Le disposizioni generali in materia di chiarezza e sinteticità degli atti processuali nella riforma Cartabia

Di Francesca De Giorgis -

Sommario: 1. Premessa – 2. Il novellato art. 121 c.p.c. e l’ingresso dei principi di chiarezza e di sinteticità nel codice di rito – 3. (Segue) Dilemmi interpretativi – 4. Il novellato art. 46 disp. att. c.p.c. e i «limiti degli atti processuali» – 5. (Segue) Gli «schemi informatici degli atti giudiziari» e i «campi necessari per l’inserimento delle informazioni nei registri del processo» – 6. (Segue) Le sanzioni per gli atti di parte non conformi alle prescrizioni – 7. (Segue) I «criteri» redazionali dei provvedimenti del giudice – 8. Considerazioni conclusive

1. Il legislatore della riforma Cartabia è intervenuto in materia di chiarezza e sinteticità degli atti processuali sia con disposizioni di carattere generale sia con disposizioni relative a singoli atti del processo: le prime hanno trovato spazio negli artt. 121 c.p.c. e 46 disp. att. c.p.c.; le seconde sono state plasmate mediante l’interpolazione di previgenti norme o l’aggiunta di nuove norme disciplinanti i contenuti di specifici scritti processuali[1].

2. Volendo concentrarsi sulle previsioni generali, pare opportuno prendere le mosse dal novellato art. 121 c.p.c.[2].

Nella rubrica, dopo la primigenia – e sempre rassicurante – dicitura «Libertà di forme», sono state aggiunte le parole «Chiarezza e sinteticità degli atti». Al contempo, nell’unico comma, all’immutata indicazione che «Gli atti del processo, per i quali la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo» è stata affiancata la precisazione che «Tutti gli atti del processo sono redatti in modo chiaro e sintetico»[3].

Veicolato dalla nuova formulazione, ha così fatto ingresso nel codice di procedura civile, con portata generale, quello che si sente spesso definire come «principio di chiarezza e sinteticità» degli atti processuali, oggi indubbiamente valevole tanto per gli atti di parte quanto per gli atti del giudice[4]. Un inserimento volto, nelle intenzioni dei conditores, ad accelerare i tempi della giustizia, a facilitare lo studio dei fascicoli ad opera del giudice (e degli addetti all’Ufficio per il Processo che lo coadiuvano), a incentivare la collaborazione tra le parti, e tra le parti e l’organo giudicante.

Già in passato molti consideravano il principio in parola applicabile a ogni procedimento civile, benché non vi fossero espliciti dettami normativi in tal senso[5]. La chiarezza era ritenuta un elemento chiave per il pieno esplicarsi del contraddittorio, per uno scrutinio snello degli atti, per una risposta giurisdizionale rapida e di qualità; un tassello fondamentale, in definitiva, del «giusto processo» garantito dall’art. 111, comma 1°, Cost.[6]. Della sinteticità si predicava l’applicabilità generale[7] traendo spunto: (i) per un verso, dall’art. 3, comma 2, c.p.a., che impone la redazione chiara e sintetica degli atti[8]; (ii) per altro verso, dall’art. 16-bis, comma 9-octies, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 (oggi abrogato), che prescriveva che gli atti e i provvedimenti depositati telematicamente fossero redatti in maniera sintetica[9]. Simili sforzi interpretativi erano, poi, fiancheggiati da strumenti di soft law che miravano a obiettivi analoghi (basti citare il noto «Protocollo d’intesa tra la Corte di Cassazione e il Consiglio Nazionale Forense in merito alle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia civile e tributaria», datato 17 dicembre 2015[10])[11]. Non stupisce, allora, che nella Relazione illustrativa al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, si affermi che i canoni di chiarezza e sinteticità sono «immanenti nel processo civile»[12].

3. Bisogna cercare di intendersi sul significato della nuova prescrizione.

Per parecchio tempo, la Corte di Cassazione ha trattato sinteticità e chiarezza come fossero un’endiadi, quasi che, una volta raggiunta la prima, la seconda seguisse in automatico[13]. Eppure le due caratteristiche non vanno necessariamente di pari passo: una concisione eccessiva potrebbe pregiudicare l’intelligibilità di un testo, mentre un’esposizione più approfondita potrebbe aiutare il lettore nella comprensione[14]. Credo, dunque, che sia più corretto tenere i due concetti distinti e che sia meglio parlare (non di principio, ma) di principi di chiarezza e di sinteticità, tra loro autonomi, seppur connessi.

La chiarezza si ricollega alla comprensibilità dello scritto[15]. Su questo non paiono esservi opinioni divergenti ed è incontestabile che essa debba essere assicurata da tutti coloro che redigono atti processuali.

Per converso, al concetto di sinteticità possono essere ricondotti due significati diversi. La sinteticità può essere, anzitutto, intesa come canone di contenuto dell’atto, nel senso di non ridondanza dello stesso: è così sintetico quel testo «che dice tutto, nel minor numero possibile di parole»[16]. In questa accezione, vi è un’imprescindibile proporzione tra molteplicità e complessità delle questioni da affrontare e ampiezza dello scritto: più sono complicate la quaestio facti e la quaestio iuris, più è articolata l’argomentazione, senza che ciò pregiudichi la concisione dell’atto[17]. In alternativa, la sinteticità può essere agganciata alle dimensioni del testo e si può sostenere che un atto che sfori determinati limiti sia per ciò solo prolisso[18].

Naturalmente, la scelta dell’una o dell’altra lettura presenta rilevanti implicazioni.

Se si interpreta la sinteticità come non ridondanza, essa diviene un canone relativo e intrinsecamente modulabile, capace di adattarsi alla complessità fattuale e giuridica che le parti, prima, e gli operatori del processo, poi, si trovano a fronteggiare, e al contempo inidoneo a comprimere indebitamente i diritti di azione e difesa delle parti[19], o gli obblighi motivazionali dei giudici: tutte le questioni che devono essere trattate possono essere trattate, a patto che siano esposte con stile asciutto e senza ripetizioni. Al contrario, se la sinteticità viene intesa come criterio dimensionale, essa rischia di tramutarsi in un canone assoluto e rigido, in grado di pregiudicare l’effettività della tutela giurisdizionale.

Personalmente, credo che la prima concezione sia da prediligere.

Si guardi agli atti di parte. La seria difficoltà – e, in alcuni casi, l’impossibilità – di contenere le tesi difensive in un numero ristretto di pagine (in violazione della sinteticità quale parametro quantitativo) è talvolta ascrivibile allo stesso diritto processuale civile, come dettato dal legislatore o come interpretato dalla giurisprudenza. Sono, infatti, da annoverare tra i fattori che dilatano gli scritti di parte: (i) le preclusioni di cui sono costellati i nostri procedimenti, anche nelle fasi di impugnazione; (ii) l’onere di contestazione specifica delle allegazioni avversarie; (iii) la tendenza giurisprudenziale a estendere il più possibile l’oggetto del giudizio e del giudicato, che induce i difensori a prendere posizione anche su questioni che in un’altra epoca sarebbero passate sotto silenzio; (iv) l’applicazione irragionevole del principio di autosufficienza, che porta gli avvocati a trascrivere porzioni di atti e documenti per non incorrere in declaratorie di inammissibilità del ricorso per cassazione; (v) l’onere di censurare tutte le rationes decidendi che sorreggano la decisione del giudice inferiore, onde evitare l’inammissibilità della relativa impugnazione. E l’elenco potrebbe continuare[20].

In altra prospettiva, quel che viene tacciato come sovradimensionamento redazionale può dipendere dall’atteggiamento della controparte: se le allegazioni fattuali attoree si snodano per decine e decine di pagine, le contestazioni del convenuto inevitabilmente si allungano; se una parte propone molteplici istanze istruttorie e formula innumerevoli capitoli di prova, le repliche dell’altra divengono giocoforza corpose; se nella comparsa conclusionale vengono citate dozzine di sentenze (apparentemente) favorevoli a una parte, un’estesa sezione della memoria di replica avversaria viene dedicata a illustrare perché esse siano inconferenti, inapplicabili o erroneamente intese[21].

Ancora, ben può accadere – e sovente accade – che la res litigiosa non si presti a essere descritta in poche parole. La mente corre, per limitarsi ad alcuni esempi (non certo di scuola, ma frequenti nelle aule di giustizia): alle azioni sociali di responsabilità in cui si debba dar conto di svariati atti di mala gestio perpetrati dall’organo gestorio, accoppiati ad altrettante omissioni di vigilanza da parte dell’organo di controllo; alle azioni di contraffazione con cui si reagisce a ripetute violazioni di privative industriali, che abitualmente necessitano di imponenti spiegazioni tecniche; alle azioni di risarcimento dei danni sofferti a causa di intese anticoncorrenziali di durata pluriennale, spesso intercorse tra un numero considerevole di imprese.

Ebbene, imporre una sinteticità di tipo quantitativo significa costringere i difensori a rinunciare alle deduzioni che non riescano a «incastrare» entro la soglia concessa, con tutte le conseguenze processuali che da ciò derivano, sistematicamente pregiudizievoli per i loro assistiti. Che si possa dubitare della legittimità di un simile canone, idoneo a minare l’esaustività di allegazioni, prove e argomentazioni a supporto dell’attacco e della difesa processuale, è più che lecito[22].

