Le nuove regole per l’introduzione della causa nel rito ordinario di cognizione

Di Piergiuseppe Lai -

Sommario: 1. Premessa. – 2. La disciplina degli atti introduttivi nel rito ordinario: l’atto di citazione e la comparsa di costituzione. – 3. I compiti del giudice nella fase preliminare. – 4. La trattazione scritta anticipata. – 5. L’udienza di prima comparizione e trattazione.

 1.Premessa. Con l’emanazione del Decreto legislativo n. 149 del 10 ottobre 2022, il governo italiano ha esercitato la delega conferita dalla l. 26 novembre 2021, n. 206[1], licenziando un imponente intervento di restyling processuale del processo di cognizione, accompagnato da ulteriori significative modifiche in materia di esecuzione forzata, arbitrato e procedimenti stragiudiziali di definizione delle controversie, nonché il completo ripensamento dei procedimenti in materia familiare.

La parte più significativa delle nuove disposizioni sul processo di cognizione ordinaria doveva originariamente entrare in vigore il 30 giugno 2023, anche per consentire una seppur minima preparazione e organizzazione del lavoro agli avvocati e ai magistrati chiamati ad applicare le nuove regole. La data è stata tuttavia anticipata al 28 febbraio 2023 dalla legge di bilancio 2022[2], forse nella convinzione (infondata a giudizio di chi scrive) che ciò avrebbe anche permesso di anticipare il raggiungimento degli obiettivi di riduzione dell’arretrato e dei tempi di definizione dei processi civili negoziati con le autorità europee per ottenere i rilevantissimi finanziamenti del P.N.R.R.

Con riferimento alla fase introduttiva del giudizio di primo grado, l’impianto delle nuove disposizioni sancisce il passaggio da uno schema nel quale la centralità del modello della cognizione ordinaria definito dagli artt. 163 ss. c.p.c. era stata solo in minima parte scalzata dalle agili forme del processo sommario di cognizione (già art. 702bis e ss. c.p.c.) a un diverso sistema binario nel quale, in considerazione della complessità della controversia, un rito più pesante, formale e oramai farraginoso regolato dagli artt. 163 ss. c.p.c. si alterna a un nuovo procedimento semplificato, a tratti simile al rito del lavoro, sul quale il legislatore punta decisamente nell’ottica dell’accelerazione dei processi[3].

Di ciò costituisce riprova, anzitutto, l’inserimento del nuovo rito semplificato nel secondo libro del codice di procedura civile negli articoli da 281decies a 281terdecies: infatti, pur geneticamente riconducibile al (vecchio e abrogato) procedimento descritto negli art. 702bis e ss. c.p.c.[4], il nuovo modello ha abbandonando ogni riferimento alla sommarietà della cognizione e con essa quelle discutibili forme di trattazione rimesse all’iniziativa del giudice e ha perciò finalmente guadagnato una collocazione sistematicamente corretta. Si aggiunga inoltre la previsione di cui al nuovo l’art. 281decies c.p.c., ultimo periodo, in forza della quale la domanda – di fronte al giudice monocratico – può essere sempre proposta nelle forme del rito semplificato a prescindere dalla complessità della controversia[5], nonché l’efficace sistema di raccordo tra i due riti disegnato rispettivamente dall’art. 183bis c.p.c. (da ordinario verso semplificato) e dall’art. 281duodecies, secondo comma, c.p.c. (da semplificato verso ordinario)[6]. Ancora, alla futura diffusione del nuovo rito semplificato contribuirà, e non poco, la previsione della sua estensione a tutti i giudizi davanti al giudice di pace, anche in considerazione dell’ampliamento della sua competenza per valore sancito dalla riforma[7]. Infine, l’impressione sembra trovare conferma nella previsione inserita nel nuovo secondo periodo dell’art. 40, terzo comma, c.p.c., con la quale il legislatore in caso di cumulo di cause connesse (ai sensi degli artt. 31, 32, 34, 35 e 36 c.p.c.) trattate con il rito semplificato e trattate con rito speciale non laburistico impone la costante prevalenza del primo[8].

2.La disciplina degli atti introduttivi nel rito ordinario: l’atto di citazione e la comparsa di costituzione. Nonostante alcune proposte avanzate tempo addietro e prontamente disattese dal legislatore[9], il processo ordinario di cognizione è ancora oggi introdotto con citazione ad udienza fissa secondo le regole stabilite dall’art. 163 c.p.c.: la riforma, tuttavia, nel recepire le indicazioni della delega, ha previsto alcune integrazioni e reso perciò ancora più ricco di contenuti l’atto introduttivo del giudizio ordinario[10].

Prima di esaminare nel dettaglio queste novità occorre però richiamare alcune (nuove) disposizioni di generale applicazione rilevanti per il nostro tema.

Mi riferisco in primo luogo all’integrazione ricevuta dell’art. 121 c.p.c., ora rubricato Libertà di forme. Chiarezza e sinteticità degli atti, a mente del quale «Tutti gli atti del processo sono redatti in modo chiaro e sintetico»[11]. La previsione, collocata tra le disposizioni generali del primo libro del codice, trova applicazione a tutti gli atti processuali e quindi, senza dubbio, anche quelli introduttivi del giudizio. Il duplice requisito della chiarezza e della sinteticità, non sempre conciliabili in presenza di controversie oggettivamente complesse, dovrebbe agevolare il lavoro del giudice non più costretto alla lettura di atti sovrabbondanti nelle dimensioni e oscuri o confusi nel contenuto[12].

Resta tuttavia il dubbio della rilevanza concreta del richiamo alla chiarezza, suscettibile di assumere un’inopportuna valenza pedagogica nei confronti degli avvocati. Invero, per quanto ci si sforzi, non sembra davvero possibile immaginare un difensore che nel tutelare l’interesse del cliente non aspiri sempre alla chiarezza nei propri scritti per assicurarsi l’attenzione del magistrato al quale si rivolge, affinché comprenda le istanze del suo assistito e, ove possibile, le accolga[13].

Più delicato il discorso sulla sinteticità poiché, a seconda del modo in cui viene intesa, può incidere negativamente sull’effettività del diritto di difesa della parte, specie quando si risolve nella fissazione di limiti al contenuto degli atti processuali.

E il pericolo è più concreto di quanto possa, a prima vista, sembrare.

Occorre infatti premettere che, in forza del nuovo dell’art. 196quater disp. att. c.p.c., il deposito degli atti giudiziari, ivi compresi quelli introduttivi del giudizio, deve compiersi «esclusivamente con modalità telematiche» dinanzi a tutti gli uffici giudiziari civili dal 1° gennaio 2023, con una limitata proroga per i procedimenti davanti al giudice di pace fino al 30 giugno 2023[14]. Qualche riserva può sorgere intorno all’attuale capacità di tutti gli uffici di dare applicazione alla nuova disposizione, ma ciò che può interessa ai nostri fini è la necessità di coordinare la previsione circa la necessaria forma telematica degli atti con l’indicazione contenuta nell’art. 46 disp. att. c.p.c. (Forma e criteri di redazione degli atti giudiziari), laddove prevede che il Ministero della Giustizia, sentiti il Consiglio Superiore della Magistratura e il Consiglio Nazionale Forense, possa stabilire con decreto dapprima «gli schemi informatici degli atti giudiziari» e, quindi, «i limiti degli atti processuali, tenendo conto della tipologia, del valore, della complessità della controversia, del numero delle parti e della natura degli interessi coinvolti».

Il Ministero potrà, dunque, fissare lo schema informatico che gli avvocati dovranno adottare e rispettare nella composizione degli atti di parte, ma soprattutto prevedere limiti di contenuto degli scritti difensivi, suscettibili di variare in relazione agli indici tipizzati dalla norma e sostanzialmente riconducibili alla (presunta) complessità della controversia[15].

Lo stesso art. 46 disp. att. c.p.c. opportunamente chiarisce – uniformandosi all’indicazione della legge delega – che il mancato adeguamento dell’atto allo schema informatico o il superamento dei limiti stabiliti nel decreto ministeriale «non comporta invalidità, ma può essere valutato dal giudice ai fini della decisione sulle spese del processo». Ci si potrebbe domandare se, in considerazione della genericità dell’espressione usata (può essere valutato), la violazione delle descritte prescrizioni formali nella redazione degli atti consenta al giudice di sovvertire gli ordinari criteri di riparto delle spese di lite, ispirati al principio della soccombenza, e spingersi fino ad accollarle alla parte vittoriosa nel merito ma irrispettosa delle prescrizioni ministeriali.

È ora possibile affrontare l’esame dei nuovi contenuti dell’atto di citazione.

