Le ordinanze sommarie ex artt. 183-ter e 183-quater c.p.c. nella trama del giudizio a cognizione piena

Di Maria Laura Guarnieri -

Sommario: 1. Premessa. 2. La genesi delle ordinanze: la crisi del giudizio a cognizione piena nello scenario europeo; 3. Presupposti e ambito applicativo: la vocazione espansiva delle nuove ordinanze; 4. La proposizione dell’istanza: il giudizio a cognizione piena viene deviato per volontà delle parti su un percorso sommario; 5. La natura sommaria della cognizione del giudice al vaglio dei canoni chiovendiani di parzialità e superficialità; 6; Natura, effetti e regime processuale dei provvedimenti. Modelli sommari a confronto; 7. Segue: il modello prefigurato dalla Commissione Luiso e il référé provision; 8. Le ordinanze sommarie nel quadro delle modifiche al processo di cognizione; 9. Conclusioni: verso un giudizio di cognizione più flessibile?

1.Premessa.

Le ordinanze di accoglimento e di rigetto della domanda, disciplinate dagli artt. 183-ter e quater c.p.c.[1] rappresentano uno dei risultati più discussi della riforma Cartabia, attorno al quale si addensano le perplessità e le riserve della dottrina[2]. Il carattere definitorio che connota i due provvedimenti li allontana dalle attigue ordinanze anticipatorie di condanna, mentre l’inserimento nel tessuto del rito ordinario ne attenua le affinità con il procedimento sommario di cognizione di cui all’abrogato art. 19, d.lgs. n. 5/2003 a cui i primi commentatori hanno associato i nuovi istituti. Non si tratta neppure del référé che ci si poteva attendere dalla proposta avanzata dalla Commissione Luiso. Ci troviamo, piuttosto, al cospetto di un modello non del tutto originale di tutela sommaria che si incapsula all’interno del processo di cognizione: le due ordinanze dovrebbero farsi apprezzare per la capacità di decidere la lite allo stato degli atti, senza l’attesa dei tempi della cognizione piena e al di fuori delle strettoie della tutela cautelare anticipatoria.

La formula di cui sono espressione è dischiusa all’interno di una cornice normativa che l’interprete è chiamato a ricostruire e a completare, a partire da un non facile inquadramento sistematico. Il tutto da rapportarsi al contesto del codice riformato in cui le ordinanze si collocano in maniera trasversale, a cavallo tra le modifiche apportate alla fase introduttiva del rito ordinario e l’esordio del procedimento semplificato di cognizione.

Nelle pagine che seguono si tenterà di individuarne i presupposti sostanziali e processuali, di identificarne la natura, anche ponendole in relazione agli strumenti che condividono qualità analoghe, inclusi le misure che in altri ordinamenti assolvono alla medesima funzione. Trattandosi di modelli sommari, nell’analisi si cercherà di chiarire quale grado di elaborazione probatoria giustifica la pronuncia delle due ordinanze e che intensità ha la cognizione che li sorregge. L’indagine sarà funzionale alla individuazione delle fattispecie a cui può attagliarsi questo tipo di tutela, avendo riguardo, da un lato, alla precarietà degli effetti che scaturiscono dai due provvedimenti e, dall’altro, agli schemi decisionali che trovano spazio nel processo di cognizione a cui fanno capo forme di tutela ben più stabili.

2.La genesi delle ordinanze: la crisi del giudizio a cognizione piena nello scenario europeo.

Non si possono apprezzare le peculiarità degli istituti in esame senza aver prima ripercorso l’evoluzione processuale che ha portato alla loro introduzione nel nostro ordinamento. La genesi delle due ordinanze offre elementi decisivi nella prospettiva dalla quale ci si pone, che è quella di disegnarne il funzionamento in maniera coerente con lo scopo per il quale sono state concepite.

Esse si inseriscono nel solco di quella tendenza alla semplificazione e alla sommarizzazione[3] che connota gli ultimi trent’anni di riforme processuali, sia sul piano interno che sul piano internazionale[4]. La tendenza affonda le sue radici nella crisi del processo ordinario di cognizione[5], non più idoneo per la sua rigidità a rispondere con efficienza e tempestività alle richieste di tutela giurisdizionale[6].

Su tutto il territorio europeo è affiorata la necessità di superare la fissità del giudizio a cognizione piena, ora attribuendo al giudice il potere di modulare il rito ordinario in ragione delle caratteristiche delle controversie, ora semplificando il trattamento di determinate cause tramite una sommarizzazione adottata ad hoc per le liti meno complesse[7].

Non è questa la sede per sviluppare un’analisi comparatistica ad ampio raggio, ma si vogliono riportare di seguito in maniera sintetica esempi dell’uno e dell’altro tipo di intervento allo scopo di valorizzare e differenziare le scelte concretizzate dal legislatore italiano.

Si muove nella prima direzione (quella che punta all’adeguamento del rito in ragione della natura della controversia), l’ordinamento inglese dove il giudice dispone di tre formule processuali diverse, caratterizzate da un crescente livello di articolazione delle attività (small claims trask, fast track e multi track), applicabili in proporzione al grado di complessità della controversia.

Sulla stessa lunghezza d’onda si pone l’ordinamento francese dove il presidente del tribunale conduce la trattazione secondo le forme del circuit court (applicabile alle cause già mature per la decisione, comprese quelle contumaciali), del circuit moyen (che non contempla la nomina di un giudice istruttore e che prevede lo scambio di conclusions o un ultimo deposito di documenti prima della decisione) e del circuit long (che presuppone invece la mise en état sotto la guida del giudice istruttore)[8]. Tali soluzioni elevano il case management[9] a cardine del processo civile e valorizzano il ruolo del giudice nella direzione del procedimento. Egli sovraintende il corretto svolgimento dell’iter processuale alla stregua di un manager, scegliendo nell’ambito di una sequenza procedimentale unitaria l’articolazione più adatta alle peculiarità del caso singolo, anziché affidarsi al modello precostituito dalle norme processuali[10].

Negli stessi ordinamenti è possibile rintracciare segni della seconda tendenza, quella volta alla sommarizzazione del rito nelle cause più semplici. Appartiene al sistema processuale francese l’ordinanza di référé provision che la parte può invocare per far decidere la lite con un provvedimento provvisorio, quando la fondatezza della domanda non è sérieusemente contestable[11]. Sulla falsariga del référé, il sistema giudiziario anglosassone attribuisce al giudice il potere di decidere without a trial con provvedimento sommario (summary judgment), su istanza di parte o anche d’ufficio, le domande in relazione alle quali ritenga che il convenuto o l’attore non abbiano alcuna reale prospettiva di successo[12].

Come chiarito in dottrina queste forme di tutela sommaria si pongono come deviazioni dal binario del processo di cognizione e, talvolta, come “esiti decisori alternativi all’esito ordinario”, percorribili in presenza di particolari circostanze (la manifesta fondatezza/infondatezza della domanda, come nel summary judgment, l’assenza di serie contestazioni alla domanda, come nel référé)[13].

Tali meccanismi combinandosi alla flessibilità del rito ordinario nei termini sopra descritti realizzano negli ordinamenti presi in considerazione quell’effetto di accelerazione che imprime al processo un ritmo ragionevole.

A differenza dei precursori europei il legislatore italiano ha orientato gli interventi sul giudizio civile operando essenzialmente sul versante della sommarizzazione, dove si è assistito all’accostamento di procedimenti sommari a latere del rito ordinario[14]. Sono sintomatici di questa sensibilità il procedimento sommario societario di cui all’abrogato art. 19, d.lgs. 35/2003[15] e il procedimento sommario di cognizione di cui agli artt. 702-bis ss. c.p.c.[16], nonché la successiva estensione dell’ambito applicativo di quest’ultimo ad opera del d.lgs. 150/2011[17] e del d.lgs. 31/2019[18].

Con il primo si è tentato di importare nel settore delle controversie societarie, limitatamente cause relative al pagamento di somme di denaro o alla consegna di cose mobili determinate, lo schema del référé francese[19], con l’obiettivo di pervenire alla formazione di un titolo esecutivo nei casi in cui le ragioni dell’attore fossero manifestamente evidenti, a fronte di contestazioni del convenuto manifestamente infondate. Con il secondo si è dato vita ad una figura atipica e generalizzata di procedimento sommario di cognizione, idoneo alla pronuncia di una decisione suscettibile di passare in giudicato, da applicarsi in alternativa al rito ordinario in base alla maggiore o minore articolazione delle attività istruttorie[20].

I limiti dell’impostazione adottata sono lampanti. Il legislatore italiano anziché conformare la trattazione alla natura della controversia, declinando più moduli procedimentali all’interno di una sequenza unitaria, ha preferito affiancare al processo ordinario una pluralità di procedimenti autonomi (speciali a cognizione piena o sommaria)[21], che si sono rivelati incapaci di ridurne la durata[22].

Un buon compromesso tra le esperienze europee e la tradizione italiana sarebbe stato il passaggio dai riti autonomi alla “differenziazione del rito ordinario” in base alla distinzione trasversale tra controversie complesse e controversie che in concreto non lo sono[23]. Sarebbe stato inoltre opportuno abbinare una misura anticipatoria di portata generale, sganciata dal requisito del periculum in mora, in grado di rispondere immediatamente, ancorchè in maniera provvisoria, ai bisogni di tutela[24].

La riforma Cartabia sembra operare, seppur con delle criticità, nell’ottica appena ricostruita. Nella trama del d.lgs. n. 149/2022 si fa strada l’idea di “flessibilizzare” il rito a cognizione piena, conformandone la struttura alla specificità della controversia e riconoscendo al giudice il potere di individuare il percorso processuale più adatto[25].

Un rapido sguardo alle modifiche che hanno interessato il processo di cognizione è utile per comprendere meglio la riflessione che si sta svolgendo e che sarà articolata nel prosieguo.

La novella si propone di perseguire l’efficienza della giustizia civile attraverso interventi ispirati alla semplificazione, alla speditezza e alla razionalizzazione dei riti[26]. Con specifico riferimento al processo di cognizione, gli obiettivi generali della riforma vengono declinati nell’intenzione di assicurare la semplicità, la concentrazione, la ragionevole durata del processo nelle fasi in cui esso si sviluppa e nei differenti gradi di cui compone[27]. Il canone della concentrazione ha indotto le modifiche alla fase introduttiva del giudizio di primo grado, modellata su un sistema di preclusioni anticipate che attraverso uno scambio di atti fuori udienza dovrebbe portare ad una completa definizione del thema decidendum e del thema probandum già alla prima udienza ex art. 183 c.p.c.[28]. La semplificazione ha ispirato la soppressione dell’udienza fissata per il giuramento del ctu e la sostituzione dell’udienza di precisazione delle conclusioni con lo scambio di note scritte. Sulla stessa lunghezza d’onda si pongono anche i ritocchi alla fase decisoria dove si è scelto di anticipare lo scambio degli scritti difensivi finali rispetto alla rimessione della causa in decisione.

Il d.lgs. 149/2022 ha poi inteso realizzare la semplificazione anche su un diverso piano che potremmo definire collaterale alla riscrittura dell’iter giudiziale di primo grado. Ed è su questo secondo fronte di modifiche che si innesta la riflessione attuale. Animato dalla convinzione che il rito ordinario imbrigliato nella sua immobilità sia la formula meno adatta ad assicurare una risposta di giustizia in tempi rapidi, il legislatore delegato ha voluto comprimere lo spazio del modello formale[29], muovendosi in due direzioni: per un verso ha trapiantato nel libro II il rito sommario di cognizione e lo ha reso obbligatorio per le cause meno complesse[30], per altro verso ha previsto le due ordinanze di accoglimento e di rigetto della domanda, che dovrebbero accompagnare le parti all’uscita del processo tutte le volte in cui, come si avrà modo di chiarire nel prosieguo, le difese dell’attore o del convenuto si siano rivelate manifestamente infondate, funzionando come un filtro[31] rispetto a quelle liti il cui esito subito dopo la fase introduttiva appaia pressoché scontato.

Dai rapidi cenni alla disciplina del nuovo giudizio di cognizione emerge una certa modularità della trama processuale in linea con le tendenze europee. Nel rapporto tra rito ordinario, rito semplificato e ordinanze sommarie si preannuncia un crescendo di articolazione processuale proporzionale alla natura della lite non dissimile dall’impostazione consolidata nei sistemi francese e inglese[32]. Allo stesso tempo la presenza delle ordinanze, in particolare dell’ordinanza di accoglimento, consente all’avente diritto di realizzare in limine litis il bisogno di tutela giurisdizionale, garantendogli l’accesso immediato alla tutela esecutiva sull’esempio dei provvedimenti sommari d’oltre confine.

La gradualità dell’attività processuale che viene instaurandosi nei rapporti tra rito ordinario e rito semplificato, in uno con l’anticipazione della tutela offerta dall’ordinanza di accoglimento, potrebbe costituire la chiave di volta di un giudizio di cognizione più efficiente[33].

Saggeremo perciò le novità introdotte nel sistema partendo dai lineamenti processuali delle due ordinanze, per far luce sulle relazioni che il codice riformato imbastisce tra queste, il rito semplificato e il rito ordinario.

 

3.Presupposti e ambito di applicazione: la vocazione espansiva delle nuove ordinanze.

Gli artt. 183-ter e quater c.p.c. si inseriscono nel libro II del codice di rito, venendosi a collocare subito dopo le disposizioni che regolano la prima udienza di trattazione (art. 183 c.p.c.) e il passaggio al rito semplificato (art. 183-bis c.p.c), ma prima delle disposizioni che si occupano della conciliazione delle parti (artt. 185 e 185-bis c.p.c.) e di quelle dedicate alle ordinanze anticipatorie di condanna (artt. 186-bis, ter e quater c.p.c.).  Nella topografia del codice riformato la presenza delle due norme evidenzia un allargamento del giudizio ordinario di cognizione a vicende processuali nuove che si inseriscono nel suo corso e che sono in grado di influenzarne lo svolgimento sin dalla fase introduttiva.

È noto che le parti già all’uscita della prima udienza di trattazione possono avviarsi alla conciliazione e pervenire ad una definizione transattiva della lite (anche su proposta del giudice); è noto altresì il percorso tracciato dalle ordinanze anticipatorie di condanna che sebbene inidonee a definire il giudizio ne favoriscono l’estinzione, introducendo il creditore all’esecuzione forzata[34]. Evenienze, quelle appena descritte, che spostano il giudizio a cognizione piena dal suo binario (per così dire) standard – che culmina con la pronuncia della sentenza di merito dopo l’apertura dell’istruzione probatoria e la rimessione in decisione – per instradarlo su una corsia che più speditamente conduce al soddisfacimento della pretesa fatta valere, ora attraverso un accordo partecipato dal giudice, ora attraverso un titolo esecutivo in grado di conformare più o meno stabilmente il rapporto tra le parti.

Ad una prima lettura gli artt. 183-ter e quater c.p.c., al pari delle disposizioni tra le quali si incasellano, prefigurano ulteriori sbocchi del giudizio ordinario[35]: esse individuano i presupposti per un epilogo accelerato del processo all’esito di una cognizione sommaria dei fatti di causa[36], in tutte quelle controversie le cui caratteristiche rendono superflua la complessità della trattazione nelle forme ordinarie.

Le norme operano in due direzioni diverse e, per alcuni profili, speculari[37]. L’art. 183-ter c.p.c. disciplina l’ordinanza di accoglimento della domanda e prevede al comma 1 che il giudice, nel corso del giudizio e su istanza di parte, possa pronunciare ordinanza di accoglimento della domanda, definendo il processo in udienza. Il presupposto per la pronuncia è individuato nel raggiungimento della prova dei fatti costitutivi della domanda dell’attore, accompagnato da una valutazione di manifesta infondatezza delle difese del convenuto.

L’art. 183-quater c.p.c., su un versante opposto, prevede che il giudice nel corso del processo, all’esito dell’udienza 183 c.p.c., possa pronunciare su istanza del convenuto ordinanza di rigetto della domanda introduttiva quando la stessa risulti manifestamente infondata. Per espressa previsione del comma 1 l’ordinanza può essere pronunciata altresì quando l’atto di citazione è privo dei requisiti essenziali previsti al comma 3, n. 3) e 4) dell’articolo 163 c.p.c. e la nullità non è stata sanata, o se è emesso l’ordine di rinnovazione della citazione o di integrazione della domanda e persiste la mancanza dell’esposizione dei fatti di cui al numero 4) del predetto terzo comma.

Costruite su questi requisiti le due ordinanze assolvono in qualche modo ad una funzione di “filtro” che ricalca quella dei modelli decisori impiegati in appello (art. 350-bis c.p.c.) e in cassazione (art. 380-bis c.p.c.), dove la “manifesta” fondatezza/infondatezza delle ragioni di una delle parti imprime una netta semplificazione all’iter processuale[38].

L’effetto della novità (ove raggiunga il successo sperato) è di sicuro snellimento dell’attività giurisdizionale e di risparmio di risorse processuali: se la domanda dell’attore o le difese del convenuto sono prima facie infondate, non si vede perché impegnare l’impalcatura di un giudizio ordinario per ottenere una decisione ovvia, con evidenti benefici sia sulla gestione complessiva del contenzioso civile sia sul carico di lavoro del singolo magistrato.