E l’interpretazione della sinteticità quale parametro dimensionale presenta criticità di analogo tenore anche se rapportata agli atti del giudice. Qualsiasi tentativo di imbrigliare i provvedimenti giurisdizionali entro un numero predeterminato di caratteri sarebbe non solo irragionevole, atteso che la loro lunghezza dipende in larga misura dalla quantità e dalla complessità delle questioni controverse, ma anche incostituzionale, perché lesivo della completezza della motivazione richiesta dall’art. 111, comma 6°, Cost.

Appare, quindi, preferibile intendere la sinteticità come concetto di relazione – tra pluralità/complessità delle questioni da affrontare e ampiezza dell’atto – piuttosto che come concetto numerico assoluto.

4. Purtroppo il legislatore non sembra pensarla allo stesso modo.

L’art. 46 disp. att. c.p.c., ora rubricato «Forma e criteri di redazione degli atti giudiziari», al nuovo quinto comma dispone che il Ministro della giustizia, sentiti il Consiglio superiore della magistratura e il Consiglio nazionale forense, stabilisce con decreto «i limiti degli atti processuali, tenendo conto della tipologia, del valore, della complessità della controversia, del numero delle parti e della natura degli interessi coinvolti»[23].

Benché non sia espressamente chiarito, i «limiti» di cui discorre la norma sono limiti quantitativi[24], come si evince dalla successiva precisazione che, nel determinarli, «non si tiene conto dell’intestazione e delle altre indicazioni formali dell’atto, fra le quali si intendono compresi un indice e una breve sintesi del contenuto…»[25].

Alle perplessità manifestate supra rispetto all’attribuzione alla sinteticità di un significato dimensionale (v. par. 3) si sommano qui perplessità ulteriori.

Innanzitutto, ai sensi dell’art. 110 Cost., al Ministro della giustizia dovrebbero spettare soltanto «l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia», e si può dubitare che in tali aree rientri l’indicazione delle modalità di stesura degli atti processuali[26].

Inoltre, ai sensi del successivo art. 111, comma 1°, Cost., la giurisdizione si attua mediante il giusto processo «regolato dalla legge». Secondo l’opinione consolidata, si tratta di una riserva di legge assoluta, con cui si devolve la regolamentazione della materia processuale esclusivamente alla legge formale ordinaria e alle fonti equiparate, senza alcuna possibilità di sub-devoluzione parziale ad altre fonti normative subordinate[27]. Anche da questo angolo visuale, una decretazione ministeriale che detti limiti preconfezionati per gli atti giudiziari appare del tutto fuori luogo[28]. Come già osservato (v. supra, par. 3), infatti, l’imposizione di un tetto massimo agli scritti difensivi è in grado di compromettere tanto i diritti di azione e difesa quanto la pienezza del contraddittorio, elementi essenziali di quel «giusto processo» la cui disciplina, in conformità alla volontà del legislatore costituzionale, dovrebbe essere forgiata soltanto da fonti normative primarie[29].

Per giunta, nell’individuazione dei limiti quantitativi al Ministro della giustizia è lasciata totale discrezionalità, anche perché quasi tutti i parametri che dovrebbero guidarlo in questa operazione appaiono irragionevoli o inutili. La «tipologia» di controversia non sembra un criterio razionale: è impossibile stabilire se una lite successoria richieda sistematicamente più o meno spazio di una lite in materia di concorrenza sleale, o se un’impugnazione di delibera assembleare richieda sempre più o meno parole di un’azione di rescissione di un contratto. Il «valore» della causa è un fattore neutro rispetto alla sua densità fattuale e giuridica. Il riferimento alla «complessità» della controversia si risolve in una tautologia: è ovvio che a maggiore complessità debba corrispondere maggiore ampiezza; il busillis sta, però, in come distinguere i diversi livelli di complessità. La «natura degli interessi coinvolti» può risultare una linea guida illogica: ad esempio, può capitare che una causa in materia di malpractice medica, volta a tutelare il diritto alla salute, richieda scritti meno copiosi di una causa in materia di appalto, volta a tutelare diritti patrimoniali[30].

Last but not least, non sembra darsi alcun peso alla circostanza che la prescrizione di restrizioni quantitative rischia di inficiare la chiarezza del testo, sacrificata alla sua modesta estensione[31].

Ferma l’illegittimità del modus con cui si è previsto che accada, delineare misure predeterminate per gli atti processuali appare, quindi, non solo inopportuno[32], ma anche estremamente difficile[33]; e rischia, peraltro, di risultare inefficace: nelle parole di Aurelio Gentili, è «come pensare di dimagrire imponendosi vestiti di una taglia inferiore»[34]. Poiché, però, il riformato art. 46 disp. att. c.p.c. è ormai diritto vigente, non restano che due (gradati) auspici: (i) in via principale, che il Ministro della giustizia non si esprima in punto di «limiti» degli atti processuali; (ii) in via subordinata, che il decreto ministeriale sia analitico, contempli il maggior numero possibile di distinguo e inglobi disposizioni di chiusura che impongano flessibilità in considerazione delle circostanze del caso concreto.

5. Al Ministro della giustizia è altresì demandata la creazione di «schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l’inserimento delle informazioni nei registri del processo», sempre previ pareri del Consiglio superiore della magistratura e del Consiglio nazionale forense (art. 46, comma 5°, disp. att. c.p.c.)[35].

La norma non brilla per chiarezza[36] (il che lascia un po’ amareggiati, se si considera che la sua formulazione è opera di chi – giustamente – pretende l’immediata comprensibilità di ogni atto del processo civile). Ciononostante, è facile intuire che essa è stata dettata con l’obiettivo di agevolare la tenuta dei registri, l’esecuzione dei rilievi statistici e l’archiviazione degli atti nelle banche dati[37].

Occorre segnalare che, se si segue la lettera dell’art. 46 disp. att. c.p.c., la predisposizione di «schemi informatici» e di «campi» non sembra limitata ex lege ai soli scritti difensivi, ma può potenzialmente riguardare anche i provvedimenti giurisdizionali: infatti, il quinto comma discorre genericamente di «atti giudiziari» e il settimo comma dispone che «Il giudice redige gli atti e i provvedimenti nel rispetto dei criteri di cui al presente articolo»[38].

La previsione dovrebbe tradursi nell’introduzione, in «schemi informatici» di atti, o comunque nella piattaforma informatica del Ministero, di campi nei quali gli avvocati e i magistrati (o gli addetti all’Ufficio per il Processo che per essi redigono le minute) possano immettere i dati formali delle cause: l’autorità giudiziaria adita o che provvede, le generalità delle parti e dei rispettivi difensori, il valore della controversia, l’importo del contributo unificato, la data della prima udienza selezionata da chi instaura il giudizio, la data della successiva udienza fissata in un provvedimento endoprocessuale, il tipo di provvedimento pronunciato, gli estremi del provvedimento impugnato, le norme su cui si fondano i motivi di impugnazione, e così via. Dovrebbero, poi, essere resi disponibili dei software – più avanzati di quelli che, secondo quanto mi consta, sono allo stato utilizzati da magistrati e cancellieri – che siano in grado di prelevare le informazioni inserite nei predetti campi e di riportarle automaticamente, rapidamente e fedelmente nei registri del processo, accelerando i lavori delle cancellerie, e nelle bozze dei provvedimenti giurisdizionali, semplificando i compiti di chi li elabora.

Se le attività del Ministero della giustizia si limitassero a quelle appena descritte, e fossero, poi, lasciati campi a compilazione libera per l’upload del contenuto degli atti giudiziari, l’attuazione del quinto comma dell’art. 46 disp. att. c.p.c., nella parte qui in esame, non presenterebbe criticità[39].

Laddove, invece, i campi venissero strutturati in modo da impedire il deposito di scritti con un numero di caratteri superiore a quello massimo consentito, si determinerebbe per via telematica una sorta di inammissibilità (degli scritti difensivi) o di impronunciabilità (dei provvedimenti giurisdizionali), non prevista dalla legge[40] (v. infra, par. 6). Ferme le perplessità già esternate in relazione alle competenze istituzionali del Ministro della giustizia e alla riserva di legge assoluta sulla disciplina del processo civile (v. supra, par. 4), tale meccanismo si porrebbe in frontale contrasto con la nostra carta costituzionale anche perché: (i) rispetto agli atti di parte, arrecherebbe un vulnus ai diritti di azione e difesa di cui all’art. 24 Cost., e all’effettività del contraddittorio garantita dall’art. 111, comma 2°, Cost.; (ii) rispetto agli atti del giudice, aggirerebbe il dettato dell’art. 101 Cost., secondo cui i magistrati sono soggetti soltanto alla legge, e inciderebbe negativamente sull’obbligo di motivazione imposto dall’art. 111, comma 6°, Cost.[41].

Del pari, a guai equivalenti si andrebbe incontro se fossero emanate disposizioni cogenti di natura formulare, capaci di irrigidire i ragionamenti esposti dai difensori e i giudizi espressi dagli organi giudicanti[42].

