L’eccessiva leggerezza della logica dell’ufficiale giudiziario quale mero «organo ausiliario-subordinato», capace di legittimare un’esecuzione condotta sine titulo

Di Monica Pilloni -

Sommario: 1. Premessa; – 2. La motivazione della Cassazione: l’u.g. è organo ausiliario subordinato e il titolo esecutivo spedito ex art. 475 c.p.c. non è suscettibile di controllo; – 3. I poteri-doveri dell’ufficiale giudiziario a fronte della carenza di un t.e.: ubi lex voluit dixit, ubi lex tacuit noluit?- 4. Il travisamento del focus della questione. – 5. Rilievi conclusivi.

 1. Premessa. – La vicenda: un ufficiale giudiziario rifiuta di eseguire un pignoramento mobiliare, perché il creditore istante non è munito di titolo esecutivo, essendo stata azionata esecutivamente un’ordinanza di distribuzione del ricavato di un’esecuzione mobiliare ex art. 510, c. 1, c.p.c., erroneamente munita della formula esecutiva. A fronte del diniego (motivato nel verbale in ossequio all’art. 108 del d.p.r. n. 1229/1959)[1], il creditore conviene in giudizio l’u.g., chiedendo il risarcimento dei danni patiti. La domanda risarcitoria viene accolta dal tribunale adito (condannandosi l’u.g. a rifondere le spese del precetto nelle more perento); dopo la conferma in appello, l’u.g. propone ricorso per Cassazione, affidando l’impugnazione a due motivi.

Con il primo, ai sensi dell’art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c., deduce la violazione e/o falsa applicazione degli arti. 60, 474, 475 e 510 c.p.c. e dell’art. 108 d.p.r. n. 1229/1959, per avere la Corte d’appello affermato la sussistenza della responsabilità in capo all’u.g. per la mancata esecuzione di un’ordinanza ex art. 510 c.p.c., sull’erroneo assunto per cui l’apposizione della formula esecutiva obblighi tout court l’u.g. a dar seguito al pignoramento, essendogli precluso ogni controllo sulla natura di titolo esecutivo del documento azionato. Con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. per avere la Corte d’appello erroneamente condannato l’u.g. al risarcimento, in assenza dei presupposti di cui alla norma richiamata, segnatamente dell’ingiustizia del danno: ingiustizia che la Corte ha, invece, ritenuto integrata semplicemente dal rifiuto dell’u.g. di procedere a pignoramento.

Il quesito a cui la Terza Sezione della Cassazione viene chiamata a dare responso è sostanzialmente questo: può l’ufficiale giudiziario rifiutare di eseguire un pignoramento, laddove ravvisi la (chiara) assenza di un titolo esecutivo per non essere il documento azionato riconducibile all’elenco di cui all’art. 474 c.p.c.? Nello specifico, all’ufficiale giudiziario spettano poteri “preventivi” di controllo formale sulla natura esecutiva, e così sull’esistenza del titolo azionato esecutivamente all’atto di realizzazione del pignoramento, ancorché il documento de quo sia stato, sia pur erroneamente, comunque munito della formula esecutiva?

L’occasione è, dunque, propizia per far chiarezza su un tema – quello dei poteri dell’ufficiale giudiziario (anche dall’angolo visuale dei rapporti tra quest’ultimo e il cancelliere) – sino ad oggi non sufficientemente esplorato, posto che la giurisprudenza si è sempre e solo pronunciata affrontando profili collaterali alla questione delineata: quali l’individuazione del ruolo dell’u.g. quale organo esecutivo nel contesto dell’esecuzione forzata e la determinazione del mezzo per poter, in thesi, sindacare un eventuale rifiuto opposto dall’ufficiale giudiziario a una richiesta di pignoramento[2].

La Corte, però, pronuncia una decisione che non lascia soddisfatti, integrando un vero e proprio paradosso “circolare”, in quanto ogni argomentazione spesa dai giudici di legittimità per rigettare il ricorso finisce con l’avvitarsi in contraddizioni e pare frutto di una visione ciecamente autoritaria, che così pone in ombra proprio quello che avrebbe dovuto essere il focus della questione: la doverosa prevalenza del legittimo rifiuto dell’u.g. dinanzi alla richiesta di un creditore la cui iniziativa non è sorretta da un valido titolo esecutivo.

