo, Per una riqualificazione dei poteri sanzionatori del giudice civile come nuova ipotesi di tutela costitutiva necessaria, a contenuto oggettivo, in Judicium, 2020, n. 3, 363 ss.; Tizi, Le vie stragiudiziali alla separazione e al divorzio, in Riv. critica dir. priv., 2018, n. 2, 279 ss.; Danovi, Vie alternative per la risoluzione delle controversie di famiglia e nuove frontiere della tutela dei diritti, in Giusto proc. civ., 2016, n. 4, 1032 ss.; Id., Crisi della famiglia e giurisdizione: un progressivo distacco, in Fam. e dir., 2015, n. 11, 1043 ss.; Nascosi, La negoziazione assistita per la crisi coniugale: un nuovo sistema deflattivo?, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2015, n. 4, 1383 ss.
[14] Cfr. Cass., 14 marzo 2017, n. 20801; Id., 20 agosto 2014, n. 18066; Id., 21 agosto 2013, n. 19034.
[15] La dottrina sul tema è vastissima. Tra i tanti, si segnalano in particolare Ciccone, In tema di iter processuale da seguire in caso di mancata autorizzazione da parte del pubblico ministero dell’accordo negoziale tra i coniugi, in Foro it., 2017, n. 9, 2888 ss.; Trinchi, I limiti al potere del Presidente del Tribunale di autorizzare l’accordo di negoziazione assistita in precedenza bocciato dal p.m., in Familia, 2017, n. 4, 499 ss.; Id., Negoziazione assistita per la separazione o il divorzio: tutela dei figli minori e poteri del presidente, in Fam. e dir., 2017, n. 3, 268 ss.; Danovi, Il P.M. nella procedura di negoziazione assistita. I rapporti con il presidente del tribunale, ivi, n. 1, 69 ss.; Nascosi, I poteri del Presidente del Tribunale nell’ipotesi di diniego dell’accordo da parte del p.m. in sede di negoziazione assistita, in Nuova giur. civ. comm., 2015, nn. 7-8, 695 ss.; Ronco, Negoziazione assistita ed accordi tra i coniugi: il ruolo del p.m. e del presidente del tribunale, in Giur. it., 2015, n. 6, pp. 1400 ss.; Castellani, Il ruolo del pubblico ministero e del presidente del tribunale nella negoziazione assistita da avvocati, in Minorigiustizia, 2015, n. 2, 22 ss.
[17] “In presenza di figli minori, quando l’accordo in sede di negoziazione assistita raggiunto dai coniugi che intendono separarsi o divorziare non viene autorizzato dal P.M. perchè contrario all’interesse dei loro figli minori, nella successiva fase davanti al Presidente del Tribunale deve essere riconosciuta al giudicante piena autonomia di valutazione. L’art. 6 del D.L. n. 162/2014 conferisce al Presidente il potere di provvedere ad autorizzare l’accordo di negoziazione assistita precedentemente rifiutato del P.M., senza eccezione alcuna rispetto alle varie procedure di negoziazione menzionate nell’intestazione dell’articolo”. Cfr. trib. Torino, 13 maggio 2016; conf. trib. Termini Imerese, 24 marzo 2015, n. 340.
[18] Così andando per certi versi anche a colmare anche un vuoto di tutela normativa che caratterizzava i figli di genitori non coniugati e ponendo un rimedio anche rispetto al problema del coordinamento con le previsioni in punto di unione civile, al cui scioglimento già si poteva arrivare attraverso l’esperimento della negoziazione assistita ai sensi dell’articolo 25 della legge Cirinnà.
[19] Cfr. Cinque, Coniugio e convivenza di fatto: quali interferenze?, in Riv. dir. civ., 2023, n. 2, 236 ss.; Bartoli, Con una lezione di ermeneutica le Sezioni Unite parificano i conviventi ai coniugi, in Dir. pen. e proc., 2021, n. 8, 1078 ss.; Quadri, Diritto all’assegno di divorzio e convivenza: alla ricerca di una soluzione coerente, in Nuova giur. civ. com., 2021, n. 4, 883 ss.; V. Roppo – A.M. Benedetti, voce Famiglia. III) Famiglia di fatto, in Enc. giur. Treccani, XIV, Agg., Roma 1999, 1 s..