C’è, quindi, da augurarsi di non assistere a una simile deriva.

6. Ai sensi del sesto comma dell’art. 46 disp. att. c.p.c., «Il mancato rispetto delle specifiche tecniche sulla forma e sullo schema informatico e dei criteri e limiti di redazione dell’atto non comporta invalidità, ma può essere valutato dal giudice ai fini della decisione sulle spese del processo».

La norma, che riguarda i soli atti di parte, è in linea con il corrispondente principio direttivo enunciato nell’art. 1, comma 17, lett. e), della legge delega 26 novembre 2021, n. 206 («prevedere il divieto di sanzioni sulla validità degli atti per il mancato rispetto delle specifiche tecniche sulla forma, sui limiti e sullo schema informatico dell’atto, quando questo ha comunque raggiunto lo scopo, e che della violazione delle specifiche tecniche, o dei criteri e limiti redazionali, si possa tener conto nella disciplina delle spese») e con il disposto dell’art. 156, comma 3°, c.p.c. («La nullità non può essere mai pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato»).

La precisazione non è affatto oziosa. Infatti, prima dell’entrata in vigore della riforma Cartabia non vi era uniformità di vedute sulle sanzioni cui sottoporre chi non si fosse adeguato al principio di sinteticità espositiva o, più in generale, a talune tecniche di stesura degli scritti difensivi.

I segnali normativi provenienti dal panorama amministrativo risultavano – e risultano tuttora – equivoci: da un lato, l’art. 26, comma 1, c.p.a. dispone che il giudice provvede sulle spese di lite anche tenendo conto «del rispetto dei principi di chiarezza e sinteticità di cui all’articolo 3, comma 2»; dall’altro lato, l’art. 13-ter, comma 5, disp. att. c.p.a. prevede che il giudice è tenuto a esaminare tutte (e solo) le questioni trattate nelle pagine rientranti nei limiti dimensionali prescritti, e che l’omesso esame delle questioni contenute nelle pagine in eccedenza non costituisce motivo di impugnazione[43].

Gli studiosi del processo civile affermavano compatti che le sanzioni per la violazione del canone di concisione non dovessero operare sul piano degli effetti dell’atto, ma sul piano economico delle spese di lite e della responsabilità processuale aggravata. Non si riteneva, invero, tollerabile che, in un ordinamento ispirato ai principi del giusto processo, i diritti costituzionalmente garantiti di azione e difesa delle parti potessero essere compressi a causa delle (in)abilità di scrittura dei rispettivi rappresentanti tecnici[44].

Tale convincimento era stato pianamente recepito nel «Protocollo d’intesa tra la Corte di Cassazione e il Consiglio Nazionale Forense in merito alle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia civile e tributaria» del 17 dicembre 2015: (i) nella nota 2 si leggeva che «il mancato rispetto dei limiti dimensionali indicati … non comporta l’inammissibilità o l’improcedibilità del ricorso …, salvo che ciò non sia espressamente previsto dalla legge; [tuttavia] è valutabile ai fini della liquidazione delle spese del giudizio»; (ii) la nota 4 precisava che anche l’infondatezza dei motivi addotti per il superamento delle soglie massime consentite potesse avere conseguenze solo in punto di spese di lite.

La stessa posizione era stata assunta anche dal gruppo di lavoro sulla sinteticità degli atti processuali, istituito con d.m. 9 febbraio 2016 per elaborare proposte normative relative ai giudizi di legittimità e confermato con d.m. 28 luglio e 19 ottobre 2016 per proseguire le riflessioni con riguardo ai giudizi di merito (principalmente di impugnazione). Nella prima relazione, pubblicata in data 16 maggio 2016, il gruppo aveva definito «più opportuno» che le sanzioni per l’inosservanza delle prescrizioni di sintesi si ponessero «sul piano della ‘tutela obbligatoria’, ovvero della condanna pecuniaria …, anziché sul piano della ‘tutela reale’, ovvero della nullità dell’atto o di analoghe comminatorie»[45]. Nella seconda relazione, rilasciata in data 1 dicembre 2016 all’esito degli ulteriori studi, il gruppo aveva ribadito che al mancato rispetto della continenza espositiva non potessero conseguire pronunce di inammissibilità, ma soltanto pronunce inerenti alle spese di lite[46].

Per converso, la Corte di Cassazione manteneva un atteggiamento opposto, dichiarando con frequenza l’inammissibilità dei ricorsi stilati mediante assemblaggio di atti e documenti dei gradi di merito, in quanto inidonei ad assolvere al requisito dell’esposizione sommaria del fatto di cui all’art. 366, comma 1°, n. 3, c.p.c.[47].

Ebbene, il nuovo sesto comma dell’art. 46 disp. att. c.p.c. dovrebbe scongiurare il rischio che l’atto difforme venga, in tutto o in parte, ignorato dal giudice e dagli addetti all’Ufficio per il Processo che studiano il fascicolo prima di lui[48]. Vero è che la norma nega la sola sanzione dell’«invalidità», mentre la commissione ministeriale presieduta da Francesco Paolo Luiso aveva esplicitamente scartato anche l’opzione dell’«inammissibilità»[49]. Ciononostante, mi sembra che la ratio della disposizione sia evidente: confinare le sanzioni nell’ambito delle spese ed evitare che le modalità di stesura dell’atto possano condurre a qualunque forma di irricevibilità del medesimo[50].

Tra l’altro, come osservato dall’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione nell’abbracciare questa conclusione, in corso di causa il giudice può sempre avvalersi del potere di invitare le parti a riformulare l’atto oscuro o prolisso, in virtù del disposto dell’art. 175 c.p.c.[51].

Qualche dubbio interpretativo è sorto in merito all’applicabilità del sesto comma dell’art. 46 disp. att. c.p.c. nei casi in cui non sia rispettato il canone della chiarezza espositiva. Taluno ha sostenuto che per tale inosservanza non sia stata introdotta alcuna sanzione di carattere generale e che permanga l’operatività delle sanzioni già previste dal nostro ordinamento per le ipotesi di inintelligibilità dell’atto o di alcune sue porzioni (ad esempio, la nullità dell’atto di citazione allorché l’oscurità del linguaggio renda il petitum o la causa petendi assolutamente indecifrabili, ovvero l’impiego del principio di non contestazione allorché le controdeduzioni dell’onerato siano talmente ambigue da risultare omesse). Altri hanno, invece, affermato che, poiché le prescrizioni di chiarezza e di sinteticità hanno lo stesso scopo di miglioramento qualitativo del dibattito processuale, la violazione della prima dovrebbe portare alle medesime conseguenze che derivano dalla violazione della seconda[52].

A me non sembra che il comma in esame disciplini l’inadempienza al principio di chiarezza. In effetti, esso colpisce espressamente soltanto il mancato rispetto di «specifiche tecniche», «criteri» e «limiti di redazione». Escluso che la limpidezza dell’esposizione rappresenti una specifica tecnica o un limite di scrittura, ci si deve chiedere se essa possa annoverarsi tra i «criteri» redazionali; e, sebbene nel linguaggio comune appartenga a tale genus, la chiarezza non è, però, citata tra i «criteri di redazione» di cui all’art. 46 disp. att. c.p.c.: i diversi commi della norma menzionano svariati criteri di siffatta natura[53], ma non richiamano quello della linearità espositiva.

Ciò non sfocia, comunque, in un’efficacia minorata del principio di chiarezza, il quale, benché non «protetto» dall’art. 46, comma 6°, disp. att. c.p.c., è dotato di altri baluardi: residuano, infatti, le sanzioni previste per le ipotesi in cui lo scarso nitore linguistico trasfiguri nell’incomprensibilità del testo, così come residua la possibilità che il giudice condanni i prosatori sibillini per responsabilità processuale aggravata o per trasgressione del dovere di lealtà e probità.

7.Come già accennato (v. supra, par. 5), l’art. 46 disp. att. c.p.c. termina con l’indicazione che «Il giudice redige gli atti e i provvedimenti nel rispetto dei criteri di cui al presente articolo»[54].

Poiché la norma discorre solo di «criteri», e non di «limiti», pare che il legislatore non abbia inteso strozzare i provvedimenti giurisdizionali entro confini predeterminati. Occorrerà, però, verificare se barriere dimensionali verranno – più o meno surrettiziamente – istituite con l’atteso decreto del Ministro della giustizia ovvero mediante aggiornamenti della piattaforma informatica del Ministero[55].

Ancora una volta, i «criteri» cui i magistrati si devono e dovranno attenere sono quelli elencati nell’art. 46 disp. att. c.p.c. («di cui al presente articolo»), anche per relationem all’integrazione ministeriale. Ancora una volta, l’omesso richiamo al principio di chiarezza espositiva non alleggerisce gli obblighi degli estensori dei provvedimenti, atteso che la comprensibilità degli atti è comunque imposta a tutti gli operatori del processo dal novellato art. 121 c.p.c.