2. La motivazione della Cassazione: l’u.g. è organo ausiliario subordinato e il titolo esecutivo spedito ex art. 475 c.p.c. non è suscettibile di controllo. – La parte motiva della pronuncia di legittimità consente di isolare perlomeno tre enunciati, sui quali la Corte poggia il proprio percorso logico volto ad individuare i limiti alle attribuzioni dell’u.g.

Il primo: l’u.g. non è un organo giurisdizionale ed è, pertanto, privo di poteri giurisdizionali spettanti in via esclusiva al g.e. (punti 9-11).

Il secondo: l’u.g. compie attività meramente esecutiva, onde allo stesso competono «verifiche strettamente formali» (punti 20, 21 e 24), ossia la «semplice lettura delle risultanze estrinseche del titolo esecutivo», posto che «nessuna norma codicistica stabilisce che l’ufficiale giudiziario – quando deve essere munito di titolo esecutivo e precetto (artt. 513, 606, 608 cod. proc. civ.) deve esercitare un controllo su tali atti». Ne discende che «l’ufficiale espleta un controllo che può giustificare il rifiuto del compimento dell’atto soltanto quando la richiesta non sia stata avanzata “legalmente” (la parola – già contenuta nella formula esecutiva ex art. 475 cod. proc. civ. e oggi riportata nell’ultimo comma dell’art. 474 cod. proc. civ. – è significativamente differente da “legittimamente”, termine questo che individua la conformità alle prescrizioni dell’ordinamento e presuppone una verifica più accurata) e, cioè, quando il documento presentato per l’avvio dell’azione esecutiva sia manifestamente carente dei requisiti formali prescritti ad un punto tale da impedire la sua astratta riconduzione a qualsivoglia tipologia di titolo esecutivo».

Il terzo: l’u.g. non può sindacare «l’accertamento del cancelliere» che, ai sensi dell’art. 153 disp. att. c.p.c., nel rilasciare copia esecutiva del titolo, effettua un implicito riconoscimento di un titolo esecutivo in quanto verifica se questo è formalmente perfetto (punti 15 e 19).

Il ragionamento, apparentemente coerente nella sua consequenzialità, muove però da premesse non del tutto validate, e, non senza qualche aporia ricostruttiva, finisce per giustificare una soluzione (rigetto del ricorso) che pare frutto di presbiopia, non vedendosi come il caso di specie coincida perfettamente, e “da vicino”, proprio con l’ipotesi delineata dalla Corte (ossia quella di un documento manifestamente carente dei requisiti per la riconduzione astratta all’art. 474 c.p.c.) al fine di fondare un giusto rifiuto al compimento dell’atto esecutivo: ostativo, come tale, alla formulazione di qualsivoglia domanda risarcitoria.

Nel ritenere infondato il ricorso, la Corte prende dunque le mosse dall’inquadramento della figura e del ruolo dell’u.g., in aperto contrasto con l’opinione espressa dalla persona del ricorrente in un contributo dottrinario da questi pubblicato (evocato a pag. 6 della motivazione, in esplicita violazione del divieto di cui all’art. 118, c. 3, disp. att. c.p.c.!). La Corte non condivide, invero, l’assimilazione dell’ufficiale giudiziario ad «organo giurisdizionale esecutivo dotato di autonomia funzionale»[3] a cui spetterebbe il potere-dovere di effettuare una valutazione ex officio e incidentale sulla sussumibilità dell’atto azionato come titolo esecutivo tra i documenti elencati nell’art. 474 c.p.c., a prescindere dall’apposizione allo stesso della formula esecutiva da parte del cancelliere.

