Informativa sul trattamento dei dati personali (ai sensi dell’art. 13 Regolamento UE 2016/679)
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Le modifiche al processo familiare e minorile: prime note illustrative al d.lgs. n. 164 del 31 ottobre 2024
Di Romolo Donzelli -
1. Dopo diversi mesi di attesa, è giunta l’emanazione del c.d. decreto correttivo della riforma Cartabia del processo civile, cioè il decreto legislativo n. 164 del 31 ottobre 2024.
Il testo finale è in larga misura corrispondente a quello che già circolava da tempo e particolare attenzione è dedicata al processo familiare e minorile.
Nella maggior parte dei casi, tuttavia, gli interventi predisposti dal decreto costituiscono semplici ritocchi formali, se non mere operazioni di maquillage normativo o correzioni, mentre restano sostanzialmente inalterati i problemi più gravi segnalati nel primo periodo di applicazione.
2. Procedendo subito all’esame delle diverse norme, iniziamo da quelle che, pur non impattando sul titolo IV bis del libro secondo del codice di rito, ciononostante riguardano il processo familiare e minorile.
La prima su cui vogliamo richiamare l’attenzione è certamente quella prevista dall’art. 2 del decreto.
Si rimette nuovamente mano sul famigerato art. 38 disp. att. c.c. e più in particolare sul suo secondo comma, sostituendo al primo periodo le parole «per il ricorso per l’irrogazione delle sanzioni in caso di inadempienze o violazioni» con le seguenti: «per i procedimenti previsti dagli articoli 473-bis.38 e 473-bis.39 del codice di procedura civile». In maniera similare, si interviene anche sul secondo periodo.
Quanto appena riportato vuol far intendere che la vis attractiva prevista dal secondo comma opera in riferimento a tutte le liti attuative previste dalle norme indicate; operazione, questa, che pare trovar la sua ragion d’essere nelle ulteriori modifiche apportate agli artt. 473-bis.38 e 473-bis.39 c.p.c., i quali, come diremo nel prosieguo, prevedono oramai due distinti percorsi processuali.
Anche il decreto correttivo, dunque, non pone rimedio ai problemi da tempo segnalati con riguardo al secondo comma dell’art. 38 disp. att. c.c. sin dalla legge delega n. 206/2021[2].
La vis attractiva a favore del tribunale minorile, infatti, riguarda due controversie, cioè quelle previste dagli artt. 473-bis.38 e 473-bis.39 c.p.c., che a ben vedere – sotto mentite spoglie – troviamo anche al primo comma e la cui pendenza determina addirittura il venir meno della competenza del tribunale per i minorenni rispetto alla sua sfera di competenza originaria.
Più in particolare, ai sensi dell’art. 473-bis.38 c.p.c. può essere chiesta la soluzione dei contrasti in merito all’esercizio della responsabilità genitoriale che troviamo anche al primo comma grazie al riferimento all’art. 316 c.c.
Mentre, ai sensi dell’art. 473-bis.39 c.p.c., le parti, semmai anche in via riconvenzionale a fronte della sola richiesta di sanzioni da parte dell’attore, o il giudice stesso d’ufficio possono modificare le condizioni di affidamento, tanto che oggi – come vedremo – la tutela in questione può essere richiesta in via autonoma con il ricorso ex art. 473-bis.12 c.p.c. Ed anche questa tipologia di controversie è presente al primo comma dell’art. 38 disp. att. c.c., lì dove la norma si riferisce ai procedimenti per la modifica delle condizioni dettate da precedenti provvedimenti a tutela del minore.
Ci si chiede, dunque, tra le tante esemplificazioni possibili, se possa operare il meccanismo previsto dall’art. 38 disp. att., comma 2, secondo periodo, c.c. anche qualora penda davanti al tribunale ordinario un procedimento instaurato ex artt. 473 bis.12 ss., 473 bis.29, 473 bis.39 e 473 bis.47 ss. c.p.c.
L’unica soluzione che rende coerente il disposto del secondo comma dell’art. 38 disp. att. c.c. con il primo passa per un’interpretazione sostanzialmente abrogante che ne limiti l’operatività ai soli casi in cui la lite attuativa riguardi proprio una decisione emessa dal tribunale minorile[3].