[20] La Suprema Corte, con la sentenza del 10 maggio 2017, n. 11504 (est. Lamorgese), ha operato un significativo cambiamento nel criterio per l’assegnazione dell’assegno di divorzio. In precedenza, la misura dell’assegno era parametrata al tenore di vita durante il matrimonio, ma la Corte ha dichiarato che questo approccio è incompatibile con la natura stessa del divorzio. Con questa decisione, si afferma che il fine dell’assegno non è mantenere il tenore di vita matrimoniale, bensì raggiungere l’indipendenza economica dell’ex coniuge. Le Sezioni Unite, successivamente, hanno mostrato un certo distacco da questo orientamento ma senza confermare completamente il revirement. Si è sottolineato che l’assegno di divorzio deve avere una funzione assistenziale e compensativa, richiedendo l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi in base a criteri come il contributo alla vita familiare e al patrimonio comune. Un’ordinanza recente della Sezione I della Corte ha riaperto la questione introducendo nuovi elementi di valutazione, mentre le Sezioni Unite sono state chiamate nuovamente a pronunciarsi su questioni che potrebbero influenzare i criteri di determinazione dell’assegno, inclusa la costituzione di una nuova famiglia da parte dell’obbligato (Ordinanza interlocutoria del 18 ottobre 2022, n. 30671). In conclusione, la giurisprudenza sembra continuare a evolversi riguardo ai criteri di assegnazione dell’assegno di divorzio, con un’attenzione crescente alla funzione assistenziale e compensativa, oltre alla valutazione delle circostanze specifiche, come la formazione di nuove famiglie. Si veda, amplius, Al mureden, Assegno divorzile e compensazione del contributo “prematrimoniale” al vaglio delle Sezioni Unite, in Fam. e dir., 2023, n. 8-9, 757 ss.; Id., Nuova convivenza e perdurante godimento dell’assegno divorzile “compensativo” tra diritto vigente e prospettive de iure condendo, ivi, 2022, 142; Barbazza, Convivenza e assegno divorzile – Evoluzione del requisito della stabilità della famiglia di fatto e ricadute sull’assegno divorzile, in Giur. it., 2022, n. 7, 1566 ss.; Quadri, Assegno di divorzio e convivenza: le Sezioni Unite si impegnano nella ricerca di una soluzione coerente, in Nuova giur. civ. comm., 2021, I, 1390 ss.; Bianca, Le Sezioni Unitesuassegno divorzile e convivenza di fatto. La funzione esclusivamente compensativa e i persistenti margini di incertezza sulla determinazione dell’assegno di divorzio, in Giustiziainsieme, 21 dicembre 2021.
[21] Il diritto agli alimenti era reputato indisponibile in quanto diritto complementare a quelli della personalità perché strumentale alla tutela della vita umana: Carresi, La transazione, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da Vassalli, IX, t. III, Torino, 1966, cit., 144-145; Santoro-Passarelli, La transazione, Napoli, 1975, 122 ss.; Valsecchi, Il giuoco e la scommessa, La transazione, Milano, 1986, 323 ss. Provera, Degli alimenti, in Commentario del codice civile a cura di Scialoja e Branca, artt. 433-448, Bologna-Roma, 1972, 165. Il principio della natura indisponibile del diritto agli alimento era tradizionalmente ribadito anche in giurisprudenza: cfr. Cass. 20 aprile 1942, n. 1081, in Mass. Foro it.; Cass. 18 ottobre 1955, n. 3255, ibidem, 1955.