A differenza di ciò che accade per gli atti di parte, i doveri stilistici dei giudici non sono assistiti da sanzioni processuali. Per quanto concerne le ordinanze pronunciate in corso di causa, eventuali inadempienze non portano a conseguenze particolari: le parti hanno sempre la facoltà di stimolare una loro modifica ad opera del giudice che le ha emesse (art. 177, comma 2°, c.p.c.), anche eventualmente per reagire al mancato rispetto della forma e dei criteri redazionali prescritti (seppure sia improbabile che istanze di modifica vengano proposte per ragioni di questo tipo). Per quanto concerne le ordinanze «decisorie» e le sentenze, l’inosservanza dei vincoli redazionali non determina l’invalidità del provvedimento e non può costituire motivo di impugnazione (salvo, ovviamente, che tale inosservanza abbia provocato l’inintelligibilità della motivazione o del dispositivo)[56].

Inoltre, in assenza di un’espressa previsione in tal senso, la disobbedienza ai «criteri di redazione» di cui all’art. 46 disp. att. c.p.c. non può dar luogo nemmeno a sanzioni disciplinari[57].

Non è mancato, quindi, chi ha sottolineato che, allo stato, i principi di chiarezza e di sinteticità sono stati affermati, in concreto, solo nei confronti dei difensori[58].

8.In chiusura della presente disamina, mi sembra utile lasciare due spunti di riflessione spostando la prospettiva dal piano giuridico al piano pratico.

Primo spunto. Grazie all’introduzione delle norme generali che si sono commentate (oltre che delle norme speciali richiamate in nota 1), la riforma Cartabia ha reso indiscutibile, una volta per tutte, che la chiarezza e la sinteticità costituiscono principi generali operanti anche nel processo civile. Eppure io credo che gli avvocati e i magistrati diligenti si conformassero a tali canoni anche prima del 28 febbraio 2023.

Il difensore coscienzioso non ignora che il giudice ha un carico di lavoro straordinariamente elevato e può, di conseguenza, allocare poco tempo a ciascuna causa pendente sul suo ruolo; egli è, perciò, consapevole che l’atto oscuro e prolisso ha scarse chance di essere integralmente esaminato, e ancora meno chance di essere esattamente compreso, o ritenuto convincente. Dal canto suo, il giudice scrupoloso sa che le parti hanno diritto di ottenere provvedimenti solidamente e comprensibilmente motivati, e che quelli che non presentano queste caratteristiche soggiacciono a un più elevato rischio di riforma da parte dell’organo giudiziario gerarchicamente sovraordinato. Risulta, pertanto, un primario interesse di tutti gli autori di atti processuali che i relativi testi siano cristallini e non ridondanti[59].

Sicché, sulla scorta di considerazioni simili, vi è chi ha affermato che la prescrizione della redazione degli atti «in modo chiaro e sintetico» sia senz’altro ragionevole, ma priva di portata normativa[60].

Secondo spunto. I principi di chiarezza e di sinteticità degli atti giudiziari sono stati sovente presentati come funzionali a «rendere più celere ed efficiente lo svolgimento dell’attività processuale»[61]. Quanto alla chiarezza, mi sembra inconfutabile che il limpido fraseggio e la disposizione logica degli argomenti consentano di leggere e processare con maggiore rapidità gli atti che si stanno esaminando, banalmente perché non costringono a tornare più di una volta su uno stesso passaggio per arrivare a capirlo. Quanto alla sinteticità, credo che essa rappresenti sempre uno strumento di economia processuale se intesa come canone contenutistico, ma non sempre se intesa come parametro dimensionale: se, per un verso, è matematicamente più veloce compiere un’attività una volta sola, anziché due o più, come ripetizioni e ridondanze obbligano a fare, per altro verso la riduzione dei caratteri o delle pagine non conduce sistematicamente a un’accelerazione nell’esame e nella valutazione delle questioni dibattute. Mi spiego meglio con alcuni esempi concreti:

a)quando determinate allegazioni vengono corroborate mediante riferimenti a documenti versati in causa, colui che studia l’atto è assai facilitato se in esso viene testualmente citato o didascalicamente riassunto il passaggio pertinente del documento, anziché (soltanto) riportato il numero della pagina rilevante; sicuramente lo scritto difensivo è meno breve, ma il giudice risparmia tempo nella consultazione delle produzioni documentali, con conseguente maggiore efficienza complessiva;

b)quando le sorti, di rito o di merito, di una controversia dipendono dalla fondatezza di eccezioni che sarebbero rilevabili d’ufficio, certamente l’esposizione di tali eccezioni da parte del difensore allunga il testo (se si vuole, senza che ciò sia strettamente necessario); è, però, probabile che il magistrato impieghi meno energie a esaminare l’atto in cui sono illustrate tutte le possibili eccezioni piuttosto che a individuarle, studiarle e valutarle autonomamente (a patto che – è ovvio – i ragionamenti del difensore non siano involuti);

c)quando il quadro normativo o regolamentare applicabile alla fattispecie controversa è articolato e complesso, o peggio straniero, la sua puntuale ricognizione ad opera dell’avvocato occupa senz’altro spazio, ma semplifica enormemente le attività demandate all’organo giudicante.

A ciò si aggiunga che non è raro vedere che esaustive argomentazioni difensive – le quali giocoforza necessitano di un congruo ammontare di parole – finiscano per costituire una traccia scritta di cui il giudice si avvale ampiamente per redigere le motivazioni dei provvedimenti, con sicuri effetti benefici sulle tempistiche della fase decisoria.

Come si nota, dunque, la lunghezza degli atti processuali non è sempre inversamente proporzionale alla durata complessiva dei giudizi.

Concluse così queste brevi riflessioni sulle norme attualmente vigenti, non resta che attendere l’emanazione del decreto ministeriale per capire come il principio di sinteticità verrà ulteriormente declinato nel nostro ordinamento.

* Il presente scritto costituisce una versione rielaborata e munita di note della relazione svolta nell’ambito del convengo «Le nuove dimensioni del diritto nell’era digitale. L’esperienza del PON Governance sui temi della giustizia nell’area milanese», tenutosi in Milano in data 24 maggio 2023 e organizzato dall’Università degli Studi di Milano e dalla Scuola Universitaria Superiore di Pavia. Il testo non tiene conto della bozza del decreto del Ministro della giustizia recante «Regolamento per la definizione dei criteri di redazione, dei limiti e degli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l’inserimento delle informazioni nei registri del processo, ai sensi dell’articolo 46 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie» diffusa la settimana successiva, in quanto non disponibile alla data del convegno e comunque ancora oggi provvisoria.

[1] In via esemplificativa, si possono qui ricordare gli artt. 163 (atto di citazione), 167 (comparsa di risposta), 281-undecies (atti introduttivi nel procedimento semplificato di cognizione), 342 (atto di citazione in appello), 350-bis (sentenza di appello pronunciata a seguito di discussione orale), 366 (ricorso per cassazione), 378 (memorie di parte nel giudizio di legittimità), 380-bis (procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati), 380-bis.1 (procedimento per la decisione in camera di consiglio), 434 (ricorso in appello nel rito lavoro), 436-bis (sentenza di inammissibilità, improcedibilità, manifesta fondatezza o infondatezza dell’appello nel rito lavoro), 473-bis.12 (domanda introduttiva dei procedimenti in materia di persone, minorenni e famiglie), 473-bis.17 (ulteriori difese dell’attore nell’ambito dei procedimenti in materia di persone, minorenni e famiglie) c.p.c.

[2] Applicabile ai procedimenti instaurati successivamente al 28 febbraio 2023 (v. art. 35, comma 1, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, come modificato dalla l. 29 dicembre 2022, n. 197).

[3] L’innovazione è pienamente conforme alle direttive della legge delega (26 novembre 2021, n. 206), che aveva demandato al Governo il compito di «prevedere che i provvedimenti del giudice e gli atti del processo per i quali la legge non richiede forme determinate possano essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo, nel rispetto dei principi di chiarezza e sinteticità …» (art. 1, comma 17, lett. d)).

[4] Nel senso che il vigente art. 121 c.p.c. imponga al giudice, in termini perentori, le stesse chiarezza e sinteticità pretese dal difensore, v. A. Bonafine, Processo telematico, in R. Tiscini (a cura di), La riforma Cartabia del processo civile. Commento al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, Pisa, 2023, p. 193; F. P. Luiso, Il nuovo processo civile. Commentario breve agli articoli riformati del codice di procedura civile, Milano, 2023, p. 27. In passato, favorevole a tale assetto si era dichiarato anche A. Orlando, La giustizia della sintesi, in G. Conte – F. Di Marzio (a cura di), La sintesi negli atti giuridici, Milano, 2018, p. 10. Di opinione parzialmente differente è F. Festi, Chiarezza e sinteticità nella Riforma Cartabia, in www.giurisprudenzamodenese.it, 21 gennaio 2023, par. 3, secondo cui i magistrati avrebbero solo la facoltà, e non l’obbligo, di rispettare il canone della sintesi (il che spiegherebbe perché nell’art. 121 c.p.c. si sia scelto di usare «sono redatti», anziché «devono essere redatti»). Ad ogni modo, giova ricordare che, anche prima dell’entrata in vigore della riforma Cartabia, prescrizioni di sinteticità espositiva indirizzate ai giudici erano incluse negli artt. 132 e 134 c.p.c., nonché 118 disp. att. c.p.c.

