Le verifiche preliminari ex art. 171 bis c.p.c. al vaglio della Corte costituzionale (a proposito di Trib. Verona, ord. 23 settembre 2023, n. 150)

Il contributo analizza le censure di incostituzionalità avanzate dal Tribunale di Verona, con l’ord. n. 150 del 23 settembre 2023, avverso l’istituto delle verifiche preliminari ex art. 171 bis c.p.c.

Di Francesco Maria Simoncini -

Sommario: 1. L’ordinanza di rimessione e i dubbi di costituzionalità intorno al “cuore” della cd. riforma Cartabia del processo civile. – 2. Gli argomenti: i) l’eccesso di delega. – 3. ii) la violazione dell’art. 3 Cost. sotto il profilo dell’irragionevolezza delle verifiche preliminari. – 4. iii) la violazione del principio del contraddittorio e l’art. 24 Cost.

1.L’ordinanza di rimessione e i dubbi di costituzionalità intorno al “cuore” della cd. riforma Cartabia del processo civile. – Con ordinanza emessa il 23 settembre 2023, il Tribunale di Verona ha sollevato incidente di costituzionalità con riferimento alle nuove “verifiche preliminari” disciplinate dall’art. 171 bisp.c., rilevandone un contrasto tanto con gli artt. 76 e 77 Cost., per eccesso rispetto alla legge delega n. 206/2021, quanto con gli artt. 24 e 3 Cost.

Le verifiche preliminari, come noto, costituiscono la «pietra angolare» del «nuovo volto» della fase di trattazione del processo civile immaginato dal d.lgs. 149 del 2022 (cd. riforma Cartabia)[1], e consistono nel controllo che il giudice è chiamato a compiere, entro quindici giorni dalla scadenza del termine di costituzione del convenuto, circa la «regolarità della costituzione e del contraddittorio»[2] e, più in generale, la sussistenza di questioni, di merito e di rito[3], rilevabili d’ufficio.

All’esito delle verifiche, il giudice adotterà i provvedimenti elencati dallo stesso art. 171 bis c.p.c. e sottoporrà alle parti le questioni rilevabili d’ufficio di cui «[ritenga] opportuna la trattazione», di modo che queste possano prendere posizione al riguardo nelle successive memorie ex art. 171 ter c.p.c.

Che tale “momento” costituisca un nodo centrale della struttura del processo riformato è agevole a comprendersi. Il rito risultante dal d.lgs. 149/2022, nell’intento di valorizzare massimamente le utilità della prima udienza ex art. 183 c.p.c., ha anticipato rispetto a questa il deposito delle memorie a cui sono ricollegate le preclusioni inerenti alla definizione del thema probandum ac decidendum (art. 171 ter c.p.c.). In questo contesto, l’anticipazione delle verifiche ex art. 171 bis c.p.c. rispetto all’udienza ex art. 183 c.p.c. è funzionale a evitare il pericolo del «gioco dell’oca»[4], ossia che, «dopo aver imposto alle parti lo scambio delle tre memorie in via anticipata e senza poter entrare in contatto con il giudice», «si possa giungere alla prima udienza e vederne disposto lo spostamento e vedere anche, inevitabilmente in molti casi, disposta la “riapertura” dei termini per il deposito di ulteriori memorie, integrative di quelle già depositate»[5].

Insomma, il Giudice a quo prospetta dubbi di costituzionalità intorno al “cuore” della riforma Cartabia. Diamo conto, allora, dei profili di illegittimità denunciati nell’ordinanza.

2.Gli argomenti: i) l’eccesso di delega. – Anzitutto, il Giudice remittente rileva la violazione degli artt. 76 e 77 Cost. ad opera dell’art. 171 bisp.c.[6] per eccesso di delega rispetto alla l. n. 206/2021.

L’art. 1, co. 5, della legge n. 206/2021 – nota il Tribunale di Verona – non menziona alcuna forma di “verifica preliminare” a cavallo fra gli atti introduttivi e le memorie integrative ex art. 171 ter c.p.c. Si tratterebbe, quindi, di una «invenzione»[7] del legislatore delegato, priva di qualsivoglia fondamento.