Ma se osservate dalla prospettiva dei litiganti esse rispondono ad uno specifico bisogno di tutela. Ci troviamo di fronte a due provvedimenti provvisori che si surrogano alla sentenza, anticipandone il risultato[39], senza accertare in modo stabile e definitivo il diritto vantato e senza consumare l’azione[40]. L’ordinanza di accoglimento, in particolare, soddisfa l’interesse dell’attore alla rapida formazione di un titolo che gli consenta di ottenere in tempi certi l’adempimento della prestazione[41]. L’ordinanza di rigetto mira a contrastare domande pretestuose o irrimediabilmente viziate, evitando al convenuto il protrarsi di un contenzioso inutile, frutto di un uso improprio del processo[42].

La tutela descritta può essere invocata su istanza dell’interessato nelle controversie di competenza del tribunale relative a diritti disponibili. La formulazione conferisce agli istituti un’operatività di ampio respiro. Rinunciando a predeterminare i contenuti che l’ordinanza può assumere e le situazioni giuridiche concretamente tutelabili, il legislatore ha confezionato due strumenti versatili che si prestano a trovare applicazione in un largo ventaglio di situazioni.

La latitudine della tutela offerta si può apprezzare osservando l’efficacia dell’ordinanza di accoglimento.  La vis esecutiva associata al provvedimento la rende compatibile con tutte le tipologie di obbligazioni, adattabile non solo alla tutela di crediti pecuniari e di diritti alla consegna o al rilascio (come avviene nel contesto degli artt. 186-bis, ter e quater c.p.c.), ma anche alle domande di condanna relative ad obblighi di fare e di non fare, come pure a quelle relative ad obblighi indirettamente coercibili ex art. 614-bis c.p.c.[43].

L’ampiezza dell’espressione, secondo alcuni, si presta ad una interpretazione volta a favorire l’impiego delle forme sommarie anche quando la domanda introduttiva del giudizio abbia ad oggetto la tutela di accertamento e la tutela costitutiva[44].

Il punto esige un approfondimento, poichè rievoca inevitabilmente la questione relativa agli effetti della sentenza non ancora passata in giudicato e all’anticipazione di tale efficacia.

Invero, lo spirito del nuovo istituto dovrebbe essere quello di offrire alle parti un provvedimento che sebbene provvisorio, possa comunque aspirare ad una certa stabilità nella misura in cui si riveli satisfattivo per il richiedente e venga accettato (nei fatti) dal soccombente, così apprestando una regolamentazione della vicenda sostanziale potenzialmente definitiva per le parti.

Una logica simile ha permeato le riforme del 2003 e del 2005[45] alle quali si deve l’allentamento del nesso di strumentalità che lega le misure cautelari anticipatorie al giudizio di merito[46] e l’introduzione dei provvedimenti sommari di condanna di cui all’art. 19 del d.lgs. n. 35 del 2003, sulle cui fattezze è ritagliata l’ordinanza di cui all’art. 183-ter c.p.c. [47].

È la logica secondo la quale la tutela giurisdizionale dei diritti non deve necessariamente passare attraverso un processo a cognizione piena e condurre ad un accertamento incontrovertibile[48]: il giudizio ordinario rimane la via primaria di tutela, ma il cittadino deve restare libero di percorrerla o di accontentarsi di una tutela minore fruibile attraverso altri rimedi giurisdizionali.

Si ricorda, tuttavia, come l’aspirazione verso forme di tutela alternative al giudicato abbia scontato il limite derivante dall’impostazione tradizionale che riconoscendo efficacia esecutiva provvisoria alle sole sentenze di condanna, individua nel passaggio in giudicato il momento in cui le sentenze costitutiva e di accertamento diventano produttive di effetti[49].

Non è questa la sede idonea per riproporre i termini di un dibattitto di dimensioni importanti, ma si può focalizzare l’attenzione sui poli attorno ai quali gravitano le posizioni della dottrina e della giurisprudenza: da un lato, l’idea della sentenza come un “comando” che, indipendentemente dai suoi effetti specifici (dichiarativi, costitutivi o condannatori), vincola le parti immediatamente[50], in forza di una “sua propria e legittimità autorità”, che potrà essere modificata, ma che non manca fin dal momento in cui è pronunciata (rectius: pubblicata), delle condizioni per vivere stabilmente e divenire irrevocabile[51]; dall’altro lato, l’idea della sentenza come mera “situazione giuridica”, come “un elemento che col concorso di un altro elemento (il termine) diventerà l’accertamento del diritto”. In questa seconda prospettiva la cosa giudicata esisterebbe solo dal momento in cui la sentenza soggetta a gravami diventa definitiva, non rilevando il momento della sua pubblicazione, potendosi ammettere una provvisoria esecutorietà solo laddove l’accertamento perseguito abbia una prevalente funzione esecutiva[52].

Sono noti i riflessi della discussione sul versante della tutela cautelare innominata[53], dove la giurisprudenza di legittimità continua ad avallare l’orientamento restrittivo[54].

Il dibattito è destinato a riversarsi negli stessi termini sull’interpretazione dell’art.183-ter c.p.c. L’eco dell’impostazione dominante si avverte nelle perplessità manifestate a riguardo dai primi commentatori che hanno posto l’accento sull’’instabilità intrinseca dell’ordinanza per metterne in dubbio la compatibilità con le azioni costitutive e di accertamento[55].

Dubbi interpretativi sorgono anche in relazione alla possibilità di anticipare in via sommaria l’accoglimento delle domande condannatorie correlate all’accertamento o alla modificazione giuridica. Su questo diverso fronte occorre dare atto dell’indirizzo giurisprudenziale che riconosce efficacia esecutiva alle statuizioni condannatorie correlate a statuizioni dichiarative o costitutive, purché non in rapporto di sinallagmaticità o corrispettività con la statuizione principale[56]. Ma non può negarsi come anche in questi casi la condanna passi sempre attraverso un apprezzamento sommario dei presupposti di fatto della domanda di accertamento o costitutiva.

Margini di operatività per l’ordinanza di accoglimento potrebbero aprirsi nel diverso caso in cui la sentenza costitutiva sia stata già pronunciata e sia passata in giudicato e l’ordinanza di accoglimento della domanda sia invocata per la tutela dei diritti patrimoniali conseguenziali; come pure nel caso in cui la modificazione giuridica si produca sul piano sostanziale e si chieda al giudice di accertare la fattispecie produttiva del diritto oggetto di tutela condannatoria[57].

Lo spettro operativo sin qui delineato si giova inoltre del richiamo “aspecifico” alla competenza del tribunale, che consente di impiantare il sub procedimento che ne deriva sia nelle cause decise dal tribunale in composizione monocratica che in quelle decise collegialmente[58], tanto nell’ambito del rito ordinario che nel processo semplificato di cognizione.

In proposito va chiarito che la collocazione delle due norme nel libro II del titolo I, fra le disposizioni dedicate alla trattazione della causa nel processo ordinario, non ci sembra una ragione sufficiente per escluderne l’applicabilità nel rito semplificato di cui agli artt. 281-decies ss. c.p.c. [59].

Ad avviso di chi scrive sarebbe più opportuno favorire un impiego delle ordinanze nelle controversie individuate dall’art. 281-decies c.p.c., e ciò in previsione di una contrazione dei giudizi avviati nelle forme ordinarie, a fronte di un ricorso sempre più frequente al rito semplificato[60]. La prevalenza del rito semplificato sul rito ordinario, infatti, porterà con sé un fisiologico allungamento dei tempi di definizione dei giudizi, di conseguenza quanto più disfunzionale sarà l’utilizzo delle forme semplificate, tanto più funzionale si rivelerà il ricorso alle forme sommarie. Occorre inoltre considerare che le controversie che transitano per il processo semplificato rappresentano una fetta di contenzioso che ben si presta ad essere definita nelle forme sommarie, attesa la parziale coincidenza tra i requisiti previsti dall’art. 281-decies, comma 1 c.p.c. per l’applicazione del rito semplificato e i requisiti previsti dall’art. 183-ter c.p.c. per la pronuncia dell’ordinanza di accoglimento[61].

Infine, non va trascurato il circuito virtuoso che potrebbe instaurarsi tra le ordinanze definitorie, il rito semplificato e il rito ordinario in un’ottica tesa a modulare le risorse processuali in ragione della complessità della controversia, fenomeno a cui si è già fatto cenno e di cui si dirà oltre[62].

Ma al di là delle ragioni di opportunità appena esposte vi è una ragione di ordine sistematico che rende possibile la convivenza delle due ordinanze nel rito semplificato. Il processo semplificato disciplinato negli artt. 281-decies ss. c.p.c. è essenzialmente un giudizio a cognizione piena[63]. L’istruzione probatoria che si svolge al suo interno apre ad un accertamento pieno dei fatti, in cui il giudice procede non già nel “modo che ritiene più opportuno”, ma nei “modi” previsti dal codice civile e di procedura civile. Anche la fase decisoria ricalca quella ordinaria, dovendosi concludere il giudizio con provvedimento in forma di sentenza, ai sensi dell’art. 281-sexies c.p.c., soggetta ai comuni mezzi di impugnazione.

In definitiva, sebbene costruito su preclusioni più stringenti e sfrondato di alcuni passaggi[64], il rito semplificato è un ambiente processuale strutturalmente compatibile con momenti di tutela sommaria. In questo contesto le due ordinanze potrebbero operare con la stessa funzione di filtro e con la stessa portata satisfattiva che ne giustifica la pronuncia nel rito ordinario.

Unico limite che potrebbe frapporsi ad una applicazione generalizzata dei due strumenti potrebbe derivare dalla condizione, presente in entrambe le norme, secondo la quale in caso di pluralità di domande l’ordinanza può essere pronunciata solo se tali presupposti ricorrono per tutte. Ne deriva che in un processo cumulato l’emissione di un’ordinanza di accoglimento potrebbe essere preclusa dalla proposizione di una domanda riconvenzionale fondata su prove documentali o dalla introduzione di domande da parte di (o contro) un terzo chiamato in causa o intervenuto volontariamente. Situazioni queste ultime in cui è improbabile che tutte le parti richiedano contestualmente la definizione sommaria delle proprie domande o di quelle avversarie. Altro fattore impediente la pronuncia potrebbe essere rappresentato dalla proposizione di più domande da parte dell’attore in cumulo tra di loro alcune delle quali da decidere all’esito di un accertamento pieno (come in presenza di una questione pregiudiziale di merito da decidersi con efficacia di giudicato).

La scelta legislativa, se ad una prima lettura depotenzia i due istituti, risponde in realtà all’esigenza di circoscrivere l’applicazione delle forme sommarie alle fattispecie in cui vi sia l’evidenza del diritto dell’attore o della sua inesistenza, e di escluderla in tutti quei casi in cui il procedimento assume una conformazione incompatibile con una trattazione sommaria, come accade appunto ogni qualvolta il perimetro oggettivo e soggettivo del processo si dilata per accogliere al suo interno una pluralità di parti o una pluralità di domande.

4.La proposizione dell’istanza: il giudizio a cognizione piena viene deviato per volontà delle parti su un percorso sommario.

 

È il caso a questo punto di lasciare da parte l’ipotesi dell’ordinanza di rigetto in rito (per mancanza dell’oggetto del processo), poichè merita considerazioni di ordine diverso, e di soffermarsi sulle ipotesi di accoglimento e di rigetto provvisorio nel merito, spostando l’attenzione sul piano procedimentale.

Sotto questo profilo è immediatamente percepibile che il legislatore delegato ha dato vita ad un costrutto che non si pone come modello di tutela autonomo o alternativo allo schema del processo ordinario. Ci troviamo, piuttosto, davanti ad un giudizio che nasce ordinario (o meglio, a cognizione piena), ma che viene deviato per volontà delle parti su un percorso sommario[65]. Le parti possono scegliere di incanalare il processo sulla corsia sommaria tutte le volte in cui si rendono conto che le difese dell’avversario sono così inconsistenti da rendere superfluo un accertamento pieno del diritto sostanziale, al punto da preferire un’uscita immediata dal processo.

È chiaro che dal lato del convenuto l’interesse ad una definizione immediata e al contempo provvisoria potrebbe mancare, avendo l’obbligato tutto l’interesse ad ottenere un accertamento pieno ed incontrovertibile dell’inesistenza del diritto azionato nei suoi confronti, onde prevenire future azioni giudiziali[66]. Viceversa, l’interesse ad una definizione anticipata del giudizio ben potrebbe maturare dal lato dell’attore, potendo egli trovare allettante l’idea di conseguire immediatamente il bene della vita cui aspira al prezzo di rinunciare alla stabilità della decisione finale. Ed è sulla posizione dell’attore che ci si vuole concentrare, per tratteggiare le caratteristiche dell’interesse che sorregge la richiesta di tutela sommaria.

In questi casi l’interesse ad agire non si estende all’accertamento del diritto[67], ma si addensa attorno ad un’altra utilità: il conseguimento di un titolo esecutivo che immette l’attore sul piano del soddisfacimento (coattivo) del credito. È un interesse a formazione progressiva che potrebbe mancare all’inizio del processo, ma concretizzarsi nel corso del suo svolgimento. La legge, infatti, non si pronuncia sul momento iniziale, cioè da quando si può chiedere e da quando può essere emessa l’ordinanza di accoglimento. Né, d’altra parte, codifica il presupposto che sul piano probatorio giustifica l’emanazione del provvedimento di condanna (a differenza delle ordinanze di cui agli artt. 186-bis, 186-ter e 186-quater c.p.c., dove viene specificato il minimum dell’accertamento sommario richiesto ai fini della provvisionale).

Se osserviamo il processo di cognizione nel suo incedere fisiologico verso la decisione sul merito l’interesse alla pronuncia sommaria potrebbe sorgere dopo la costituzione del convenuto. Potrebbe accadere ad esempio che l’attore, pur disponendo di elementi tali da dimostrare la fondatezza della propria domanda, ma non conoscendo la strategia processuale dell’avversario, si renda conto dei presupposti per la definizione del processo solo con il deposito della comparsa di risposta o a seguito dello scambio delle note integrative. In questo caso l’ordinanza di accoglimento potrebbe essere richiesta in occasione della prima udienza ed essere pronunciata all’esito della stessa udienza[68].

Non è da scartare l’ipotesi che l’ordinanza venga richiesta e pronunciata oltre la prima udienza, nel corso del giudizio, come del resto prevede l’art. 183-ter c.p.c. Non è detto, infatti, che le condizioni per la pronuncia vengano in rilievo in limine. Si pensi al caso in cui le difese del convenuto siano manifestamente infondate ma non vi sia ancora la prova dei fatti costitutivi allegati dall’attore. In tal caso i requisiti per la pronuncia dell’ordinanza di accoglimento potrebbero affiorare nel corso dell’istruzione probatoria, ad esempio, a seguito di un ordine di esibizione e con l’acquisizione di un documento nella disponibilità del convenuto. L’interpretazione proposta è agevolata dalla formulazione della norma che non àncora la pronuncia dell’ordinanza di accoglimento alla fase introduttiva, né tanto meno individua un momento processuale oltre il quale la tutela sommaria sia da considerarsi preclusa[69].

Certo più il giudizio avanza e si approssima alla chiusura dell’istruzione probatoria, meno vantaggioso sarà per l’interessato ottenere la definizione sommaria della lite. L’interesse ad agire nelle forme sommarie potrebbe allora degradare per lasciare spazio all’interesse ad un accertamento pieno del diritto azionato.

Nella prospettiva che si sta offrendo ci si potrebbe domandare, infine, se la richiesta di accoglimento anticipato della domanda possa essere formulata già nell’atto di citazione, qualora l’attore abbia interesse alla pronuncia dell’ordinanza ex art. 183-ter c.p.c. sin dall’inizio del processo. Tale evenienza potrebbe verificarsi quando il creditore, disponga di elementi tali da dimostrare la fondatezza della propria domanda e ritenga di non esporsi a contestazioni serie da parte del convenuto.

Una simile ricostruzione pare favorita dalla formulazione dell’art. 183-ter c.p.c. che a differenza dell’art. 183-quater c.p.c. non subordina la proposizione dell’istanza allo svolgimento della prima udienza e fa spazio all’idea che l’esigenza di una definizione anticipata della lite possa addirittura precedere l’inizio del processo. Ma si scontra con il presupposto per l’accoglimento dell’istanza, la manifesta infondatezza delle difese del convenuto, formula che lascia presumere la necessaria costituzione del convenuto ai fini della decisione sommaria della lite.

Alla lettura offerta si potrebbe obiettare che l’attore creditore in possesso di una prova scritta del credito potrebbe optare per il più stabile risultato offerto dal rito monitorio. Ma se si considera che l’ordinanza ex art. 183-ter c.p.c. non sconta i limiti posti dall’art. 633 c.p.c. all’impiego del decreto ingiuntivo – attivabile solo “su domanda di chi è creditore di una somma liquida di denaro o di una determinata quantità di cose fungibili o di chi ha diritto alla consegna di una cosa mobile determinata” – l’interpretazione proposta potrebbe cogliere nel segno. L’ordinanza ex art. 183-ter c.p.c. potrebbe attecchire, ad esempio, a tutela delle domande relative al rilascio di un immobile o alla condanna ad un facere che al di fuori delle maglie della tutela sommaria cautelare e non cautelare non godono di tutela anticipata. Si pensi al diritto al rilascio di un immobile fondato su prova scritta che non può beneficiare della tutela apprestata dal procedimento per convalida di licenza o sfratto; oppure al diritto ad un facere, anch’esso supportato da prova scritta, che non può accedere alla tutela anticipatoria di tipo cautelare se non in presenza di un periculum in mora.