L’idea dell’organo “giurisdizionale” esecutivo, nonostante riecheggi la nozione fatta propria da autorevole dottrina (e pure riportata in alcune risalenti pronunce di legittimità[4])[5], non garba alla sentenza in epigrafe, cui preme mettere in chiaro che con il giudice l’u.g. non ha nulla a che spartire, richiamando all’uopo l’art. 102 Cost. A mente dell’art. 1 del d.p.r. n. 1229/1959, la Corte Suprema rammenta che l’u.g. è “ausiliario” dell’ordine giudiziario, da ciò dovendosi dedurre che, in quanto «organo ausiliario e subordinato», non è dotato di poteri giurisdizionali, i quali competono esclusivamente ai magistrati, rispetto al cui ruolo svolge solamente una «funzione servente».

Da qui il passo è breve, in primis, per ribadire, per un verso, che l’u.g. è impossibilitato a compiere valutazioni che appartengono alle prerogative del giudice, con consequenziale divieto di formulare eccezioni che nemmeno il giudice potrebbe rilevare d’ufficio (quali per es. la carenza di formula esecutiva sul titolo azionato o la sua omessa notificazione o ancora la perenzione del precetto all’atto della richiesta di pignoramento, peraltro sempre oggetto di verifica per quanto veicola la prassi); per negare poi, per altro verso, che l’u.g. abbia il potere di sindacare «l’accertamento» (?!) effettuato dal cancelliere all’atto di spedire esecutivamente il titolo successivamente portato in executivis: non fosse altro perché nessuna norma contempla siffatti poteri in capo all’u.g., mentre due disposizioni – artt. 476 c.p.c. e 154 disp. att. c.p.c. – confermerebbero di contro che il potere di verifica è riconosciuto esclusivamente in capo al cancelliere.

Diretto corollario è che l’u.g. non può mettere in discussione il rilascio della formula esecutiva, non competendogli «alcun riesame dell’attività della cancelleria», né tantomeno spettandogli «i poteri dell’autorità giudiziaria» (punto 19).

Non una parola viene spesa sull’ordinanza ex art. 510, c. 1, c.p.c. e sulla sua supposta valenza di t.e., problematica che costituisce il “cuore” della vicenda e che, però, da centrale diventa del tutto marginale. Non un cenno si rinviene in merito alla riforma del 2022, che ha condotto all’abolizione della spedizione in forma esecutiva ex art. 475 c.p.c.: novità, questa, che ha schiuso scenari alla luce dei quali sarebbe stato senz’altro opportuno un supplemento di riflessione, soprattutto in ordine ai poteri dell’u.g. nel “nuovo regime” in cui la formula … non c’è più.

Ciò che conta per la Corte è l’affermazione di una sorta di gerarchia esecutiva, in ragione della quale il rifiuto da parte dell’ufficiale giudiziario di eseguire il pignoramento, a motivo della pretesa erroneità nella concessione della formula esecutiva da parte del cancelliere, è sempre illegittimo perché proviene da un organo sottordinato che si permette di contestare la valutazione dell’organo sovraordinato (il cancelliere).

3. I poteri-doveri dell’ufficiale giudiziario a fronte della carenza di un t.e.: ubi lex voluit dixit, ubi lex tacuit noluit? è davvero questo il ruolo che l’ufficiale giudiziario ricopre nel contesto dell’esecuzione forzata? Un pubblico funzionario tenuto ad eseguire le richieste della parte e gli ordini impartiti dal giudice senza batter ciglio?

Nell’immaginario collettivo l’u.g. viene spesso concepito come «un mero trasportatore di documenti giuridici, una sorta di “postino di lusso”»[6]. Nei manuali viene invece descritto parafrasandosi il dato testuale di riferimento, l’art. 59 c.p.c., e così sintetizzando le sue funzioni: assistere il giudice, provvedere all’esecuzione degli ordini giudiziari, effettuare le notificazioni e ad attendere le altre incombenze che la legge attribuisce[7]. Tuttavia nella realtà il ruolo svolto dall’u.g. è assai più complesso e le recenti modifiche legislative testimoniano la volontà di riporre maggior affidamento in quest’organo, attribuendogli compiti sempre più pregnanti, segnatamente (oggi che gli incombenti notificatori sono prevalentemente stati assorbiti dalla diffusione della notifica via PEC) nell’ambito di quel ramo della tutela giurisdizionale dei diritti particolarmente delicato qual è l’esecuzione forzata[8].