Diversamente, ovvero volendo seguire il dato meramente letterale esposto dall’art. 38 disp. att., comma 2, c.c., occorre ritenere che il tribunale per i minorenni, adìto ai sensi degli artt. 473 bis.38 e/o 473 bis.39 c.p.c. sia investito di tutti i poteri previsti dalle due norme e pertanto possa esercitare poteri che, di regola, spettano al tribunale ordinario, ovvero stabilire le condizioni di affidamento in modifica delle precedenti decisioni, incluse le statuizioni a contenuto economico, nonché risolvere i contrasti in merito all’esercizio della responsabilità genitoriale.
Pro futuro, si segnala anche un altro problema a cui occorrerà prima o poi dare soluzione normativa.
Sappiamo che il primo comma dell’art. 38 disp. att. c.c. condiziona l’operatività della vis attractiva alla pendenza dei processi ivi indicati innanzi al tribunale ordinario.
Da tempo, la giurisprudenza ritiene che tale regola vada applicata anche quando il processo pende innanzi alla Corte di cassazione. Eppure, in questo particolare caso, è dubbio a quale giudice rivolgersi per far valere le sopravvenienze occorse in questo lasso temporale; sopravvenienze che potrebbero essere fatte valere a vari fini, cioè, ad esempio, per lamentare violazioni dei provvedimenti in precedenza assunti e/o per richiedere la modifica dei medesimi[4].
Sul punto, è assolutamente necessaria una risposta da parte del legislatore.
3. Ancora d’interesse è l’art. 3, comma 1, lett. e) ed i), del decreto correttivo.
La prima previsione aggiunge all’art. 70, comma 1, un’ulteriore partizione, ovvero il n. 3-bis, il quale detta ora una regola d’ordine generale secondo cui la partecipazione del p.m. è necessaria «nelle cause in cui devono essere emessi provvedimenti relativi ai figli minori»[5].
La seconda previsione, invece, certamente non di esclusiva pertinenza del procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie, ma rilevante anche in questo ambito particolare, interviene sul disposto dell’art. 127-ter c.p.c. e chiarisce che l’udienza non può essere sostituita con il deposito di note scritte «quando la presenza personale delle parti e prescritta dalla legge o disposta dal giudice».
4. Saltando in avanti, si giunge finalmente al lungo comma 6 del menzionato art. 3 del decreto; comma che si presenta suddiviso in diverse lettere e che – appunto – si occupa del titolo IV-bis.
La lett. a) riformula il disposto dell’art. 473 bis, comma 1, c.p.c., precisando che nell’ambito di applicazione del procedimento unitario rientrano anche le «domande di risarcimento del danno conseguente a violazione dei doveri familiari», ma non quelle volte ad ottenere lo «scioglimento della comunione legale».
Con riguardo alla prima delle due fattispecie, va anche dato conto della modifica apportata ad opera dell’art. 6 del decreto correttivo all’art. 50.5, comma 1, del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, dove la locuzione «unitamente alle domande di risarcimento del danno connesse per l’oggetto o per il titolo» è opportunamente sostituita – evitando per il futuro incertezze applicative – dalla seguente: «le domande di risarcimento del danno conseguente a violazione dei doveri familiari, salvo che la legge disponga diversamente».
5. Tornando alla lett. a) dell’art. 3, comma 6, del decreto, questa aggiunge tre ulteriori commi all’art. 473-bis c.p.c.; commi che, invero, riguardano il diverso problema dell’errore sul rito e che in larga misura riprendono quanto già previsto dall’art. 4 d.lgs. n. 150/2011. Non a caso viene ad essere modificata anche la rubrica dell’art. 473-bis c.p.c., che ora è «Ambito di applicazione. Mutamento del rito».
Ciò detto, l’attuale comma 3 dell’art. 473 bis c.p.c. dispone che, «quando rileva che uno dei procedimenti previsti dal primo comma [cioè quelli che rientrano nell’ambito di applicazione del titolo IV-bis] è promosso in forme diverse da quelle previste dal presente titolo, il giudice ordina il mutamento del rito e fissa l’udienza di cui all’articolo 473 bis.21 assegnando alle parti termini perentori per l’eventuale integrazione degli atti».
Il comma 4, invece, si occupa del caso opposto e prescrive che, «quando rileva che una causa promossa nelle forme stabilite dal presente titolo riguarda un procedimento diverso da quelli previsti dal primo comma, il giudice, se la causa stessa rientra nella sua competenza, ordina il mutamento del rito dando le disposizioni per l’ulteriore corso del processo, altrimenti dichiara la propria incompetenza e fissa un termine perentorio per la riassunzione della causa con il rito per essa previsto».