Nel quadro che si delinea chi propone la domanda non ha in mente di introdurre e portare a termine un processo a cognizione piena (nelle forme ordinarie o in quelle semplificate)[70]. L’attore, piuttosto, mosso dal bisogno di poter ottenere subito l’adempimento, dovrebbe mirare sin da principio ad un giudizio sommario[71].

In questa diversa situazione è ancor più evidente come l’interesse ad agire nelle forme sommarie non si estende all’accertamento del diritto. L’interesse ad agire è lasciato “nudo”[72]: sciolto dalla situazione sostanziale dedotta in giudizio è l’unico motore dell’azione[73]. Esso si proietta verso la tutela di un diritto dalla consistenza processuale, il diritto a dotarsi di un titolo esecutivo senza attendere i tempi della cognizione piena[74].

Sotto un profilo strutturale, potremmo dire che ci troviamo di fronte ad un sub procedimento sommario che si innerva su un percorso processuale ordinario[75] e che condivide con il rito ordinario soltanto il segmento iniziale. Quando, infatti, l’interesse ad agire in via sommaria preesiste all’introduzione del giudizio, il procedimento sommario prende forma con un atto che presenta i requisiti prescritti dall’art. 163 c.p.c., passa attraverso lo scambio delle note integrative ex art. 171-ter c.p.c. e sfocia nella prima udienza ex art. 183 c.p.c.[76].

In questa sequenza procedimentale la prima udienza rappresenta uno snodo cruciale per l’azione sommaria: se sussistono i requisiti per la pronuncia dell’ordinanza di accoglimento il procedimento sommario esaurisce il suo corso; se invece i presupposti non ricorrono il processo prosegue nelle forme ordinarie, come se fosse stato introdotto sin dall’inizio come un giudizio a cognizione piena. Si passa, dunque, da una fase sommaria ad un giudizio a cognizione piena senza soluzione di continuità e senza che questa transizione rappresenti un “mutamento” in senso tecnico. L’azione intrapresa con la notifica dell’atto di citazione è unica e a seconda dell’esito dell’udienza potrà risolversi nella pronuncia del provvedimento sommario o evolversi in un accertamento pieno.

Quella proposta è una visione del fenomeno che per certi versi sgancia il funzionamento dell’ordinanza di accoglimento dal giudizio di cognizione in cui è incorporata. Collocando l’interesse ad agire con le forme sommarie prima (e fuori) del processo, l’ordinanza di accoglimento assume quell’autonomia funzionale sufficiente a farla sopravvivere ad un sistema processuale in cui altri strumenti concorrono al raggiungimento del medesimo risultato[77]. In altri termini, sebbene l’ordinanza ex art. 183-ter c.p.c. sia strutturalmente annessa ad un processo a cognizione piena (ordinario o semplificato), può idealmente slegarsi da esso e diventare lo strumento più vicino al provvedimento cautelare anticipatorio[78] che il nostro ordinamento offre senza il condizionamento del periculum in mora[79]. Diversamente, la sua utilità rischia di rimanere assorbita dagli altri modelli decisori propri nel processo di cognizione o soppiantata dalle altre forme di tutela sommaria/anticipatoria del credito che operano nel processo di cognizione o a latere dello stesso.

5.La natura sommaria della cognizione del giudice al vaglio dei canoni chiovendiani di parzialità e superficialità.

Veniamo ora ad un esame più approfondito degli elementi attorno ai quali si addensano i sintomi della sommarietà[80]. La riflessione non può che prendere le mosse dalle diverse espressioni della sommarietà e dalla mutevole estrazione dei procedimenti in cui attecchisce[81]. La sommarietà può investire il rito[82], può riguardare l’accertamento del fatto e quindi la cognizione del giudice[83], può colorare gli effetti del provvedimento e, dunque, il suo regime giuridico[84].

Ciò che ci interessa in questa sede è l’aspetto che attiene all’accertamento del fatto, e non tanto con riferimento all’ampiezza della cognizione, poiché come si avrà modo di vedere l’attività conoscitiva del giudice si estende a tutti gli elementi che integrano la fattispecie, quanto con riferimento alla sua intensità. L’analisi condotta su questo piano ci consentirà di “pesare” l’attività conoscitiva svolta, di saggiarne il livello di approfondimento, anche per farne emergere le differenze con altri modelli sommari. A questo scopo si procederà dapprima con un esame della cognizione che sta alla base dell’ordinanza di accoglimento e poi con un’analisi di quella propedeutica all’ordinanza di rigetto.

L’art. 183-ter c.p.c. salda la cognizione del giudice ad una coppia di elementi: la prova dei fatti costitutivi affermati dall’attore e la manifesta infondatezza delle difese del convenuto.

Per comprendere la portata di tali presupposti e la qualità dell’accertamento occorre confrontarsi innanzitutto con la struttura del giudizio che accoglie l’ordinanza: semplificato o ordinario che sia, l’ordito processuale in cui il provvedimento si inserisce è quello di un giudizio a cognizione piena, in cui il contraddittorio è provocato in anticipo rispetto alla emanazione del provvedimento. Si tratta dunque di una sommarietà ben diversa da quella che connota la fase monitoria del procedimento per ingiunzione, dove la cognizione è superficiale – per usare la terminologia del Chiovenda[85] – perché il provvedimento di condanna è emesso sulla base di quanto risulta agli del processo e per il fatto che si procede alla cognizione ordinaria solo su iniziativa dell’interessato[86].

Non si tratta neppure della sommarietà che qualifica la fase autorizzativa del giudizio cautelare uniforme: non solo, come è evidente, qui non si discute di periculum in mora, ma la verifica effettuata sull’istanza non è per nulla assimilabile a quella si sviluppa attorno al fumus boni iuris[87], giacchè nel riferirsi alla prova dei fatti costitutivi la norma richiede qualcosa in più rispetto alla valutazione meramente probabilistica compiuta dal giudice del cautelare[88]. Si consideri, peraltro, che l’accertamento condotto in sede cautelare è un “accertamento sommario in senso tecnico” [89], in quanto effettuato dal giudice con modalità rimesse quasi totalmente al suo potere discrezionale, non predeterminate dalla legge, se non in minima parte, comprese le modalità che attengono all’acquisizione degli elementi probatori.

È una sommarietà che si distingue anche da quella propria delle ordinanze anticipatorie di condanna[90]. Negli artt. 186-bis e 186-ter c.p.c. viene tipizzato il presupposto che sul piano probatorio giustifica la pronuncia della provvisionale, così determinandosi la soglia minima dell’accertamento. Nel primo caso la valutazione che il giudice svolge è sommaria poiché l’elemento che egli prende esclusivamente in considerazione è la non contestazione del convenuto[91]; nel secondo caso, e cioè nell’art. 186-ter c.p.c. il giudice si limita a riscontrare la conformità della prova scritta prodotta dalla parte creditrice ai criteri tipizzati dal legislatore per il decreto ingiuntivo, operando una valutazione che non è diversa da quella propria della fase monitoria[92].

L’art. 183-ter c.p.c. sembra piuttosto riproporre – anche per affinità lessicale – l’accertamento svolto nell’ambito del processo sommario di cognizione per le controversie societarie di cui all’abrogato art. 19, d.lgs. n. 35/2003[93], dove il giudice pronuncia ordinanza provvisoria di accoglimento della domanda previa indagine sulla sussistenza dei fatti costitutivi della domanda e sulla manifesta infondatezza delle contestazioni del convenuto[94]. La doppia anima dell’accertamento è senz’altro evocativa della distinzione tra il tipo di accertamento che oggi l’art. 183-ter c.p.c. esige sui fatti costitutivi allegati dall’attore (i quali devono essere provati) e l’accertamento sulle difese del convenuto (che devono apparire manifestamente infondate)[95]. Nondimeno, ad avviso di chi scrive, l’assonanza evidenziata non basta per trapiantare nel contesto del processo di cognizione le riflessioni che sono state elaborate sulla qualità dell’accertamento eseguito nel contesto del processo sommario di cognizione per le liti societarie. Vale la pena riproporre i termini di quel dibattito per capire quanto poter attingere dalla norma abrogata al fine di interpretare correttamente quella attualmente sottoposta alla nostra osservazione.

Secondo una prima impostazione l’art. 19 avrebbe richiesto un accertamento pieno, quanto alla sussistenza dei fatti costitutivi affermati nel ricorso, sommario quanto all’infondatezza delle eccezioni e, più in generale, di tutte le difese svolte dal convenuto, sulle quali il giudice sarebbe stato chiamato a compiere una verifica prima facie basata su una valutazione di verosimiglianza o di carattere probabilistico/ipotetico[96], senza la necessità di una particolare indagine[97]. Un secondo filone interpretativo ha esteso la cognizione sommaria all’intera fattispecie dedotta in giudizio, comprensiva dei fatti che costituiscono le eccezioni e di quelli che costituiscono il diritto, tanto sul presupposto che l’accertamento si iscriveva nell’alveo di un giudizio sommario. Nel quadro conoscitivo delineato attorno a tali elementi, alcuni hanno sostenuto di doversi negare il provvedimento sommario tutte le volte in cui i fatti allegati dal convenuto fossero concludenti o verosimili[98], con l’ulteriore effetto, secondo altri, di escludere l’assunzione di prove costituende sui fatti impeditivi, modificativi o estintivi ai fini dell’adozione dell’ordinanza[99]. Prevalente, inoltre, era l’idea che l’istruttoria sulla sussistenza dei fatti costitutivi allegati dall’attore potesse essere deformalizzata o di tipo camerale[100].

Tali ricostruzioni, come anticipato, non sembrano potersi adattare alla conformazione del nuovo istituto. Il fatto che questo momento di cognizione sommaria si situa in un ambiente processuale ordinario, ci porta innanzitutto ad escludere l’idea di una delibazione prima facie sull’intera fattispecie dedotta in giudizio. D’altra parte la norma è chiara sul punto: il legislatore non si accontenta di una valutazione probabilistica sull’esistenza del diritto, né della mera verosimiglianza delle allegazioni dell’attore, ma esige che i fatti costitutivi siano provati. Per la stessa ragione dovrebbe escludersi la possibilità di deformalizzare l’istruttoria condotta sui presupposti dell’istanza: l’eventuale assunzione di prove costituende dovrebbe svolgersi secondo le forme prescritte per l’istruzione probatoria ordinaria. Coerentemente ai fini della prova dei fatti costitutivi non dovrebbe ritenersi sufficiente un principio di prova precostituita.

Questo comporta che dal lato dell’attore la prova dei fatti costitutivi può dirsi raggiunta in presenza di documenti aventi forza probatoria piena[101], o trovare origine nell’ammissione o nella non contestazione di questi da parte dell’avversario (e cioè in quello che viene definito titolo non controverso)[102]. Il presupposto potrebbe dirsi integrato anche in presenza di fatti contestati dal convenuto, ma facilmente accertabili, ovvero dimostrabili attraverso altri mezzi di prova, a rigore anche costituendi.

La conclusione è senz’altro in linea con la formulazione della norma che rende possibile la pronuncia dell’ordinanza nel corso del processo e non solo in prima udienza. Si deve considerare, tuttavia, che se l’attività istruttoria sui fatti dedotti dell’attore si rivela elaborata o estesa nel tempo, il vantaggio che potrebbe derivare dalla pronuncia di un’ordinanza provvisoria di accoglimento verrebbe compromesso. In uno stato avanzato del giudizio è preferibile attendere la rimessione in decisione e la pronuncia di una sentenza idonea a passare in giudicato.

Si tratta a questo punto di capire l’entità dell’accertamento condotto sulle difese del convenuto, le sole a poter essere delibate più superficialmente[103]. Diversi sono i significati che si possono attribuire a tale nozione, come diverso potrebbe essere il grado di elaborazione del presupposto.

Un’accezione di manifesta infondatezza che potrebbe assumere rilievo nel contesto che ci occupa è quella elaborata da Scarselli[104] nella ricostruzione sistematica della condanna con riserva di eccezioni e poi ripresa da Proto Pisani ai fini dell’inquadramento dell’ordinanza sommaria societaria[105]. Alla stregua di tali posizioni la manifesta infondatezza delle difese del convenuto dovrebbe essere interpretata nel senso di “eccezioni non fondate su prova scritta e di lunga indagine, le quali appaiono infondate prima facie, alla stregua di un giudizio di verosimiglianza effettuato avuto riguardo alla qualità delle parti, alla natura della controversia e ad ogni altra circostanza”[106]. Tale nozione accosterebbe dogmaticamente l’ordinanza di accoglimento alla condanna con riserva di eccezioni, alla quale pure si è ispirata la Commissione Luiso nella elaborazione di proposte di riforma del processo civile[107]. Ma è evidente tra i due modelli decisori una differenza strutturale irriducibile: l’ordinanza provvisoria di accoglimento definisce il giudizio, mentre la condanna con riserva postula che sulle difese del convenuto si formi comunque una decisione a cognizione piena, a seconda dei casi idonea a caducare o confermare il decisum sulla domanda principale[108].

Un diverso modo di intendere l’espressione potrebbe essere quello di un convincimento ictu oculi che il giudice trae dallo stato degli atti, basandosi su una attenta ponderazione delle contestazioni e delle eccezioni del convenuto. Stando così le cose il giudice dovrebbe pronunciare ordinanza di accoglimento solo se al termine di tale esame si convinca della assoluta irrilevanza o infondatezza delle difese svolte[109]. L’incertezza che fonda questa accezione di manifesta infondatezza è un “dubbio che sorge di per sé, e non ha origine nella contingenza dovuta alla mancanza di una prova scritta o dalla necessità dell’istruttoria”[110]. Verrebbe, tuttavia, da domandarsi come una delibazione prima facie possa conciliarsi con la possibilità di pronunciare l’ordinanza nel corso del processo.

La soluzione avvicina senz’altro il nostro provvedimento al référé provision che pure ha influenzato le spinte riformatrici. L’ordonnance de référé, come anticipato, viene concessa “dans les cas où l’existence de l’obligation n’est pas sérieusement contestable”[111]. L’assenza di una contestazione seria nel sistema francese è espressione di uno “stato visibile e manifesto” che consente al giudice di valutare ictu oculi la “apparente” fondatezza della situazione sostanziale – e, dunque, l’opportunità della misura richiesta in référé – senza scendere ad analizzare il merito della lite e, perlopiù, senza attività istruttoria[112]. Viceversa, la serietà delle contestazioni sollevate dal convenuto riporta la controversia all’attenzione del giudice del merito a cui competono gli approfondimenti resi necessari dalle circostanze inerenti la controversia, approfondimenti che esulano dall’ambito di competenza del giudice del référé, essendo questi il “giudice dell’evidente e dell’incontestabile”[113].

Intesa in questi termini la delibazione sulle difese del convenuto è più aderente agli obiettivi di accelerazione avuti di mira dal legislatore, ma meno attenta alle esigenze di chi ha bisogno della trattazione per dimostrare la fondatezza delle proprie difese[114]. Non è mancato chi ha sottolineato la presenza di una “asimmetria” tra la posizione processuale dell’attore che “vedrebbe delibati i fatti costitutivi alla luce delle prove addotte”, e quella del convenuto che “sentirebbe emanata l’ordinanza prima che possa dissolvere con le sue prove la mera percezione di manifesta infondatezza”[115].

Sicuramente i contenuti da conferire alla formula e, di conseguenza, la qualità della cognizione, emergeranno dalla giurisprudenza che si formerà nei giudizi di reclamo promossi contro il provvedimento di accoglimento[116], essendo questo il mezzo per contestare l’ordinanza sotto il profilo della sussistenza dei presupposti per la sua concessione e per sondare l’intensità dell’accertamento svolto sulla manifesta infondatezza delle difese del convenuto[117].

Una diversa valutazione è compiuta dal giudice sulla richiesta ex art. 183-quater c.p.c. Rispetto a questo tipo di indagine è opportuno distinguere l’istanza proposta dal convenuto al fine di ottenere una pronuncia in rito (per mancata sanatoria dei vizi della editio actionis), dall’istanza finalizzata ad una definizione anticipata nel merito (per manifesta infondatezza della domanda).

Nel primo caso la verifica si concentra sulla idoneità dell’atto introduttivo ad individuare l’oggetto del processo, essendo il giudice chiamato a verificare se a seguito della nullità della citazione per mancata determinazione della cosa oggetto della domanda o per mancata esposizione della ragione del domandare, la nullità sia stata sanata e il convenuto sia stato messo in condizione di difendersi. L’ordinanza di rigetto sarà pronunciata se la nullità persiste[118].

Nel secondo caso la valutazione condotta dal giudice si attesta ancora una volta su un esame superficiale, prima facie, dei fatti costitutivi della domanda, al fine di filtrare le azioni pretestuose e destinate ad un sicuro rigetto nel merito.

6.Natura, effetti e regime processuale dei provvedimenti. Modelli di tutela sommaria a confronto.

Una volta appurato che le due ordinanze sono provvedimenti a cognizione sommaria si pone la necessità di far luce sulla stabilità dell’accertamento condotto, poichè inevitabilmente la qualità della cognizione si riverbera sulla qualità degli effetti[119].