Il Giudice a quo non si mostra soddisfatto della “base giuridica” invocata a sostegno delle verifiche preliminari dalla relazione di accompagnamento al d.lgs. 149/2022, cioè il «canone della concentrazione», in forza del quale «all’udienza la causa deve tendenzialmente sempre giungere con il perimetro del thema decidendum e del thema probandum già definito»[8]. Secondo il giudice veronese, tale principio direttivo, espressamente indicato all’art. 5, co. 1, lett. a) della l. 206/2021, sarebbe solo parzialmente realizzato dall’istituto delle verifiche ex art. 171 bis c.p.c., posto che il giudice – eccezion fatta per i provvedimenti espressamente indicati all’art. 171 bis c.p.c., adottabili immediatamente al momento delle verifiche preliminari – quando riscontri «questioni rilevabili d’ufficio», deve segnalarle alle parti perché ne discutano nelle successive memorie integrative, senza poter assumere alcuna decisione immediata rispetto ad esse. Insomma, con un gioco di parole, ad avviso del giudice remittente le verifiche ex art. 171 bis c.p.c. realizzerebbero, più che una “concentrazione”, una “dispersione” della trattazione.

In attesa che la Corte costituzionale prenda posizione su questa censura, alcune sommarie considerazioni possono essere svolte.

Ora, è indiscutibile che nel testo della legge delega non compaia alcun riferimento, neppure indiretto, alle verifiche preliminari. L’art. 1, co. 5, in effetti, enuncia le modifiche relative agli atti introduttivi e all’anticipazione delle memorie rispetto alla prima udienza di comparizione, ma nulla dice in ordine al controllo sulla regolare instaurazione del contraddittorio immaginato dal legislatore delegato.

È anche vero, però, che il richiamo al principio direttivo del canone di concentrazione [art. 5, co. 1, lett. a), l. 206/2021], contenuto nella relazione di accompagnamento al d.lgs. 149/2022, non pare infondato come il giudice di Verona ritiene.

Certo, è innegabile che si tratti di una concentrazione “imperfetta”, perché il giudice è abilitato ad adottare in quella sede “solo” i provvedimenti elencati all’art. 171 bis c.p.c., e, comunque, anche con riferimento a tali provvedimenti, potrebbe rinviare il momento della decisione all’udienza ex art. 183 c.p.c. per consentire alle parti di prendere posizione al riguardo[9]. Per non parlare, poi, dello spreco di attività processuali che si determina in caso di chiamata in causa di terzo ad opera dell’attore, posto che, stando al tenore dell’art. 183, co. 2, c.p.c., il giudice deve autorizzarne la chiamata in prima udienza, e quindi a memorie già depositate[10].

Al netto di queste “incrinature” al canone della concentrazione, tuttavia, resta il fatto che i provvedimenti subito emanabili in sede di verifiche ex art. 171 bis c.p.c. attengono precisamente ai vizi più gravi relativi all’instaurazione del processo: dalla irregolare vocatio in ius del convenuto, all’omessa individuazione del diritto fatto valere in giudizio; dal difetto di rappresentanza o autorizzazione di una delle parti (art. 182 c.p.c.), alla mancanza di un litisconsorte necessario ex art. 102 c.p.c. Vizi che – questo è il punto decisivo – per la loro gravità, una volta sanati, autorizzerebbero le parti, inevitabilmente, al deposito non tanto di singole memorie integrative post udienza di prima comparizione ai sensi dell’art. 101 c.p.c., quanto piuttosto di ben tre “nuove” memorie integrative ex art. 171 ter c.p.c.[11] Il massimo sacrificio del principio di concentrazione. Ben si percepisce, allora, l’utilità delle verifiche preliminari.

Quanto poi alle altre «questioni rilevabili d’ufficio», che il giudice deve segnalare alle parti perché prendano posizione intorno ad esse nelle memorie integrative, l’ordinanza di rimessione osserva che nessuna concentrazione è attuata, perché nessun provvedimento è immediatamente pronunziabile in sede di verifiche. Anche questa critica, tuttavia, sembra ingenerosa, perché con la tempestiva segnalazione delle questioni alle parti[12] si “concentrerà” immediatamente il contraddittorio sul profilo rilevato nelle memorie integrative e si scongiurerà il rischio – questo sì, “dispersivo” – del rilievo solo in prima udienza ex art. 183 c.p.c., con la necessità, a quel punto, di concedere termini per ulteriori memorie ex art. 101 c.p.c. Se le verifiche preliminari funzioneranno nel modo auspicato dal legislatore, quindi, il canone della concentrazione, almeno in parte, sarà perseguito[13].