[5] Cfr. C. Commandatore, Sinteticità e chiarezza degli atti processuali nel giusto processo, in Giur. it. 2015, p. 853, spec. 853-854; M. Guernelli, Il linguaggio degli atti processuali fra norme, giurisprudenza e protocolli, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2017, p. 485, spec. 507-508. In giurisprudenza, v. per tutte Cass., sez. un., 30 novembre 2021, n. 37552.

[6] Di tale avviso si sono mostrati P. Biavati, Il linguaggio degli atti giudiziari, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2017, p. 467, spec. 469: «Alla radice di tutto, mi pare, si trova il precetto costituzionale della ragionevole durata. Per come lo intendo, esso impone … un impiego delle risorse giudiziarie proporzionato al singolo caso e rispettoso del carico di lavoro complessivo degli organi giurisdizionali. È chiaro che, se il tempo del giudice è poco e prezioso, la lettura degli atti giudiziari deve tendere alla chiarezza e all’essenzialità»; A. Bonafine, Processo telematico cit., pp. 184-185; G. Canale, La violazione del dovere di sinteticità e chiarezza: abuso del processo?, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2018, p. 1025, spec. 1025: «è … ovvio che un atto chiaro e sintetico, sia di parte sia del giudice, è un atto che, per definizione, concorre a rendere più efficiente il processo»; M. Guernelli, Il linguaggio cit., p. 489; A. Orlando, La giustizia della sintesi cit., p. 6.

[7] Ma v., in senso contrario, A. Panzarola, Sul (presunto) principio di sinteticità nella redazione degli atti processuali civili, in Giusto proc. civ. 2018, p. 69, passim, il quale ha, peraltro, definito inopportuna l’introduzione di un tale principio nel campo dei giudizi civili, ponendosi la sinteticità in contraddizione con le altre prospettive perseguite nel processo; Id., Sulla sinteticità nella redazione degli atti processuali civili: un invito opportuno, non un principio generale del processo civile, in G. Conte – F. Di Marzio (a cura di), La sintesi negli atti giuridici, Milano, 2018, p. 121 ss.; Id., Il ragionamento giuridico nel pensiero di un compianto Maestro, in Il Processo 2022, p. 763, spec. 775, nota 30: «Sino ad oggi, a mio parere, non si poteva parlare di un principio di sinteticità nel giudizio civile. La recente riforma del processo civile va in una direzione diversa». Hanno confermato le perplessità espresse sull’elevazione della sinteticità a principio generale del processo civile anche P. Licci, Contenuto del ricorso, in R. Tiscini (a cura di), La riforma Cartabia del processo civile. Commento al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, Pisa, 2023, p. 543; R. Tiscini, Il procedimento semplificato di cognizione, in R. Tiscini (a cura di), La riforma Cartabia del processo civile. Commento al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, Pisa, 2023, p. 423.

[8] Cfr. G. Finocchiaro, Il principio di sinteticità nel processo civile, in Riv. dir. proc. 2013, p. 853, spec. 862 ss.; G. Ianni, Il principio di sinteticità degli atti e le sue conseguenze nel processo civile, in www.ilprocessocivile.it, 5 gennaio 2017. Come osservato nella Relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, 1 dicembre 2022, n. 110, sul d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, p. 13, è stato questo il più recente orientamento della Suprema Corte, che ha tratto dall’art. 3, comma 2, c.p.a. un principio destinato a operare anche nel processo civile (cfr., tra le tante, Cass., 6 giugno 2022, n. 18089; Cass., 21 giugno 2021, n. 17634; Cass., 18 gennaio 2021, n. 725; Cass., 26 agosto 2020, n. 17767; Cass., 10 ottobre 2019, n. 25424; Cass., sez. un., 17 gennaio 2017, n. 964; Cass., 20 ottobre 2016, n. 21297). Tale approccio ha incontrato le critiche di A. Panzarola, Sul (presunto) principio di sinteticità cit., pp. 71-72 (anche in Id., Sulla sinteticità cit., pp. 124-125), e di C. Rasia, La motivazione elastica nel recente caleidoscopio normativo e giurisprudenziale, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2018, p. 247, spec. 252, i quali hanno obiettato che, ai sensi dell’art. 1 c.p.c., la giurisdizione civile è esercitata secondo le norme del codice di procedura civile e, ai sensi dell’art. 39 c.p.a., è la legge processuale amministrativa a doversi uniformare a quella civile (e non viceversa).

[9] Cfr. P. Biavati, Il linguaggio cit., p. 470; Id., Sobrietà e chiarezza negli atti di parte. Un percorso necessario, in Judicium 2017, p. 141, spec. 142; G. Canale, La violazione cit., p. 1027; M. Gerardo, Chiarezza e concisione degli atti giuridici, in www.judicium.it, 17 luglio 2019, par. 4.

[10] Sul quale v., senza pretese di esaustività, F. Carpi, La redazione del ricorso in Cassazione in un recente protocollo, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2016, p. 359 ss.; C. Consolo, Il Protocollo redazionale CNF-Cassazione: glosse a un caso di scuola di soft law (… a rischio di essere riponderato quale hard black letter rule), in Giur. it. 2016, p. 2775 ss.; F. De Stefano, La sinteticità degli atti processuali civili di parte nel giudizio di legittimità, in www.questionegiustizia.it, 24 novembre 2016, par. 5; R. Frasca, Intorno al Protocollo fra Corte di cassazione e C.N.F. sui ricorsi civili, in Giur. it. 2016, p. 2768 ss.; Id., Glosse e commenti sul protocollo per la redazione dei ricorsi civili convenuto fra Corte di cassazione e Consiglio nazionale forense, in www.judicium.it, 3 giugno 2016; I. Pagni, Chiarezza e sinteticità negli atti giudiziali: il protocollo d’intesa tra Cassazione e CNF, in Giur. it. 2016, p. 2782 ss.; Id., Il Protocollo d’intesa tra Cassazione e CNF, in M. Di Marzio – A. Didone (a cura di), La riforma del giudizio civile di cassazione, Milano 2017, p. 51 ss.; A. Panzarola, La difesa scritta ed orale in Cassazione dopo il Protocollo d’intesa Mascherin-Santacroce e la legge 25 ottobre 2016, n. 197, in Giusto proc. civ. 2016, p. 1061 ss.; C. Punzi, Il principio di autosufficienza e il «protocollo d’intesa» sul ricorso in cassazione, in Riv. dir. proc. 2016, p. 585 ss.; G. Scarselli, Note sulle buone regole redazionali dei ricorsi per cassazione in materia civile, in Foro it. 2016, V, p. 61 ss.; A. Scozia, I principi di chiarezza, sinteticità e leggerezza espositiva nel protocollo Cassazione/CNF, in www.questionegiustizia.it, 9 marzo 2016.

[11] In campo amministrativo, si possono ricordare la comunicazione del Presidente del Consiglio di Stato de Lise del 20 dicembre 2010, con cui gli avvocati sono stati invitati a depositare scritti difensivi con un numero ristretto di pagine (ipotizzando un massimo di venti/venticinque), o la delibera del 15 settembre 2011 con cui il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa ha esortato alla redazione di atti «non superiori a dieci pagine». In campo civile, di simile tenore è la nota di raccomandazioni di Giorgio Santacroce (Primo Presidente della Corte di Cassazione) indirizzata a Guido Alpa (Presidente del Consiglio nazionale forense) in data 17 giugno 2013, in cui si è suggerito di contenere ricorsi, controricorsi e memorie entro il tetto di venti pagine.

[12] Cfr. Relazione illustrativa al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, p. 18.

[13] Ci sia consentito rinviare, per una più dettagliata disamina dell’atteggiamento della Suprema Corte, a F. De Giorgis, Principio di sinteticità espositiva e inammissibilità del ricorso per cassazione, in Riv. dir. proc. 2020, p. 244, spec. 252 ss. Cfr. anche F. Di Marzio, Postfazione, in G. Conte – F. Di Marzio (a cura di), La sintesi negli atti giuridici, Milano, 2018, p. 254, secondo cui «essere sintetici comporta, per conseguenza automatica, di essere anche chiari».

[14] Come condivisibilmente osservato da P. Assirelli – U. Rosa, Disposizioni generali per la celerità dei procedimenti civili: riordino del processo civile telematico; udienze mediante collegamenti audiovisivi a distanza, in G. Di Marco (a cura di), La riforma del processo civile. Commento alla L. 26 novembre 2021, n. 206, Torino, 2022, p. 228; P. Biavati, Il linguaggio cit., p. 478; Id., Sobrietà cit., p. 143; F. De Santis, La redazione degli atti difensivi ai tempi del processo civile telematico: sinteticità e chiarezza, in Giusto proc. civ. 2017, p. 749, spec. 750: «è evidente che un testo … troppo sintetico (che non si sofferma sull’analisi dei particolari) potrebbe difettare di chiarezza (nel senso della precisione), e che un testo … chiaro (ossia preciso, nitido, persuasivo) potrebbe non essere sintetico (ovvero limitato all’essenziale)»; M. Gerardo, Chiarezza cit., parr. 1, 4; L. R. Luongo, Il «principio» di sinteticità e chiarezza degli atti di parte e il diritto di accesso al giudice (anche alla luce dell’art. 1, co. 17 lett. d ed e, d.d.l. 1662), in www.judicium.it, 9 ottobre 2021, par. 2, secondo cui «non sussiste un rapporto di implicazione necessaria tra sintesi e agevole intellegibilità».