Del resto, volgendo lo sguardo alle legislazioni d’Oltralpe, si nota come pure le omologhe figure del Gerichtsvollzieher (Germania), dell’Huissier de justice (Francia, Lussemburgo e Belgio), dello Sheriff’s officer o del Bailiff (Gran Bretagna), del Letrado de la Administración de Justicia (Spagna), ecc.[9], a seconda dell’ordinamento in questione, rivestano incarichi di non poco momento. È del resto innegabile che nell’ambito del nostro stesso ordinamento nazionale il legislatore abbia assegnato all’u.g. un ruolo a tal punto di prim’ordine nel contesto dell’esecuzione forzata, che questa si trova talora ad essere condotta esclusivamente da quest’ultimo, senza la presenza del g.e. (come avviene nell’esecuzione per consegna e rilascio ai sensi degli artt. 606 ss. c.p.c., con la prospettiva di un intervento del giudice solo eventuale e “a chiamata”, che compare sulla scena laddove sorgano difficoltà o contestazioni).

La recente riforma di cui al d.lgs. n. 149/2022 ha inciso su alcuni istituti, quale la ricerca telematica dei beni da pignorare ai sensi dell’art. 492 bis c.p.c., sì da rendere di fatto centrale la figura dell’u.g., cui viene ora direttamente inoltrata la richiesta di indagine telematica (dopo la notifica del titolo esecutivo e del precetto, decorso il termine di cui all’art. 480, c. 1, c.p.c.), senza il filtro del previo interpello del Presidente di tribunale. In tal modo si è espressamente attribuito all’ufficiale giudiziario il preventivo controllo della sussistenza di un valido titolo per agire esecutivamente[10] e, prima ancora, per compiere indagini sul patrimonio del debitore esecutando[11]: innovazione questa pure evocata dalla Corte nella pronuncia in esame, ma solo per qualificarla, in modo apodittico, come una mera eccezione alla regola[12] dell’assenza di poteri di controllo del t.e. in capo all’u.g.[13].

Perché l’u.g. non può effettuare un controllo preliminare sulla sussistenza formale di un titolo esecutivo in ipotesi di richiesta di pignoramento accompagnata dall’esibizione di documento munito della formula esecutiva? Nel negare questo potere, la Corte sembra invocare l’antico brocardo secondo cui ubi lex voluit dixit, ubi tacuit noluit: sostanzialmente statuendo che un potere di verifica, di “accertamento” della sussistenza di un titolo formalmente perfetto ai fini della spedizione esecutiva, è conferito dalla legge al cancelliere ma non anche per espresso all’ufficiale giudiziario.

Questa argomentazione è alquanto singolare perché sottende una duplice contraddizione. La prima non può che muovere da questa considerazione. Non c’è disposto del codice di rito che apertamente ammetta il potere del g.e. di rilevare d’ufficio il difetto di valido t.e. integrato dall’assenza del credito, né v’è norma che sancisca la possibilità di procedere all’interpretazione extratestuale del t.e. azionato. Nessun articolo si propone di giustificare l’irretrattabilità della distribuzione a esecuzione ultimata, precludendo al debitore di promuovere ex post un’azione di ripetizione, né v’è disposto che, expressis verbis ed in ossequio ai principi di tassatività e di legalità del titolo esecutivo, attribuisca l’idoneità di titolo esecutivo nei confronti del terzo pignorato dell’ordinanza di assegnazione del credito emessa ex art. 553 c.p.c. Nondimeno la Cassazione, poggiando le proprie decisioni sulle più eterogenee rationes (talora anche di sola opportunità[14]), riconosce da tempo queste realtà, pure a dispetto di un dato testuale del tutto silente sul punto.

Anzi, spigolando nella giurisprudenza, emerge come taluni canoni ermeneutici, da sempre utilizzati come baluardo per una corretta esegesi del testo normativo, vengano sovente posti in secondo piano dalla Suprema Corte rispetto alla necessità di offrire soluzioni più in linea con una progressiva maggior consapevolezza della funzione e, per certi versi, dell’unicità del processo esecutivo, nonché della necessità di tutelare, per quanto possibile, il soggetto esecutato a fronte della sperequazione di poteri tra questi ed il creditore.