Per concludere sull’illegittimità per eccesso di delega, è infine necessario dare atto che l’ordinanza di rimessione omette di ricordare l’altra disposizione invocata (non dalla Relazione di accompagnamento ma) da chi ha commentato la legge delega n. 206/2021 come “base giuridica” delle verifiche preliminari, cioè l’art. 1, co. 5, lett. i), l. 206/2021[14]. Tale norma imponeva al Governo di «adeguare le disposizioni sulla trattazione della causa ai principi di cui alle lettere da c) a g)» (ossia quelli sull’anticipazione della trattazione scritta rispetto alla prima udienza). Come osservato in dottrina, fra le norme sulla «trattazione della causa» rientrerebbe pacificamente anche il (vecchio) art. 183, co. 1, c.p.c., che collocava, nel previgente rito, le verifiche preliminari all’inizio della prima udienza ex art. 183 c.p.c.[15] In questo senso, quindi, la creazione delle verifiche ex art. 171 bis c.p.c. potrebbe leggersi come un semplice “adattamento” della fase di trattazione della causa imposto dalla necessità di evitare il citato effetto «gioco dell’oca».

3.ii) la violazione dell’art. 3 Cost. sotto il profilo dell’irragionevolezza delle verifiche preliminari. – Il secondo profilo di illegittimità costituzionale segnalato dal giudice remittente attiene alla violazione degli artt. 24 e 3 Cost.

Il parametro dell’art. 3 Cost. viene invocato, in realtà, riprendendo, da un diverso punto di vista, l’argomento visto sopra della scarsa concentrazione attuata dall’art. 171 bis c.p.c. Ad avviso del giudice veronese, la circostanza che la disciplina delle verifiche preliminari consenta di assumere immediatamente “solo” i provvedimenti indicati all’art. 171 bis c.p.c., mentre con riferimento alle altre questioni rilevabili officiosamente il giudice è tenuto a sottoporle alle parti perché ne trattino nelle successive memorie, oltre a non realizzare alcuna concentrazione, regolerebbe in modo “irragionevolmente” diverso eccezioni ugualmente rilevabili d’ufficio. Il Tribunale di Verona, a sostegno di tale affermazione, utilizza come termine di comparazione la disciplina previgente sul trattamento delle questioni rilevabili d’ufficio, osservando come questa fosse identica per tutte, senza distinzioni, e prevedesse l’unica strada della sottoposizione delle questioni alle parti perché prendessero posizione al riguardo[16].

Anche questa censura non convince sotto più punti di vista.

Sulla ragionevolezza intrinseca della diversità di trattamento delle questioni rilevabili d’ufficio risultante dall’art. 171 bis c.p.c., è sufficiente richiamare quanto si è già detto in ordine al massimo pericolo che il principio di concentrazione correrebbe laddove al giudice non fosse consentito adottare subito i provvedimenti sulla regolare costituzione delle parti e del contraddittorio elencati all’art. 171 bis c.p.c. stesso. Come si è osservato, infatti, si tratta esattamente dei vizi che, se sanati tardivamente, riaprirebbero non tanto i termini per il deposito di singole memorie ex art. 101 c.p.c., quanto più radicalmente per il deposito di tre nuove memorie integrative per parte ai sensi dell’art. 171 ter c.p.c.

Ma anche guardando alla ragionevolezza estrinseca della disciplina, ossia valutata in confronto al regime previgente, non mi pare che la conclusione cambi.

Anzitutto, come è stato notato, il giudice a quo utilizza un termine di comparazione – il vecchio art. 183, co. 4, c.p.c. – che tuttavia non è più vigente[17].

Anche ammettendo che sia possibile ricorrere ad un simile parametro, è sufficiente osservare come pure il precedente art. 183 c.p.c., al pari dell’odierno art. 171 bis c.p.c., distinguesse il trattamento delle questioni rilevabili d’ufficio in due categorie: per alcune il giudice poteva subito adottare i provvedimenti indicati al co. 1 dell’art. 183 c.p.c.[18]; le altre andavano sottoposte al contraddittorio delle parti per la trattazione, se del caso, anche nella successiva appendice scritta (co. 4). Dunque, non c’è alcuna irragionevole diversità di trattamento fra il regime previgente e l’attuale perché, da questo punto di vista, la disciplina, salvo minime aggiunte all’elenco dell’art. 171 bis c.p.c., è la stessa[19].