[15] Cfr. L. R. Luongo, Il «principio» di sinteticità cit., par. 2. Analoga esegesi emerge dalla Relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, 1 dicembre 2022, n. 110, sul d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, p. 13.

[16] L’efficace espressione è di P. Biavati, Il linguaggio cit., pp. 475-476.

[17] Seguono questa impostazione P. Assirelli – U. Rosa, Disposizioni generali cit., p. 227; P. Biavati, Il linguaggio cit., p. 482: «Ragionevole estensione significa che l’atto giudiziario di parte deve contenere tutto, ma soltanto quello che è necessario per esporre le tesi in fatto e in diritto, in modo da renderle intellegibili alla controparte … e al giudice»; B. Capponi, Sulla «ragionevole brevità» degli atti processuali civili, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2014, p. 1075, spec. 1090-1091; D. Buoncristiani, Il processo di primo grado. La leale collaborazione tra parti, giudice e terzi, in C. Cecchella (a cura di), Il processo civile dopo la riforma, Bologna, 2023, pp. 43-44; G. Canale, La violazione cit., pp. 1025-1026, il quale fa notare che soprattutto la quaestio facti può risultare difficilmente comprimibile, con riguardo sia agli oneri di allegazione sia a quelli di prova; C. Commandatore, Sinteticità e chiarezza cit., p. 853; C. Consolo, Sobrietà e concisione negli atti di parte e nella motivazione delle sentenze di legittimità, in G. Conte – F. Di Marzio (a cura di), La sintesi negli atti giuridici, Milano, 2018, pp. 76-77; G. Finocchiaro, Il principio di sinteticità cit., p. 866; A. Gentili, Sobrietà e chiarezza negli atti di parte del giudizio civile, in Giust. civ. 2017, p. 797, spec. 800 (pubblicato anche in G. Conte – F. Di Marzio (a cura di), La sintesi negli atti giuridici, Milano, 2018, p. 23 ss.), il quale spiega che, se il paradigma dell’argomentazione giuridica è quello della sussunzione di un fatto della vita in una fattispecie legale (il che è imposto dall’art. 101, comma 2°, Cost.), allora l’atto conciso è quello che contiene tutti e solo gli elementi che riconducono il fatto alla fattispecie; M. Guernelli, Il linguaggio cit., p. 505, secondo cui «l’obiettivo dev’essere quello di esporre ‘il necessario e il sufficiente’»; L. R. Luongo, Il «principio» di sinteticità cit., par. 2; I. Pagni, Chiarezza e sinteticità cit., p. 2791; Id., Il Protocollo d’intesa cit., p. 74; L. Querzola, Contributo allo studio degli atti processuali tra forma e linguaggio giuridico, Torino, 2018, p. 186; F. Saitta, La violazione del principio di sinteticità degli atti processuali, in Il Processo 2019, p. 539, spec. 540 ss., 583; M. Taruffo, Note sintetiche sulla sinteticità, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2017, p. 453, spec. 464, secondo il quale «un testo lungo può essere sintetico, se tratta di numerosi argomenti complessi, e un testo breve può essere prolisso se il suo contenuto è semplice».

In giurisprudenza, l’interpretazione in discorso ha trovato espressione in Cons. Stato, 12 giugno 2015, n. 2900: «l’essenza della sinteticità … non risiede nel numero delle pagine o delle righe in ogni pagina, ma nella proporzione tra la molteplicità e la complessità delle questioni dibattute e l’ampiezza dell’atto che le veicola. La sinteticità è, cioè, un concetto di relazione, che esprime una corretta proporzione tra due grandezze, la mole, da un lato, delle questioni da esaminare e, dall’altro, la consistenza dell’atto … chiamato ad esaminarle».

[18] Invero non sono mancate pronunce di legittimità in cui la Corte di Cassazione ha posto enfasi sulla mole del ricorso prima di dichiararne l’inammissibilità (cfr. Cass., 30 aprile 2020, n. 8425; Cass., 4 aprile 2018, n. 8245; Cass., 20 ottobre 2016, n. 21297; Cass., 22 novembre 2013, n. 26277; Cass., 8 novembre 2012, n. 19357; Cass., 16 marzo 2011, n. 6279). In dottrina, cfr. G. Scarselli, Sulla sinteticità degli atti nel processo civile, in Foro it. 2017, V, p. 323, spec. 325 ss.

[19] Si è giustamente osservato che il diritto di difesa deve senz’altro comprendere il potere di predisporre liberamente il contenuto (e quindi l’estensione) dei propri atti: v. A. Panzarola, Sul (presunto) principio di sinteticità cit., p. 76; Id., Sulla sinteticità cit., p. 131.

[20] Considerazioni analoghe sono state svolte da P. Assirelli – U. Rosa, Disposizioni generali cit., p. 228; P. Biavati, Il linguaggio cit., p. 469; B. Capponi, Sulla «ragionevole brevità» cit., p. 1076 ss.; A. Panzarola, Sul (presunto) principio di sinteticità cit., passim; Id., Sulla sinteticità cit., passim; C. Punzi, Il processo come “actus trium personarum, in G. Conte – F. Di Marzio (a cura di), La sintesi negli atti giuridici, Milano, 2018, pp. 40-41; F. Saitta, La violazione del principio di sinteticità cit., p. 548 ss.; G. Scarselli, Sulla sinteticità cit., p. 326.

[21] Più in generale, non si può ignorare che i difensori preferiscono non tralasciare alcun argomento, vuoi per evitare che risultino più convincenti le tesi delle controparti, vuoi per prevenire rilievi o interpretazioni giuridiche formulati d’ufficio, vuoi perché non riescono a prefigurarsi quale sarà l’iter logico-giuridico seguito da chi definirà la lite: cfr. P. Biavati, Il linguaggio cit., p. 476; Id., Sobrietà cit., p. 146; A. Gentili, Sobrietà cit., p. 803.

[22] Persino la Relazione illustrativa al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, p. 33, ammonisce che «chiarezza e sinteticità non debbono mai portare a una indebita compressione dell’esercizio del diritto di azione e del diritto di difesa delle parti» (v. anche la Relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, 1 dicembre 2022, n. 110, sul d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, p. 101). Cfr. altresì B. Capponi, Sulla «ragionevole brevità» cit., p. 1088; D. Buoncristiani, Il processo di primo grado cit., p. 44; G. Finocchiaro, Il principio di sinteticità cit., pp. 865-866, il quale sottolinea che i difensori non «possono obliterare argomenti a difesa delle parti assistite» in nome del principio di sinteticità; L. Querzola, Contributo cit., pp. 186-187.

[23] Non si precisa se i pareri del Consiglio superiore della magistratura e del Consiglio nazionale forense siano vincolanti o meno, ma paiono meramente consultivi (v. D. Buoncristiani, Il processo di primo grado cit., p. 42, nota 19; G. Scarselli, I punti salienti dell’attuazione della riforma del processo civile di cui al decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 149, in www.giustiziainsieme.it, 15 novembre 2022, par. 2).

[24] Di tale opinione è anche l’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione (v. Relazione dell’1 dicembre 2022, n. 110, sul d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, pp. 14, 16).

[25] Anche le innovazioni apportate all’art. 46 disp. att. c.p.c. hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data (v. art. 35, comma 1, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, come modificato dalla l. 29 dicembre 2022, n. 197). Nella nuova formulazione, la norma riecheggia l’art. 13-ter, commi 1 e 2, disp. att. c.p.a., pur differenziandosene sotto alcuni profili. In campo amministrativo, infatti: (i) l’emissione del decreto è rimessa al Presidente del Consiglio di Stato, che deve previamente sentire il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, il Consiglio nazionale forense, l’Avvocato generale dello Stato, le associazioni di categoria degli avvocati amministrativisti; (ii) è la stessa disposizione attuativa del codice del processo amministrativo a imporre che il decreto fissi le ipotesi in cui i limiti dimensionali possono essere superati; (iii) è previsto un monitoraggio annuale, effettuato dal Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, dal quale possono scaturire proposte di modifica.