[22] Il riferimento è in particolare a quella disclosure patrimoniale, che si impone alle parti a pena di inammissibilità della domanda (“è inammissibile il ricorso in materia di minori e di famiglia introdotto dopo il 1° marzo 2023 privo dei requisiti di contenuto di cui all’art. 473-bis.12, co. 1, lett. f), e 2, c.p.c., oltre a non essere corredato dalla documentazione richiesta dall’art. 473-bis.12, co. 3 e 4, c.p.c.”, Trib. Verona, 16 marzo 2023) tutte volte in cui siano state avanzate richieste di carattere economico ovvero in presenza di figli minore, maggiorenni non economicamente autosufficiente o portatori di handicap grave (cfr. l’art. 473-bis.12 c.p.c.). cfr. Rimini, Il dovere delle parti di rendere informazioni sulle proprie condizioni economiche: il modello ambrosiano, in Fam. e dir., 2023, n. 11, 1004 ss.; Cecchella, Minori e Famiglia: inammissibile l’atto introduttivo privo delle regole dettate dalla Riforma Cartabia, in Quot. Giur., 14.4.2023; De Filippis, Il Nuovo diritto di Famiglia dopo la riforma Cartabia, Vicenza, 2023, 46; Tommaseo, Nuove regole per i giudizi di separazione e divorzio, in Fam. e dir., 2023, n. 3 3, 288.
[23] Ad es. le linee guida del Tribunale di Bergamo enunciano per i procedimenti consensuali: “Non è richiesta la produzione della documentazione relativa alle disponibilità reddituali e patrimoniali dell’ultimo triennio e degli oneri a carico delle Parti, né del piano genitoriale, ma è sufficiente la relativa indicazione delle predette disponibilità e oneri (intesi come spese fisse gravanti su ciascuna delle Parti: canoni di locazione, mutui, finanziamenti…) preferibilmente nel corpo del Ricorso, come richiesto dall’art. 473-bis.51 cpc, salva sempre la possibilità per il Giudice, nell’ambito delle valutazioni, anche di congruità, che allo stesso competono a tutela dei soggetti deboli e dei diritti indisponibili, di richiedere alle Parti la produzione della documentazione di cui all’art. 473-bis.12 comma 3 (ossia, le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni, la documentazione attestante la titolarità di diritti reali su beni immobili e beni mobili registrati, nonché di quote sociali e gli estratti conto dei rapporti bancari e finanziari relativi agli ultimi tre anni). Nei casi in cui la norma prevede, o il Giudice ordina, la produzione degli estratti conto dei rapporti bancari o finanziari degli ultimi 3 anni, è richiesta la produzione degli estratti conto integrali, con indicazione per ciascuna annualità della relativa giacenza media”.
[24] La liquidazione dell’assegno divorzile in un’unica soluzione, conosciuta come “una tantum divorzile”, era inizialmente dubbia nei casi di negoziazione assistita. Ciò era dovuto al fatto che l’articolo 5, comma 8, della legge n. 898/1970 (modificato dalla legge n.74/1987) stabilisce che l’accordo tra i coniugi sull’assolvimento dell’obbligo patrimoniale poteva avvenire in questa modalità solo al termine del cosiddetto “controllo di equità” da parte del giudice. Tuttavia, nella negoziazione assistita, in cui mancava la presenza del giudice, si poneva il problema dell’organo deputato ad esercitare il controllo richiesto dalla legge. La riforma ha introdotto una modifica a questo sistema, prevedendo che, nel contesto della convenzione di negoziazione assistita, il giudizio di congruità sia effettuato dai difensori delle parti, con la certificazione dell’accordo raggiunto tra le stesse. In altre parole, i difensori hanno il compito di esercitare il controllo di equità al posto del giudice, certificando l’accordo delle parti riguardo alla liquidazione dell’assegno divorzile in un’unica soluzione.