4.iii) la violazione del principio del contraddittorio e l’art. 24 Cost. – L’ultima censura mossa all’art. 171 bisp.c. concerne la violazione del principio del contraddittorio (art. 24 Cost.). Si osserva nell’ordinanza: con riferimento ai provvedimenti immediatamente adottabili in sede di verifiche preliminari, il giudice decide senza prima sentire le parti[20].

Tale critica, a differenza delle precedenti, trova riscontri fra gli autori che hanno commentato il nuovo istituto[21]. Da più parti, in effetti, è stato osservato come, eccezion fatta per alcuni provvedimenti meramente “meccanici” (es. quelli sulla mancata costituzione delle parti, o sul differimento dell’udienza conseguente alla chiamata in causa di un terzo da parte del convenuto), il giudice potrebbe assumere inaudita altera parte decisioni particolarmente rilevanti per il prosieguo del processo (es. ordine di chiamate ex artt. 102 e 107 c.p.c.).

Anche questa censura, per quanto condivisibile sotto il profilo dell’opportunità tecnica e politica[22], non sembra decisiva.

Anzitutto, il dubbio di costituzionalità potrebbe essere scongiurato tentando la strada dell’interpretazione conforme all’art. 24 Cost., e cioè affermando che quando il giudice, prima di assumere uno dei provvedimenti indicati all’art. 171 bis c.p.c., ritenga opportuno suscitare il contraddittorio delle parti, sia tenuto a differire l’adozione del provvedimento alla prima udienza ex art. 183 c.p.c., sottoponendo la questione alle parti perché ne trattino nelle tre memorie ex art. 171 ter c.p.c. Del resto, è opinione diffusa fra gli interpreti come i provvedimenti ex art. 171 bis c.p.c. non debbano essere necessariamente adottati in quella sede, potendo essere adottati anche in successive fasi processuali, a seconda del regime proprio del vizio a cui mettano capo[23].

Inoltre, volendo massimizzare la concentrazione di attività processuali, il contraddittorio sui provvedimenti ex art. 171 bis c.p.c. potrebbe essere recuperato ammettendo, in sintonia con alcuni giudici di merito, «che il codice comunque consenta, in applicazione dell’art. 175 c.p.c., che prima delle memorie integrative venga in ogni caso fissata, in modo pretorio, una udienza “intermedia” per le verifiche preliminari e l’indicazione delle questioni rilevabili d’ufficio»[24].

Alle soluzioni proposte si potrebbe facilmente obiettare come sia ben poca cosa rimettere alla discrezionalità del giudice la scelta sull’ascolto delle parti in relazione ai provvedimenti ex art. 171 bis c.p.c. Insomma, si tratterebbe di un contraddittorio, per così dire, octroyée, mentre la garanzia dell’art. 24 Cost. non è soggetta al placet di alcuno: esiste e basta. L’obiezione, però, non sembra dirimente. Tenendo a margine il rilievo per cui i provvedimenti ex art. 171 bis c.p.c. non riguardano il merito della causa, ma attengono alla regolarità della costituzione delle parti e del contraddittorio, l’osservazione, già svolta in dottrina, che pare decisiva è la seguente: il contraddittorio su tali provvedimenti non è del tutto escluso, ma è solo differito, posto che le parti nelle successive memorie ben potranno contestare le decisioni assunte dal giudice, e ben potranno domandarne la revoca[25]. Si tratta, infatti, di decisioni assunte con la forma del decreto, che non possono certo pregiudicare la decisione della causa e non hanno alcuna forma di stabilità. Insomma, il contraddittorio, per comprensibili esigenze di concentrazione, non è sacrificato, è solo posticipato.

Vedremo quale sarà il giudizio della Corte. Indubbiamente, il cammino della riforma Cartabia parte subito in salita. D’altro canto, non sono incostituzionali tutte le norme del processo che non funzionano, e in questo caso l’impressione è che si sia inteso portare all’attenzione del Giudice delle leggi quel che non funziona, più che quel che è incostituzionale.