Secondo il nuovo n. 3bis dell’art. 163, terzo comma, c.p.c. l’attore, nella citazione, dopo avere indicato la cosa oggetto della domanda (n. 3), dovrà anche allegare «nei casi in cui la domanda è soggetta a condizione di procedibilità» «l’assolvimento degli oneri previsti per il suo superamento». La prova della soddisfazione della condizione di procedibilità deve dunque essere non solo fornita con l’atto introduttivo ma esplicitata nel testo dell’atto di citazione sotto forma di allegazione: l’attore non potrà dunque limitarsi ad inserire, ad esempio, il verbale negativo redatto dal mediatore tra le produzioni documentali degli atti introduttivi, ma dovrà allegare nell’atto di citazione di avere avviato il procedimento di mediazione o negoziazione assistita obbligatoria con esito negativo. Il nuovo requisito non ha un impatto significativo sulla prassi, posto che qualsiasi avvocato mediamente accorto dava atto dell’avveramento della condizione di procedibilità nell’atto introduttivo; piuttosto, potrà avere una certa utilità in vista dei provvedimenti che il giudice deve adottare in preparazione dell’udienza di comparizione[16].

Il nuovo testo del n. 4 dell’art. 163 c.p.c. è integrato, in attuazione del criterio generale stabilito dal visto art. 121 c.p.c.[17], con la previsione secondo cui l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda deve essere chiara e specifica. È agevole osservare come l’eventuale violazione della prescrizione non possa incidere sulla validità dell’atto introduttivo, considerata l’invarianza dell’art. 164, quarto comma, c.p.c. che commina la nullità per il solo caso del difetto di esposizione dei fatti, mentre la violazione del principio di chiarezza o specificità presuppone che una esposizione dei fatti vi sia stata, sia pure insufficiente rispetto ai nuovi canoni fissati dal legislatore. Il problema interpretativo, pertanto, in linea di massima sarà rinviato al momento della decisione sulla quantificazione e (forse) sul riparto delle spese di lite[18].

Infine, il nuovo testo dell’art. 163 c.p.c., al n. 7, impone una integrazione dell’avvertimento relativo alla costituzione tempestiva ora anticipato ad almeno 70 giorni prima dell’udienza e quindi l’onere per l’attore di (ulteriormente) avvertire il convenuto: a) «che la difesa tecnica è obbligatoria in tutti i giudizi davanti al tribunale, fatta eccezione per i casi previsti dall’art. 86 o da leggi speciali» e b) «che la parte, sussistendone i presupposti di legge, può presentare istanza per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato»[19].

L’intervento è volto ad assicurare l’effettività del diritto di difesa del convenuto, il quale, fin dalla notifica della citazione avrà contezza della necessità di rivolgersi a un avvocato – fatte salve le eccezionali ipotesi stabilite dalla legge[20] – per approntare le sue difese e della possibilità, in presenza delle condizioni reddituali, di accedere al patrocinio a spese dello Stato.

In proposito vale la pena rammentare il contenuto dell’obbligo d’informazione sancito dall’art. 27, n. 4, del codice deontologico forense, in forza del quale l’avvocato è obbligato all’atto di assunzione dell’incarico professionale «ad informare la parte assistita della possibilità di avvalersi del patrocinio a spese dello Stato» e le severe conseguenze che possono derivare all’avvocato per la sua inosservanza, non solo sul piano disciplinare[21]. L’esistenza di questo obbligo dell’avvocato rende in certa misura pleonastico l’avvertimento, poiché è lecito attendersi che la parte, ricevuta la notifica della citazione e contattato un avvocato, venga immediatamente informata della possibilità di accedere al patrocinio a spese dello Stato[22]: e ciò non è privo di rilievo nel valutare le conseguenze di un’eventuale omissione dell’avvertimento.

L’art. 164 c.p.c., recante la disciplina della nullità della citazione, sul punto non toccato dalla riforma, sanziona ancora oggi la mancanza dell’avvertimento «previsto dal numero 7) dell’art. 163» con la nullità della citazione. Tuttavia, mentre fino a ieri quell’avvertimento riguardava le sole decadenze correlate alla tardiva costituzione in giudizio del convenuto, oggi il suo contenuto è complicato dal riferimento alla necessaria assistenza dell’avvocato e alla possibilità di accedere al patrocinio a spese dello Stato[23].

È lecito, pertanto, domandarsi come la nuova e articolata veste dell’avvertimento previsto dal n. 7 dell’art. 163 c.p.c. debba raccordarsi all’invariata dizione dell’art. 164 che sanziona ancora la sola integrale mancanza dell’avvertimento, implicitamente riferendosi al tradizionale contenuto dell’atto di citazione.

Si possono prospettare due soluzioni: a) secondo la prima il legislatore della riforma avrebbe consapevolmente mantenuto invariata la sanzione per considerare affetta da nullità la sola citazione priva di qualsiasi avvertimento, così riferito alle decadenze come alla difesa tecnica come all’accesso al patrocinio a spese dello Stato; b) l’alternativa è quella di riferire l’espressione a ciascun singolo avvertimento, assegnandogli dunque una valenza precettiva autonoma: in tal caso la nullità potrebbe ravvisarsi non solo – come in precedenza – quando manchi l’avvertimento relativo alle decadenze per tardiva costituzione in giudizio, ma anche quando la parte non sia stata avvertita della necessità della difesa tecnica o della possibilità di avvalersi del patrocinio a spese dello Stato[24].

A me sembra da preferire senz’altro la seconda soluzione, la quale ha il merito di offrire una lettura in chiave evolutiva dei requisiti formali della citazione coerente alle scelte della riforma, sebbene, per poter definire la portata concreta del vizio occorra distinguere le due situazioni prospettabili, in relazione al comportamento del convenuto.

Quando il convenuto non sia costituito in giudizio, deve riconoscersi massima applicazione alle nuove disposizioni e al tenore letterale della legge processuale e, così, la mancanza anche di uno solo dei due nuovi avvertimenti comporterà la nullità della citazione e l’ordine giudiziale di rinnovazione dell’adempimento[25]. Più complicato stabilire le conseguenze nel caso in cui il convenuto si sia costituito, pur chiarendo che la costituzione – per espressa ammissione del codice di rito – importa la sanatoria della nullità.

Il caso più semplice è quello del convenuto che, costituitosi, nulla eccepisca in merito all’omissione dell’avvertimento: il giudizio proseguirà regolarmente e il vizio formale si considererà definitivamente superato.

Qualora invece il convenuto, costituendosi, eccepisca espressamente l’omissione dell’avvertimento relativo alla difesa tecnica o al patrocinio a spese dello Stato, ci si deve domandare se il giudice sia tenuto in ogni caso a fissare una nuova udienza con integrale restituzione dei termini a difesa, come lascia intendere il tenore letterale dell’art. 164, terzo comma, c.p.c.

La risposta non è così scontata e deve necessariamente misurarsi con alcuni orientamenti di legittimità circa le conseguenze della costituzione del convenuto nel caso di citazione viziata per omissione dell’avvertimento di cui al n. 7 dell’art. 163 c.p.c. e, più in generale, intorno ai rapporti tra nullità formali e pregiudizio del diritto di difesa delle parti.

La Cassazione, con orientamento avviato dalla sentenza n. 21910 del 2014, successivamente confermato e integrato nei motivi dalla recente pronuncia n. 28646 del 2020[26], sostiene che il giudice – prima di concedere il rinvio dell’udienza e i relativi nuovi termini – debba preliminarmente valutare il tenore delle difese svolte nella comparsa di costituzione e distinguere il caso del convenuto costituitosi al solo fine di rilevare il vizio dell’atto introduttivo dal caso in cui egli, pur eccependo il vizio, abbia comunque svolto le sue difese nel merito (ad es. prendendo posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda, sollevando eccezioni, deducendo prove ecc.).

Nella seconda ipotesi considerata la Corte ha ritenuto che il giudice – nonostante la contraria indicazione della legge – non debba fissare una nuova udienza e i relativi termini poiché la parte ha dato prova di non avere subìto alcuna lesione del diritto di difesa, alla tutela del quale solo è preposto l’adempimento richiesto.

Ora, il principio enunciato dalla Cassazione per il caso del difetto dell’avvertimento relativo all’onere di costituzione tempestiva non può non rilevare, mutatis mutandis, anche quando a mancare sia l’avvertimento relativo alla difesa tecnica o alla possibilità di accedere al patrocinio a spese dello Stato.