I.A.1.a.1. [25] Sul tema dell’ascolto del minore nel contesto della riforma Cartabia e della negoziazione si segnalano Barbazza, Negoziazione: alla prova dei fatti le regole sull’ascolto del minore (D.lgs 10 ottobre 2022 n. 149), in Guida al dir., 2023, n. 8, 88 ss.; De Cristofaro, Il diritto del minore capace di discernimento di esprimere le sue opinioni e il c.d. ascolto fra c.p.c. riformato, convenzioni internazionali e diritto UE, in Familia, 2023, n. 3, 363 ss.; Tarricone, L’ascolto del minore è garanzia di effettività della tutela giurisdizionale (Cassazione Civile, Sez. I, 20 maggio 2022, n. 16340) , in Fam. e dir., 2023, n. 1, 27 ss.; Bruno, Negoziazione assistita: spetta al Pm l’attivazione dell’ascolto del minore (D.lgs 10 ottobre 2022 n. 149), in Guida al dir., 2023, n. 9, 66 ss.; Arceri, Il minore nel nuovo processo familiare: le regole sull’ascolto e la rappresentanza, inFam. e dir., 2022, n. 4, 380 ss.; Cecchella, I diritti del minore nel processo italiano, tra difesa tecnica e ascolto, ivi, 2022, n. 2, 169 ss.
[27] Si vedano L’art. 3 della Convenzione ONU del 1989 sui diritti del fanciullo; l’art. 1, § 1, della Convenzione di Strasburgo del 1996 sull’esercizio dei diritti dei minori, l’oggetto della quale “è promuovere, nell’interesse superiore dei minori, i loro diritti […]”. Ancora, l’art. 24, § 2, della Carta di Nizza: “In tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente”; l’art. 23 lett. a) del Reg. Bruxelles II-bis, in tema di circolazione delle decisioni in ambito europeo, che esclude il riconoscimento delle decisioni relative alla responsabilità genitoriale “se, tenuto conto dell’interesse superiore del minore, il riconoscimento è manifestamente contrario all’ordine pubblico dello Stato membro richiesto”. Sull’argomento si veda Lombardi, Il «mancato» ascolto del minore nelle procedure di separazione e divorzio su accordo dei genitori: una discrasia tra fonti sovranazionali e fonti interne?, in Giusto proc. civ., 2020, n. 2, 461 ss.
[28] In argomento si segnala, da ultimo, Cass., 31 maggio 2023, n. 15383, “In materia di affidamento del minore, l’ascolto “indiretto” dello stesso operato su delega del giudice da parte dell’esperto nominato ai sensi dell’art. 336-bis, c.c., non è mai questione terminologica, ma di metodo. La libera e consapevole partecipazione del minore al procedimento è, dunque, rispettata attraverso l’ascolto del primo che può essere realizzato in quanto sostenuto dalla professionalità dell’esperto nominato che vi proceda e dall’utilizzo che questi faccia, nella redatta relazione, di categorie nominalistiche destinate a definire, tecnicamente, le attività svolte in esecuzione dell’incarico peritale, senza che l’incombente formale demandato dal giudice possa dirsi, al contrario, inosservato solo ed in quanto manchi nel conferimento dell’incarico un’espressa delega all’ascolto. È, dunque, inammissibile il motivo di ricorso per cassazione ove il minore sia stata sentito in occasione di ben tre consulenze tecniche d’ufficio espletate, proprio sulle questioni relative al thema decidendi, tanto che le sue dichiarazioni risultano trascritte in atti, ed il ricorrente non abbia indicato le ragioni specifiche della necessità di una nuova audizione diretta da parte del giudice, limitandosi a presentare una istanza del tutto generica al riguardo”.
[29] Proprio la necessità dell’ascolto del minore in sede di negoziazione assistita ha comportato la modifica dell’art. 6, comma 2, d.l. 132/2014, nel senso però di affidare tale compito al p.m.: l’ascolto del soggetto minore di età capace di discernimento non era inizialmente contemplato nel testo di legge della Riforma. Questa disposizione è però stata introdotta successivamente durante la formulazione dei decreti delegati, precisamente all’articolo 29, comma 5, del decreto legislativo 149/2022. Secondo questa norma, il pubblico ministero deve trasmettere l’accordo raggiunto dalle parti al presidente del tribunale entro cinque giorni, nel caso in cui ritenga che l’accordo non rispecchi l’interesse del minore o, appunto, quando ritenga opportuno procedere al suo ascolto. Il presidente del tribunale, a sua volta, condurrà l’ascolto diretto del minore secondo le consuete regole.V. LOMBARDI,. La negoziazione assistita nella riforma della giustizia della famiglia, in Dir. fam. e pers., 2022, 329-332.