[1] Le espressioni virgolettate sono di C. Delle Donne, sub art. 171-bis c.p.c., in La riforma Cartabia del processo civile, a cura di R. Tiscini, Pisa, 2023, p. 289. La Relazione al d.lgs. 149/2022 parla, con un gioco di parole, di «norma quadro nel quadro della nuova fase introduttiva».

[2] L’espressione di sintesi dei controlli che il giudice è chiamato a svolgere ex art. 171 bis c.p.c. è di A. Carratta, Le riforme del processo civile, Torino, 2023, p. 41.

[3] Che il rilievo possa riguardare tanto questioni di merito quanto questioni rito è notazione diffusa: cfr. Carratta, Le riforme del processo civile, cit., p. 45. Contro la lettura che limita le questioni rilevabili d’ufficio alle sole «questioni di puro diritto» cfr. anche I. Pagni, Tra oralità e scrittura: il rischio delle decisioni a sorpresa, relazione al convegno del 15 dicembre 2023 organizzato dalla Riv. trim. dir. proc. civ, e di prossima pubblicazione sulla stessa Rivista.

[4] L’espressione è di D. Buoncristiani, Processo di primo grado. La leale collaborazione tra parti, giudice e terzi, in Il processo civile dopo la riforma, a cura di C. Cecchella, Bologna, 2023, p. 45. V. anche Pagni, Tra oralità e scrittura: il rischio delle decisioni a sorpresa, cit., che parla di rischio di «ritorni all’indietro».

[5] S. Menchini, E. Merlin, Le nuove norme sul processo ordinario di primo grado davanti al Tribunale, in Riv. dir. proc., 2023, p. 588, e Pagni, Tra oralità e scrittura: il rischio delle decisioni a sorpresa, cit. Nello stesso senso, v. F.P. Luiso, Il nuovo processo civile, Milano, 2023, p. 69, dove si afferma che lo scopo dell’anticipazione delle verifiche preliminari rispetto alla prima udienza è scongiurare il pericolo che il processo vi giunga «con difetti processuali idonei a porre nel nulla l’attività preparatoria di cui all’art. 171-ter».

Un simile esito, evidentemente, determinerebbe enormi sprechi di attività processuale, oltre che significative lesioni proprio ai principi di «concentrazione» e «ragionevole durata del processo», indicati dall’art. 1, co. 5, lett. a), della legge delega n. 206/2021, come obiettivi della riforma.

[6] Introdotto dall’art. 3, co. 12, lett. i), del d.lgs. 149/2022.

[7] L’espressione non è dell’ordinanza, ma di A. Carratta, Due modelli processuali a confronto: il rito ordinario e quello semplificato, in Giur. it., 2023, p. 698, che svolge lo stesso rilievo, senza tuttavia prospettare alcuna incostituzionalità dell’art. 171 bis c.p.c.

[8] Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, p. 23, consultabile nel Supplemento straordinario n. 5 alla Gazz. Uff. del 19 ottobre 2022.

[9] Il rilievo è diffuso: cfr. Carratta, Due modelli processuali a confronto, cit., p. 699, dove si legge che «non sembra siano ipotizzabili conseguenze particolari, sul piano processuale, laddove per ipotesi il giudice dovesse omettere, volontariamente o involontariamente, di procedere alle verifiche preliminari dell’art. 171-bis e riservarsi di compierle direttamente all’udienza dell’art. 183 e all’esito della definitiva determinazione del quod decidendum e del quod probandum ottenuta attraverso con lo scambio delle memorie di cui all’art. 173-ter. Ciò che potrebbe comportare la fissazione di una nuova udienza e/o l’adozione dei provvedimenti opportuni finalizzati ad assicurare il rispetto del contraddittorio, ai sensi del 2º comma dell’art. 101 c.p.c.». Nello stesso senso Pagni, Tra oralità e scrittura: il rischio delle decisioni a sorpresa, cit., Menchini, Merlin, Le nuove norme sul processo ordinario di primo grado davanti al Tribunale, cit., 589-590, Luiso, Il nuovo processo civile, cit., p. 70, e Delle Donne, sub art. 171-bis c.p.c., cit., p. 293.