Da una lettura congiunta delle norme se ne trae la natura definitoria e al contempo provvisoria delle ordinanze: entrambe chiudono il processo e sono accompagnate dalla liquidazione delle spese di lite[120]; entrambe sono inidonee al giudicato e la loro autorità non può essere invocata in altri giudizi.

Sono questi due aspetti dai quali emergono altrettanti tratti di disciplina. In primo luogo, con l’emissione del provvedimento il giudice si spoglia della causa, ponendo fine alla lite, ma senza impedire ad altro giudice di conoscere dello stesso diritto e di pronunciarsi su di esso, anche in maniera difforme. In secondo luogo, la pronuncia delle ordinanze pur consumando il potere del giudice sulla controversia, non consuma il potere di azione della parte che potrà sempre invocare la tutela dichiarativa nelle forme della cognizione piena, senza preclusione alcuna[121]. La mancanza di “autorità in altri processi” non solo esclude il giudicato pieno, ma implica l’inattitudine dei provvedimenti a valere a qualunque titolo in altri giudizi ed esprime l’incapacità delle ordinanze a manifestare all’esterno del processo in cui sono rese l’autorità logica e di mero fatto che naturalmente appartiene alla sentenza[122].

Altro attributo comune ai due provvedimenti è la reclamabilità ai sensi dell’art. 669-terdecies c.p.c.[123] Senza entrare nelle questioni relative agli aspetti procedimentali del rimedio[124], la reclamabilità assoggetta le ordinanze ad un peculiare regime di impugnazione che lungi dall’investire il merito della decisione, riguarda esclusivamente la sussistenza dei presupposti per la loro concessione[125].

L’esecutività è invece una prerogativa esclusiva dell’ordinanza di accoglimento della domanda che segna una netta cesura rispetto alla gemella ordinanza di rigetto. L’esecutività è la naturale conseguenza della funzione ad essa sottesa: l’ottenimento di un titolo esecutivo in tempi rapidi. Al contrario, l’ordinanza di rigetto della domanda non offre al convenuto alcuna utilità, risponde essenzialmente ad una logica di sommarizzazione della fase decisoria[126] ed è perciò stesso priva di ogni attitudine esecutiva[127].

Arricchita di questa proprietà l’ordinanza di accoglimento si inquadra tra i provvedimenti sommari-semplificati-esecutivi[128], richiamati in passato per identificare i provvedimenti adottati sulla base di una cognizione sommaria, destinati a produrre la sola efficacia esecutiva e privi dell’efficacia preclusiva propria del giudicato formale o sostanziale[129]. Ma il modello di riferimento è anche un altro, potendosi ricondurre l’ordinanza al genus dei provvedimenti decisori senza accertamento[130]. Sotto questo profilo essa si muove sul crinale dell’anticipazione degli effetti esecutivi della sentenza[131], come le ordinanze anticipatorie di condanna. Al pari dei suoi precedenti punta a scorporare la funzione esecutiva dall’accertamento proiettato sulla cosa giudicata, in vista di un immediato risultato pratico.

Nonostante l’affinità funzionale, la medesima attitudine esecutiva e la comune natura sommaria, però, l’ordinanza di accoglimento va tenuta distinta dalle ordinanze anticipatorie di condanna, perché non è un provvedimento interinale[132]. Definendo il giudizio non può per definizione appartenere alla c.d. tutela anticipatoria e al panorama delle misure anticipatorie, il cui tratto distintivo, nonostante l’eterogeneità delle misure riconducibili alla categoria, è comunemente identificato nella pendenza di un processo di cognizione al momento della loro pronuncia[133]. Il sistema della tutela anticipatoria si regge, infatti, su “meccanismi interni al processo di cognizione”[134], il quale è destinato a proseguire dopo la pronuncia del provvedimento anticipatorio[135]. D’altra parte, il provvedimento anticipatorio convive con il giudizio di merito e la sentenza finale è destinata ad assorbirne il contenuto[136].

Stando così le cose, l’anticipazione degli effetti nell’ordinanza in questione va intesa “nel senso di favorire in via anticipata il conseguimento della decisione attraverso la rinuncia alla sentenza ed alla cognizione piena”[137].

La definitività del provvedimento, inoltre, combinandosi all’anticipatorietà (nel senso appena chiarito) avvicina molto di più l’ordinanza di accoglimento della domanda all’ordinanza ex art. 19, d.lgs. n. 35/2003. Le due misure, a ben vedere, differiscono sotto altri profili. L’ordinanza ex art. 19 si inserisce nel quadro di un procedimento sommario che l’attore può instaurare in alternativa al rito ordinario (societario), un procedimento, cioè, dotato di un corpo autonomo dal rito a cognizione piena[138]. Viceversa, l’ordinanza ex art. 183-ter c.p.c. è lo sbocco di un procedimento sommario annesso al rito ordinario, in una commistione di forme che depriva di autonomia il percorso processuale intrapreso con la proposizione dell’istanza[139].

Ancora, nell’ordinanza di matrice societaria la funzione esecutiva senza accertamento viene meno in conseguenza dell’impugnazione nelle forme ordinarie, con il recupero nell’ambito del giudizio d’appello della cognizione piena ed esauriente. L’ordinanza ex art. 183-ter c.p.c., non solo non è impugnabile – bensì reclamabile al solo fine di contestare la sussistenza dei presupposti per la concessione – ma non è neppure potenzialmente idonea al giudicato, dal momento che il segmento sommario in cui è pronunciata esaurisce il corso del procedimento e può essere messa in discussione sono in un autonomo giudizio di cognizione.

Quest’ultimo tratto ci permette di sviluppare un confronto anche con gli accertamenti con prevalente funzione esecutiva che sebbene connotati da sommarietà sono “trasformabili” e suscettibili di passare in giudicato[140]. Nel decreto ingiuntivo il giudicato si forma (nonostante la sommarietà), perché il procedimento è costruito sull’inversione dell’iniziativa processuale: alla cognizione sommaria del giudice si aggiunge la reazione dell’ingiunto che sceglie di rinunciare all’accertamento pieno[141]. Al contrario nell’ordinanza di accoglimento non c’è spazio per valorizzare la rinuncia alle potenzialità della cognizione piena, non vi sono le condizioni affinchè il provvedimento sommario dispieghi efficacia di giudicato. Il debitore, piuttosto, potrà recuperare la pienezza dell’accertamento solo promuovendo un giudizio di cognizione, anche in sede di opposizione esecutiva, onde stabilire con efficacia di giudicato la ragione ed il torto.

La tecnica adottata ribalta sul debitore l’onere di richiedere un accertamento pieno del diritto accertato sommariamente, secondo uno schema che riproduce il meccanismo alla base delle misure cautelari anticipatorie, dove il legislatore eliminando l’obbligo di instaurare il giudizio di merito, ha confezionando provvedimenti in grado di acquisire una stabilità in fatto. Un’operazione simile è alla base dell’art. 624, comma 3, c.p.c. il quale rende oggi facoltativa la prosecuzione del giudizio sul merito dell’opposizione in caso di sospensione dell’esecuzione[142].

 7. segue: il modello prefigurato dalla Commissione Luiso e il référé provision.

Nel tracciare i lineamenti delle due ordinanze non si può fare a meno di notare la divergenza tra le due figure ed il modello di tutela sommaria pensato dalla Commissione Luiso[143]. Un confronto con quest’ultimo è quanto meno opportuno per poter apprezzare il limite dei nuovi strumenti.

La Commissione suggeriva di introdurre nel libro IV del codice di procedura civile un procedimento speciale ispirato al référé provision di cui all’art. 809 del code de procédure civile francese o al summary judgment di cui all’art. 24 delle civil procedure rules anglosassoni. Si prefigurava un rito volto alla pronuncia di un provvedimento provvisorio, idoneo a fondare l’esecuzione forzata ma privo di attitudine al giudicato. Nella proposta, più nel dettaglio, si delineavano i tratti di un’ordinanza di (solo) accoglimento, in grado di decidere la lite all’esito di una cognizione sommaria dei fatti causa il cui presupposto veniva individuato nel raggiungimento della prova dei fatti costitutivi della domanda e nella valutazione di manifesta infondatezza delle difese del convenuto.

Nelle previsioni del progetto il provvedimento poteva trovare applicazione nelle controversie relative a diritti disponibili, senza limitazioni di sorta, purché di competenza del tribunale. Prendeva forma, per questa via, un’ipotesi di condanna con riserva di carattere generale, modellata sulle fattispecie di condanna con riserva di eccezioni già note al nostro sistema processuale (così art. 1462 c.c., artt. 34 e 648 c.p.c.), ma capace di superarne la settorialità e la tipicità.[144]

Infine – e veniamo al tratto più rilevante – nell’idea lanciata dalla Commissione Ministeriale l’ordinanza veniva affrancata dal giudizio ordinario di cognizione: il provvedimento poteva essere pronunciato con funzione anticipatoria nel corso del procedimento di primo grado, ma anche in via autonoma, prima dell’inizio del processo, seguendo il binario tracciato dall’art. 669-sexies c.p.c. In entrambi i casi se ne prevedeva la reclamabilità ai sensi dell’art. 669-terdecies c.p.c. Si trattava di una misura anticipatoria atipica che, seppur conformata al modello cautelare sotto il profilo strutturale, ne era svincolata sotto il profilo funzionale e poteva attecchire in tutte quelle situazioni in cui l’attore intendesse conseguire un immediato risultato pratico (ovvero l’accesso alla tutela esecutiva), rinunciando alla stabilizzazione del titolo[145].

Il d.lgs. n. 149/2022 pur partendo dall’idea avanzata dalla Commissione Luiso plasma un modello di tutela ben diverso da quello immaginato. Il legislatore della riforma, innanzitutto, decide di accostare all’ordinanza di accoglimento inizialmente inserita nella proposta, l’ordinanza di rigetto da applicarsi in ipotesi in parte speculari. In secondo luogo, elimina in radice la possibilità di richiedere la concessione dell’ordinanza di accoglimento ante causam, incapsulando il provvedimento (e la tutela che da esso deriva) nella struttura del processo di cognizione, dal quale non può prescindere per prendere forma[146].

Attorno alla prima scelta, come si è potuto osservare, si sono concentrate le maggiori perplessità dei primi commentatori i quali hanno intravisto la scarsa utilità di uno strumento che sebbene diretto ad accelerare i tempi di definizione del processo, non proietta alcun effetto favorevole sul convenuto vittorioso, attesa la possibilità per il soccombente di mettere in discussione in altra sede il risultato ottenuto, senza alcuna preclusione[147].

La seconda scelta, invece, è quella che rischia di rendere meno appetibile il ricorso a questa forma di tutela, dal momento che dopo aver incardinato il processo di cognizione, l’attore può ricorrere ad altre soluzioni, già presenti nel sistema, finalizzate ad abbreviare i tempi della pronuncia della sentenza con risultati ben più stabili dell’ordinanza di accoglimento, come la rimessione immediata in decisione a norma dell’art. 187 c.p.c. o la decisione a seguito di discussione orale ai sensi dell’art. 281-sexies c.p.c., oggi peraltro praticabile anche nei giudizi di competenza del tribunale in composizione collegiale[148]. Il rischio è ancora più evidente se ci pone dalla prospettiva del convenuto che, come premesso, non viene immesso nella disponibilità di un titolo esecutivo ed ha interesse a far accertare con efficacia di giudicato l’inesistenza del diritto azionato.

La tecnica processuale adottata, d’altra parte, allontana notevolmente il nostro rimedio dal référé provision. Il modello italiano condivide senz’altro con il modello transalpino la funzione anticipatoria non cautelare[149]. Entrambi sacrificano la stabilità dell’accertamento in nome di una forma di tutela agile, fondata sulla delibazione sommaria delle difese del convenuto, che introduce l’avente diritto all’esecuzione forzata. L’ordinanza di référé provision, come l’ordinanza di accoglimento, è provvisoria e inidonea a dettare una disciplina definitiva del rapporto controverso. Ma se si sposta la nostra osservazione sul piano procedimentale, irriducibili sono le divergenze tra i due schemi. Sotto il profilo più squisitamente processuale il provvedimento di référé, pur nella sua provvisorietà gode di una autonomia piena rispetto al giudizio ordinario, non solo perché l’efficacia dell’ordinanza non è in alcun modo condizionata dall’instaurazione del giudizio di merito[150], ma perché la domanda giudiziale può essere proposta anche prima dell’instaurazione del processo. Peraltro, esso beneficia di una regolamentazione completa ed indipendente dalla disciplina del giudizio di cognizione che investe il regime di modificabilità, di revocabilità e di impugnabilità del provvedimento. Infine, il référé può essere pronunciato anche nel corso del giudizio ordinario di cognizione, a differenza dell’ordinanza in commento che, pronunciata nel corso del processo dichiarativo, lo definisce.

 

8.Le ordinanze sommarie nel quadro delle modifiche al processo di cognizione.

Condivisibili sono le riserve manifestate nei confronti dell’ordinanza di rigetto in rito, la quale peraltro risente del mancato coordinamento, pur inizialmente pensato dalla delega, con la disciplina della nullità dell’editio actionis. Si potrebbe, invece, nutrire fiducia nonostante le criticità da ultimo portate all’attenzione del lettore, nei confronti delle due ordinanze di merito. Riteniamo, in particolare, che un uso virtuoso dell’ordinanza di accoglimento da parte dei difensori e del potere discrezionale del giudice di concederla, potrebbe sortire l’effetto di accelerazione tanto decantato.

Ad avviso di chi scrive l’ordinanza di accoglimento potrebbe rappresentare una valvola di sfogo per tutte

quelle controversie che, sfuggite all’applicazione del rito semplificato di cognizione, siano canalizzate per volontà delle parti[151] o del magistrato[152] sul binario del rito ordinario, ma che subito dopo la fase introduttiva o nel corso delle prime battute istruttorie si rivelino di esito pressoché scontato.

Per poter apprezzare lo snodo processuale che si sta illustrando occorre rapidamente accennare ai rapporti che il legislatore ha imbastito tra il rito ordinario di cognizione e il rito semplificato.

Gli artt. 171-bis, 183-bis, 281-duodecies, comma 1, c.p.c. ci presentano due moduli procedimentali semi-alternativi[153]. Nelle cause più semplici, identificate a norma dell’art. 281-decies, comma 1, c.p.c. come le cause in cui “i fatti non sono controversi, oppure quando la domanda è fondata su prova documentale, o è di pronta soluzione o richiede un’istruzione non complessa”, il modello semplificato è obbligatorio, indipendentemente dalla spettanza (monocratica o collegiale). Solo nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica è data facoltà all’attore di proporre sempre la domanda nelle forme semplificate, quand’anche non ricorrano i presupposti di cui all’art. 281-decies comma 1, fermo restando il potere del giudice istruttore, di ordinare la prosecuzione del processo nelle forme ordinarie a norma dell’art. 281-duodecies, comma 1, c.p.c. ove all’esito della prima udienza,  valutata la complessità della lite e dell’istruzione probatoria, ritenga che la causa non possa essere trattata nelle forme semplificate. Analogo potere di conversione del rito è riconosciuto al giudice a norma dell’art. 183-bis c.p.c. nelle cause in cui il procedimento semplificato di cognizione deve trovare obbligatoriamente applicazione, e la domanda sia introdotta nelle forme ordinarie[154].

Nel disegno del legislatore, dunque, il rito in concreto applicato è frutto di una duplice indagine sulla natura della controversia. La scelta iniziale la compie l’attore sulla scorta di una valutazione parziale della complessità/semplicità della lite e dell’istruttoria, potendo egli al momento della proposizione della domanda soltanto ipotizzare come si svilupperà la difesa del convenuto. Egli imprime l’andamento del processo solo in via provvisoria, perché alla sua valutazione si aggiunge quella compiuta dal giudice ai sensi degli artt. 171-bis, 183-bis e 281-duodecies, comma 1, c.p.c., il quale determinerà in concreto il binario processuale percorribile.

In definitiva, non è detto che una causa introdotta con atto di citazione a norma dell’art. 163 c.p.c. prosegua nelle forme ordinarie, così come non è scontato che una causa introdotta con ricorso a norma dell’art. 281-undecies c.p.c. continui ad essere trattata nelle forme semplificate, potendo il giudice invertire la rotta del processo facendo uso dei poteri di direzione che l’art. 175 c.p.c. gli concede.

Nell’alternanza di forme che si instaura per effetto della conversione del rito è lecito domandarsi se il processo e la sua durata possano in qualche modo risentirne. La sequenza di atti e di termini processuali scandita dalle norme ora in esame dovrebbe offrire lo scenario seguente: quando il ricorrente opta per le forme semplificate e il rito prosegue con le forme ordinarie per disposizione del giudice, il processo non dovrebbe avvertire il cambiamento adottato, dal momento che lo scambio degli atti introduttivi, seguito dallo svolgimento di una prima udienza, verrebbe seguito dalla fissazione di una nuova udienza ex art. 183 c.p.c. preceduta dallo scambio delle memorie integrative nei quaranta giorni antecedenti. In questo percorso gli atti introduttivi vanno ad arricchirsi di elementi assertivi ed istruttori per adeguarsi alle caratteristiche di una trattazione complessa, non potendosi applicare le preclusioni maturate nel corso del procedimento semplificato al giudizio ordinario che si instaura all’esito della conversione[155].