[30] Si veda infatti nell’ambito della giurisprudenza di merito la decisione del Tribunale di Torino, 20 aprile 2015, secondo la quale “In materia di negoziazione assistita delle controversie tra coniugi di cui alla legge n. 162 del 2014, il P.M. non può concedere l’autorizzazione richiesta ove rilevi che l’accordo sottoposto alla sua attenzione è stato sottoscritto anche dal figlio maggiorenne non autosufficiente creditore dell’assegno di mantenimento, non prevedendo la legge citata la possibilità di accordi trilaterali: tuttavia, nella successiva fase davanti al Presidente, i coniugi possono modificare l’accordo escludendo la partecipazione del figlio e ottenere così, verificati positivamente gli altri presupposti, l’autorizzazione direttamente dal giudice”.
[31] “La finalità principale delle disposizioni che consentono alle parti di svolgere attività istruttoria nell’ambito della negoziazione assistita è di metterle in condizione di acquisire tutti gli elementi che possono condurre, nel miglior modo, alla composizione della lite. I criteri di delega prevedono anche che tale attività istruttoria possa essere utilizzata in giudizio, ma si deve evidenziare che tale possibilità non costituisce lo scopo principale dell’innovazione in tema di istruttoria nelle procedure di negoziazione”. Cfr. p. 153 della relazione illustrativa al decreto delegato, in relazione agli artt. 4-bis e 4-ter, di nuovo conio nell’ambito della disciplina della negoziazione assistita. Cfr. Dalmotto, Riforma Cartabia: il nuovo processo civile (II parte) – La negoziazione assistita nell’ultima riforma della giustizia civile, op. cit., loc. cit.; Miccolis, Le nuove norme in tema di mediazione familiare e negoziazione assistita, op. cit., loc. cit.; Romeo, La negoziazione assistita familiare riformata: le novità in vigore dal 22 giugno 2022, op. cit., loc. cit..
[32] È lo schema che emerge dalla riforma inglese del 1998, su cui v. AA.VV., Reform of Civil Procedure, Essays on Access to Justice, a cura di Zuckerman e Cranston, Oxford, 1995 ed in particolare il contributo di Flanders, Case management: Failure in America? Succes in England and Wales, in Civil Justice Quarterly, 1998, 308 ss.; Michalik, Justice in Crisis: England and Wales, in AA.VV., Civil justice in crisis, a cura di Zuckerman, Oxford, 1999, 152 ss.; Jolowicz, On civil procedure, Cambridge, 2000, spec. cap. 8, par. 18, Reform of English civil procedure: a derogation from adversary system?, 373 ss.; Zuckerman, Lord Woolf’s Access to Justice: Plus ça change…, in Modern Law Review, 1996, 775 ss.; Id., Court control and party compliance. The quest for effective litigation management, in AA.VV., The reforms of Civil procedure in comparative perspective, a cura di Trocker e Varano,Torino, 2005, 143 ss.; Andrew, The new English procedure rules, in AA.VV., European Traditions in Civil procedure, a cura di Van Rhee, cit., 161 ss. Tra i contributi in italiano, v. anche Crifò, La riforma del processo civile in in Inghilterra, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2000, 517 ss.; Oberto, I procedimenti semplificati ed accelerati nell’esperienza tedesca ed in quella inglese (II), in Corriere Giur., 2002, 1519 ss.