[26] Lo ha ribadito in più occasioni Giuliano Scarselli (Id., I punti salienti cit., par. 2; Id., Mala tempora currunt, in Mala tempora currunt. Scritti sull’ultima riforma del processo civile, Pisa, 2023, p. 123). L’Autore ha, inoltre, affermato che il novellato art. 46 disp. att. c.p.c. pecchi in parte qua anche di eccesso di delega. Per un verso, la porzione della norma che demanda al Ministro della giustizia l’individuazione dei limiti degli atti processuali, precisando di cosa si debba e non si debba tenere conto, apparirebbe per la prima volta nel d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149. Per altro verso, la legge delega (26 novembre 2021, n. 206) avrebbe contemplato la regolamentazione degli atti processuali soltanto per esigenze di compilazione dei registri del processo e di raccolta telematica dei dati, mentre il decreto legislativo di attuazione avrebbe superato tale ratio e previsto una disciplina ministeriale di tipo generale, capace di investire gli atti in ogni momento, e non solo in quello del recepimento dei dati (v. G. Scarselli, I punti salienti cit., par. 2). Al riguardo occorre, però, osservare che l’art. 1, comma 17, della legge delega già imponeva di assicurare «la strutturazione di campi necessari all’inserimento delle informazioni nei registri del processo, nel rispetto dei criteri e dei limiti stabiliti con decreto adottato dal Ministro della giustizia, sentiti il Consiglio superiore della magistratura e il Consiglio nazionale forense» (lett. d)) e di «prevedere il divieto di sanzioni sulla validità degli atti per il mancato rispetto delle specifiche tecniche sulla forma, sui limiti e sullo schema informatico dell’atto, quando questo ha comunque raggiunto lo scopo, e che della violazione delle specifiche tecniche, o dei criteri e limiti redazionali, si possa tener conto nella disciplina delle spese» (lett. e)).

[27] Cfr., tra gli altri, A. Andronio, Art. 111, in R. Bifulco – A. Celotto – M. Olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, vol. III, Milano, 2006, p. 2112; M. Bove, Art. 111 Cost. e «giusto processo civile», in Riv. dir. proc. 2002, p. 479, spec. 495-496; M. Cecchetti, voce Giusto processo (diritto costituzionale), in Enc. dir., Aggiornamento, vol. V, Milano, 2001, p. 595, spec. 612; S. Chiarloni, Il nuovo art. 111 Cost. e il processo civile, in Riv. dir. proc. 2000, p. 1010, spec. 1016; Id., voce Giusto processo (diritto processuale civile), in Enc. dir., Annali, vol. II, t. 1, Milano, 2008, p. 403, spec. 410-411; G. Costantino, Il nuovo articolo 111 della Costituzione e il “giusto processo civile”. Le garanzie, in M. G. Civinini – C. M. Verardi (a cura di), Il nuovo articolo 111 della Costituzione e il giusto processo civile, Milano, 2001, p. 259; M. Gialuz, Art. 111, in Commentario breve alla Costituzione, diretto da S. Bartole – R. Bin, Padova, 2008, p. 963; M. Pivetti, Per un processo civile giusto e ragionevole, in M. G. Civinini – C. M. Verardi (a cura di), Il nuovo articolo 111 della Costituzione e il giusto processo civile, Milano, 2001, p. 67; F. Saitta, La violazione del principio di sinteticità cit., pp. 564-565.

[28] In senso simile, commentando i decreti ministeriali in materia di processo civile tematico, v. A. Tedoldi, Il processo civile telematico tra logos e techne, in Riv. dir. proc. 2021, p. 843, spec. 867.

[29] E la potenziale lesione dei diritti di azione e difesa, nonché dell’effettività del contraddittorio, resta ravvisabile anche se, come si vedrà meglio infra (par. 6), la sanzione per lo sforamento del numero consentito di caratteri o di pagine non opera sul piano della validità dell’atto processuale, ma sul piano delle spese di lite. Infatti, la preoccupazione di subire una pronuncia sfavorevole in ordine alle spese è di per sé sufficiente a rendere non pienamente libere le attività processuali di attacco e di difesa di cui i difensori si devono far carico, e quindi a incidere, seppure in via più indiretta, sui diritti tutelati dagli artt. 24 e 111 Cost.

Si noti che anche la legge delega appare censurabile per incompatibilità con l’art. 111, comma 1°, Cost., atteso che già disponeva che il Governo dovesse assicurare «la strutturazione di campi necessari all’inserimento delle informazioni nei registri del processo, nel rispetto dei criteri e dei limiti stabiliti con decreto adottato dal Ministro della giustizia, sentiti il Consiglio superiore della magistratura e il Consiglio nazionale forense» (art. 1, comma 17, lett. d), l. 26 novembre 2021, n. 206), e quindi già prevedeva che un regime idoneo a incidere su alcuni dei diritti fondamentali di cui le parti devono godere in sede processuale fosse dettato da una fonte normativa subordinata.

[30] Cfr. D. Buoncristiani, Il processo di primo grado cit., p. 43; F. Festi, Chiarezza cit., par. 3. Discorre di «fondamentale e… irriducibile arbitrarietà» delle indicazioni quantitative M. Taruffo, Note cit., pp. 464-465 (con cui concorda F. Saitta, La violazione del principio di sinteticità cit., p. 584). Peraltro, una discrezionalità così ampia lasciata al Ministro della giustizia renderebbe la sub-delega operata dall’art. 46, comma 5°, disp. att. c.p.c. contraria a Costituzione anche per chi volesse leggere nell’art. 111, comma 1°, Cost. una riserva di legge relativa (e non assoluta).

[31] Cfr. P. Biavati, Il linguaggio cit., pp. 478-479; A. Bonafine, Processo telematico cit., p. 187; F. Festi, Chiarezza cit., par. 3, secondo cui «l’introduzione di limiti massimi di parole non ha necessariamente a che fare con la sintesi e può essere antitetica alla chiarezza».

[32] Si dichiara della stessa opinione L. R. Luongo, Il «principio» di sinteticità cit., par. 6.

[33] Cfr. F. P. Luiso, Il nuovo processo civile cit., p. 393, il quale confessa che, a suo avviso, l’operazione di determinazione dei limiti degli atti processuali è «difficile se non quasi impossibile, a meno di non restare nell’indeterminato e quindi nell’inutile».

[34] Cfr. A. Gentili, Sobrietà cit., p. 799.

[35] Il corrispondente principio direttivo della legge delega prescriveva al legislatore delegato di stabilire che fosse «assicurata la strutturazione di campi necessari all’inserimento delle informazioni nei registri del processo» (v. art. 1, comma 17, lett. d), l. 26 novembre 2021, n. 206).

[36] Nel commentare l’art. 12, lett. d), del progetto di riforma (d.d.l. delega n. 1662), che già immaginava la «strutturazione di campi necessari all’inserimento delle informazioni nei registri del processo», Giuliano Scarselli aveva immediatamente definito il testo «criptico» (v. Id., Contro l’idea che l’esercizio dell’azione giudiziale possa darsi compilando formulari predisposti dal Ministero della Giustizia, in Mala tempora currunt. Scritti sull’ultima riforma del processo civile, Pisa, 2023, p. 112, in precedenza pubblicato in www.judicium.it, 23 giugno 2021).

[37] In tal senso, cfr. A. Bonafine, Processo telematico cit., p. 186, il quale evidenzia che la schematizzazione degli atti processuali, che può risultare utile a fini di «tracciamento delle liti», non è comunque un indice di «tutela migliorata»; A. Orlando, La giustizia della sintesi cit., p. 8.

[38] Si tratterà, ad ogni modo, di verificare se in concreto il decreto ministeriale disciplinerà sia gli atti di parte sia gli atti del giudice.

[39] Cfr. anche G. Scarselli, Osservazioni sul disegno di legge delega di riforma del processo civile, in www.giustiziainsieme.it, 27 ottobre 2021, par. 2.

[40] Lo ha sottolineato anche l’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione nella Relazione dell’1 dicembre 2022, n. 110, sul d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, p. 16.

[41] Di tale avviso si sono mostrati C. Cecchella, Il processo telematico, in C. Cecchella (a cura di), Il processo civile dopo la riforma, Bologna, 2023, p. 84; G. Scarselli, I punti salienti cit., par. 2. Se il temuto scenario divenisse realtà, si dovrebbe prendere atto che sono rimasti inascoltati i giusti moniti sollevati subito dopo la pubblicazione del progetto di riforma, allorché si avvertiva che «il mezzo informatico … non può essere pensato né per condizionare o limitare l’esercizio del diritto di azione da parte degli avvocati, né per limitare e/o circoscrivere lo ius dicere del giudice» (v. G. Scarselli, Osservazioni cit., par. 2; Id., Contro l’idea cit., p. 113 ss.).

[42] Preoccupazione, al riguardo, è stata manifestata da P. Biavati, Il linguaggio cit., p. 477, secondo cui i formulari potrebbero costituire «un limite a tutte le forme di atipicità [e] la minore libertà di espressione potrebbe segnare l’avvio di un formalismo di ritorno e l’imbocco di una strada che conduce verso modalità primitive e rituali (e dunque impoverite) della formulazione dei concetti giuridici»; A. Bonafine, Processo telematico cit., p. 187; G. Scarselli, Contro l’idea cit., passim. Si sono detti, invece, favorevoli all’adozione di formulari F. Cossignani, Riforma Cartabia. Le modifiche al primo grado del processo di cognizione ordinario, in www.giustiziainsieme.it, 22 febbraio 2023, par. 2.1 (anche con campi fissi diversi da quelli previsti dalla riforma Cartabia); M. Gerardo, Chiarezza cit., par. 9.