Sulla base di quanto appena riportato, possiamo rilevare che l’errore sul rito, anche quando determina l’incompetenza del giudice adìto non impedisce la regolare prosecuzione del processo, tanto che il giudice dispone che siano compiute le attività necessarie affinché questo sia ricondotto al modello previsto dalla legge. L’obiettivo è, dunque, quello di conservare l’attività processuale compiuta, integrandola con quanto necessario.
In questa linea si pone anche l’attuale quinto ed ultimo comma dell’art. 473-bis.15 c.p.c., il quale però richiede qualche cenno in più.
È innanzitutto prescritto che il vizio deve essere dichiarato e non semplicemente rilevato entro la prima udienza, dopo di che si consolida il percorso processuale originariamente adottato.
Va detto, d’altro canto, che si dovrà riconoscere alla parte, che abbia tempestivamente eccepito l’error in procedendo, il potere di impugnare la sentenza per nullità del procedimento nel caso in cui il vizio abbia influito sulla decisione[6].
È, inoltre, previsto che «gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono secondo le forme del rito seguito prima del mutamento». Anche questa opzione legislativa è diretta ad evitare che l’errore possa pregiudicare chi ha introdotto il procedimento.
Infine, l’ultima parte del comma 5 prescrive che restino ferme le decadenze e le preclusioni maturate secondo le norme del rito seguito prima del mutamento.
La lettera della norma è chiara.
Se l’attore introduce – ad esempio – un processo di separazione con citazione e poi il giudice dispone il mutamento del rito, rimangono ferme le barriere preclusive che hanno colpito le parti nel procedimento erroneamente introdotto.
Tale regime, d’altro canto, potrà valere per le attività processuali che, pur a fronte di una non conforme disciplina, sono previste a pena di decadenza in entrambi i due moduli procedimentali; non, invece, per le attività che beneficiano di un regime speciale dipendente dalla natura del diritto dedotto in giudizio. Si tenga, appunto, a mente il disposto dell’art. 473 bis.19 c.p.c.
6. La lett. b), sempre dell’art. 3, comma 6, interviene sull’art. 473-bis.14 c.p.c., che, come noto, disciplina il contenuto del ricorso.
Qui, si modifica dapprima il secondo periodo del comma 2, dove le parole «quando il convenuto è malato di mente» sono sostituite dalle seguenti: «quando il convenuto è persona con disabilità psichica».
Inoltre, viene aggiunto un sesto comma, stando al quale, «se sussistono ragioni di urgenza, il giudice può abbreviare fino alla metà i termini previsti dal presente articolo e dall’articolo 473-bis.17.».
Ai casi particolari in cui al giudice è consentito abbreviare i termini, come noto previsti dagli artt. 473-bis.6, comma 1, e 473-bis. 42, comma 1, c.p.c., se ne aggiunge – dunque – uno ulteriore.
La norma è senz’altro opportuna nella misura in cui generalizza il potere del giudice, ma certamente non risolve i problemi derivanti dall’eccessiva concentrazione delle attività difensive in lassi temporali che possono divenire eccezionalmente ristretti, come già segnalato dalla dottrina[7] e dalla recente giurisprudenza[8].
7. La lett. c) stabilisce che l’udienza destinata a confermare, modificare o revocare il decreto concesso inaudita altera parteex art. 473-bis.15 c.p.c. si svolge davanti al medesimo giudice che ha pronunciato il primo provvedimento. A nostro parere la novellazione va oltre il segno. I rapporti tra giudice delegato e collegio, infatti, sono regolati ai sensi dell’art. 473 bis.1 c.p.c. Pertanto, non si vede per quale motivo escludere ex lege la scelta di riservare al collegio il riesame del decreto, come in effetti accaduto – sebbene raramente – nella prassi.
8. Di ben diverso impatto, invece, è quanto previsto ancora dalla lett. c), sempre in riferimento al disposto dell’art. 473-bis.15 c.p.c.
È, infatti, stabilito che «l’ordinanza con cui il giudice conferma, modifica o revoca i provvedimenti adottati ai sensi del primo comma è reclamabile solo unitamente a quella prevista dall’articolo 473-bis.22.».