Nel caso della difesa tecnica sarei dell’opinione di mantenere fermo l’indirizzo della Corte e quindi far dipendere la concessione di nuovi termini a difesa dalla circostanza che, in concreto, nessuna attività difensiva sia stata dispiegata e il convenuto, nel suo atto, si sia limitato a dedurre il vizio della citazione. L’unica deviazione ammissibile potrebbe aversi nel caso di costituzione personale di soggetto non tenuto alla difesa tecnica, ad esempio un avvocato, laddove l’effetto sanante della costituzione sarà pieno e impedirà in ogni caso la fissazione di una nuova udienza[27]. L’eventualità che la parte si costituisca senza l’assistenza di un avvocato, quando non ricorrano le eccezionali circostanze in cui ciò è consentito, è piuttosto inverosimile attesa la necessità di compiere in forma telematica il deposito della comparsa ed ei relativi allegati e l’architettura del sistema informatico che limita l’accesso ai soli soggetti previamente identificati e registrati come difensori. Tuttavia, qualora il pur singolare evento dovesse realizzarsi, mi sembra doverosa la fissazione della nuova udienza e la rimessione in termini per lo svolgimento integrale delle proprie difese.

Quanto alla mancanza dell’avviso relativo al patrocinio a spese dello Stato, la costituzione della parte con il ministero dell’avvocato, oltre a sanare il vizio, preclude la fissazione della nuova udienza poiché essa non gioverebbe in alcun modo all’interessato: infatti, ai sensi della disciplina della materia, gli effetti dell’ammissione del soggetto al patrocinio a spese dello Stato si producono dalla data di presentazione della relativa istanza[28]. Pertanto, pur reso edotto della possibilità di accedere al beneficio, il convenuto potrà valersene solo per le attività processuali successive alla presentazione dell’istanza, restando preclusa la copertura di quelle già svolte.

Osservate le inevitabili complicazioni dovute all’eventuale difetto dei nuovi avvertimenti, vi è chi ha proposto una lettura contra litteram della disposizione, sostenendo che agli effetti della invalidità dell’atto di citazione nulla sia cambiato e continui a rilevare la sola omissione dell’avvertimento circa la costituzione tempestiva, mentre i nuovi contenuti avrebbero natura di semplici «segnalazioni» o «indicazioni» non presidiate da alcuna sanzione[29]. La prospettiva è senza dubbio seducente negli esiti e condivisibile nell’ispirazione, ma a mio avviso – come già rilevato da altri[30] – incontra un ostacolo insormontabile nella collocazione scelta dal riformatore per l’inserimento di questi adempimenti e nel mancato, contestuale, adeguamento del regime della nullità della citazione, sia esso voluto o frutto di una semplice svista dei redattori.

L’atto di citazione, formato secondo le nuove indicazioni contenute nell’art. 163 c.p.c., deve essere sempre notificato al convenuto almeno centoventi giorni (termini liberi) prima della data scelta dall’attore per l’udienza di comparizione, non essendo più prevista l’abbreviazione dei termini su istanza dell’attore[31]; è rimasta, invece, la possibilità per il convenuto di domandare al Presidente del Tribunale l’anticipazione dell’udienza quando «quando il termine assegnato dall’attore eccede» i centoventi giorni: se il Presidente accoglie la richiesta, fissa con decreto la nuova udienza che sostituirà ad ogni effetto quella originaria indicata nella citazione[32].

I termini e le forme per la costituzione in giudizio dell’attore sono rimasti invariati, fatto salvo il veduto venir meno dell’abbreviazione, con la sola aggiunta della possibilità per l’attore che si costituisce personalmente di indicare, in luogo della dichiarazione della residenza o dell’elezione del domicilio, l’indirizzo anche telematico «presso cui ricevere le comunicazioni».

Passando ora ad esaminare la situazione del convenuto, occorre segnalare anzitutto il nuovo termine per la sua costituzione tempestiva fissato in settanta giorni prima dell’udienza di comparizione: il termine è generoso e – come vedremo – serve a lasciare spazio al successivo scambio di scritti difensivi e, prima ancora, all’eventuale intervento del magistrato in sede di verifiche preliminari[33]. La disciplina della comparsa di costituzione è modificata e adeguata ai nuovi canoni di chiarezza e sinteticità e impone al convenuto di prendere posizione in modo chiaro e specifico sui fatti costitutivi indicati dall’attore. L’onere di chiarezza e specificità riferito ai soli fatti allegati dall’attore consente senz’altro al giudice di saggiare fin dagli atti introduttivi la possibilità di deviare la controversia sul modello del procedimento semplificato.

Ma la concreta portata innovativa della nuova disposizione, a mio avviso, si apprezza solo coordinandola con quanto, sulla stessa falsariga, è richiesto all’attore nell’atto di citazione.

Affinché, difatti, sia possibile applicare – senza lesione del contraddittorio – il principio di non contestazione così come sancito dall’art. 115, primo comma, c.p.c. e interpretato dalla più recente giurisprudenza di legittimità, è necessario che l’attore per primo definisca con precisione quali fatti considera rilevanti per fondare la sua pretesa: solo allora sarà possibile esigere dal convenuto un onere di specifica contestazione che, ove non assolto, implicherà l’espunzione dal thema probandum del fatto o dei fatti costitutivi allegati dall’attore.

Pertanto, dal coordinamento dell’attuale formulazione degli articoli 163 e 167 c.p.c., anche alla luce di quanto dispone l’art. 115, primo comma, c.p.c., si può affermare che i nuovi criteri redazionali degli atti introduttivi sono strumentali ad assicurare massima estensione applicativa al principio di non contestazione che in precedenza, come sancito ancora di recente dalla Corte, poteva trovare un limite invalicabile nell’eventuale genericità e indeterminatezza delle allegazioni attoree[34]. In presenza di una precisa e chiara allegazione fattuale nell’atto introduttivo, ora imposta dall’art. 163 c.p.c., il convenuto sarà perciò chiamato a svolgere altrettanto chiara e precisa contestazione se intende impedire la (tendenzialmente) definitiva fissazione di quei fatti ai fini della decisione[35].

E la descritta prospettiva, tesa a sollecitare la selezione dei temi di prova sui quali polarizzare l’istruttoria imponendo severi oneri di allegazione prima e di contestazione poi, appare senz’altro coerente con la nuova articolazione della fase introduttiva del giudizio, posto che anche laddove si ammettesse la possibilità di muovere per la prima volta la contestazione negli scritti difensivi successivi agli atti introduttivi, questo potere sarebbe comunque definitivamente esaurito già alla prima udienza di comparizione delle parti davanti al giudice[36].

La costituzione del convenuto avverrà anch’essa di regola in forma telematica, nei modi e con le forme consuete, con l’unica novità del termine per la costituzione tempestiva ora fissato in almeno settanta giorni prima della data dell’udienza di comparizione indicata dall’attore. Qualora il convenuto non si costituisca nel predetto termine, il novellato art. 171 c.p.c. dispone l’immediata dichiarazione di contumacia con ordinanza del giudice istruttore, il quale non dovrà dunque attendere l’udienza di prima comparizione come avveniva secondo il modello previgente.

3. I compiti del giudice nella fase preliminare. Alla scadenza del termine per la costituzione tempestiva del convenuto è collegato un nuovo e ulteriore termine di quindici giorni, entro il quale il giudice dovrà svolgere una serie di «verifiche preliminari» complesse e delicate che, in precedenza, erano posticipate alla prima udienza di comparizione e trattate nel contraddittorio con i difensori delle parti[37]. Il nuovo art. 171bis c.p.c. impone al giudice due ordini di attività, in primo luogo quelle costituenti verifiche preliminari in senso stretto, funzionali ad assicurare la regolare instaurazione del contraddittorio tra le parti, che potranno richiedere l’adozione di uno dei seguenti provvedimenti, tutti minuziosamente elencati dalla norma: 1) l’integrazione del contraddittorio nel caso di litisconsorzio necessario (art. 102, secondo comma, c.p.c.); 2) l’ordine di chiamata del terzo per ordine del giudice (art. 107 c.p.c.); 3) i provvedimenti conseguenti al rilievo ufficioso di una nullità della citazione (art. 164, secondo, terzo, quinto e sesto comma, c.p.c.); 4) i provvedimenti relativi all’eventuale nullità della domanda riconvenzionale del convenuto o alla chiamata di terzo da parte del convenuto (art. 167, secondo e terzo comma, c.p.c.); 5) la dichiarazione di contumacia della parte non costituita nel termine di cui all’art. 166 c.p.c. (art. 171, terzo comma, c.p.c.); 6) i provvedimenti tesi a sanare il difetto di rappresenta, autorizzazione o assistenza di una delle parti (art. 182 c.p.c.); 7) la fissazione una nuova udienza per consentire la chiamata del terzo richiesta dal convenuto (art. 269, secondo comma, c.p.c.); 8) la rinnovazione della notifica della citazione disposta a seguito dell’accertamento della nullità della notifica originaria (art. 291 c.p.c.); la notifica al contumace delle comparse contenenti nuove domande (art. 292 c.p.c.).

L’adozione di uno dei provvedimenti indicati potrà richiedere la fissazione di una nuova udienza, dalla quale decorreranno (sempre a ritroso) i termini per il deposito delle memorie integrative previste dall’art. 171ter c.p.c.