[43] Per rilievi critici in ordine a tale disposizione di attuazione, anche nel senso della sua incostituzionalità e incompatibilità con l’art. 6 CEDU, cfr., tra gli altri, E. M. Barbieri, L’abuso del «copia ed incolla» nel ricorso giurisdizionale amministrativo, in Riv. dir. proc. 2016, p. 1570, spec. 1581-1582; P. Biavati, Sobrietà cit., p. 147; G. Canale, La violazione cit., p. 1029; L. P. Comoglio, Esposizione «assemblata» dei fatti ed inammissibilità del ricorso in cassazione, in Nuova giur. civ. comm. 2018, I, p. 199, spec. 203-204; C. Consolo, Sobrietà cit., p. 75; F. De Giorgis, Principio di sinteticità espositiva cit., p. 266; F. De Santis, La redazione cit., p. 757; F. Francario, Principio di sinteticità e processo amministrativo. Il superamento dei limiti dimensionali dell’atto di parte, in Dir. proc. amm. 2018, p. 129, spec. 152 ss.; I. Impastato, “Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare”: la scure del giudice amministrativo sui “limiti dimensionali di sinteticità” degli atti processuali di parte (e sul diritto di difesa), in www.judicium.it, 19 aprile 2021, il quale censura l’interpretazione che la giurisprudenza offre della norma; I. Pagni, Chiarezza e sinteticità cit., p. 2783; Id., Il Protocollo d’intesa cit., p. 54; G. Raiti, Il principio di sinteticità e di chiarezza del ricorso per cassazione secondo la legge delega sulla riforma del processo civile, in Riv. dir. proc. 2022, p. 1027, spec. 1029; F. Saitta, La violazione del principio di sinteticità cit., p. 561 ss.; G. Scarselli, Sulla sinteticità cit., p. 326.

[44] Hanno sostenuto questa tesi G. Canale, La violazione cit., pp. 1031, 1036-1037; B. Capponi, Sulla «ragionevole brevità» cit., p. 1088; C. Consolo, Sobrietà cit., pp. 79-81, il quale ha invitato a non sognarsi «di parlare de iure condendo di inammissibilità degli atti a seconda della loro lunghezza» e a prestare maggiore attenzione al trattamento delle spese di lite; F. De Santis, La redazione cit., pp. 768-770; R. Frasca, Intorno al Protocollo cit., p. 2768; Id., Glosse cit., p. 1; L. R. Luongo, Il «principio» di sinteticità cit., par. 6; I. Pagni, Chiarezza e sinteticità cit., p. 2785; Id., Il Protocollo d’intesa cit., pp. 57-58; L. Querzola, Contributo cit., p. 194; C. Rasia, La motivazione elastica cit., p. 252; G. Scarselli, Sulla sinteticità cit., p. 326.

[45] Cfr. relazione del 16 maggio 2016, p. 6.

[46] Cfr. relazione dell’1 dicembre 2016, p. 9. Come dichiarato dalla coordinatrice del gruppo di lavoro del settore civile, l’idea di fondo era «quella di evitare interpretazioni formalistiche della regola di sinteticità, una volta che la lunghezza dell’atto non vada a discapito della chiarezza, e di escludere l’introduzione di ipotesi di inammissibilità o di diniego dell’esame delle parti dell’atto in esubero, circoscrivendo le conseguenze della violazione al piano delle spese di lite, … con apposite limitazioni ad evitare che la parte faccia le spese dell’oscurità del pensiero del proprio difensore»: v. I. Pagni, Chiarezza e sinteticità cit., p. 2791; Id., Il Protocollo d’intesa cit., p. 72.

[47] Cfr., ex plurimis, Cass., 6 settembre 2022, n. 26234; Cass., 18 novembre 2021, n. 35247; Cass., 30 agosto 2019, n. 21868; Cass., 20 agosto 2019, n. 21524; Cass., 30 novembre 2018, n. 31013; Cass., 12 giugno 2018, n. 15333; Cass., 31 ottobre 2017, n. 25818. Per una disamina critica di questo orientamento della Suprema Corte, cfr., si vis, F. De Giorgis, Principio di sinteticità espositiva cit., p. 252 ss. Soltanto in rare occasioni i giudici di legittimità hanno riconosciuto che l’irragionevole estensione del ricorso per cassazione non potesse determinarne l’inammissibilità, in assenza di previsioni normative in tal senso: cfr. Cass., 7 giugno 2018, n. 14730; Cass., 20 ottobre 2016, n. 21297, per cui «il principio di sinteticità degli atti processuali non è … assistito da una specifica sanzione processuale, cosicché l’incontinenza espositiva … non può determinare, di per se stessa, l’inammissibilità del ricorso per cassazione»; Cass., 16 dicembre 2003, n. 19237.

[48] Cfr. M. Gradi, Doveri delle parti e dei terzi, in R. Tiscini (a cura di), La riforma Cartabia del processo civile. Commento al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, Pisa, 2023, p. 55.

[49] Nelle «Proposte normative e note illustrative» redatte dalla commissione ministeriale, datate 24 maggio 2021, p. 32, si legge quanto segue: «All’obiettivo di rendere più celere ed efficiente lo svolgimento dell’attività processuale risponde anche la prevista introduzione nel codice di procedura civile e con portata generale del principio di chiarezza e sinteticità degli atti processuali di parte e dei provvedimenti giudiziali. Peraltro, si è ritenuto opportuno, anche alla luce della giurisprudenza sovranazionale e costituzionale interna, inserire nella legge delega la previsione secondo cui, per quanto riguarda gli atti di parte, la violazione di tale principio non possa comportare sanzioni di invalidità o di inammissibilità dell’atto, ma possa essere presa in considerazione dal giudice solo ai fini della liquidazione delle spese giudiziali».

[50] In tal senso v. anche A. Bonafine, Processo telematico cit., pp. 189-190, secondo cui, in assenza di una previsione testuale, non si potrebbe immaginare per un atto non conforme la sanzione dell’inammissibilità; G. Raiti, Il principio di sinteticità cit., p. 1036, secondo il quale «Ragionevolezza vorrebbe che – impedito dalla delega che si disponga una sanzione di (in)validità – anche la più severa sanzione della inammissibilità sia inibita».

Con riferimento alla modulazione delle spese processuali, F. P. Luiso, Il nuovo processo civile cit., p. 393, ha osservato che non è chiaro se il giudice possa liquidare spese incrementate a carico del soccombente o ridurre quelle liquidate a favore della parte vittoriosa.

[51] Cfr. Relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, 1 dicembre 2022, n. 110, sul d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, pp. 14-15, ove si precisa che le conseguenze della violazione dell’onere di riformulazione potrebbero ricavarsi in via interpretativa, facendo applicazione dell’art. 116, comma 2°, c.p.c., che consente al giudice di trarre argomenti di prova anche dal contegno delle parti nel processo, nonché dell’art. 4, comma 7, d.m. 10 marzo 2014, n. 55, in base al quale costituisce elemento di valutazione negativa, in sede di liquidazione giudiziale del compenso del difensore, l’adozione di condotte abusive tali da ostacolare la definizione dei procedimenti in tempi ragionevoli.

[52] Nel primo senso, cfr. F. Festi, Chiarezza cit., par. 2, secondo cui l’assenza di una sanzione generale è inevitabile, atteso che la comprensibilità di un testo dipende non solo dall’autore, ma anche dalla preparazione e dalla perspicacia del lettore, con la conseguenza che ogni valutazione in punto di intelligibilità di uno scritto è caratterizzata da elevata soggettività. Nel secondo senso, cfr. D. Buoncristiani, Il processo di primo grado cit., p. 44; F. Cossignani, Riforma Cartabia cit., par. 2.1.

[53] Ad esempio, i caratteri devono essere chiari e facilmente leggibili (comma 1°, che fa riferimento alla chiarezza grafica, e non contenutistico-espositiva, del testo), gli atti giudiziari cartacei devono essere scritti in continuazione, senza spazi in bianco e senza alterazioni o abrasioni, ed eventuali aggiunte, soppressioni o modificazioni devono essere poste in calce all’atto, con nota di richiamo senza cancellare la parte soppressa o modificata (comma 4°).

[54] La previsione assume rilievo anche per gli addetti all’Ufficio per il Processo che siano chiamati a predisporre le minute dei provvedimenti.

[55] Con il che non si intende naturalmente affermare che simili attività sarebbero legittime, ma solo che risultano tuttora astrattamente possibili.

[56] Cfr. P. Biavati, Il linguaggio cit., p. 479; A. Bonafine, Processo telematico cit., p. 194; F. Festi, Chiarezza cit., par. 2.

[57] Cfr. A. Bonafine, Processo telematico cit., p. 194.

[58] Così A. Bonafine, Processo telematico cit., p. 194.

[59] Cfr. A. Gentili, Sobrietà cit., p. 798; G. Scarselli, Sulla sinteticità cit., p. 327.

[60] Cfr. F. P. Luiso, Il nuovo processo civile cit., pp. 27-28, il quale evidenzia che gli atti che non possiedono tali requisiti sono ipso facto dannosi per colui che li ha predisposti.

[61] La citazione è tratta dalle «Proposte normative e note illustrative» redatte dalla commissione ministeriale presieduta da Francesco Paolo Luiso, datate 24 maggio 2021, p. 32, ma lo stesso concetto è ribadito nella Relazione illustrativa al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, p. 18, e nella Relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, 1 dicembre 2022, n. 110, sul d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, p. 13.