Come noto, sul punto era già intervenuta la Cassazione, che, con l’«obbiettivo di un rafforzamento delle garanzie e delle tutele, in considerazione degli interessi sottesi», aveva esteso in via interpretativa il reclamo ex art. 473 bis.24, comma 2, c.p.c. ai provvedimenti indifferibili[9].
Vista tale cornice e tenuto conto del dibattito anteriore, la soluzione proposta dal decreto correttivo è insoddisfacente sul piano formale, ma ancor più sul piano sostanziale.
Nel primo senso, la previsione rende oscuro il rapporto tra i provvedimenti indifferibili e i provvedimenti temporanei ed urgenti resi ex art. 473-bis.22 c.p.c.[10], dando l’idea che l’oggetto delle due decisioni provvisorie sia differente e che il giudice non sia tenuto in prima udienza a confermare – arg. ex artt. 38, commi 1 e 2, disp. att. c.c. e 473 bis.38 c.p.c. – quanto già disposto in via indifferibile. Nel secondo senso, nel procrastinare il reclamo, la soluzione indicata non tiene conto dei dubbi di legittimità costituzionale che hanno indotto la Cassazione ad estendere la portata dell’art. 473 bis.24, comma 2, c.p.c.
Se, infatti, l’ordinanza resa ex art. 473-bis.15 c.p.c. deve essere reclamabile nei casi in cui ha un contenuto altamente impattante sulla responsabilità genitoriale non ha senso alcuno procrastinarne l’impugnativa. Tanto che, in questi casi, occorrerebbe anche – se non piuttosto – ammettere la possibilità di ottenere in sede di reclamo l’immediata sospensione dell’efficacia esecutiva della decisione indifferibile per impedirne l’attuazione[11].
In altre parole, anche su questo piano il legislatore dimostra di non aver compreso adeguatamente i problemi legati all’istituto e di conseguenza, se le premesse fatte proprie dalla Cassazione sono corrette, c’è il serio rischio che la norma venga dichiarata incostituzionale per la violazione degli artt. 3 e 24, commi 1 e 2, Cost.
9. La lett. d) interviene sul disposto dell’art. 473-bis.19, comma 1, c.p.c., precisando che le barriere preclusive dal cui regime sono sottratti i diritti indisponibili sono anche quelle previste dall’art. 473-bis.16.
10. La lett. e) si occupa, invece, del reclamo ex art. 473 bis.24 c.p.c.
Il primo intervento riguarda i commi 1 e 2 della disposizione appena indicata; commi che vengono sostituiti da un unico primo comma che ora si articola in due diverse partizioni.
La novellazione, di per sé innocua se non inutile, lascia sostanzialmente inalterata la precedente disciplina e con essa i problemi interpretativi posti – ora – dall’art. 473 bis.24, comma 1, n. 2, c.p.c.[12]
Per ragioni di coordinamento, inoltre, all’ultimo comma dell’art. 473-bis.24 c.p.c., il riferimento al «secondo comma» è sostituito dal rinvio al «primo comma, n. 2,».
11. La lett. f) risolve, invece, il problema relativo all’individuazione del giudice competente a decidere il reclamo proposto avverso le decisioni provvisorie emesse dal giudice dell’appello e così – modificando il disposto dell’art. 473-bis.34, comma 4, c.p.c. – stabilisce opportunamente che costui sia la «stessa corte di appello, che decide in diversa composizione». Inoltre, «ove non sia possibile comporre altro collegio specializzato in materia di stato delle persone, minorenni e famiglie» è previsto che la corte debba trasmettere «senza indugio gli atti alla corte di appello più vicina, individuata tenuto conto della distanza chilometrica ferroviaria, e se del caso marittima, tra i capoluoghi dei distretti».
12. Le lett. g) e h) – sempre dell’art. 3, comma 6 – riguardano l’attuazione degli obblighi a contenuto personale, la cui disciplina aveva manifestato particolari criticità.
Il correttivo, d’altro canto, si limita a pochi ritocchi, il cui impatto – però – non è secondario.
Il primo intervento riguarda il comma 1 dell’art. 473-bis.38 c.p.c. e più precisamente, dopo le parole «responsabilità genitoriale», viene aggiunta la locuzione «se pende un procedimento avente ad oggetto la titolarità o l’esercizio della stessa».