[33] Funzionale al raggiungimento di tali obiettivi è il case management, ossia la gestione del processo da parte del giudice, ed ancor prima delle stesse parti, strutturata in modo tale da incoraggiare in dal principio lo scambio di informazioni e documenti rilevanti, ossia atti ad individuare subito e con chiarezza quali sono le questioni centrali attorno a cui ruota la controversia. In tale contesto, si inserisce poi un ampio spazio per le procedure a.d.r., con l’evidente finalità di incoraggiare le parti a definire la lite amichevolmente ed al di fuori dell’ambito strettamente giudiziario. Il sistema mette così in atto una serie di meccanismi votati ad evitare per quanto possibile che la controversia arrivi a transitare in tribunale e, una volta acclarato che ciò sia inevitabile, a far sì che questo avvenga con una gestione rapida ed efficiente del giudizio, in quanto le liti se possibile devono essere risolte prima di arrivare in tribunale: così Lord Woolf, Access to Justice, Final Report, § 10 ed Id., Access to Justice, Interim Report to the Lord Chancellor in Civil Justice System in England and Wales, London, 1995, passim, entrambi in http://www.dca.gov.uk/civil/final/index.htm.Cfr. Andrews, English Civil Procedure, Fundamentals of the New Civil Justice System, Oxford, 2003, 7 ss.
[34] Cfr. Lord Briggs, Chancery Modernisation Review: Final Report, 2013, 66, consultabile all’indirizzo internet https://www.judiciary.gov.uk/wp-content/uploads/JCO/Documents/CMR/cmr-final-report-dec2013.pdf, 66, in cui è chiaramente enunciato che “The court has, nonetheless, contributed to the successful outcome of ADR (in its widest sense) in three crucial respects. First, the steady management of a case towards trial has provided a deadline for the parties’ own attempts to resolve their dispute, before resolution is taken out of their hands and completed by the trial Judge. Secondly, the remorseless increase in the costs burden of litigation towards trial has acted as a spur to ADR. Thirdly, and most importantly, the prospect of a thorough, fair, just and timely trial by a judge skilled and experienced in the relevant subject matter has been a main contributor to the justice of out of court settlements, because of the opportunity afforded to a party to obtain practicable justice if their opponent’s settlement offer is inadequate, oppressive, unjust or unfair”.
[35] Il rischio è stato ben evidenziato anche da Boccagna – Consolo, Quale delega per la ulteriore riforma (specie, ma non solo, del tanto smagliato) libro II del codice di rito?, in Corriere Giur., 2019, cit., il quale esprime anche dubbi in relazione al costume di certi avvocati, che integra poi una delle ragioni che hanno decretato il fallimento della testimonianza scritta: “L’idea di una fase pre-trial, recte ante iudicium (noi il trial non lo abbiamo), da destinare all’assunzione della prova testimoniale nonché di eventuali (per vero alquanto improbabili) dichiarazioni confessorie delle parti appare in astratto in grado realizzare un alleggerimento della fase apud iudicem e dunque una riduzione dei tempi processuali (su questa strada si incammina infatti, con ancora maggiore decisione, pure la proposta del gruppo propositivo
fiorentino cui si accennava in apertura). Essa però non pare al tempo stesso immune da rischi, correlati all’assenza del giudice nella delicatissima fase di assunzione e verbalizzazione della testimonianza, atteso il vacillante costume di troppi avvocati”. Si tratta di una delle possibili letture circa le tante perplessità che contornano la proposta, quella che pone un atteggiamento di preoccupata sfiducia verso non tutta, ma almeno certa avvocatura. Anche a voler mantenere un atteggiamento di apertura verso il compito affidato agli avvocati, come si vedrà nel prosieguo, nel testo, militano comunque numerose ragioni a sfavore della soluzione delineata nella bozza di ddl.
[36] E, altresì, “Sia dunque bocciata l’idea dell’avvocato istruttore, e non si facciano tentare gli avvocati dal punto 4 dell’art. 2 circa l’ipotesi di “una maggiorazione del compenso” da elargire in quei casi, poiché senz’altro questo aumento del compenso non ci sarà, e ogni possibile, presunta maggiorazione di compenso (il termine onorario è sparito) dovuto all’attività di istruttoria stragiudiziale, sarà evidentemente compensata con la diminuzione del medesimo compenso dovuto alla consequenziale ridotta attività istruttoria giudiziale”: così Scarselli, Note critiche sul disegno di legge delega di riforma del processo civile approvato dal Consiglio dei Ministri in data 5 dicembre 2019, loc. ult. cit.