Il secondo ordine di attività che il giudice è chiamato a svolgere incide più direttamente sulla definizione del thema decidendum e consiste nell’«indicare» alle parti le questioni rilevabili d’ufficio (processuali e di merito) di cui ritiene opportuna la trattazione, tra le quali il codice si premura di evidenziare: quelle «riferite «alle condizioni di procedibilità della domanda» e quelle intorno «alla sussistenza dei presupposti per procedere con rito semplificato». Laddove il giudice dovesse in concreto segnalare una o più questioni, le parti dovranno affrontarle nelle successive memorie depositate ai sensi dell’art. 171ter c.p.c. In tal caso il giudice potrà, con decreto, confermare la data della prima udienza originariamente fissata dall’attore oppure differirla «fino ad un massimo di quarantacinque giorni», in questo ultima ipotesi – si osservi – non è espressamente richiesta alcuna motivazione.

La nuova disciplina opera così un’anticipazione di tutte (?) le attività preparatorie della trattazione, fino a ieri caratterizzanti l’udienza di prima comparizione, consegnando al giudice un compito gravoso e complesso da svolgere prima e fuori dall’udienza e senza potersi giovare del prezioso confronto con le parti[38].

Tra i primi commentatori, vi è chi ha segnalato come le descritte verifiche preliminari in senso stretto, in quanto funzionali alla corretta instaurazione della lite, non possono avere la loro sede esclusiva nel provvedimento reso fuori udienza dal giudice, per cui egli ben potrà – melius re perpensa – esercitare i medesimi poteri anche all’udienza di prima comparizione, come previsto dal rito previgente[39]. E muovendo da questa condivisibilissima osservazione, si è proseguito vaticinando che in concreto e fuori dei casi in cui la fissazione della nuova udienza sia doverosa per la riconvenzionale del convenuto o la chiamata del terzo, nella gran parte dei casi il giudice preferirà posticipare all’udienza di prima comparizione le verifiche preliminari, giovandosi anche della oramai definitiva fissazione delle rispettive posizioni delle parti[40].

È evidente che, se la descritta situazione dovesse sistematicamente realizzarsi, l’intera nuova architettura della fase introduttiva, con definizione anticipata dell’oggetto del giudizio e dei temi istruttori, sarebbe svuotata di significato e si risolverebbe in un’inutile compressione del diritto di difesa delle parti non bilanciata da alcun apprezzabile miglioramento per i tempi del processo.

Per darne plastica dimostrazione, immaginiamo che il giudice, dopo un atteggiamento silente nel corso della fase introduttiva, rilevi nel corso della prima udienza la pretermissione di un litisconsorte necessario. Al rilievo ufficioso (e doveroso) seguirà l’ordine di integrazione del contraddittorio, la fissazione di un termine per provvedervi e, quindi, il rinvio dell’udienza calcolato in modo da assicurare al litisconsorte pretermesso il pieno esercizio del diritto di difesa.

A questo punto però occorre domandarsi quale debba essere la posizione delle altre parti che, esaurita la fase preliminare, hanno oramai definitivamente svolto le rispettive difese e articolati i mezzi di prova[41]. Non sembra possibile sottrarsi alla necessità – imposta dall’attuazione del contraddittorio – di rimettere in termini anche le parti originarie del giudizio, le quali avranno la possibilità di fruire (per la seconda volta) dei termini per il deposito delle tre memorie previste dall’art. 171ter c.p.c.

Ipotesi come questa, e tante altre simili, dovrebbero indurre il magistrato a prendere con estrema serietà il nuovo compito affidatogli dall’art. 171bis c.p.c., sollecitandolo a riorganizzare il proprio lavoro in modo da riservare alle verifiche introduttive un lasso di tempo congruo e tale da consentire l’adozione dei necessari provvedimenti nel rispetto del termine di quindici giorni stabilito dalla legge[42].

In proposito, sebbene il termine predetto non possa considerarsi perentorio per il giudice, è bene chiarire come l’eventuale adozione del provvedimento con il quale è segnalata una questione rilevata d’ufficio ma senza posticipare l’udienza, oltre i quindici giorni stabiliti dalla legge, potrebbe avere l’effetto distorsivo di comprimere i successivi termini – questi si perentori – assegnati alle parti per il deposito delle memorie di cui all’art 171ter c.p.c., i quali decorrono a ritroso dalla data dell’udienza. In questi casi, ad evitare l’inconveniente, il giudice potrebbe fare ricorso al potere riconosciutogli dalla norma in commento di differire la data originaria dell’udienza fino a quarantacinque giorni, in tal modo adoperandosi per evitare che il ritardo possa ripercuotersi sui termini a difesa delle parti.

Per concludere queste rapide osservazioni intorno alle nuove verifiche preliminari, vale la pena notare come il meccanismo di segnalazione delle questioni rilevate d’ufficio e l’invito a trattarle nelle successive memorie scritte, pur coerente e rispettoso del principio oramai codificato nel secondo comma dell’art. 101 c.p.c. e con il tenore del “vecchio” l’art. 183 c.p.c., sconti una certa rigidità, ingiustificata rispetto ai profili relativi alla procedibilità della domanda e alla eventuale conversione verso il rito semplificato.

Quanto alla procedibilità della domanda direi che, trattandosi di questione meramente processuale non idonea a definire il giudizio[43], anche alla luce della espressa necessità di allegare già nel corpo dell’atto di citazione l’assolvimento dell’onere di mediazione o negoziazione preventiva (art. 163, terzo comma, n. 3bis) o di altra diversa condizione, il legislatore ben avrebbe potuto prevedere che il giudice, accertato il palese difetto della condizione di procedibilità, potesse già con il provvedimento in esame rinviare le parti alla mediazione o negoziazione, posticipando la prima udienza di comparizione e così anche lo scambio delle note integrative. Invece, la scelta di rinviare l’adozione del provvedimento all’udienza, quando le parti hanno oramai esaurito la trattazione e formulato le richieste istruttorie, avrà l’effetto di mortificare le chances di raggiungere una composizione stragiudiziale della controversia.

Tuttavia, quando emerga con chiarezza fin dagli atti introduttivi il difetto della condizione di procedibilità, è plausibile che la segnalazione del giudice abbia l’effetto di indurre l’interessato a rimediare prontamente e assolvere alla condizione di procedibilità già in pendenza dei termini per lo scambio degli scritti difensivi.

Con riguardo, invece, all’opportunità di mutare il rito, il testo della norma sembra escludere che il giudice possa con il suo provvedimento disporre in tal senso, rimettendo ogni definitiva valutazione all’udienza, quando le preclusioni sono maturate e i temi del giudizio definitivamente fissati. Tuttavia, com’è stato giustamente segnalato, la conversione del rito è tanto più proficua quanto prima viene disposta rispetto alla trattazione della causa[44]. La soluzione adottata potrebbe quindi non rispondere appieno all’esigenza di accelerazione alla quale aspira l’intervento novellatore.

4. La trattazione scritta anticipata. Una volta decorsi quindici giorni dalla scadenza del termine per la costituzione tempestiva del convenuto, quando mancano ancora circa cinquantacinque giorni all’udienza di comparizione, il nuovo rito invita le parti, a pena di decadenza, ad uno serrato scambio di memorie integrative da depositare rispettivamente quaranta, venti e dieci giorni prima dell’udienza. Il possibile contenuto delle memorie ricalca con qualche precisazione quello, ben noto, indicato nell’art. 183, quinto e sesto comma, c.p.c. nel testo previgente e concretizza il disegno della riforma volto a consegnare al giudice, alla prima udienza, una causa già matura per l’istruzione o la decisione.

Nel primo termine, entro quaranta giorni prima dell’udienza (quella originariamente indicata nella citazione o quella posticipata dal giudice in occasione delle verifiche preliminari), le parti potranno «proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto o dal terzo»; l’attore «chiedere di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo, se l’esigenza è sorta a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta», mentre tutte le parti potranno «precisare o modificare le domande, eccezioni e conclusioni già proposte» (art. 171ter, n. 1, c.p.c.).

Rispetto alle vecchie memorie di cui al sesto comma dell’art. 183 testo previgente, le memorie integrative possono ospitare (a pena di decadenza s’intende) quelle importanti attività già consentite all’udienza di prima comparizione dal quinto comma dello stesso articolo, ovvero la proposizione di nuove domande e nuove eccezioni, purché siano la conseguenza delle domande o eccezioni proposte dalle altre parti (il convenuto o i convenuti originari e gli eventuali terzi chiamati in causa dal convenuto).