La nuova norma, dunque, suona così: «per l’attuazione dei provvedimenti sull’affidamento del minore e per la soluzione delle controversie in ordine all’esercizio della responsabilità, se pende un procedimento avente ad oggetto la titolarità o l’esercizio della stessa è competente il giudice del procedimento in corso, che provvede in composizione monocratica».
Cerchiamo di capire il senso della previsione.
Più volte chi scrive ha evidenziato che il primo comma dell’art. 473-bis.38 c.p.c. rappresenta in larga misura un brutale e acritico copia-incolla del primo comma dell’art. 709-ter c.p.c.
Il dubbio interpretativo più pianamente risolvibile era costituito dal chiedersi se gli artt. 473-bis.38 e l’art. 473-bis.39 c.p.c. fossero riferibili solo all’attuazione delle decisioni sull’affidamento rese dal tribunale ordinario o anche da quelle pronunciate dal tribunale minorile.
La seconda opzione, nonostante il tenore letterale della norma, era obbligata.
La novellazione di cui si è dato conto aggiunge un argomento a tale soluzione.
Certo, l’innesto operato dalla lett. g) dell’art. 3, comma 6, non è dei migliori, poiché, per fare le cose per bene, si doveva modificare la rubrica dell’art. 473-bis.38 c.p.c. e la prima parte del primo comma.
Visto che al legislatore piace far uso della distinzione tra titolarità ed esercizio della responsabilità genitoriale, si poteva scrivere la rubrica così: «Attuazione dei provvedimenti sulla titolarità e sull’esercizio della responsabilità genitoriale». Nella stessa maniera si poteva intervenire sul primo comma.
Si potrebbe anche pensare – ed in questo senso depone la Relazione illustrativa – che il legislatore abbia parzialmente riscritto il primo comma dell’art. 473-bis.38 c.p.c. solo per chiarire che il procedimento in corso deve riguardare la titolarità o l’esercizio della responsabilità genitoriale.
In questo caso, d’altro canto, la novellazione avrebbe poco senso, visto che nessuno – per quanto consta – ne ha mai dubitato, né ora, né sotto la vigenza dell’abrogato art. 709-ter c.p.c.
13. Ancora la lett. g), infine, dispone che l’opposizione prevista dall’ultimo comma dell’art. 473-bis.38 c.p.c. vada proposta «entro il termine perentorio di dieci giorni dalla pronuncia del provvedimento in udienza o dalla comunicazione o dalla notificazione se anteriore».
Questo intervento era assolutamente indispensabile, poiché l’omissione era difficilmente superabile in via analogica[13].
14. La lett. h), invece, si occupa dell’art. 473-bis.39 c.p.c.
Sin dai nostri primi commenti, avevamo evidenziato che la previsione era priva di regole d’ordine processuale, sicché occorreva volgere lo sguardo all’art. 473-bis.38 c.p.c.[14]
Ora, con riguardo al primo comma dell’art. 473-bis.39 c.p.c., la novellazione precisa che il giudice ivi evocato è quello «del procedimento in corso».
Inoltre, viene aggiunto un terzo comma, stando al quale, «se non pende un procedimento la domanda si propone nelle forme dell’articolo 473-bis.12.».
L’effetto più manifesto della novellazione è, dunque, l’aver creato una lisi tra l’art. 473-bis.38 e l’art. 473 bis.39 c.p.c.
Ad oggi, dunque, questa seconda norma presenta una disciplina processuale in larga misura assimilabile a quella in precedenza prevista dall’art. 709-ter c.p.c.
In sintesi, dunque, per la tutela incidentale, occorrerà proporre un’istanza da depositarsi nel fascicolo telematico del procedimento in corso, al pari di quel che accade ai sensi dell’art. 473-bis.23 c.p.c., Verrà aperto un subprocedimento definito con ordinanza. Questa sarà reclamabile – e semmai anche ricorribile per cassazione all’esito del giudizio di reclamo – qualora ricorrano le condizioni previste dall’art. 473 bis.24 c.p.c. In ogni caso, le questioni risolte in via provvisoria con l’ordinanza dovranno essere riesaminate all’esito della cognizione piena con la sentenza che definisce il giudizio[15].
Nella tutela autonoma, invece, si seguiranno le forme del rito unitario. La sentenza resa al temine del procedimento sarà prima appellabile e poi ricorribile per cassazione.