[37] Si tratta di una pallida e confusa imitazione del sistema tedesco e, pure se in modo diverso, di quello austriaco. Il procedimento tedesco ed anche a quello austriaco sono infatti legati all’obbligo, imposto alle parti, di presentare i fatti di causa in modo veritiero ed esaustivo, mentre il nostro sistema all’opposto di non obbliga la parte a dire la verità: cfr. Calamandrei, Parere della facoltà di giurisprudenza a S.E. il ministro della giustizia sul progetto preliminare del codice di procedura civile, Firenze, 1937, 98-103; Mandrioli, Dei doveri delle parti e dei loro difensori, Commentario Allorio, Torino, 1973, I, 960. Essa va in ogni caso correttamente intesa, poiché anche in quel contesto l’obbligo per le parti di dire la verità va concepito semplicemente come divieto di effettuare affermazioni in malafede. Presentare i fatti in modo veritiero significa allora non dichiarare nulla in malafede, tenendo presente che la nozione di verità va poi intesa anche secondo la percezione che di essa abbia la parte e non necessariamente in senso oggettivo. In tal senso, dunque, non ci si deve sorprendere se le parti abbiano una visione dei medesimi fatti di causa fra loro divergente, poiché ciò è conseguenza fisiologica del conflitto in essere; ciò che si pretende è soltanto che ciascuna parte presenti la propria “verità soggettiva” in modo semplice ed onesto, sapendo che in difetto incorrerà in alcune spiacevoli conseguenze. La prima di queste, ovviamente, è una deleteria perdita di credibilità agli occhi del giudice, il quale anche nei sistemi tedesco ed austriaco in linea di principio valuta le risultanze istruttorie secondo il proprio libero convincimento, oltre a prendere in esame, ai fini della propria decisione, anche il comportamento delle parti in corso di causa: cfr. § 286 ZPO tedesca e § 272 ZPO austriaca. La seconda e, forse, più tangibile conseguenza consiste invece nella possibilità che sia comminata dal giudice una sanzione pecuniaria, sotto forma di condanna a dover sopportare determinate spese processuali (cfr. §§ 44 e 48 ZPO austriaca. Per la ZPO tedesca, v. invece § 38 GKG; in dottrina v. Leipold, § 138 Rn. 17, in AA.VV., Kommentar zur Zivilprozessordnung, cit.) od anche a titolo di pura e semplice sanzione economica: cfr. §§ 220 e 313 ZPO austriaca.
[38] La differenza tra metodi eteronomi ed autonomi di risoluzione delle controversie è ben spiegata da, Luiso, La conciliazione nel quadro della tutela dei diritti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2004, 1201 ss.; Id. Il modello italiano di mediazione. Il ”giusto” procedimento di mediazione (contraddittorio, riservatezza, difesa, proposta), in Giur. t., 2012, 1, 213 ss.; Bove, La conciliazione nel sistema dei mezzi di risoluzione delle controversie civili, in www.judicium.it; Id., La riforma in materia di conciliazione tra delega e decreto legislativo, in www.judicium.it.
[39] E, tra l’altro, con l’aggravante che “non avversariale” già di per sè non significa necessariamente non contenzioso. Esiste, anzi, un certo dibattito, su tale profilo, anche nella letteratura straniera: cfr. Goldberg, Playing Hardball, in A.B.A. J. 48 (July 1, 1987); Sayler, Rambo Litigation: Why Hardball Tactics Don’t Work, in A.B.A. J. 79 (March 1, 1988).
[40] Sul punto cfr. in particolare Nicolussi, La mediazione familiare, op. cit., loc. cit.; Danovi, Criteri ispiratori, principi e caratteri del nuovo procedimento familiare, in Fam. e dir., 2023, n. 11, 907 ss.
[41] Noviello, La mediazione familiare nella riforma, in La Riforma del giudice e del processo per le persone, i minori e le famiglie legge 26 novembre 2021 n. 206, Torino, 2022; Perago – Albanese, Finalità e caratteristiche della mediazione familiare “riformata”, in www.judicium.it.