Viceversa, nel transito dalle forme ordinarie a quelle semplificate l’iter giudiziale pare uscirne aggravato. La conversione del rito interviene in una fase in cui parti non solo si sono scambiate gli atti introduttivi, ma hanno pure depositato le memorie integrative ex art. 171-ter c.p.c., arricchendo il thema decidendum ed il thema probandum di contenuti sproporzionati rispetto alla instauranda fase istruttoria. È a questo punto che il giudice dovrebbe chiedere al processo di regredire verso le forme semplificate, ormai appesantito da uno scambio di atti che, soprattutto nell’ottica della conversione, si rivela pletorico[156].

È stato in proposito osservato che “la passerella” dal rito ordinario al rito semplificato, a barriere preclusive ormai maturate, costituirà un’ipotesi assai poco verosimile[157]. Ed è esattamente in questo spazio processuale che potrebbero crearsi le condizioni per un utilizzo efficace dell’ordinanza sommaria. Qualora il passaggio non venisse disposto l’ordinanza di accoglimento potrebbe dispiegare la sua funzione selettiva[158], favorita dalla coincidenza tra i presupposti che l’art. 183-ter c.p.c. individua per la definizione immediata del processo e i presupposti che l’art. 281-decies seleziona per l’accesso alla cognizione piena nelle forme semplificate. Invero, i fatti costitutivi sono provati – e dunque ricorre un primo presupposto previsto dall’art. 183-ter c.p.c. per la concessione dell’ordinanza – quando non sono controversi oppure quando la domanda è fondata su prova documentale – esattamente come prescrive l’art. 281-decies c.p.c. ai fini dell’applicazione del rito semplificato di cognizione.

9.Conclusioni: verso un giudizio di cognizione più flessibile?

La scelta di introdurre momenti di tutela sommaria nel processo di cognizione può essere apprezzata solo al netto di una lettura complessiva delle modifiche apportate al giudizio civile dalla riforma Cartabia.

Nelle connessioni che si instaurano tra il rito ordinario, il procedimento semplificato e le ordinanze sommarie si può scorgere l’instaurazione di una gradualità fra le tre espressioni della tutela dichiarativa.

La modulazione del rapporto tra le tre formule procedimentali rappresenta il tentativo di spezzare la rigidità dell’attuale sistema, agendo sul rapporto tra i mezzi e i fini. La riforma, con i limiti che non si è mancato di evidenziare, crea un’alternatività tra tutela piena e sommaria, tra rito complesso e rito semplificato. La scelta fra un modello di trattazione e l’altro è affidata al giudice, in collaborazione con le parti: il primo instrada la causa sul canale ordinario o su quello semplificato in base alla complessità della lite; le seconde possono scegliere il grado di tutela di proprio interesse, con possibilità di rinunciare ai benefici della tutela piena per far prevalere la celerità della risposta giurisdizionale.

La sinergia che si crea tra i protagonisti della scena processuale rappresenta il primo passo per superare la concezione statica del processo fondata su una distinzione rigida delle attività giudiziali e di parte, in favore di una concezione dinamica, sorretta da cooperazione costante tra gli attori del processo, in vista di una cogestione del rito maggiormente allineata alle esperienze di case management d’oltre confine.

Quella presentata è chiaramente una immagine del giudizio di cognizione che si contrappone alla diapositiva da cui siamo partiti (l’idea di un modello processuale unitario, insensibile al carattere semplice o complesso della controversia sottoposta alla cognizione del giudice).

Ciò che è emerge all’esito dell’indagine è la proiezione di un processo civile flessibile, improntato ad un criterio di proporzionalità delle risorse giudiziarie che rievoca il principio carneluttiano di elasticità. Il Maestro auspicava “di adeguare, per quanto è possibile, la struttura del processo a quella della lite, costruendo, per così dire, un processo a struttura elastica”, ossia un “unico tipo di processo, la cui “struttura può essere, per dir così, accorciata o allungata, ristretta o allargata, secondo le esigenze della lite […] differenziando le norme che regolano il procedimento secondo il tipo della lite”, perché “ogni lite ha la sua facies, la sua statura, il suo peso, e via dicendo. Si tratta di trovare per ciascuna il suo tipo di processo, come si sceglie per ciascuna figura il suo vestito”[159].

Gli strumenti per sperimentare questa formula oggi non mancano.

[1] Le ordinanze di accoglimento e di rigetto della domanda, disciplinate dagli artt. 183-ter e quater c.p.c., sono state introdotte dal comma 13, lett. d), d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, in G.U. n. 243, del 17 dicembre 2022. Il d.lgs. 149/2022, entrato in vigore il 28 febbraio 2023 e reso in attuazione della legge 26 novembre 2021, n.  206, recante “Delega al governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimento in materia di diritti delle presone e delle famiglie, nonché in materia di esecuzione forzata”.

[2] Sul tema si v. i contributi di G.P. Califano, Le nuove ordinanze “decisorie” di cui agli artt. 183-ter e quater, c.p.c., in DPCIeC, 2023, 1, 268 ss.; A. Carratta, Le riforme del processo civile. D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, in attuazione della L. 26 novembre 2021, n. 206, Torino, 2023, 55 ss.; B. Capponi, Sulla nuova ordinanza di rigetto – art. 183 quater c.p.c., in Foro it., 2022, V, 299 ss.; A. D’Addazio, Ordinanze di accoglimento e rigetto (artt. 183-ter, 183-quater c.p.c.), in La riforma Cartabia del processo civile, Pisa, 2023, 312 ss.; F. Gigliotti, Le c.d. ordinanze defnitorie. Prime riflessioni, in www.questionegiustizia.it; F. P. Luiso, Il nuovo processo civile. Commentario breve agli articoli riformati del codice di procedura civile, Milano, 2023, 84 ss.; R. Metafora, Le nuove ordinanze di manifesta fondatezza e infondatezza introdotte dalla riforma del processo civile, in Giustizia Civile.com del 12 gennaio 2023; A. R. Mingolla, I provvedimenti provvisori, in C. Cecchella (a cura di), Il processo civile dopo la riforma. D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, Torino, 2023, 121 ss.; R. Pezzella, Riforma del processo civile: le ordinanze provvisorie di accoglimento e di rigetto della domanda, in ilProcessocivile.com del 15 novembre 2022; G. Scarselli, I punti salienti dell’attuazione della riforma del processo civile di cui al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, in giustiziainsieme.it, 8 ss.; M. Stella, Interest rei publicae ut sit finis litium. Le nuove ordinanze di accoglimento e di rigetto della domanda nel corso del giudizio di primo grado (artt. 183-ter e 183-quater c.p.c.), in DPCIeC, 2023, 1, 241 ss.; G. Trisorio Liuzzi, Le nuove ordinanze definitorie (art. 183 ter e 183 quater c.p.c.), in Foro it., Gli speciali, 2022, 4, 105 ss; D. Turroni, Riforma Cartabia: il nuovo processo civile (I parte) – La definizione anticipata del giudizio – artt. 183-ter e 183-quater c.p.c., in Giur. It., 2023, 2, 454 ss. Tra i commenti alle norme contenute nella legge delega si v.: P. Biavati, L’architettura della riforma del processo civile, Bologna, 2021, 34 s.; G. Costantino (a cura di), La riforma della giustizia civile, Bari, 2022, 180 ss.; S. Boccagna, Le norme sul giudizio di primo grado nella delega per la riforma del processo civile: note a prima lettura, in DPCIeC, 2022, 3, 268 s.; G. Della Pietra, Le ordinanze “divinatorie” nella delega sul processo civile, in DPCIeC, 2022, 3, 246 ss.; R. Tiscini, Nuove proposte di tutela sommaria tra il progetto Luiso e il suo “brutto anatroccolo”, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2021, 5, 1217 ss.; Id, Impressioni a caldo sulla sommarietà nel progetto di riforma Luiso… in attesa che il caldo estivo ne chiarisca gli esiti, in www.judicium.it; G. Tombolini, Note “a caldo” sulla nuova legge delega di riforma della giustizia civile, in www.judicium.it.

[3] Per un’analisi delle due nozioni si v. A. Carratta, Cognizione sommaria e semplificazione processuale, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2020, 2, 449 ss.; Id, Profili sistematici della tutela anticipatoria, Torino, 1997, 232, nt. 143, spec. 237. Nel pensiero dell’A. cognizione sommaria e semplificazione processuale sono due realtà diverse, sebbene siano entrambe espressione di specialità rispetto al modello ordinario a cognizione piena. Sommarietà e semplificazione poggiano, infatti, su un comune denominatore: un alleggerimento delle forme che implica una “deviazione” dalla struttura processuale del rito ordinario. La differenza tra le due formule si misura sull’intensità dei poteri delle parti e sulle modalità di formazione del convincimento del giudice. Secondo A. Carrata, Cognizione sommaria e semplificazione processuale, cit., 65, avremo un processo “semplificato in senso proprio” quando la semplificazione delle forme non intacca le disposizioni sulle prove e sulla fase istruttoria, le quali rimangono tali da consentire una plena cognitio. Così ad esempio quando si provvede ad una riduzione dei termini a difesa del convenuto rispetto a quelli di cui dispone nel rito ordinario, oppure quando si articolano diversamente le preclusioni o si predilige la pronuncia di una sentenza semplificata (Si pone in linea con tale conclusione P. Biavati, Elasticità e semplificazione: alcuni equivoci, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2019, 1156, secondo il quale, siccome “non sempre tutto ciò che è previsto nel modello ordinario è utile per la decisione del caso concreto e vi sono fasi e passaggi che possono apparire non essenziali”, “semplificazione … significa liberare il processo da ciò che non serve e consentirne una trattazione, per così dire, asciutta e senza momenti superflui”). Avremo invece un procedimento “semplificato-sommario”, ogniqualvolta l’intervento del legislatore incida anche su quegli aspetti, o perché semplifica direttamente le modalità di formazione del convincimento o perché autorizza il giudice a farlo nell’esercizio del suo potere discrezionale. Più nel dettaglio, secondo A. Carratta, Cognizione sommaria e semplificazione, cit., 449, ss., il procedimento è sommario-semplificato quando il legislatore: a) non abbia imposto al giudice, prima di pronunciare la sua decisione, il pieno contraddittorio fra e con le parti e la trattazione/istruzione completa ed approfondita sui fatti di causa, secondo puntuali modalità predeterminate dallo stesso legislatore; b) oppure abbia rimesso alla discrezionalità dello stesso giudice la concreta articolazione della trattazione/istruzione del procedimento, così consentendogli, ove lo ritenesse opportuno, di privare le parti (in sede di trattazione/istruzione) di quei poteri processuali, che, sebbene non connessi al principio del contraddittorio, sono comunque funzionali all’accertamento completo, approfondito e tendenzialmente veritiero dei fatti rilevanti per la decisione e dei quali esse dispongono nell’àmbito del processo-modello a cognizione piena, vigente in un dato momento storico e in un dato ordinamento processuale”. Al di là della chiara contrapposizione che viene in rilievo tra i due concetti (sul piano giuridico e, prima ancora, sul piano semantico), entrambi declinano un’idea di accelerazione, esprimono la necessità di impartire prima la tutela giurisdizionale, attraverso un percorso processuale diverso rispetto a quello connotato dalla pienezza, dalla complessità e dai tempi propri del rito ordinario. Ed è in questa accezione che le due espressioni vanno intese nel testo, come sintomatiche di una tendenza unitaria all’accelerazione processuale, strumentale non solo e non tanto all’effettività della tutela, quanto propedeutica all’efficienza del sistema giustizia. La lettura che si vuole dare all’espressione trova in qualche modo conforto nella ricostruzione di R. Caponi, Sulla distinzione tra cognizione piena e cognizione sommaria (in margine al nuovo procedimento ex art. 702-bis ss. c.p.c.), in Giusto proc. civ., 2009, 4, 1122, il quale a partire da uno sguardo alle esperienze europee pare prediligere una nozione di “procedimento speciale” capace di abbracciare tutti i procedimenti che sotto il profilo funzionale sono rivolti ad assicurare una tutela giurisdizionale accelerata e processualmente più economica, una nozione inclusiva sia dei modelli di trattazione semplificati, sia dei modelli sommari.

[4] Dall’Unione europea, è d’obbligo precisarlo, provengono invece stimoli alla semplificazione e all’accelerazione dei procedimenti civili, più che alla sommarizzazione dei giudizi, in un’ottica di effettività della tutela giurisdizionale. Dà conto di tale sensibilità sul piano eurounitario P. Biavati, I procedimenti civili semplificati e accelerati: il quadro europeo e i riflessi italiani, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2002, 3, 751 s., secondo il quale “l’Europa … non chiede sommarietà. Chiede un processo civile completo, efficiente, rispettoso dei diritti della difesa e della ricerca della verità, ma sfrondato, caso per caso, di ogni inutile appesantimento e svolto in tempi di ragionevole durata”.

[5]  Giudizio “ad elevato titolo formale”, secondo l’espressione di S. Menchini, Il giudicato civile, Torino, 2002, 1 ss., il giudizio a cognizione piena è considerato la massima espressione della giurisdizione civile, “l’involucro privilegiato” per addivenire al giudicato sostanziale (M. De Cristofaro, Sommarizzazione e celerità tra efficienza e garanzie, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2020, 2, 481), un procedimento qualificato, la cui solennità e la cui complessità “rappresentano la giustificazione politica dell’effetto dichiarativo” (E. Allorio, Saggio polemico sulla giurisdizione volontaria, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1948 511). Sul primato del giudizio a cognizione piena e del giudicato che si manifesta con la sentenza, si v. E. Allorio, L’ordinamento giuridico nel prisma dell’accertamento giudiziale, in Problemi di diritto, Milano, 1957, I, 3 ss.; A: Cerino Canova, La garanzia costituzionale del giudicato civile, in Riv. dir. civ., 1977, I, 395 ss.; A. Chizzini, La revoca dei provvedimenti di volontaria giurisdizione, Padova, 1994, 210 ss.; A. Proto Pisani, Usi e abusi della procedura camerale ex art. 737 ss. c.p.c., (appunti sulla tutela giurisdizionale dei diritti e sulla gestione di interessi devoluta al giudice, in Riv. dir. civ., 1990, 397.

[6] Riflessioni critiche sulla rigidità del modello italiano provengono da: Proto Pisani, Per un nuovo codice di procedura civile, in Foro it., 2009, V, c. 1 ss.; Id., La crisi dei processi a cognizione piena e una proposta, in Riv. dir. proc., 2016, p. 102 ss.; R. Caponi, Rigidità e flessibilità del processo civile, ivi, p. 1142 ss.; A. Carratta, L’evoluzione dei processi civili di cognizione nella prospettiva comparata: un recente libro, in Riv. dir proc., 2016, 1215 ss.

[7] Per un’analisi di questa tendenza negli ordinamenti europei si v. A. Carratta, voce Processo sommario, (diritto processuale civile), in Enc. Dir., Annali X, 2017, 661 ss.; Si v. pure M. De Cristofaro, Case management e riforma del processo civile: tra effettività della giurisdizione e diritto costituzionale al giusto processo, in Riv. dir. proc., 2010, 282 ss.

[8] L. Cadiet, Complessità e riforme del processo civile francese, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2008, 1315.

[9] Da intendersi quale mezzo di adattamento della disciplina procedimentale alle peculiarità del caso concreto, assicurando al contenzioso il “giusto grado di giustizia”: non troppo poco, ma neppure troppo (in questi termini M. De Cristofaro, Case management, cit., 282.

[10] M. De Cristofaro, Case management, cit., 282 ss.; R. Caponi, Processo civile e nozione di controversia complessa: impieghi normativi, in Foro it., 2009, V, 136 ss.

[11] V. infra § 7.

[12] Sullo stesso versante si inquadrano il juicio verbal spagnolo e il Bagatellarverfahren tedesco, procedimenti tarati sulle controversie di modesto valore economico e caratterizzati da un alleggerimento delle forme processuali, dalla riduzione dei termini e, più in generale, da una discrezionalità del giudicante nella conduzione del rito, il tutto entro una cornice processuale che rimane idonea alla formazione del giudicato.

[13] I procedimenti speciali predisposti dagli ordinamenti europei in funzione dell’accelerazione della tutela giurisdizionale, se osservati dal punto di vista della stabilità del provvedimento conclusivo, si polarizzano attorno a due effetti: alcuni sono idonei a dettare una disciplina tendenzialmente definitiva del rapporto sostanziale (chose jugée, Rechtskraft, res iudicata), altri portano all’emanazione di provvedimenti provvisori. Dà atto della distinzione all’interno del panorama dei provvedimenti sommari di matrice europea, R. Caponi, La tutela sommaria nel processo societario alla luce dei modelli europei, in Foro it., 2003, V, 146, spec. 150; Id., Tra cognizione piena e cognizione sommaria (in margine al nuovo procedimento ex art. 702-bis ss. c.p.c.), in Giusto proc. civ., 2009, 4, 1121 s.

[14] La sommarizzazione del processo rappresenta in realtà un fenomeno ben più ampio, che va oltre l’introduzione degli istituti segnalati nel testo e che si radica nel nostro sistema a partire dall’impiego del rito camerale anche per la tutela dei diritti soggettivi e degli status. Si v. in proposito l’analisi di A. Graziosi, La cognizione sommaria del giudice civile nella prospettiva delle garanzie costituzionali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 1, 137 ss.