Mentre, tuttavia, il ricordato quinto comma dell’art. 183 imputava soggettivamente queste attività al solo attore, poiché semplicisticamente ispirato a un modello di giudizio di due sole parti, il più moderno testo dell’art. 171ter estende questa prerogativa – con espressione volutamente generale – alle «parti»: nella pratica, infatti, non è infrequente un giudizio con più convenuti nel quale uno di essi svolga una domanda riconvenzionale c.d. trasversale rivolta ad altro convenuto, ovvero un giudizio nel quale il terzo o i terzi chiamati (artt. 106 e 107 c.p.c.) propongano a loro volta nuove domande verso l’attore o il convenuto originari.

Sempre a tutte le parti, indistintamente, spetta il potere di modificare e precisare le domande, eccezioni e conclusioni già svolte. Quanto alle domande, occorre prestare la massima attenzione al permissivo approccio della corte di legittimità circa i confini tra emendatio e mutatio libelli inaugurato dalla decisione delle Sezioni Unite n. 12310 del 2015, che ha stabilito trattarsi di modificazione della domanda – perciò ammissibile in questa sede – anche la variazione di uno o entrambi gli elementi oggettivi di identificazione della domanda (petitum e causa petendi) purché connessa alla originaria vicenda sostanziale dedotta in giudizio, che deve restare immutata[45].

Al solo attore è invece riservato il potere di chiedere l’autorizzazione alla chiamata in causa del terzo quando l’esigenza sia sorta dalle difese del convenuto[46]: anche in questo caso l’attività, secondo la vecchia stesura dell’art. 183 c.p.c., era collocata nel corso della prima udienza. Ora il giudice potrà provvedere sulla richiesta solo all’esito dell’udienza di prima comparizione, non essendo previsto alcun ulteriore provvedimento fuori udienza del magistrato. Se accoglie l’istanza e concede l’autorizzazione, il giudice dovrà fissare un termine per la chiamata del terzo su iniziativa dell’attore e una nuova udienza, in modo da consentire la costituzione tempestiva del terzo, dalla quale decorreranno nuovamente i termini per il deposito delle tre memorie integrative: il novellato ultimo comma dell’art. 269 c.p.c. precisa che, in quest’ultima ipotesi, «restano ferme per le parti le preclusioni maturate anteriormente alla chiamata in causa del terzo».

Non è chiara la natura dell’attività che le parti originarie possono svolgere con il “secondo giro” di memorie integrative. È ragionevole ipotizzare una limitazione delle prerogative ordinariamente concesse a quanto, in termini di attuazione del contraddittorio, sia reso necessario dalle difese svolte dal terzo chiamato, le quali ben potrebbero importare l’estensione dell’oggetto del giudizio a domande, eccezioni o fatti non in precedenza vagliati dalle parti originarie nelle memorie integrative, o comunque toccare il rapporto originario tra attore e convenuto[47]. Eventualità come quella appena esaminata rimarcano i limiti del modello processuale a trattazione anticipata rispetto al sistema precedente.

Infine, occorre rammentarlo, le prime memorie integrative potranno essere la sede d’elezione per realizzare il contraddittorio sulle questioni rilevate d’ufficio dal giudice nel provvedimento reso fuori udienza, anche se non essendovi una precisa limitazione della legge non è possibile escludere la possibilità di svolgere tale attività anche – o solo – nelle memorie successive.

Nella seconda memoria integrativa, da depositare almeno venti giorni prima dell’udienza, tutte le parti possono replicare alle domande ed eccezioni nuove o modificate dalle altre parti, nonché – a pena di decadenza – sollevare nuove eccezioni che siano conseguenza delle nuove domande contenute nella prima memoria integrativa. Nel primo caso si tratterà di mere difese, come la confutazione o contestazione dei fatti posti a fondamento delle nuove domande ed eccezioni, della loro rilevanza giuridica, l’allegazione di fatti secondari, ecc. Nel secondo caso si tratta delle eccezioni di merito e rito, in senso stretto, opponibili alle nuove domande, ad es. l’eccezione di prescrizione, adempimento, estinzione del diritto per altra ragione e così via.

Con la seconda memoria scatta anche la preclusione per l’indicazione di mezzi di prova e per la produzione di documenti, attività che possono essere svolte già negli atti introduttivi, ma per le quali il legislatore ha inteso riconoscere alle parti un ulteriore – breve – lasso di tempo, non certo paragonabile a quello in precedenza assicurato dall’appendice scritta dell’art. 183, sesto comma, c.p.c.

Infine, nella terza memoria, oltre alla consueta possibilità di articolare la prova contraria, le parti potranno replicare alle nuove eccezioni sollevate nella memoria precedente.

5. L’udienza di prima comparizione e trattazione. L’udienza di prima comparizione e trattazione mantiene la sede della sua disciplina nell’art. 183 c.p.c. che, depurato delle complesse attività ora anticipate alla fase preliminare e scritta di trattazione, appare oggi più snello ed efficace nel definire gli ulteriori attività da svolgere nel corso del primo vero contatto tra il giudice e le parti.

Prima di esaminare nel dettaglio queste attività occorre però ribadire che l’elenco degli adempimenti contenuto nell’articolo non offre una rappresentazione veritiera e fedele di ciò che effettivamente accadrà o potrebbe accadere nel corso della prima udienza.

Come già osservato, la scelta di obbligare il giudice alle verifiche preliminari anticipate non significa certo che quelle attività non possano essere compiute anche successivamente, magari proprio all’udienza, né vi è garanzia che (tutte e sempre) quelle verifiche preliminari siano state correttamente eseguite, specie quando il carico del ruolo del magistrato rende difficile provvedervi. Pertanto, non ci si dovrà stupire nel constatare che, spesso, le verifiche preliminari o alcune di esse vengano ancora compiute dal giudice all’udienza 183 c.p.c.

Inoltre, sarà la stessa prima udienza l’occasione per adottare il provvedimento che accerta il difetto di una condizione di procedibilità della domanda, già segnalata alle parti nel provvedimento previsto dall’art. 171bis c.p.c., nonché la sede per l’adozione del provvedimento che dispone il mutamento del rito da ordinario a semplificato, anche alla luce delle indicazioni emerse dal contraddittorio tra le parti.

L’udienza, come anticipato, potrà avere un’ulteriore coda di trattazione quando nella prima memoria integrativa una delle parti – tendenzialmente l’attore – abbia chiesto l’autorizzazione a chiamare in causa un terzo. L’eventuale autorizzazione imporrà la fissazione di una nuova udienza per consentire la chiamata del terzo nel rispetto dei nuovi termini e, quindi, la concessione di un nuovo giro di memorie integrative (potenzialmente estese) a tutte le parti: rispetto al sistema precedente, questo adempimento – come s’intuisce – mette a dura prova il sistema congegnato dalla novella, costretto a moltiplicare il numero delle memorie e delle udienze, con buona pace delle istanze acceleratorie che dovrebbero sorreggere (e giustificare) l’impianto della riforma.

Tuttavia, la norma sembra porre un limite quando antepone alla chiamata la seguente condizione ostativa «salva l’applicazione dell’art. 187», quando la causa sia matura per la decisione «senza bisogno di assunzione di mezzi di prova».

Occorre ricordare che l’art. 1, comma 5, lett. h, della legge delega ha affidato al Governo il compito di «adeguare la disciplina della chiamata in causa del terzo e dell’intervento volontario» alle rinnovate forme di trattazione scritta e anticipata della causa. Potrebbe allora sostenersi che il delegato abbia inteso tipizzare, con riferimento al caso della riconvenzionale dell’attore, una circostanza ostativa alla concessione dell’autorizzazione della chiamata, tutte le volte in cui vi siano i presupposti per una decisione immediata, anteponendo così le esigenze di celere definizione della lite alla pretesa dell’attore di estendere l’oggetto del giudizio con la chiamata del terzo.

Se così fosse, la precisazione avrebbe un impatto tutto sommato trascurabile, giacché da tempo la giurisprudenza di legittimità afferma che «l’autorizzazione del giudice alla chiamata in causa di un terzo su istanza di parte ex art. 106 c.p.c., ove non si verta in ipotesi di litisconsorzio necessario di cui all’art. 102 c.p.c., è discrezionale, potendo il giudice rifiutarla sulla base di esigenze di economia processuale e di ragionevole durata del processo»[48]. Si tratterebbe nella sostanza di una delle (non poche) occasioni in cui il legislatore della recente novella si è premurato di tradurre in norme positive e vincolanti i dicta della giurisprudenza di legittimità[49].

Quanto al resto, sembra finalmente che all’udienza riprenda vigore il principio dell’oralità, sia pure in forma attenuata se non proprio mortificata dalla pre-trattazione scritta, con un giudice impegnato a interrogare liberamente le parti e chiedere loro i chiarimenti necessari, ispirati dalle rispettive allegazioni per poi tentare di conciliarle.