Se l’adozione dei provvedimenti elencati dall’art. 171 bis c.p.c. – come è possibile – venisse rimandata in prima udienza (si pensi alla chiamata in causa del terzo iussu iudicis ex art. 107 c.p.c., o a quella su istanza del convenuto), si aprirebbe inesorabilmente il rischio della «moltiplicazione esponenziale delle memorie»: l’espressione è di Trib. Piacenza, 1° maggio 2023, in questa Rivista, con nota di B. Limongi, Conversione del rito (da ordinario a semplificato) per chiamata in causa del terzo. Prime applicazioni del novellato art. 183-bis c.p.c.

Non sembra azzardato ipotizzare che, fra tutti i provvedimenti immediatamente pronunziabili in sede di verifiche preliminari, l’ordine di integrazione del contraddittorio ex art. 102 c.p.c. mostrerà maggiori criticità sotto il profilo della realizzazione del canone della concentrazione. Infatti, normalmente, il convincimento del giudice circa la necessità di disporre l’integrazione del contraddittorio ex art. 102 c.p.c. si forma solo a seguito della richiesta, rivolta dal giudice alle parti, di opportuni chiarimenti integrativi. Tuttavia, nel rito cd. Cartabia, come visto, immaginare di sottoporre la questione all’attenzione delle parti significa, inevitabilmente, avviare lo scambio delle memorie ex art. 171 ter c.p.c. Col risultato che, laddove poi il giudice dovesse convincersi della necessità di estendere il contraddittorio ad un litisconsorte necessario pretermesso, a quel punto non potrà impedirsi alle parti (che pure hanno già depositato le proprie memorie integrative ex art. 171 ter c.p.c.) di depositare ulteriori tre memorie, entro le quali replicare, di volta in volta, alle difese messe in campo nelle proprie  memorie integrative dal litisconsorte necessario a cui sia stato esteso il contraddittorio. Sul punto v. infra nota 11.

[10] Così ancora Carratta, Due modelli processuali a confronto, cit., p. 699.

[11] Perché, se il litisconsorte necessario, inizialmente pretermesso, viene successivamente citato, avrà evidentemente diritto di depositare tutte e tre le memorie integrative e, di riflesso, le altre parti dovranno poter esercitare, in altrettante memorie, i poteri consequenziali alle difese formulate dal litisconsorte. Oppure, se il rappresentante della parte priva di capacità processuale, ma che frattanto abbia depositato le tre memorie, successivamente compaia in giudizio, avrà evidentemente diritto di depositare tre nuove memorie ex art. 171 ter c.p.c., e, di riflesso, dovrà consentirsi alle controparti di esercitare, in altrettante memorie, i poteri consequenziali alle difese formulate dal rappresentante.

[12] E per Pagni, Tra oralità e scrittura: il rischio delle decisioni a sorpresa, cit., «sebbene non sia previsto un vero e proprio obbligo per il decisore di pronunciare il decreto» ex art. 171-bis c.p.c., con la relativa segnalazione delle questioni rilevabili d’ufficio, nondimeno sarebbe opportuno interpretare la disposizione nel senso che il giudice sia tenuto a pronunciarlo. In questo modo, infatti, sarebbe scongiurato il più volte citato pericolo di «un processo che, come nel gioco dell’oca, debba ripartire da capo, demandando a memorie aggiuntive, anziché alle memorie dell’art. 171-ter, il compiuto svolgimento delle difese delle parti».

[13] In questo senso Pagni, Tra oralità e scrittura: il rischio delle decisioni a sorpresa, cit., per la quale «il focus dev’essere tutto sulla prescrizione dell’art. 171-bis» e, proprio per questo, «la concessione di memorie per osservazioni nei quaranta e venti giorni dev’essere intesa, ancor più di prima, come una extrema ratio».

[14] Ci si riferisce a S. Boccagna, Le norme sul giudizio di primo grado nella delega per la riforma del processo civile: note a prima lettura, in Dir. proc. civ. int. comp., 2022, p. 262.

[15] Così Boccagna, Le norme sul giudizio di primo grado, cit., p. 262, il quale auspicava, all’indomani della pubblicazione della legge delega, l’introduzione da parte del legislatore delegato di un meccanismo sostanzialmente analogo a quello delle verifiche preliminari poi introdotte dal d.lgs. 149/2022, proprio per scongiurare sacrifici eccessivi al canone della concentrazione.