[15] L’alternativa che introduce l’art. 19 va rapportata al processo ordinario secondo le forme date dal d.lgs. n. 5/2003. Come è stato evidenziato, la sommarietà che connota il procedimento sommario societario è ben diversa da quella che troviamo nella fase monitoria del procedimento per ingiunzione, da quella che caratterizza il procedimento cautelare e da quella delle ordinanze anticipatorie di condanna (cfr. A. Briguglio, Il rito sommario di cognizione nel nuovo processo societario, in Riv. dir. comm., 2004, 305). Sull’argomento si v. i contributi richiamati nelle note del § 5.

[16] Per approfondimento sul tema si rimanda alle opere dei seguenti autori: M. Bove, Alla ricerca del processo ideale, tra regole e discrezionalità, in Giusto proc. civ., 2018; C. Consolo, La legge di riforma 18 giugno 2009, n. 69: altri profili significativi a prima lettura, in Corr. giur., 2009, 883 ss.; C. Mandrioli, A. Carratta, Diritto processuale civile, IV, Torino, 2022, 389 ss.; S. Menchini, Il rito semplificato a cognizione sommaria per le controversie semplici introdotto con la riforma del 2009, in Giusto proc. civ., 2009, 1111; F. P. Luiso, Il procedimento sommario di cognizione, in Giur. it., 2009, 1569; A. Proto Pisani, La riforma del processo civile: ancora una riforma a costo zero (note a prima lettura), in Foro it., 2009, V, 223; A. Tedoldi, Il nuovo procedimento sommario di cognizione, Bologna, 2013; R. Tiscini, Il procedimento sommario di cognizione, fenomeno in via di gemmazione, in Riv. dir. proc., 2017, 116 ss.

[17] Con il d.lgs. n. 150/2011, il procedimento sommario di cognizione è divenuto rito ad applicazione esclusiva per le controversie elencate negli artt. 14-30, precedentemente regolate dalle forme del procedimento in camera di consiglio di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c. Si tratta di un procedimento “corretto” (secondo l’espressione usata da M. Bove, Tutela sommaria e tutela a cognizione piena: criteri discretivi, in Giusto proc. civ., 2014, 1, 82, spec. 87), o meglio adattato (per usare la qualificazione di A. Carratta, voce Procedimento sommario, cit., 661 ss.), poiché non trovano applicazione i commi 2 e 3 dell’art. 702-ter c.p.c. (possibilità di disporre il mutamento del rito e di dichiarare l’inammissibilità nell’ipotesi in cui la causa sia introdotta nella forma errata).

[18] Con il d.lgs. n. 31/2019 si assiste alla trasposizione dell’azione di classe e dell’azione inibitoria nel codice di rito, con conseguente applicazione ai giudizi collettivi della disciplina di cui agli artt. 702-bis ss. c.p.c.

[19] Definito référé all’italiana da B. Sassani, (a cura di), La riforma delle società, cit., 12.

[20] Senza addentrarci nella discussione sorta attorno alla natura della cognizione del rito sommario, è sufficiente evidenziare ai nostri fini che in questo caso la sommarietà non si coglie più nel fatto che il giudice opera una cognizione superficiale o incompleta, bensì nella libertà del modello processuale in concreto applicabile, affidato alla discrezionalità del giudicante, al quale il legislatore riconosce il potere di scegliere nel rispetto del contraddittorio le regole processuali di trattazione e di istruzione che gli appaiano opportune con riferimento alla natura della controversia, alle difese svolte dalle parti e ai singoli atti di istruzione ritenuti rilevanti (A. Carratta, voce Processo sommario, cit., 2017, 661 ss.). Sulla sommarietà che connota il procedimento di cui agli artt. 702-bis c.p.c. ss. si v. M. Bove, Tutela sommaria e tutela a cognizione piena, cit., 82 ss. Secondo l’A. siamo in presenza di una sommarietà “al servizio della funzione dichiarativa”, avendo il procedimento come obiettivo l’attribuzione stabile del bene della vita cui aspira l’avente diritto.

[21] Lo evidenziava già R. Caponi, Il principio di proporzionalità nella giustizia civile: prime note sistematiche, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, 389 ss.; Id, Processo civile e nozione di controversia complessa, cit., § 5, facendo presente come il rito ordinario al suo interno offra al più varianti decisorie o provvedimenti anticipatori di condanna. A parere dell’a. “serve allo scopo una norma che consenta al giudice — in collaborazione con le parti — di scegliere tra due modelli di trattazione legislativamente predeterminati, alternativi a seconda del carattere semplice o complesso della controversia”.

[22] Come è stato osservato, questo modo di affrontare la complessità processuale ha generato un effetto secondario di non poco conto: l’ordinamento ha assunto una struttura “a pelle di leopardo”, con “isole di tutela giurisdizionale efficiente” per talune tipologie di controversie, adagiate su “uno sfondo di tutela inefficiente” per tante altre (M. Taruffo, Razionalità e crisi della legge processuale, in M. Taruffo (a cura di), Sui confini. Scritti sulla giustizia civile, Bologna 2002, 53 ss., spec. 56).

[23] A. Proto Pisani, Dai riti speciali alla differenziazione del rito ordinario, in Foro it., 2006, V, 85 ss.; R. Caponi, Il principio di proporzionalità nella giustizia civile, cit., 389 ss.

[24] A. Proto Pisani, In margine ad un convegno sul processo civile, in Foro it., 2017, 361 ss.; dove si immagina l’introduzione di una condanna con riserva generalizzata; ma ancora prima E. F. Ricci, Il progetto Rognoni di riforma urgente del processo civile, in Riv. dir. proc. 1987, 626, ss.

[25] A. Carratta, L’evoluzione dei processi civili di cognizione, cit., 1217. Come spiega l’a. in questa prospettiva “la complessità processuale viene «filtrata» attraverso la preventiva valutazione della natura della controversia che il giudice compie sulla base degli atti introduttivi e delle informazioni fornite dalle parti”.

[26] Nell’impianto del d.lgs. 149/2022 i tre obiettivi, pur mantenendo ognuno una propria specificità, operano congiuntamente in vista dell’effettività della tutela giurisdizionale, la quale si pone come linea direttrice e valore di riferimento di ogni innovazione apportata al codice.

[27]  cfr. comma 5, lett. a), l. n. 206/2021.

[28] L’uso del condizionale è d’obbligo. Notevoli sono le perplessità manifestate dai primi commentatori nei confronti di un meccanismo che potrebbe, contrariamente alle intenzioni cui è ispirato, dilatare i tempi della fase introduttiva. Evidenzia a riguardo B. Capponi, Note sulla fase introduttiva del nuovo rito di ordinaria cognizione, in Giustiziacivile.com, 26 ottobre 2022, 4 ss. come lo scambio delle c.d. memorie integrative dell’art. 171-ter c.p.c. prima dell’udienza di comparizione e trattazione abbia determinato l’allungamento da novanta a centoventi giorni del termine di cui all’art. 163-bis c.p.c., in distonia con gli obiettivi affermati dalla legge delega. Senza contare il rischio che il giudice, chiamato a svolgere i controlli sugli atti introduttivi prima del deposito delle memorie integrative, preferisca attendere lo svolgimento dell’udienza per adottare nel contraddittorio delle parti e con una più ampia cognizione della causa i provvedimenti ortoprocessuali di cui era traccia nell’art. 183, comma 1 c.p.c., con l’effetto di dilatare anziché concentrare gli adempimenti della fase introduttiva.

[29] È la formula impiegata nel codice del 1865 per distinguere il rito ordinario di cognizione rispetto al modello sommario.

[30] Cfr. art. 281-duodecies c.p.c.

[31] G. Dalla Pietra, Le ordinanze “divinatorie” cit., p. 246 ss., parla a riguardo di filtro dotato di efficacia non ostativa, ma dissuasiva della prosecuzione del giudizio.

[32] v. infra § 9.

[33] v. infra § 9.

[34] Come spiega F. Auletta, Diritto giudiziario civile. I modelli del processo di cognizione (ordinaria e sommaria), Torino, 2020, 138, la pronuncia delle ordinanze dovrebbe sedare l’ulteriore sviluppo del processo. Il loro funzionamento si regge su una forma di “acquiescenza psicologica delle parti”, poiché l’assetto di interessi determinato da questi provvedimenti dovrebbe risultare satisfattivo per la parte che ha ragione anticipare l’esito della futura sentenza.

[35] G. P. Califano, Le nuove ordinanze, cit., 269 afferma che la delega ha introdotto “un nuovo sistema di eventuale definizione della lite”. Dello stesso avviso R. Metafora, Le nuove ordinanze, cit., 1 ss.

[36] Riconosce natura sommaria ai due provvedimenti A. Carratta, Le riforme del processo civile, 57 s. Nello stesso senso, B. Capponi, Sulla nuova ordinanza di rigetto, cit., 300. Sulla qualità della cognizione v. infra § 5.

[37] D. Turroni, op. cit., 454, riferisce di tecnica “bidirezionale” di definizione anticipata del processo. Tuttavia, come rileva B. Caponi, Sulla nuova ordinanza di rigetto, cit., 300 ss., i due istituti non possono essere considerati come un fenomeno unitario perché diverse sono le logiche ad essi sottese. (v. infra §§ 4 e 7).

[38] Evidenziano la funzione di “filtro” delle due ordinanze D. Turroni, op. cit., 457; G. Dalla Pietra, Le ordinanze “divinatorie” cit., 246 ss., parla di filtro dotato di efficacia dissuasiva della prosecuzione del giudizio, a differenza degli altri “filtri” noti al nostro sistema processuale, connotati da efficacia ostativa.

[39] Sul significato dell’anticipazione nel contesto dell’ordinanza di accoglimento v. infra § 6.

[40] Le due ordinanze sono strutturate in modo tale da chiudere il processo, senza tuttavia precludere la riproposizione dell’azione, con un effetto analogo a quello che scaturisce dall’estinzione. In questo senso F.P. Luiso, Il nuovo processo civile, 86, il quale mette in risalto come tale effetto contrasti con la regola posta dall’art. 306 c.p.c. che esige l’accettazione della rinuncia quando la controparte abbia interesse ad una decisione di merito. Qui invece chi ha interesse ad una pronuncia sul merito deve iniziare un nuovo processo.

[41] v. infra § 3.

[42] A. Carratta, Il nuovo processo civile, cit., 60.

[43]  G. Dalla Pietra, Le ordinanze “divinatorie”, cit., 248.

[44] Favorevole ad un’applicazione dell’ordinanza di accoglimento anche nelle domande di accertamento e costitutive A. Carratta, Il nuovo processo civile, cit., 58.

[45] B. Sassani, Sulla riforma del processo societario, in B. Sassani (a cura di), La riforma delle società, Torino, 2003, 10; R. Vaccarella, Il rito ordinario, in Corr. giur., 2003, 1504; F. Ricci, Verso un nuovo processo civile?, in Riv. dir. proc., 2003, 1, 215. Più di recente U. Corea, Sulla nozione di provvedimento cautelare anticipatorio, in Judicium. Il processo civile in Italia e in Europa, 2020, 3, 409, spec. 413.

[46] La ratio di tale impostazione risiedeva nel fatto che le parti potrebbero non aspirare ad una decisione suscettibile di passare in giudicato dopo aver ottenuto un provvedimento immediatamente efficace ai cui contenuti si sono adeguate, sicché l’onere per la parte che ha ottenuto la misura provvisoria di iniziare il giudizio di merito nel termine perentorio di cui all’art. 669-octies c.p.c. appariva una inutile superfetazione (U. Corea, Sulla nozione di provvedimento cautelare anticipatorio, cit., 414).

[47] Per un confronto tra l’ordinanza ex art. 183-ter c.p.c. e l’ordinanza ex art. 19, d.lgs. n. 35/2003 v. infra §§ 5 e 6.

[48] Già G. Chiovenda, Principii di diritto processuale civile, Napoli, 1965, 906 ss., faceva notare che il giudicato, quale requisito ineliminabile della funzione giurisdizionale, trova fondamento in mere “ragioni di opportunità”. Lo stesso A. Proto Pisani, Usi e abusi, cit., 399, pur valorizzando la corrispondenza biunivoca tra giudizio a cognizione piena e giudicato, nega a quest’ultimo valore costituzionale. R. Tiscini, I provvedimenti decisori senza accertamento, Torino, 2009, 3 ss. associa questa tendenza alla emersione di interessi diversi dai diritti soggettivi e alla costruzione di situazioni soggettive a carattere processuale bisognevoli di tutela.

[49] Una limpida ricostruzione dei termini del dibattito circa l’efficacia della sentenza non passata in giudicato è sviluppata da U. Corea, Effetti delle sentenze di annullamento non passate in giudicato e doveri degli amministratori, in Le Società, 2022, 3, 353 ss., dove pure sono presenti ricchi riferimenti giurisprudenziali e dottrinali.

[50] E.T. Liebman, Efficacia ed autorità della sentenza, Milano, 1935, 24 ss.; Id., Sentenza e cosa giudicata: recenti polemiche, in Riv. dir. proc., 1980, 1 ss.

[51] L. Mortara, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, IV, Milano, 1900, 206.

[52] G. Chiovenda, Principii di diritto processuale civile, cit., 204 e 951.

[53] Contrario all’anticipazione degli effetti costitutivi C. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, I, Torino, 2017, 231. Di opinione favorevole: V. Andrioli, Commento al codice di procedura civile, IV, Napoli, 1964, 259 ss.; G. Arieta, I provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c., Padova, 1985, 115; F. Tommaseo, I provvedimenti d’urgenza, Padova, 1983, 262 ss.; C. Mandrioli, A. Carratta, Diritto processuale civile, IV, Torino, 2022, 348. Contrari alla possibilità di anticipare gli effetti dichiarativi: F. P. Luiso, Diritto processuale civile, IV, 2019, 224; G. Balena, Istituzioni di diritto processuale civile, III, Bari, 2019, 298. Di diverso avviso: L. Montesano, I provvedimenti d’urgenza nel processo civile, Napoli, 1955, 66; Arieta, I provvedimenti d’urgenza, cit., 144; C. Mandrioli, A. Carratta, Diritto processuale civile, cit., 349.

[54] Si v. da ultimo, Cass. 7 ottobre 2019, n. 24939, in www.judicium.it, con nota critica di U. Corea, La tutela cautelare anticipatoria secondo la Cassazione: cala il sipario sul référé all’italiana.

[55] Perplessità a riguardo sono sollevate da G.P. Califano, Le nuove ordinanze, cit., 271, secondo il quale le esigenze di tutela dell’attore non possono essere soddisfatte in questi casi dalla pronuncia di un’ordinanza priva di efficacia di giudicato. In questo senso si v. pure G. Costantino, La riforma della giustizia civile, cit., 181; D. Turroni, Riforma cartabia, cit., 457; A. D’Addazio, Ordinanze di accoglimento e di rigetto, cit., 326 s., la quale rimarca, per un verso, la “genetica incompatibilità” tra l’ordinanza di accoglimento e la funzione della giurisdizione costitutiva, per altro verso, l’inconciliabilità dell’ordinanza con la finalità di certezza perseguita dalla domanda di accertamento. Nondimeno, l’A. lascia intravedere la possibilità di riconoscere effetti di mero accertamento nelle ipotesi in cui l’attore si voglia “accontentare” di una pronuncia che definisce il giudizio allo scopo di esercitare “effetti dissuasivi nei confronti del convenuto, senza accertare in modo stabile il diritto vantato.

[56]Sul punto sia consentito rinviare a M.L. Guarnieri, Sinallagmaticità, corrispettività e dipendenza nei rapporti tra capi condannatori e capi costitutivi. Precisazioni in tema di esecutività provvisoria delle sentenze, in www.judicium.it.

[57] La lettura proposta nel testo è stata offerta nel commento all’art. 186-quater c.p.c. da C. Consolo, La nuova ordinanza di cui all’art. 186-quater c.p.c., in C. Consolo, Il nuovo processo cautelare. Problemi e casi, Torino, 1998, 479, e poi ripresa nel commento all’art. 19, d.lgs. n. 35/2003 da C. Checchella, Il référé italiano nella riforma delle società, cit., 1130 ss.

[58] Condividono la conclusione A. Carratta, Il nuovo processo civile, 56 s.; B. Capponi, La nuova ordinanza di rigetto, cit., 299; G.P. Califano, Le nuove ordinanze, cit., 268. Contra: D. Turroni, Riforma Cartabia, cit., 457 che propende per una “riserva” al giudice monocratico.

[59] Dello stesso avviso M. Stella, op. cit., 246 s.; F.P. Luiso, Il nuovo processo civile, cit., 87; A. Carratta, Le riforme del processo civile, cit., 57. Quest’ultimo, in particolare, ritiene l’ordinanza di accoglimento utilizzabile anche nei processi speciali (rito del lavoro, rito locatizio e nuovo rito per le controversie sullo stato delle presone, dei minori e delle famiglie). Contra G.P. Califano, Le ordinanze “decisorie”, cit., 272, il quale sostiene che il riferimento alla pronuncia del provvedimento “all’esito dell’udienza di cui all’art. 183 c.p.c.” sia un chiaro riferimento al procedimento davanti al tribunale trattato con il rito ordinario. Secondo l’A. nel procedimento semplificato, peraltro, al ricorrere delle condizioni previste dall’art. 281-decies c.p.c. dovrebbe rimettere la causa in decisione per la pronuncia della sentenza, anziché emettere l’ordinanza.