A tal fine la norma richiede alle parti di partecipare personalmente all’udienza, sanzionando la mancata comparizione – senza giustificato motivo – ai sensi del secondo comma dell’art. 116, c.p.c.[50]. Circa l’utilità di rinverdire l’obbligo di comparizione personale delle parti è inutile soffermarsi in questa occasione, dopo l’ampia discussione aperta dall’emanazione della legge delega, di cui il decreto dell’ottobre 2022, sul punto, si limita a recepire le chiare indicazioni.

Più interessante è osservare come la natura dialogica delle attività elencate dal nuovo testo dell’art. 183 c.p.c. abbia sollecitato l’interrogativo intorno alla sua compatibilità con le nuove udienze da remoto e cartolare, in quanto entrambe sarebbero in astratto praticabili trattandosi di udienza cui partecipano, oltre il giudice, solo le parti e i difensori[51]. Quanto alla prima, la trattazione da remoto, essa potrebbe addirittura incentivare la partecipazione personale delle parti quando esse risiedano o si trovino lontano dal Tribunale, e deve pertanto ritenersi senz’altro ammissibile, se del caso anche nella forma mista: anzi, si è acutamente osservato che l’eventuale rifiuto della trattazione da remoto, domandata dalla parte per la quale sarebbe troppo oneroso o difficoltoso partecipare all’udienza in presenza, potrebbe arrecare una lesione del contraddittorio anche se il giudice abbia formalmente rispettato il tenore letterale della norma che gli riserva il potere discrezionale di negare la trattazione da remoto (art. 127bis c.p.c.).

Tuttavia, pur ammissibile, la decisione per la trattazione da remoto dovrebbe essere assunta con il provvedimento deputato alle verifiche preliminari ovvero in un momento successivo durante la pendenza dei termini per lo scambio delle memorie integrative: la prima alternativa sembra quella più realistica, salvo immaginare una richiesta concorde delle parti in una delle memorie successive.

Viceversa, la possibilità di ricorrere alla forma cartolare ai sensi dell’art. 127ter c.p.c. sembra davvero inconciliabile con in descritti adempimenti[52], se non quando – si confida assai di rado – le parti sostengano l’oggettiva impossibilità di raggiungere un accordo (magari documentando precedenti infruttuosi tentativi di conciliazione) e il giudice, per parte sua, ritenga superfluo l’interrogatorio libero e non necessaria la richiesta di chiarimenti alle parti. Né mi sembra in proposito invocabile la regola, sancita nel primo comma dell’art. 127bis c.p.c., secondo cui la trattazione scritta può essere frutto di una richiesta congiunta delle parti e in tal caso l’indicazione sarebbe vincolante per il giudice. Nel contesto della prima udienza, così l’interrogatorio libero come la richiesta di chiarimenti sono prerogative del giudice che la determinazione delle parti – sia pure concorde – non può soffocare[53].

Una volta esaurite le residue attività di trattazione, al giudice si schiudono due alternative: a) ritenere la causa matura per la decisione e conseguentemente passare alla fase decisoria; b) provvedere all’ammissione dei mezzi di prova rilevanti e fissare contestualmente il calendario delle udienze istruttorie con indicazione degli adempimenti da compiere in ciascuna occasione. Il provvedimento può essere emanato anche fuori udienza ma non oltre i trenta giorni successivi.

In sostanza l’unica novità di rilievo consiste nell’avere spostato la disciplina del calendario del processo nell’art. 183 c.p.c. (mentre prima si trovava nelle disposizioni di attuazione all’art. 81bis disp. att. c.p.c.), con qualche lieve modifica: il venir meno del richiamo principio di ragionevole durata del processo come motivo ispiratore e della necessità di sentire preventivamente le parti.

In sintesi, la nuova fase introduttiva del rito ordinario – anche a seguito della delega – conferma la sua struttura formale, rigida e sensibilmente limitativa dei tempi per la predisposizione delle difese delle parti. L’esperienza concreta varrà a dimostrare la bontà della scelta di concentrare la trattazione in forma scritta prima dell’udienza[54], ridimensionando il valore dell’oralità, ma soprattutto saprà dire se la magistratura sarà in grado di far fronte all’impegno richiesto nella fase di trattazione anticipata per assicurare il buon funzionamento del nuovo modello processuale. In proposito, un’auspicabile diffusione del procedimento semplificato, alleggerendo il carico sul rito ordinario, potrebbe sortire un effetto benefico.

* Il testo riproduce, con l’aggiunta delle sole indicazioni bibliografiche essenziali, la relazione tenuta dall’A. all’incontro di studio organizzato dalla Scuola Forense di Nuoro il 22 marzo 2023.

[1] Per un inquadramento delle previsioni della legge delega, v. Aa.Vv., La riforma della giustizia civile a cura di G. Costantino, Bari, 2022, passim; Biavati, L’architettura della riforma del processo civile, Bononia University Press, 2021, 22 s.; Merlin, È legge la delega la governo per gli interventi sulla giustizia civile (Legge 26 novembre 2021, n. 206), in Riv. dir. proc., 2022, p. 258 ss.; Monteleone, Il dissesto della giustizia civile e “le responsabilità della dottrina”, in Giust. proc. civ., 2022, p. 1 ss.; Boccagna, Le norme sul giudizio di primo grado nella delega per la riforma del processo civile: note a prima lettura, in Dir. proc. civ. it. e comp., 2022, p. 253 ss.; Dondi, Obiettivi e risultati della recente riforma del processo civile. La disciplina della cognizione a prima lettura, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2021, p. 927 ss.; Cavallini, Verso un nuovo modello del procedimento ordinario di cognizione, in Riv. dir. proc., 2022, p. 161 ss.

[2] L’art. 1, comma 380, della l. 29 dicembre 2022 n. 197 ha riformulato l’art. 35 del D.lgs. n. 149/2022, contenente la disciplina transitoria delle nuove disposizioni, come segue: «Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti».

[3] La descritta alternativa tra modelli processuali a complessità diverse esprime l’esigenza, cui si è ispirato il riformatore, di attuare nel processo civile il principio di proporzionalità con l’adeguamento delle forme del rito alla complessità delle controversie da trattare, cfr. Carratta, Le riforme del processo civile, Torino, 2023, p. 7. Sulla declinazione del principio di proporzionalità in materia processuale, cfr. specialmente Caponi, Il principio di proporzionalità nella giustizia civile: prime note sistematiche, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2011, p. 389 ss.; Id., Procedimento sommario di cognizione e canone di proporzionalità: a margine dell’articolo 702 bis codice procedura civile, in Quest. giust., 2010, p. 1 ss.

[4] In tale senso sono inequivocabili le indicazioni della Legge delega.

[5] Devo, però, segnalare che questa apertura del legislatore nel campo dei giudizi monocratici non trova coerente valorizzazione nel successivo art. 281duodecies, primo comma, c.p.c. dal quale sembra invece doversi sempre e comunque ricavare un obbligo per il giudice di disporre il mutamento del rito semplificato in rito ordinario quando non sussistano i presupposti che lo rendono obbligatorio; ma nel senso di cui al testo soccorre la chiara indicazione contenuta nella legge delega, malamente recepita – quanto alla tecnica di redazione della norma – dal legislatore delegato.

[6] Sul punto, v. diffusamente Tiscini, Passaggio dal rito ordinario al procedimento semplificato di cognizione (art. 183-bis c.p.c.), in Aa. Vv., La riforma Cartabia del processo civile a cura di R. Tiscini, Pisa, 2023, p. 395 ss. e p. 430 ss. In entrambi i casi, il mutamento è ovviamente disposto dal giudice previo contradditorio tra e con le parti, sebbene questa condizione non sia esplicitata nell’ultima delle norme citate, cfr. De Cristofaro, L’avvocato e il giudice civile alla vigilia della riforma del processo, in Riv. dir. proc., 2023, p. 209, nt. 11.

[7] Il nuovo testo dell’art. 7 c.p.c. ha esteso il limite della competenza del giudice di pace per le cause relative a beni mobili a diecimila euro, mentre quella relativa alle domande risarcitorie del danno cagionato dalla circolazione di veicoli e natanti è estesa fino a venticinquemila euro.

[8] In proposito, nei primi commenti alle nuove norme, è suggestivo e frequente l’accostamento del decritto sistema binario accolto dalla novella con l’analogo assetto che il codice di procedura civile del 1865 aveva ricevuto a seguito della riformulazione del procedimento sommario nel 1901, con il determinante contributo di Ludovico Mortara (De Cristofaro, L’avvocato e il giudice civile alla vigilia della riforma del processo, cit., p. 207; Donzelli, Riforma del processo civile: le disposizioni generali e il processo di cognizione, in www.giustiziacivile.com, p. 6). Così anche oggi sembra riprendere vigore e giustificazione la contrapposizione tra il rito “formale” (già di cognizione ordinaria) e il rito semplificato di nuovo conio.