[16] Nell’ordinanza, infatti, si riporta il vecchio co. 4 del previgente art. 183 c.p.c., per il quale «nell’udienza di trattazione ovvero in quella eventualmente fissata ai sensi del terzo comma, il giudice richiede alle parti, sulla base dei fatti allegati, i chiarimenti necessari e indica le questioni rilevabili d’ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione».

[17] Il rilievo è di G. Scarselli, Il Tribunale di Verona dubita della legittimità costituzionale dell’art. 171 bis c.p.c., in giustiziainsieme.it, 2023, consultabile al link https://www.giustiziainsieme.it/it/processo-civile/2952-il-tribunale-di-verona-dubita-della-legittimita-costituzionale-dellart-171-bis-c-p-c-, ultima consultazione 14 dicembre 2023.

[18] Pressoché corrispondenti a quelli oggi elencati dall’art. 171 bis c.p.c.

[19] Per un confronto con le attività incluse nelle verifiche anteriori alla riforma Cartabia cfr. Menchini, Merlin, Le nuove norme sul processo ordinario di primo grado davanti al Tribunale, cit., p. 587, dove si dimostra che le innovazioni introdotte dal d.lgs. 149/2022 sono «più apparent[i] che real[i]».

[20] Con questa considerazione l’incostituzionalità delle verifiche preliminari “sembrerebbe” ineludibile: nella misura in cui le verifiche ex art. 171 bis c.p.c. non consentono decisioni immediate sulle questioni rilevabili d’ufficio, non realizzano il canone della concentrazione, e allora sono costituzionalmente illegittime; quando invece lo realizzano, si pongono in contrasto col principio costituzionale del contraddittorio (artt. 24 e 111 Cost.), ma così finiscono per essere nuovamente illegittime.

[21] Così ad es. Menchini, Merlin, Le nuove norme sul processo ordinario di primo grado davanti al Tribunale, cit., p. 588.

[22] Sui rischi del meccanismo delle verifiche preliminare v. Pagni, Tra oralità e scrittura: il rischio delle decisioni a sorpresa, cit., per la quale «il confronto solitario col fascicolo non aiuta, nemmeno se si crede all’ausilio degli addetti all’ufficio del processo. Le questioni rilevabili d’ufficio potrebbero emergere assai meglio dall’interrogatorio libero che sia ben condotto, ma l’interrogatorio libero è rimasto agganciato alla prima udienza».

[23] Cfr. ex multis Luiso, Il nuovo processo civile, cit., p. 70, per il quale «nessuna di queste attività [quelle dell’art. 171 bis c.p.c.] si preclude, ove non sia compiuta nel termine indicato dalla norma. Ognuna delle questioni indicate potrà essere rilevata nel corso del processo di primo grado, e quasi sempre anche nei gradi successivi».

[24] Dà conto di queste prassi Pagni, Tra oralità e scrittura: il rischio delle decisioni a sorpresa, cit.

[25] La possibilità di contestare i provvedimenti emessi dal giudice in sede di verifiche preliminari è evidenziata, seppur denunciandone la minor incisività, da Menchini, Merlin, Le nuove norme sul processo ordinario di primo grado davanti al Tribunale, cit., p. 589, per i quali «se anche è certamente da ammettersi che gli ordini di compiere le attività “sananti” emessi dall’istruttore ex art. 171-bis, comma 1° (fissando i correlativi termini perentori ex artt. 102, 107, 164, 167, 182 e 291, comma 1°, c.p.c.) possano essere contestati nella loro fondatezza nelle memorie integrative (senza distinzione destinate alla trattazione di tutte le questioni di cui al detto primo comma), resta che, stante la perentorietà dei termini assegnati, le attività “sananti” devono comunque nel frattempo essere compiute se si vuole evitare che il giudice – che non ritenga di ritornare sui propri passi – ne tragga in udienza le conseguenze di legge». Nello stesso senso anche Scarselli, Il Tribunale di Verona dubita della legittimità costituzionale dell’art. 171 bis c.p.c., cit., che pure si mostra complessivamente più vicino alle censure mosse dal giudice remittente.