[42] Troiano, La Riforma “Cartabia”: osservazioni di un civilista, in Fam. e dir., 2023, n. 11, 932 ss.; Sesta, La riforma e il diritto di famiglia. la prospettiva paidocentrica dal diritto sostanziale al diritto processuale, op. cit., loc. cit.; Irti, L’esclusione della mediazione, in Nuove leggi civ. com., 2023, nn. 4-5, 1278; Ferlin, Elevata conflittualità: Coge o servizi sociali. T. Como, 5.6.2023 su https://www.osservatoriofamiglia.it in data 26.6.2023; De Cristofaro, Le modificazioni apportate al codice civile dal decreto legislativo attuativo della “Legge Cartabia” (D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149). Profili problematici delle novità introdotte nella disciplina delle relazioni familiari, ivi, 2022, n. 6, 1407 ss.Inizio moduloFine modulo; Nicolussi, La mediazione familiare, op. ult. cit.; Ficcarelli, L’invito alla mediazione cap. VII, in La Riforma, Giapparelli, 2022; Noviello, La mediazione familiare nella riforma, in La Riforma del giudice e del processo per le persone, i minori e le famiglie legge 26 novembre 2021 n. 206, Giappicchelli, 2022;Rodella, Pizzocri in Riforma processo civile: la mediazione familiare e una nuova negoziazione assistita, su IUS, 28.6.2022
[43][Clausola aggiuntiva per una eventuale mediazione familiare Le parti preliminarmente avvieranno un percorso di mediazione familiare affidandosi a ________________________, scelto/a di comune accordo, a conclusione del quale entro il termine stabilito per la definizione della procedura, si incontreranno al fine di confrontarsi sulle rispettive posizioni e richieste, nell’ottica di una conciliazione della vicenda. Ove in mediazione non fosse raggiunto un accordo e non risulti palese l’impossibilità di un’intesa, si svolgeranno ulteriori incontri finalizzati ad approfondire il confronto personale onde verificare la possibilità di una conciliazione ovvero l’impossibilità definitiva della soluzione consensuale.]
[44] Cecchella, La negoziazione dei diritti del minore, cit., 149.
[45] Cfr. Ferlin, Sub art. 473 bis.10 c.p.c., in Sistema Leggi D’Italia: “La mediazione familiare non va confusa con altre forme di intervento per le famiglie, come la CTU, la coordinazione genitore e la psicoterapia. Ai sensi dell’art. 33 della norma tecnica UNI 11644 2016 si ricorda che “non rientra nei compiti del mediatore familiare formulare giudizi, diagnosi, consulenze legali, pedagogiche o psicologiche” …. Id., ibidem: “la mediazione è percorso volontario pensato per le coppie in vista o in seguito alla separazione o ad un divorzio che intendono riaprire un canale comunicativo per la riorganizzazione delle relazioni familiari. La coppia, aiutata da una figura terza, neutrale, riservata, il mediatore, soggetto imparziale e a-giudiziale, nella garanzia del segreto professionale, elabora in prima persona un percorso soddisfacente per tutti, dove gli accordi che si raggiungono durante gli incontri vengono co-costruiti e condivisi, acquistando maggiore efficacia nel tempo. L’obiettivo è quello di promuovere e facilitare l’autodeterminazione delle parti per agevolare il raggiungimento di accordi e soluzioni condivise e durevoli che soddisfino i bisogni di tutti i componenti della famiglia, mantenendo al centro i figli”.
[46] Proprio nell’ambito di tale linea di tendenza, sono stata reclutata nell’ambito di un progetto promosso da Arbitrando – Associazione per l’arbitrato in collaborazione con l’Associazione Italiana per l’Arbitrato e con la Camera Arbitrale di Milano, e che abbiamo avuto il piacere di presentare nel corso di un evento – tavola rotonda che si è tenuto proprio a Bergamo il 30 maggio scorso e che ha visto anche svariati ulteriori eventi in giro per l’Italia (Milano, Roma, Napoli e Firenze), con la partecipazione di molti altri illustri accademici, magistrati e professionisti.