[60] L’art. 281-decies c.p.c. rende obbligatorio il rito semplificato in tutte le cause di competenza del tribunale (indipendentemente dalla sua composizione) che rispondano ai requisiti di semplicità di cui al primo comma della disposizione, mentre rende facoltativo l’impiego del rito semplificato in tutte le altre cause di competenza del tribunale in composizione monocratica, anche a prescindere dai presupposti di cui al comma 1. Stando così le cose l’applicazione del rito ordinario dovrebbe aversi in via residuale per le sole cause complesse di competenza del tribunale in composizione collegiale.

[61] v. infra § 4.

[62] v. infra § 9.

[63] Si v. per tutti A. Carratta, Le riforme del processo civile, 77, secondo il quale la collocazione del processo semplificato nel capo III-ter del libro II, titolo I del codice “è coerente con l’alternatività di tale rito rispetto al rito ordinario, ma anche con la stessa natura di processo a cognizione piena, anche se a struttura semplificata rispetto a quello ordinario, che esso assume”. In senso analogo C. Taraschi, Il nuovo rito semplificato di cognizione, in Ilprocessocivile.it, 1 ss. Una indicazione decisiva si rinviene anche nella circolare ministeriale del 17 marzo 2023 “Contributo unificato per il procedimento semplificato di cognizione – artt. 281-decies e seguenti c.p.c.”, in www.giustizia.it, che assoggetta il rito semplificato al medesimo trattamento tributario del rito ordinario a partire dalla piena equiparazione della cognizione nei due procedimenti.

[64] Nel rito semplificato non ha luogo lo scambio delle note integrative che precede la prima udienza e la precisazione/modificazione di domande ed eccezioni è possibile solo se sussiste giustificato motivo (cfr. art. 281-duodecies, comma 4, c.p.c.).

[65] Per un esame sulla sommarietà delle ordinanze v. infra § 5.

[66] Si v. a riguardo le osservazioni di B. Capponi, Sulla nuova ordinanza di rigetto, 300, il quale evidenzia non solo che l’ordinanza di rigetto non è in grado di anticipare alcuna tutela esecutiva, ma è anche meno efficace di una pronuncia idonea al giudicato, in un’ottica di tutela del convenuto da future azioni giudiziarie da parte dell’attore. Di diverso avviso M. Stella, Interest rei publicae ut sit finis litium, cit., 258, il quale individua una utilità tangibile per il convenuto nel campo delle impugnative delle delibere assembleari condominiali, delle impugnative degli atti negoziali e, più in generale, nelle azioni soggette a termine di decadenza. In questi casi, secondo l’A., il rigetto della domanda potrebbe comunque stabilizzarsi, poichè “sarebbe foriero del consolidamento degli effetti dell’atto negoziale impugnato”.

[67] v. infra.

[68] La nuova conformazione della fase introduttiva favorisce questa lettura, giacchè il giorno dell’udienza 183 c.p.c. il thema decidendum e il thema probandum saranno delimitati in maniera completa.

[69] Per analogia con le ordinanze anticipatorie di condanna, in mancanza di un riferimento temporale espresso, potremmo individuare il momento preclusivo nella rimessione della causa in decisione. Questo significa che se ci troviamo nell’ambito di un rito ordinario e la decisione deve essere assunta dal collegio, il termine ultimo per la richiesta dell’ordinanza coincide con il primo termine concesso dal giudice istruttore a norma dell’art. 189 c.p.c. per il deposito delle note scritte contenenti la precisazione delle conclusioni. Sempre nell’ambito del rito ordinario davanti al tribunale in composizione collegiale, qualora il giudice scelga di applicare il modulo decisorio con discussione orale, il termine ultimo per la richiesta e la concessione delle ordinanze coincide con la scadenza del primo termine concesso a norma dell’art. 275-bis c.p.c. per il deposito delle note di precisazione delle conclusioni. Viceversa, per il caso di decisione davanti al tribunale in composizione monocratica il termine ultimo corrisponde al giorno dell’udienza di discussione orale ex art. 281-sexies c.p.c. durante la quale le parti preciseranno anche le conclusioni. Nel rito semplificato, invece, ove il tribunale decida in composizione monocratica, lo sbarramento temporale è rappresentato dall’udienza ex art. 281-sexies c.p.c; qualora invece la decisione debba essere assunta dal tribunale in composizione collegiale, le ordinanze non possono essere chieste oltre la scadenza del termine fissato a norma dell’art. 275-bis c.p.c. per il deposito delle note contenenti la precisazione delle conclusioni.

[70] La ricostruzione offerta nel testo trova conforto nel disposto dell’art. 281-decies c.p.c. La norma disegna l’ambito applicativo del rito semplificato di cognizione e ne impone l’introduzione al posto del giudizio ordinario “quando i fatti di causa non sono controversi, oppure quando la domanda è fondata su prova documentale, o è di pronta soluzione o richiede un’istruzione non complessa”. Come si è anticipato, dalla lettura della disposizione traspare una certa sovrapposizione tra i requisiti previsti per la concessione dell’ordinanza di accoglimento quelli previsti per l’applicazione del rito semplificato. Ora, se si parte dal presupposto che l’ordinanza ex art. 183-ter c.p.c. è compatibile anche con la struttura del procedimento semplificato di cognizione, la formulazione dell’art. 281-decies c.p.c. ci convince dell’idea di poter veicolare l’istanza ex art. 183-ter c.p.c. attraverso il deposito del ricorso che introduce il rito semplificato, tutte le volte in cui l’attore disponga della prova documentale del proprio credito o ritenga che la controversia sia di mero diritto o che il debitore non ne contesterà il fondamento.

[71] L’azione dovrebbe accompagnarsi alla consapevolezza di pervenire ad una tutela minore in punto di effetti: piena sul piano esecutivo, ma dimidiata sul piano dell’accertamento.

[72] R. Tiscini, I provvedimenti decisori senza accertamento, cit., 12. Secondo l’A. è questo il campo delle azioni senza diritto o delle mere azioni, al cui esercizio non segue l’accertamento, ma il conseguimento di un immediato risultato processuale, a prescindere dalla consistenza sostanziale della situazione protetta. Il concetto di mera azione è elaborato da G. Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, Napoli, 1960, I, 23 ss.; L. Montesano, La tutela giurisdizionale dei diritti, Torino, 1997, 115.

[73] R. Tiscini, ivi. Secondo l’A., in questi casi “l’azione vive di vita propria, indipendentemente non solo dalla situazione sostanziale dedotta, ma anche dall’accertamento sul merito, pure astrattamente concepibile”.

[74] Nello stesso senso A. D’Addazio, Ordinanze di accoglimento e di rigetto, cit., 317, nota 12..

[75] F.P. Luiso, Il nuovo processo civile, cit., 87, definisce l’istituto “la costola di un processo di cognizione che ha visto completata la sua fase introduttiva.

[76] È bene precisare che nella prospettiva avanzata nel testo, sebbene l’interesse ad agire nelle forme sommarie si estingua con l’adempimento della prestazione, resta impregiudicata per le parti la possibilità di accedere alla tutela dichiarativa (esattamente come nelle ipotesi in cui l’interesse ad agire nelle forme sommarie sopravviene nel corso del processo). Nella logica dell’art. 183-ter c.p.c. il giudicato non è affatto escluso: lo si può conseguire, ove vi sia un concreto interesse del soccombente, giacchè la tutela sommaria offerta dall’ordinanza di accoglimento non si sostituisce alla tutela a cognizione piena, ma si aggiunge ad essa, è facoltativa (v. infra § 6).

[77] v. infra § 7.

[78] Anche F. P. Luiso, op. ult. cit., 85, avvicina l’ordinanza di accoglimento ad un provvedimento cautelare anticipatorio senza che vi sia la necessità del periculum in mora.

[79] G. Tombolini, op. cit., 1 ss., apprezza la previsione di uno strumento che sgancia l’anticipazione degli effetti della sentenza dal periculum in mora, in quanto capace di aumentare l’effettività della tutela dichiarativa.

[80] Condividono l’idea che si tratti di provvedimenti basati su una cognizione sommaria A. Carratta, Le riforme del processo civile, cit., 55 ss.; A. D’Addazio, op. cit., 316, G. Trisorio Liuzzi, op. cit., 104 ss. Contra D. Turroni, Riforma Cartabia, cit. 454 ss.

[81] Sulla pluralità di significati riconducibili al concetto di sommarietà cfr. A. Proto Pisani, Tutela sommaria, in Foro it., 2007, V, 241; A. Graziosi, La cognizione sommaria del giudice civile nella prospettiva delle garanzie costituzionali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 143 ss. Per una classificazione delle tecniche di tutela che si avvalgono della sommarietà si v. M. Bove, Tutela sommaria e tutela a cognizione piena: criteri discretivi, in Giust. proc. civ., 2014, 1, 55 ss. Nonostante la diversità di espressioni della sommarietà, il proprium della tutela sommaria rimane la sua deviazione dal modello ordinario (cfr. G. Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, I, Padova, 1940, 216; G. Scarselli, La condanna con riserva, Milano, 1989, 481).

[82] Alcuni autori parlano di procedimento sommario e cognizione sommaria in termini equivalenti. Si v. tra i tanti A. Proto Pisani, Appunti sulla tutela sommaria (Note de iure condito e de iure condendo), in I processi speciali. Studi offerti a Virgilio Andrioli dai suoi allievi, Napoli, 1979, 333.

[83] In dottrina si distingue la nozione di procedimento sommario da quella di cognizione sommaria: la prima identifica i processi caratterizzati da una semplificazione nella ritualità procedimentale che non necessariamente si accompagna ad una limitazione della cognizione del giudice in ordine ai fatti rilevanti; la seconda identifica l’intensità, l’approfondimento dell’accertamento condotto dal giudice in seno al procedimento. L’accertamento sommario viene descritto in dottrina come un accertamento superficiale (L. Montesano, La tutela giurisdizionale dei diritti, Torino, 1985, 183), come un’indagine fondata sulla verosimiglianza (G. Scarselli, La condanna con riserva, cit., 520), come un accertamento eseguito in deroga alle regole previste per l’istruzione probatoria ordinaria (A. Carratta, Profili sistematici della tutela anticipatoria, cit., 236 ss.; in senso analogo L. Lombardo, Natura e caratteri dell’istruzione probatoria nel processo cautelare, in Riv. dir. proc., 2001, 483, il quale individua queste deroghe nella previsione di limitazioni all’utilizzazione dei mezzi di prova tipici, o nel ricorso mezzi di prova atipici, o nell’attribuzione a taluni elementi di prova di un valore probatorio diverso dall’ordinario).

[84] Sulla distinzione tra sommarietà nella cognizione, nell’istruzione o nella decisione v. G. Della Pietra, Contributo allo studio del procedimento possessorio, Torino, 2003. Si affaccia all’idea di una sommarietà che investe il triplice piano del procedimento, della cognizione e degli effetti del provvedimento anche R. Tiscini, L’accertamento del fatto nei procedimenti con struttura sommaria, in www.judicium.it, 7. L’autrice spiega che di norma nei provvedimenti incapaci di stabilizzarsi alla sommarietà degli effetti si accompagna una sommarietà della cognizione. Così è ad esempio nell’ordinanza ex art. 19, d.lgs. n. 5/2003. Ma non è sempre così, potendo rinvenirsi nel nostro sistema processuale la presenza di provvedimenti inidonei al giudicato pronunciati all’esito di una cognizione piena, come avviene nell’ordinanza ex art. 186-quater c.p.c. Riferisce la sommarietà della cognizione al regime processuale del provvedimento (e non all’attività di conoscenza del giudice), M. Bove, Tutela sommaria e tutela a cognizione piena, cit., 65.

[85] G. Chiovenda, Principii di diritto processuale civile, Napoli, 1965, 202.

[86] Cfr. A. Proto Pisani, L’istruzione nei procedimenti sommari, in Foro it., 2002, V, 20, il quale definisce la sommarietà che sta alla base del decreto ingiuntivo incompleta, sia perché parziale (in quanto la prova concerne solo i fatti costitutivi, non anche i fatti impeditivi, modificativi, estintivi), sia perché superficiale (perché la prova è radicalmente diversa da quella prevista per la cognizione piena).

[87] Sulla sommarietà della cognizione cautelare cfr. L. Lombardo, Natura e caratteri dell’istruzione probatoria nel processo cautelare, cit., 486 ss., il quale distinguendo l’oggetto dell’accertamento cautelare dall’oggetto dell’accertamento sul merito, esige la prova piena dei presupposti cautelari, ritenuti presupposti di probabilità; M. Bove, Tutela sommaria e tutela a cognizione piena, cit., 65 ss. che valorizzando la sommarietà sotto il profilo procedimentale, riconduce la sommarietà della cognizione al regime giuridico del provvedimento cautelare, non anche all’attività di conoscenza del giudice. Si v. pure la tesi sostenuta da L. Montesano, Strumentalità e superficialità della cognizione cautelare, in Riv. dir. proc., 1999, 309 ss., secondo il quale l’accertamento nella tutela cautelare sarebbe sommario perché ipotetico, nel senso che “prescinde dalla acquisizione di risultanze probatorie, per appagarsi di una valutazione della verosimiglianza delle allegazioni fondata su un mero calcolo di probabilità”.

[88] v. infra.

[89] A. Proto Pisani, L’istruzione nei procedimenti sommari, cit., 21.

[90] Sulle ordinanze anticipatorie di condanna si v. G. Basilico, M. Cirulli, Le condanne anticipate nel processo civile di cognizione, Milano, 1998; B. Sassani, R. Tiscini, Provvedimenti anticipatori (dir. proc. civ.), in Enc. Dir., agg. V, 2001, 872 ss.; A. Carratta, Ordinanze anticipatorie di condanna (dir. proc. civ.), in Enc. Giur., XXII, 1990, agg. 1995, 4; G. Balena, Istituzioni di diritto processuale civile, Il processo ordinario, Bari, 2014, 247 ss.

[91] G. Basilico, M. Cirulli, Le condanne anticipate, cit., 25.

[92] G. Basilico, M. Cirulli, Le condanne anticipate, cit., 25. Per usare le categorie chiovendiane, nelle ordinanze prese in considerazione nel testo la cognizione è incompleta perché parziale. Di sommarietà non si potrebbe parlare, invece, con riferimento all’ordinanza emanata a chiusura dell’istruttoria, proprio perché non può considerarsi sommaria la cognizione che la precede. Tale attributo potrebbe al più riferirsi alla forma del provvedimento, appunto quella dell’ordinanza (G. Basilico, M. Cirulli, op. ult. cit., 26).

[93] Evidenzia le affinità con l’ordinanza ex art. 19, d.lgs. n. 5/2003 R. Metafora, op. cit., 1 ss.

[94] Sul tema si v. B. Sassani (a cura di), La riforma delle società, Torino, 2003; A. Briguglio, Il rito sommario di cognizione nel nuovo processo societario, in www. judicium.it; R. Caponi, La tutela sommaria nel processo societario alla luce dei modelli europei, in Foro it., 2003, V, 148; B. Capponi, Sul procedimento sommario di cognizione nelle controversie societarie (art. 19, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5), in Giur. It., 2004, 2 ss; C. Cavallini, Il procedimento sommario di cognizione nelle controversie societarie, in Giust. civ., 2003, 10, 445 ss.; C. Cecchella, Il référé italiano nella riforma delle società, in Riv. dir. proc., 2003, 4, 1130; V. Saletti, Il procedimento sommario nelle controversie societarie, in Riv. dir. proc., 2003, 478 ss.; R. Tiscini, Il procedimento sommario di cognizione nelle liti societarie, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2004, 261; Id., I provvedimenti decisori senza accertamento, cit., 74 ss.

[95] Il termine “difese” impiegato nella norma ora in commento non elide l’affinità che si riscontra con l’art. 19, d.lgs. n. 35/2003, ove il legislatore ha optato per la nozione di “contestazioni”. Il concetto di “difese” è senz’altro molto più ampio, in esso potendosi ricomprendere tanto le contestazioni dei fatti costitutivi, quanto le allegazioni di fatti impeditivi, modificativi o estintivi. È in questa più larga accezione che la dottrina maggioritaria ha interpretato il termine “contestazioni” nell’art. 19 citato (Si v. per tutti R. Tiscini, I provvedimenti decisori senza accertamento, cit., 90, nota 87.

[96] Si v. per tutti R. Tiscini, Il procedimento sommario, cit., 275. Contra A. Briguglio, Il rito sommario, cit., 325, secondo cui la natura sommaria del procedimento in cui la valutazione si inserisce presuppone una verifica prima facie tanto dei fatti costitutivi, quanto delle eccezioni allegate dal convenuto; C. Cecchella, Il référé italiano, cit., 1145.

[97] C. Cecchella, Il référé italiano, cit., 1145.

[98] C. Cecchella, op. ult. cit., 1145, il quale ammette il ricorso in via eventuale a sommarie informazioni. Cfr. A. Briguglio, Il rito sommario, cit., 327.

[99] V. Saletti, Il procedimento sommario, § 6. Cfr. A. Briguglio, Il rito sommario, cit., 327; R. Tiscini, Il procedimento sommario, cit., 275, che riconosco al giudice il potere discrezionale di stabilire se e quali prove ammettere, o disporre il mutamento del rito.