Ciò detto, occorre – ora – esaminare gli effetti della frattura creatasi tra l’art. 473-bis.38 e l’art. 473 bis.39 c.p.c.
Ai sensi della prima norma indicata, infatti, si può chiedere ed ottenere la soluzione dei contrasti in merito all’esercizio della responsabilità genitoriale, nonché la determinazione delle modalità di attuazione diretta delle decisioni.
Non è chiaro, tuttavia, se la disciplina del procedimento sommario disciplinato dai commi da 3 a 7 vada integralmente applicata tanto alla tutela incidentale quanto alla tutela autonoma.
In questo secondo caso, i problemi sono minori.
Non abbiamo un giudizio pendente ed il procedimento si articolerà nelle forme stabilite dall’art. 473-bis.38, commi 2-7, c.p.c., cioè una prima fase sommaria e poi la successiva ed eventuale fase di opposizione, al termine della quale si avrà una sentenza impugnabile nei modi ordinari, cioè dapprima l’appello e poi il ricorso per cassazione[16].
Nel caso in cui, invece, sia in corso un processo sulla responsabilità genitoriale, pur ammettendo che si segua la disciplina dettata dai commi 3-6, l’idea che si debba contestare l’ordinanza pronunciata dal giudice monocratico con l’opposizione del settimo comma, cioè che si debba instaurare un nuovo – e oramai parallelo – giudizio ordinario davanti al collegio, ci appare una soluzione piuttosto singolare[17]. Non a caso, pur ritenendo l’opposizione del comma 7 l’unico rimedio esperibile avverso l’ordinanza risolutiva delle liti attuative, parte della dottrina aveva sostenuto prima del correttivo che in pendenza del procedimento la suddetta opposizione dovesse essere proposta incidentalmente, cioè nell’ambito del medesimo procedimento in corso, e dovesse essere risolta con la sentenza che definisce il processo[18].
Va da sé che la novellazione, dotando l’art. 473-bis.39 c.p.c. di una sua autonoma disciplina formale, rende meno percorribili le soluzioni in precedenza proposte ed in particolare la possibilità di reclamare l’ordinanza ai sensi dell’ultimo comma della disposizione da ultimo citata.
C’è, infine, un altro aspetto da tenere in considerazione ovvero quelle delle potenziali interferenze tra la tutela ex art. 473-bis.23, 473-bis.38 e 473 bis.39 c.p.c.
Facciamo un esempio.
Ipotizziamo che una delle parti, in pendenza del procedimento, proponga istanza al giudice delegato per chiedere la determinazione delle modalità di attuazione diretta della decisione e la controparte alleghi fatti tali da giustificare la modifica della decisione medesima. Ovviamente, la revisione del provvedimento è pregiudiziale al problema della sua attuazione, sicché, se la richiesta è fondata o in ogni caso se il giudice ritiene tale soluzione opportuna, dovrà essere pronunciata un’ordinanza con la quale respingere l’istanza della parte ricorrente, provvedendosi – di contro – ai sensi degli artt. 473-bis.23 e 473-bis.39, comma 1, c.p.c.
In queste ipotesi, è da chiedersi quale sia il giusto rimedio, ovvero solo il reclamo (quando ammissibile ai sensi del coordinato disposto degli artt. 473-bis.24, comma 2, e 473-bis.39, comma 4, c.p.c.), oppure solo l’opposizione ex art. 473-bis.38, comma 7, c.p.c., oppure – ancora – entrambi[19].
Quello appena indicato è solo un banale esempio, ma molti altri se ne potrebbero fare.
Si rimane della convinzione che la disciplina dell’attuazione dei provvedimenti determinativi della responsabilità genitoriale debba essere interamente rivista e marcatamente semplificata nei suoi profili procedurali.
15. La lett. i) dell’art. 3, comma 6, apporta lievi modifiche all’art. 473-bis.47 c.p.c.
Così, al comma 1, dopo le parole «luogo di residenza» sono inserite le seguenti: «o di domicilio»; mentre la locuzione «nel caso in cui l’attore sia residente all’estero» viene così sostituita: «nel caso in cui questo sia residente all’estero».
Viene, inoltre, aggiunto un secondo comma, stando al quale «il pubblico ministero può proporre impugnazione avverso la sentenza che definisce il giudizio, limitatamente agli interessi patrimoniali dei figli minori o legalmente incapaci».