[9] Mi riferisco alla previsione contenuta nel disegno di legge delega approvato dal Consiglio dei Ministri in data 5 dicembre 2019 nel quale, all’art. 3, si proponeva in via generale per il procedimento ordinario di cognizione «che l’atto introduttivo abbia la forma del ricorso»; si rinvia in proposito alle vivaci critiche di Scarselli, In difesa dell’atto di citazione, in www.judicium.it., mentre di segno opposto v. le recenti considerazioni di Volpino, La fase introduttiva del procedimento ordinario di cognizione, in Giust. proc. civ., 2022, p. 716; Id., Introduzione della causa (artt. 163-174), in Commentario al codice di procedura civile a cura di S. Chiarloni, Bologna, 2019, p. 82 ss.

[10] In realtà la possibilità riconosciuta al magistrato di posticipare discrezionalmente fino a quarantacinque giorni la data dell’udienza fissata dall’attore, come consentiva anche la disciplina previgente, delinea un sistema che «finisce – nonostante la forma della citazione ad udienza fissa – con l’accostarsi molto a quello della introduzione della causa con ricorso», come osservava oltre trent’anni fa Proto Pisani, La nuova disciplina del processo ordinario di cognizione di primo grado e d’appello, in Foro it., 1991, V, c. 252.

[11] Per una trattazione unitaria delle modifiche in tema di doveri delle parti, cfr. Gradi, Doveri delle parti e dei terzi (artt. 96, 118, 121, 210, 213 c.p.c.), in Aa. Vv., La riforma Cartabia del processo civile a cura di R. Tiscini, cit., p. 28 ss.; Buoncristiani, Il processo di primo grado: la leale collaborazione tra parti, giudice e terzi, in Aa. Vv., Il processo civile dopo la riforma a cura di C. Cecchella, Torino, 2023, p. 27 ss.

[12] Anche in questo caso si tratta di una disposizione che recepisce una soluzione giurisprudenziale, poiché la Cassazione già da tempo aveva sostenuto trattarsi di un principio immanente imposto dalla necessità di assicurare la ragionevole durata del processo, cfr. Carratta, Le riforme del processo civile, cit., p. 22.

[13] Analoghi rilievi in Luiso, Il nuovo processo civile, cit., p. 28, il quale dubita perciò della rilevanza precettiva della nuova formulazione dell’articolo.

[14] In tal senso dispone l’art. 35 del d.lgs. n. 149/2022 nel testo novellato dall’art. 1, comma 380, lett. a), della l. n. 197/2022: la deroga è necessaria per il ritardo degli uffici del giudice di pace nella transizione verso il processo civile telematico.

[15] La nuova disposizione è criticata da Scarselli, I punti salienti dell’attuazione della riforma del processo civile di cui al decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 149, in www.giustiziansieme.it, il quale ne pone in discussione – sotto svariati profili – la legittimità costituzionale per eccesso di delega.

[16] Carratta, Le riforme del processo civile, cit., p. 34; Delle Donne, La fase introduttiva, prima udienza e provvedimenti del giudice istruttore, in Aa. Vv., La riforma Cartabia del processo civile a cura di R. Tiscini, cit., p. 276.

[17] È appena il caso di sottolineare che la sostituzione della specificità alla sinteticità apre una diversa prospettiva nella tecnica di redazione dell’atto, non del tutto in linea con quanto richiede, in generale, l’art. 121 c.p.c. Infatti, come si può agevolmente riscontrare, i due termini sinteticità e specificità sono inconciliabili: il termine sintetico è contrario di analitico e quest’ultimo è sinonimo di specifico; perciò, per quella che in matematica si definisce una relazione transitiva, anche il termine specifico è contrario di sintetico.

[18] In argomento può essere interessante segnalare una recente e discutibile decisione di merito (Trib. Trento, (ord.) 25 gennaio 2022, in Giur. it., 2023, p. 349 ss. con nota di Giussani, Udienza cartolare ed efficienza della giustizia: l’oralità e la riforma del processo civile), nella quale il giudice, applicando una disposizione oggi abrogata dalla riforma (art. 16bis, comma nove-octies, del d.l. 179/2012) in forza della quale «Gli atti di parte e i provvedimenti del giudice depositati con modalità telematiche sono redatti in maniera sintetica», fissava alle parti un termine «per la rielaborazione degli atti difensivi in conformità con le disposizioni vigenti dinanzi al Consiglio di Stato».

[19] Anche in questo frangente il decreto si limita a recepire una previsione analitica della legge delega.

[20] Ma in genere si tratta di soggetti che, per la loro qualità, sono già a conoscenza dell’obbligo di difesa tecnica: si pensi agli avvocati (art. 86 c.p.c.)

[21] Cfr., per un caso singolare, Trib. Verona, 6 febbraio 2017, n. 275, reperibile nel testo integrale al sito www.altalex.it, la quale, in conseguenza della violazione del dovere d’informare il cliente della possibilità di valersi del patrocinio a spese dello Stato, nega all’avvocato il diritto di percepire il compenso per l’attività svolta.

[22] Cossignani, Riforma Cartabia. Le modifiche al primo grado del processo di cognizione ordinario, in www.giustiziainsieme.it.

[23] Il problema che in questa sede verrà affrontato nell’ottica del procedimento ordinario si ripropone sostanzialmente invariato nel nuovo procedimento semplificato di cognizione, in quanto l’art. 281undecies c.p.c., nel fissare i requisiti del ricorso introduttivo, richiama espressamente e senza inserire alcuna precisazione l’avvertimento di cui al n. 7 del terzo comma dell’art. 163 c.p.c.; né d’altro canto mi pare possa dubitarsi che alla nullità del ricorso introduttivo del rito semplificato debba applicarsi l’art. 164 c.p.c. Al contrario, la novità non è estesa al processo del lavoro, dove il ricorrente non è tenuto a dare alcuna informazione al convenuto circa l’onere di difesa o l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, offrendo in tal modo un argomento sistematico non trascurabile per giudicare l’importanza dei nuovi avvertimenti.

[24] Secondo altri (Delle Donne, La fase introduttiva, la prima udienza e i provvedimenti del giudice istruttore, cit., p. 277) i due nuovi avvertimenti andrebbero considerati congiuntamente e la nullità pronunciata solo quando difettino entrambi.

[25] Così anche Buoncristiani, Processo di primo grado. Introduzione, preclusioni, trattazione e decisione, in Aa. Vv., Il processo civile dopo la riforma a cura di C. Cecchella, cit., p. 60. Diverso avviso esprime Cossignani, Riforma Cartabia. Le modifiche al primo grado del processo di cognizione ordinario, in www.giustiziainsieme.it, sul rilievo che la nullità costruita sull’omesso avvertimento della possibilità di accedere al patrocinio a spese dello Stato finisce per essere apodittica, poiché fondata sulla presunzione che tale carenza abbia impedito al soggetto di costituirsi in giudizio. Il rilievo è ancora una volta condivisibile ma non sufficiente a superare il valore che l’adempimento assume quando il legislatore decide di inserirlo tra gli elementi dell’atto di citazione.

[26] Si vedano, in particolare e nel senso indicato nel testo, oltre a Cass. civ., 16 ottobre 2014, n. 21910; Id., 15 dicembre 2020, n. 28646. In precedenza, ma in senso difforme, si era espressa Cass. civ., 2 luglio 2004, n. 12129, ritenendo che la costituzione del convenuto sanasse la nullità solo a condizione che quest’ultimo non formulasse l’istanza di fissazione di una nuova udienza, senza alcun riferimento al contenuto delle (eventuali) difese svolte nella comparsa.

[27] Buoncristiani, Processo di primo grado. Introduzione, preclusioni, trattazione e decisione, cit., p. 60, afferma che per effetto della costituzione a mezzo di difensore la nullità della citazione è sanata per raggiungimento dello scopo.

[28] Lo ribadisce, da ultimo, Cass. civ., (ord.) 9 febbraio 2021, n. 3050.

[29] Volpino, La nuova fase introduttiva del procedimento ordinario di cognizione, in Giust. proc. civ., 2022, p. 724 s.

[30] Analoghi rilievi, nella sostanza, muove Buoncristiani, Processo di primo grado. Introduzione, preclusioni, trattazione e decisione, cit., p. 60.

[31] È stato difatti abrogato il secondo comma dell’art. 163bis c.p.c., trattandosi di una prerogativa non più compatibile con la nuova architettura della fase introduttiva, come precisa la Relazione illustrativa al decreto.

[32] In questo passaggio, un distratto riformatore continua a prevedere che la data della nuova udienza debba essere comunicata all’attore, a cura della cancelleria, almeno cinque giorni prima, ma poi inopinatamente stabilisce che i termini di cui all’art. 171ter c.p.c. decorrono dalla medesima udienza. La conseguenza è facilmente immaginabile: l’attore potrebbe ricevere la comunicazione dell’anticipazione dell’udienza quando i termini per lo scambio delle memorie stabiliti dall’art. 171ter c.p.c. sono oramai decorsi, poiché nel nuovo modello di trattazione i termini per il deposito delle memorie sono stabiliti a ritroso rispetto alla data dell’udienza.