[100] A. Briguglio, Il rito sommario, cit., 325; R. Tiscini, Il procedimento sommario, cit., 275; C. Cecchella, Il référé italiano, cit., 1145. Contra V. Saletti, Il procedimento sommario, § 6.

[101] Ne deriva che nel caso in cui la prova dei fatti costitutivi sia offerta attraverso un atto pubblico, la concessione dell’ordinanza non potrà mai avvenire se il convenuto propone una querela di falso nei confronti del documento prodotto.

[102] Secondo G. Scarselli, La condanna con riserva, cit., 440, il fatto costitutivo non è controverso in tutte le ipotesi in cui il convenuto ponga in essere una confessione, un’ammissione o una non-contestazione esplicita, una non-contestazione implicita dovuta alla proposizione di un’eccezione di merito o una non-contestazione implicita dovuta alla contraddittorietà delle tesi difensive allegate.

[103] A. Carratta, Le riforme del processo civile, cit., 57 e s., parla a riguardo di cognizione parziale in relazione ai fatti costitutivi dedotti dall’attore e di cognizione superficiale in ordine alle difese del convenuto.

[104] G: Scarselli, La condanna con riserva, cit., passim.

[105] A. Proto Pisani, Appunti sul valore della cognizione piena, in Foro it., 2002, V; Id., L’istruzione nei procedimenti sommari, in Foro it., 2002, V, 21; Id., La nuova disciplina del processo societario, cit., 13. La proposta classificatoria di Proto Pisani è stata rifiutata dalla dottrina maggioritaria, per l’incompatibilità strutturale tra l’ordinanza ex art. 19, cit. e la condanna con riserva di eccezioni.

[106] G. Scarselli, La condanna con riserva, cit., 490 s., associa la delibazione sommaria del giudice sulla verosimiglianza dei fatti allegati ad una valutazione di opportunità, affermando di doversi negare la pronuncia del provvedimento tutte le volte in cui possa provocare un’ingiustizia sostanziale. Più tecnicamente, secondo l’autore, la condanna con riserva dovrebbe essere negata tutte le volte in cui un provvedimento esecutivo potrebbe arrecare danno grave ed irreparabile al convenuto, in una logica di tipo cautelare non diversa da quella sottesa all’inibitoria della sentenza provvisoriamente esecutiva.

[107] V. infra § 7.

[108] Anche nella Relazione illustrativa al d.lgs. n. 49/2022 a pag. 25 l’istituto è associato alle fattispecie di condanna con riserva di eccezioni. Critici sull’accostamento D. Turroni, op. cit., 454 ss., nota 1 e M. Stella, op. cit., 3.

[109] Per contro, dovrebbe negare l’ordinanza quando, pur in assenza di deduzioni istruttorie, le difese del convenuto siano fondate in punto di diritto ed idonee a provocare il rigetto nel merito della domanda attorea (G. Dalla Pietra, Le ordinanze divinatorie, cit., 249).

[110] C. Cecchella, Il référé italiano, cit., 1145.

[111] Art. 809, comma 2, n.c.p.c.

[112] C. Silvestri, Il sistema francese dei référés, in Foro it., 1998, V, 9 ss., spec. 20. In arg. si v. A. Jommi, Il référé provision. Ordinamento francese ed evoluzione della tutela sommaria anticipatoria in Italia, Torino, 2005.

[113] C. Silvestri, ivi.

[114] Critico su questa prospettazione G. Scarselli, I punti salienti dell’attuazione della riforma del processo civile di cui al decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 149, in www.giustiziainsieme.it, che mette in guardia dalla vaghezza della formula (per il rischio che sia rimesso alla discrezionalità del giudice il proseguimento o meno del processo) e la pericolosità dello strumento (in quanto consente, senza regole precise e/o predeterminate, la chiusura del giudizio).

[115] G: Dalla Pietra, Le ordinanze divinatorie, cit., 246 ss., secondo il quale “a cospetto dell’articolazione di prove ammissibili e rilevanti, il giudice non possa indulgere all’ordinanza, ma sia tenuto a raccogliere prima le prove di tutti”.

[116] v. infra.

[117] Va dato atto della posizione di chi (D. Turroni, Riforma Cartabia, cit., 454 ss.) nega natura sommaria all’ordinanza, ritenendo che il tratto caratteristico del provvedimento non sia la superficialità o la parzialità della cognizione, bensì l’intrinseca semplicità dell’indagine svolta dal giudice, la “liquidità” dell’oggetto del processo. Liquidità che secondo l’autore indurrà la parte a preferire altre formule decisorie idonee a al giudicato (quali la rimessione immediata in decisione ai sensi dell’art. 187 c.p.c. o la decisione ai sensi dell’art 281-sexies c.p.c.).

[118] Per una riflessione più ampia sull’istituto si v. B. Capponi, Sulla nuova ordinanza di rigetto, cit., 299.

[119] A. Carratta, Profili sistematici della tutela anticipatoria, Torino, 1997, 241, il quale evidenzia un significativo rapporto tra le forme processuali, ed in particolare la natura della cognizione giudiziale, e la qualità degli effetti prodotti dal provvedimento.

[120] È bene precisare che solo l’ordinanza di accoglimento dell’istanza, ove non reclamata oppure ove il reclamo sia respinto, chiude il processo e non è altrimenti impugnabile.

[121] V. infra § 4.

[122] R. Tiscini, Nuove proposte di tutela sommaria, cit., 1239 ss.; A. D’Addazio, Ordinanze di accoglimento e di rigetto, cit., 323.

[123] Le disposizioni chiariscono che solo l’ordinanza di accoglimento dell’istanza è reclamabile, non essendovi ragioni (secondo la Relazione illustrativa), per esercitare un controllo su un eventuale rigetto. Ed invero il rigetto dell’istanza (indipendentemente dalla parte da cui provenga) non pregiudica il richiedente, poiché il processo arriverà ad una pronuncia sul merito idonea a regolare in maniera stabile il rapporto tra le parti.

[124] Le due norme non forniscono indicazioni di dettaglio. Solo l’ultimo comma delle due disposizioni si sofferma sulle sorti del giudizio di cognizione in caso di accoglimento del reclamo e prevede che, qualora il reclamo venga accolto, il processo sia affidato ad un magistrato diverso da quello che ha emesso l’ordinanza reclamata.

[125] Con riferimento all’ordinanza di accoglimento, potrebbe esperirsi il rimedio del reclamo quando l’ordinanza di accoglimento sia concessa nonostante la mancanza di prova dei fatti costitutivi o nonostante la fondatezza delle eccezioni del convenuto, oppure quando la controversia abbia ad oggetto diritti indisponibili. Qualora si acceda ad una interpretazione restrittiva dell’ambito applicativo dell’ordinanza di accoglimento, si potrebbe ricorrere al reclamo tutte le volte in cui il provvedimento è concesso a tutela di situazione sostanziali diverse dai diritti di credito. In definitiva, transitano per il reclamo tutte le contestazioni che si situano fuori dal perimetro della inesistenza/inesistenza del diritto dedotto in giudizio.

[126] B. Capponi, Sulla nuova ordinanza di rigetto, cit., 300.

[127] A meno che non contenga la condanna alle spese a carico dell’attore. In questo caso la statuizione di rigetto provvisorio sarà abbinata ad un capo condannatorio sulle spese azionabile come un normale titolo esecutivo.

[128] Riconducono le ordinanze a tale categoria dogmatica A. Carratta, Le riforme del processo civile, cit., 59; R. Tiscini, Nuove proposte di tutela sommaria, cit., 1228.

[129] A. Proto Pisani, Usi e abusi della procedura camerale, cit., 399 ss.; Id., voce Procedimenti cautelari, in Enc. Giur., 1991, XXIV,1 ss. Il proprium sta nel fatto che essi non sono il solo strumento per realizzare la tutela dei diritti, ma sono alternativi alla cognizione piena, si aggiungono al modello di tutela ordinario, unica via percorribile per giungere al giudicato. Secondo R. Tiscini, I provvedimenti decisori senza accertamento, cit., 65, si tratta di una categoria fittizia creata per restituire valore al giudizio ad elevato titolo formale.

[130] Sul tema si v. R. Tiscini, I provvedimento decisori senza accertamento, passim. Come chiarisce l’A. la funzione di tali provvedimenti, è quella di introdurre una autonoma azione che nulla ha a che vedere con quella ordinaria: ”essi sono pensati e voluti dalla legge per esporre l’interessato ad una scelta, non tanto in punto di rito, quanto in punto di effetti della decisione” (R. Tiscini, ibidem).

[131] A. R. Mingolla, I provvedimenti provvisori, cit., 131, lo definisce un provvedimento anticipatorio non cautelare corredato unicamente di efficacia esecutiva.

[132] È interinale il provvedimento i cui effetti non sono definitivi, ma durano fino a quando non interviene il provvedimento definitivo anticipato (A. Carratta, Profili sistematici della tutela anticipatoria, cit., 72). L’interinalità impone una subordinazione del provvedimento anticipatorio rispetto al processo di merito, collocando il provvedimento al suo interno e negando allo stesso la capacità di concluderlo (R. Tiscini, I provvedimenti decisori senza accertamento, cit., 47).

[133] A. Carratta, Profili sistematici, cit., 189 ss. L’A. individua i presupposti dei provvedimenti anticipatori-interinali: “a) nell’esercizio di un’ordinaria azione di cognizione e nella conseguente esistenza di una domanda giudiziale; b) nella pendenza di un processo ordinario o speciale di cognizione; c) nella presenza di elementi probatori tali che, nel momento della pronuncia del provvedimento, fanno ritenere probabile l’emanazione di una sentenza favorevole per il richiedente”.

[134] . Tiscini, I provvedimenti decisori senza accertamento, cit., 45.

[135] Negli artt. 186 bis, ter e quater c.p.c. rimane nella assoluta disponibilità delle parti evitare l’estinzione del processo. Se non lo fanno è perchè vogliono che l’ordinanza prenda il posto della sentenza (E. Ricci, Commento all’art. 186-quater, in Nuove leggi civili commentate, 1996, 638 s.)

[136] Sussiste una correlazione necessaria tra provvedimento anticipatorio e provvedimento definitivo, del quale il primo seleziona un effetto per produrlo anticipatamente (G. Basilico, M. Cirulli, Le condanne anticipate, cit., 25).

[137] R. Tiscini, op. ult. cit., 45. Come spiega l’A. a proposito dei provvedimenti decisori senza accertamento ma con considerazioni estensibili anche ai provvedimenti oggetto del presente studio, l’obiettivo di anticipare gli effetti di un provvedimento è comune, ma cambiano i mezzi per realizzarlo: “l’uno – la tutela anticipatoria – non escludendo la cognizione piena e la sentenza, si colloca in posizione prodromica rispetto ad essa – l’altra – la decisorietà senza accertamento – è offerta quale alternativa al giudizio formale ed all’accertamento che ne è conseguenza”.

[138] Si v. in proposito l’opinione di B. Capponi, Sul procedimento sommario, cit., 2 ss.

[139] v. supra § 4.

[140] M. Bove, Tutela sommaria e tutela a cognizione piena, cit., 55 ss.

[141] Nel provvedimento si annida in forma potenziale la pienezza della cognizione (cfr. G. De Cristofaro, Sommarizzazione e celerità, cit., 482).

[142] Sebbene in questo caso si è in presenza di “un’ipotesi spuria di inversione dell’onere di instaurazione del giudizio a cognizione piena, giacché il provvedimento di sospensiva ha un valore solo endoprocessuale e non è idoneo a somministrare alcuna disciplina, nemmeno temporanea, del rapporto controverso” (A. Graziosi, La cognizione sommaria, cit., 143, nota 17).

[143] Commissione per l’elaborazione di proposte di interventi in materia di processo civile di strumenti alternativi, istituita con D.M. del 12 marzo 2021 e presieduta dal prof. F.P. Luiso, i cui risultati sono documentati nella relazione dal titolo “Proposte normative e note illustrative” del 24 maggio 2021, reperibile sul sito del Ministero della Giustizia.

[144] In questo senso R. Tiscini, Nuove proposte di tutela sommaria, cit., 1227; Id., Impressioni a caldo sulla sommarietà, cit. 4.

[145] La proposta fa eco al progetto Rognoni (E. F. Ricci, Il progetto Rognoni, cit., 626, ss.) e al progetto Vaccarella (F. P. Luiso, B. Sassani, Il progetto di riforma della commissione Vaccarella: c’è chi preferisce il processo attuale, in www.judicium.it; G. Scarselli, Brevi osservazioni sui lavori della commissione Vaccarella per la riforma del processo civile, in Foro it., 2002, V, 233 ss.) che con formule diverse prevedevano l’introduzione di un provvedimento anticipatorio non cautelare di portata generale. Il progetto Rognoni, in particolare, all’art. 182, sotto la rubrica “Provvedimenti di ingiunzione”, ammetteva su istanza della parte che aveva proposto domanda di condanna che il giudice potesse “ingiungere all’altra, con ordinanza costituente titolo esecutivo, l’adempimento totale o parziale della prestazione richiesta, quando: 1) l’altra parte non contesta di dovere la prestazione; 2) esistono i presupposti previsti dagli artt. 633-636, e l’infondatezza della domanda non appare probabile in base alle eccezioni proposte dall’altra parte; ovvero 3) la fondatezza della domanda appare probabile in base agli elementi di prova allo stato acquisiti”. Più ambizioso il progetto Vaccarella che prefigurava l’introduzione di procedimento sommario non cautelare, applicabile anche in via incidentale rispetto al processo a cognizione piena. Il principio formulato all’art. 51 della proposta Vaccarella, era il seguente: “Prevedere un procedimento sommario non cautelare, improntato a particolare celerità ma nel rispetto del principio del contraddittorio, che conduca all’emanazione di un provvedimento esecutivo: – reclamabile – privo dell’efficacia del giudicato – esperibile anche nel corso di un processo a cognizione piena, e – idoneo eventualmente a definire tale processo”.

[146] v. infra § 4.

[147] A. R. Mingolla, I provvedimenti provvisori, cit., 140, saggiando il risultato cui può portare l’ordinanza di rigetto, più vicino alla cronica instabilità del rigetto in rito, definisce il provvedimento “un autentico ossimoro di ogni valutazione di strategia processuale che rischia di relegare l’art. 183-quater c.p.c. al sostanziale anonimato”. Critico anche B. Capponi, Sulla nuova ordinanza, cit., 299.

[148] In questi termini A. R. Mingolla, I provvedimenti provvisori, cit., 126; R. Donzelli, Riforma del processo civile: le disposizioni generali e il processo di cognizione, in Giustiziacivile.com, 22 novembre 2022.

[149] In realtà l’urgenza era la condizione classica del référé, alla base della procedura en référé. Oggi il requisito viene meno nel référé provision a seguito della erosione interpretativa operata dalla giurisprudenza che ha voluto adattare il rimedio alle esigenze emergenti nella collettività. Dà atto di questa tendenza R. Tiscini, I provvedimenti decisori, cit., 260 ss.

[150] C. Silvestri, op. cit., 9 ss.; C. Cecchella, op. cit., 1130 ss., R. Tiscini, I provvedimenti decisori, senza accertamento, cit., 246 s., spec. 253.

[151] Ci si riferisce alle cause diverse da quelle semplici, così come individuate ai sensi dell’art. 281-decies, comma 1, c.p.c., che l’attore può facoltativamente introdurre nelle forme ordinarie o semplificate e che abbia scelto di incardinare con le forme ordinarie.

[152] Ci si riferisce alle cause introdotte con le forme semplificate che il giudice abbia ritenuto complesse disponendo il mutamento del rito ai sensi del combinato disposto degli artt. 171-bis, 183-bis e 281-duodecies, comma 1, c.p.c.

[153] R. Donzelli, Riforma del processo civile: le disposizioni generali e il processo di cognizione, in Giustiziacivile.com, 22 novembre 2022, 6.

[154] È stato in proposito osservato che la mancata conversione del rito, pur ricorrendone i presupposti, non costituisca una ipotesi di nullità del giudizio di primo grado (così C. Taraschi, Riforma processo civile: il nuovo rito semplificato di cognizione, in Il processo civile, 8 novembre 2022, p. 7). La conclusione è mutuata dalla previgente disciplina del rito sommario di cognizione, in relazione alla quale la giurisprudenza ha escluso la violazione di diritti processuali e di difesa da parte del giudice che non provvede alla conversione del rito (si v. Cass. civ., 5 settembre 2019, n. 22158). Invero, è principio ormai consolidato quello per cui la trattazione di una controversia con forme diverse da quelle prescritte non costituisce motivo di nullità della decisione e come tale non costituisce motivo di impugnazione, a meno che non abbia inciso sul contraddittorio, sul regime delle prove, rimanendo a carico della parte l’indicazione dello specifico pregiudizio derivato dalla mancata adozione del rito previsto (ex multis, Cass., 10 ottobre 2017, n. 23682).

[155] Dello stesso avviso C. Taraschi, Riforma processo civile, cit., 6.

[156] Così lo definisce pure B. Capponi, Note sulla fase introduttiva, cit., 8.

[157] È questo lo scenario immaginato da R. Donzelli, op. cit., 7.

[158] L’espressione è di G. Della Pietra, Le ordinanze “divinatorie”, cit., 249.

[159] F. Carnelutti, Lineamenti della riforma del processo civile di cognizione, in Studi di diritto processuale, Padova, 1939, 398.