La previsione generalizza, dunque, la portata precettiva dell’art. 5, comma 5, l. div., che viene contestualmente abrogato ad opera dell’art. 6, comma 1, lett. b), del decreto correttivo.
È piuttosto singolare, d’altro canto, che il legislatore si sia limitato a questa operazione poco più che notarile senza estendere il potere di impugnazione anche agli interessi non patrimoniali, tenuto conto dei dubbi di costituzionalità in merito alla norma abrogata già sollevati dalla dottrina[20].
Ad ogni modo, in ragione delle modifiche apportate, viene cambiata anche la rubrica dell’articolo in questione, che ora diviene la seguente: «Competenza per territorio. Poteri del pubblico ministero».
16. Le lett. l) e m) intervengono sugli artt. 473-bis.48 e 473-bis.51 c.p.c. soprattutto per chiarire alcuni aspetti relativi alla documentazione economica che deve essere depositata nei processi sulla crisi familiare.
Al comma 1 della prima disposizione indicata, per ragioni di mera simmetria normativa, viene anteposta la seguente locuzione: «salvo quanto previsto dall’articolo 473-bis.51».
L’art. 473-bis.51 c.p.c., infatti, disciplina il procedimento su domanda congiunta in cui non si applicano le regole generali, bensì quelle speciali ivi indicate.
Queste ultime, peraltro, vengono precisate ed emendate di alcuni errori presenti nella prima formulazione del testo normativo.
Così, il riferimento all’art. 473-bis.13, comma 3, c.p.c., appunto contenuto all’art. 473-bis.51, comma 3, c.p.c. e del tutto stravagante, è sostituito dal seguente: «473-bis.12, terzo comma».
Viene, poi, corretto il testo del primo comma nel suo rinvio all’art. 473-bis.12 c.p.c.
17. La lett. n) opera una correzione di un ulteriore errore formale e sostituisce nel disposto dell’art. 473-bis.65, comma 1, c.p.c. la «pretura» con il «tribunale», mentre la lett. o), abroga la sezione VI del capo III del titolo IV-bis, tenuto conto che i relativi istituti erano stati soppressi con la riforma del diritto di famiglia del 1975[21].
18. Infine, le lett. p) e q) si occupano degli ordini di protezione contro gli abusi familiari.
Più precisamente, la prima novellazione riguarda l’art. 473-bis.71 c.p.c., al quale viene aggiunto un sesto comma, che attribuisce la competenza ad assumere le misure di cui all’art. 473-bis.70 c.p.c. al giudice innanzi al quale pende un procedimento disciplinato dal capo III, sezione II del titolo IV-bis, ovvero uno dei processi sulla crisi familiare indicati dall’art. 473 bis.47 c.p.c., e ciò nel caso in cui la condotta sia addebitata all’attore o al convenuto.
La lett. q), invece, sposta il contenuto dell’art. 5 l. n. 154/2001 (abrogato dall’art. 6, comma 5, del decreto correttivo) in una nuova disposizione, dando – così – corpo all’art. 473-bis.72 c.p.c., rubricato «Pericolo determinato da altri familiari», stando al quale «le norme di cui alla presente sezione si applicano, in quanto compatibili, anche nel caso in cui la condotta pregiudizievole sia stata tenuta da altro componente del nucleo familiare diverso dal coniuge, dalla parte dell’unione civile o dal convivente, ovvero nei confronti di altro componente del nucleo familiare diverso dal coniuge, dalla parte dell’unione civile o dal convivente. In tal caso l’istanza è proposta dal componente del nucleo familiare in danno del quale è tenuta la condotta pregiudizievole».
Va dato atto, inoltre, che anche gli artt. 342-bis e 342-ter c.c., i quali – come noto – si ritenevano abrogati tacitamente dalla riforma Cartabia, ora vengono meno in forza dell’art. 1, comma 1, del decreto correttivo e conseguentemente l’art. 6, comma 5, del medesimo decreto sostituisce nel disposto dell’art. 7, l. n. 154/2001, le parole «dal secondo comma dell’articolo 342-ter del codice civile» con altra locuzione: «dal secondo comma dell’articolo 473-bis.70 del codice di procedura civile».
[1] Il presente lavoro è realizzato nell’ambito del progetto PRIN PNRR 2022, “The procedural profiles of the protection of families according to the well-being of the minor” (bando PRIN 2022 PNRR – finanziato dall’Unione Europea – NextGenerationEU).