[33] Vale la pena segnalare che il convenuto, nel passaggio dalla vecchia alla nuova disciplina, vede significativamente ridotto il termine per organizzare la propria difesa, passato da settanta (90-20) a cinquanta (120-70) giorni.

[34] Cass. civ., 4 agosto 2022, n. 24244; Id., 16 gennaio 2020, n. 802; Id., 26 novembre 2019, n. 30741; Cass. civ., sez. un., 29 maggio 2014, n. 12065, in Foro it., 2015, I, p. 1763 ss.; nella giurisprudenza di merito, v. App. Torino, sez. lav., 27 giugno 2022, n. 253, in Banche dati Giuffré. Non va trascurata, inoltre, anche al fine di delimitare la portata del principio in esame, una certa propensione della giurisprudenza ad estenderne l’applicazione anche ai fatti secondari, come sembra ammettere la stessa pronuncia delle Sezioni Unite.

[35] Sul tema della reversibilità o meno della non contestazione, in particolare stabilire cosa accada se nel corso del processo l’esistenza del fatto non contestato contrasta con il risultato di altre prove, v. Della Pietra, Le preclusioni e l’irreversibilità della «non contestazione»: l’armonia perduta, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2020, p. 1173 ss.

[36] Mentre in precedenza, numerosi autori (cfr. Taruffo, La prova nel processo civile, in Trattato di diritto civile e commerciale, Milano, 2012, p. 43 s.; Pagni, L’onere di contestazione dei fatti avversari, dopo la modifica dell’art. 115 c.p.c., in Giur. it., 2011, p. 238) avevano sostenuto la possibilità di emendare gli effetti della non contestazione nelle memorie depositate ai sensi dell’art. 183, sesto comma, c.p.c. successivamente all’udienza di comparizione e dopo che il giudice aveva svolto quella fondamentale attività di confronto con le parti, che rappresenta una proficua occasione per chiarire le rispettive posizioni anche rispetto ai fatti rilevanti e bisognosi di prova in vista della decisione.

[37] Secondo De Cristofaro, L’avvocato e il giudice civile alla vigilia della riforma del processo, cit., p. 201, si tratterebbe in un «intervento necessario» del magistrato suscettibile di assumere contenuti diversi in relazione alle concrete vicende del giudizio.

[38] Sull’importanza del confronto dialettico tra giudice e parti nel corso della prima udienza di comparizione e le conseguenze nefaste derivanti dalla sua soppressione, cfr. da ultimo Buoncristiani, Processo di primo grado. La leale collaborazione tra parti giudice e terzi, in Aa. Vv., Il processo civile dopo la riforma a cura di C. Cecchella, cit., p. 39.

[39] Carratta, Le riforme del processo civile, cit., p. 42 s.

[40] Cfr. l’editoriale di Capponi, Note sulla fase introduttiva del nuovo rito di ordinaria cognizione, in www.giustiziacivile.com

[41] Situazione non certo inedita, ben potendosi immaginare che l’ordine di integrazione del contraddittorio – trattandosi di vizio rilevabile in ogni stato e grado – potesse intervenire nel corso della fase istruttoria (o anche successivamente) nel vecchio modello di trattazione, ma di certo suscettibile di realizzarsi con maggiore frequenza oggi rispetto al sistema previgente.

[42] Sulle criticità indotte dal rilievo solo all’udienza del difetto del contraddittorio e della conseguente necessità di fissare una nuova udienza ad almeno 120 gg. per consentire al litisconsorte pretermesso di prendere parte al giudizio, cfr. De Cristofaro, L’avvocato e il giudice civile alla vigilia della riforma del processo, cit., p. 206.

[43] Nella prospettiva del ricordato secondo comma dell’art. 101 c.p.c., la giurisprudenza da tempo sostiene che il giudice non sia obbligato a sollecitare il preventivo contraddittorio tra le parti rispetto alla questione processuale relativa all’ammissibilità o procedibilità della domanda, cfr. Cass. civ., 25 febbraio 2016, n. 3700.

[44] Donzelli, Riforma del processo civile: le disposizioni generali e il processo di cognizione, cit., p. 7.

[45] Cass. civ., sez. un., 15 giugno 2015, n. 12310, in Corr. giur., 2015, p. 968 ss. con nota di Consolo, Le S.U. aprono alle domande «complanari»: ammissibili in primo grado ancorché (chiaramente e irriducibilmente) diverse da quella originaria cui si cumuleranno; in Riv. dir. proc., 2016, p. 807 ss. con nota di Merlin, Ammissibilità della mutatio libelli da «alternatività sostanziale» nel giudizio di primo grado; in Foro it., 2015, I, c. 3174 ss. con nota di Motto, Le sezioni unite sulla modificazione della domanda giudiziale; e quindi, ad ulteriore conferma del nuovo corso, Cass. civ., sez. un., 13 settembre 2018, n. 22404, in Resp. civ. e prev., 2019, p. 515 ss., sulla quale v. ampiamente Abbamonte, Sulla proponibilità della domanda di arricchimento senza causa nel corso del giudizio di adempimento contrattuale: i chiarimenti delle sezioni unite, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2019, p. 1055 ss.

[46] In effetti, nonostante l’apparente contraria indicazione ricavabile dal testo della legge non è escluso che, in un giudizio litisconsortile, l’esigenza di chiamare in causa un terzo possa sorgere anche in capo ad una parte diversa dall’attore: l’iniziativa, dunque, a parità di condizioni deve essere concessa anche alle eventuali ulteriori parti, cfr. Luiso, Il nuovo processo civile, cit., p. 74.

[47] Così, potrebbe accadere che le parti originarie, al limitato fine di esercitare effettivamente il diritto di difesa nei confronti del terzo chiamato, siano legittimate a compiere attività oramai precluse, cfr. Carratta, Le riforme del processo civile, cit., p. 75 s.; così anche Luiso, Il nuovo processo civile, cit., p. 155 s.

[48] Cass. civ., 26 agosto 2019, n. 21706; Cass. civ., sez. un., 23 febbraio 2010, n. 4309; Cass. civ., 6 luglio 2006, n. 15362.

[49] Per analoghi rilievi, Cossignani, Riforma Cartabia. Le modifiche al primo grado del processo di cognizione ordinario, cit.

[50] Con sanzione all’apparenza meno severa di quella – senz’altro discutibile – prevista per la mancata comparizione delle parti nel processo del lavoro, laddove l’assenza ingiustificata è «valutata dal giudice ai fini del giudizio», cfr. Buoncristiani, Processo di primo grado. Introduzione, preclusioni, trattazione e decisione, cit., p. 62.

[51] Secondo i nuovi artt. 127bis e 127ter c.p.c., l’udienza da remoto e quella cartolare sono praticabili quando non è richiesta «la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice». Per un primo commento, v. Delle Donne, Udienze (127-127ter c.p.c.) in La riforma Cartabia del processo civile a cura di R. Tiscini, cit., p. 72 ss.

[52] Nello stesso senso, v. Luiso, Il nuovo processo civile, cit., p. 37.

[53] Luiso, Il nuovo processo civile, cit., p. 37.

[54] In proposito sembrano ancora attualissime e le osservazione con le quali – allora nell’ottica di una riforma del rito civile ordinario segnato dalle riforme del 1950 – Giovanni Fabbrini e Andrea Proto Pisani sostenevano la necessità di scindere il momento della fissazione dei fatti rilevanti da quello del loro accertamento nel processo, per consentire ad un modello processuale fondato sul sistema delle preclusioni di non svilire l’attuazione piena del contraddittorio tra le parti:  «Strumento idoneo a realizzare le due condizioni volute appare il distinguere la fase di allegazione dei fatti storici principali, con preclusione al limite della prima udienza dalla fase di iniziativa probatoria relativa agli stessi, con preclusione successiva e differenziata posta in funzione dalla seconda udienza. È velleitario – quando non appaia scorretto – voler bloccare ad un tempo l’oggetto da conoscere e gli strumenti di conoscenza, se è vero che l’oggetto da conoscere (i fatti rilevanti nel quadro del rapporto da decidere) non si presenta secondo schemi rigidamente precostituiti e che gli strumenti di conoscenza (i mezzi di prova) devono adeguarsi funzionalmente all’oggetto. Solo l’essersi «fissato», in un momento precedente, dell’oggetto e il suo restare ormai immutabile consentono, in un momento successivo, di usare con totale, consapevole pienezza lo strumento della prova» (Fabbrini-Proto Pisani, Proposte di riforme urgenti del processo civile, in Foro it., 1986, V, c. 528).