[2] Cfr. il nostro L’attuazione delle misure, in La riforma del giudice e del processo per le persone, i minori e le famiglie, a cura di Cecchella, Torino, 2022, 224 ss.; e poi Sub art. 473-bis.39, in Procedimenti relativi alle persone, ai minorenni e alle famiglie, a cura di Donzelli e Savi, Milano, 2023, 303 ss.; Manuale del processo familiare e minorile, Torino, 2024, 40 ss.; ma v., da ultimo, anche l’ampio e approfondito studio di Cea, L’art. 38 disp. att. c.c. tra passato, presente e futuro, in Giusto proc. civ., 2024, spec. 896 ss.; nonché gli ulteriori spunti critici di Vecchio, La competenza, in La riforma, cit., 56; in senso contrario, v. Conti, L’art. 38 disp. att. c.c. ed i problemi applicativi posti da una norma in via di estinzione, in Dir. fam. pers., 2023, 912 ss.
[4] Sul tema, v. da ultimo Cea, L’art. 38 disp. att. c.c., cit., 889 ss., che, condivisibilmente, ritiene inoperativa la vis attractiva nell’ipotesi indicata nel testo.
[6] Cfr. Farina, Sub art. 4, in Commentario alle riforme del processo civile dalla semplificazione dei riti al decreto sviluppo, a cura di Martino e Panzarola, Torino, 2013, 39.
[7] Lupoi, Il “nuovo” procedimento di separazione e divorzio, tra barriere preclusive e ruolo attivo del giudice, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2023, 451; nonché, si vis, il nostro Manuale, cit., 102.
[8] Cfr. l’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale del Tribunale di Genova del 3 maggio 2024, in www.ordineavvocatidellaspezia.it in merito al dubbio di legittimità dell’art. 473-bis.17 c.p.c. in relazione agli artt. 24 e 111 Cost.
[12] Cfr. il nostro Il rompicapo dei provvedimenti temporanei e urgenti resi nel procedimento per le persone, i minorenni e le famiglie, in www.judicium.it; nonché, Cass., 30 aprile 2024 n. 11688, in cui la Corte, pur osservando che «il Collegio è conscio della molteplicità dei problemi interpretativi nascenti dal riportato reticolato normativo e già evidenziati dalla dottrina», ha poi ritenuto opportuno «mantenere l’ambito di questa indagine entro quanto strettamente necessario a rispondere allo specifico quesito posto dalla già citata ordinanza di rinvio pregiudiziale, disinteressandosi, pertanto, degli altri profili, parimenti di sicuro interesse».
[13] Diversamente orientata, Ficcarelli, Il nodo critico degli artt. 473-bis.38 e 473-bis.39 c.p.c.: riflessioni sul procedimento e una proposta interpretativa, in www.judicium.it, § 2.1.
[14] Nel senso indicato nel testo, oltre ai nostri scritti indicati supra, v., sebbene con soluzioni di dettaglio non conformi, Cecchella, Il processo in materia di persone, minorenni e famiglie, Pisa, 2024, 137; Ficcarelli, Il nodo critico, cit., § 2.1; in giurisprudenza, v. T. Verona, 2 febbraio 2024, in Onelegale;
[15] Cfr. amplius il nostro I provvedimenti nell’interesse dei figli minori ex art. 709 ter c.p.c., Torino, 2018, 203 ss.
[16] Cfr., tuttavia, Ficcarelli, Il nodo critico, cit., § 3, che assimila l’opposizione di cui all’art. 473-bis.38, comma 7, c.p.c. alle opposizioni esecutive, sicché il regime di impugnazione della sentenza dovrebbe variare a seconda della natura dell’opposizione, dovendosi preliminarmente qualificare la medesima come opposizione all’esecuzione oppure come opposizione agli atti esecutivi.
[17] Cfr., infatti, quanto osservato nel nostro Manuale, cit., 269 s.
[19] La cumulabilità dei diversi rimedi era stata avanzata in precedenza – ma muovendo da una premessa qualificatoria ben precisa – da Ficcarelli, Il nodo critico, cit., § 3.
[20] Cfr. A. Carratta, in Le recenti riforme del processo civile, II, diretto da S. Chiarloni, Bologna, 2007, 1509.
[21] Cfr. Savi, Sub art. 473-bis.67, in Procedimenti, cit., 423.