Se questa logica ha giustificato e giustifica tuttora talune ardite letture esegetiche offerte dalla Suprema Corte, occorrerebbe prendere in considerazione un aspetto fondamentale che caratterizza il nostro sistema esecutivo, ed il conseguente vantaggio competitivo di cui beneficia il creditore: nel nostro sistema non è contemplato alcun controllo giudiziale sulla sussistenza di un titolo esecutivo valido ed efficace prima dell’inizio dell’esecuzione, non essendo quest’ultima subordinata alla previa autorizzazione giudiziale ottenuta a seguito di presentazione di una domanda esecutiva come avviene in taluni Paesi stranieri[15].

È proprio l’ufficiale giudiziario che, su domanda del creditore, procede ad esecuzione forzata, realizzando il pignoramento, con ciò decretando l’inizio a tutti gli effetti del processo esecutivo. Ed è lo stesso codice a chiarire che tale attività è realizzata dall’ufficiale giudiziario «munito del titolo esecutivo» (v. art. 513 c.p.c. con riguardo al pignoramento mobiliare[16]): previsione alla luce della quale appare assai arduo negare che all’ufficiale giudiziario competa quantomeno un controllo[17], nei limiti dei riscontri oggettivi ed evidenti, della sussistenza formale di un titolo che consenta il compimento del suo operato[18].

La sentenza in epigrafe, invece, preferisce affidarsi all’assunto (punto 21 della motivazione) per cui la verifica circa «l’essere [il creditore] munito di t.e.» non significa «esercitare un controllo su tale atto»[19], alla fine contraddicendo se stessa solo poche righe più avanti: laddove statuisce che, «in considerazione del suo ruolo di ausiliario (in posizione di subalternità), l’ufficiale giudiziario espleta un controllo che può giustificare il rifiuto del compimento dell’atto soltanto … quando il documento presentato per l’avvio dell’azione esecutiva sia manifestamente carente dei requisiti formali prescritti ad un punto tale da impedire la sua astratta riconduzione a qualsivoglia tipologia di titolo esecutivo»[20], così ammettendo proprio quella tipologia di verifiche (circa la riconducibilità del documento azionato ad una delle varie figure di titolo esecutivo) che si vorrebbe in adiecto negare.

4. Il travisamento del focus della questione. – Passiamo alla seconda contraddizione. La Corte, facendo appello ai principi già espressi nella pronuncia Cass. n. 3967/2019[21], statuisce che il controllo effettuato dal cancelliere o dal notaio all’atto di rilasciare la copia esecutiva vale a suggellare l’idoneità dell’atto a fondare l’esecuzione forzata, poiché si verifica l’esistenza di una norma che gli conferisca la qualità di t.e. e si verifica che non ne sia stata disposta la sospensione o che lo stesso non sia stato revocato, annullato o cassato[22].

Quest’ultima affermazione è assai opinabile, non solo per una serie di ragioni già evidenziate in altro nostro scritto a cui si rinvia[23], ma anche perché la Corte pare dare per assodati la natura e l’oggetto di questo controllo, quando l’unica norma che ad esso fa riferimento – l’art. 153 disp. att. c.p.c. nella formulazione ante riforma del 2022 – allude a un rilascio della copia esecutiva «quando la sentenza o il provvedimento del giudice è formalmente perfetto». Né giova al ragionamento condotto dalla Cassazione il richiamo all’art. 476 c.p.c. e all’art. 154 disp. att. c.p.c.: la sanzione ivi prevista non è infatti sancita per un’indebita apposizione della formula esecutiva, in difetto di un titolo esecutivo, bensì per l’ipotesi di apposizione della formula a favore dello stesso creditore in più di una copia del titolo senza giusto motivo (come del resto emerge dal rinvio contenuto nell’art. 154 disp. att. c.p.c. all’art. 476 c.p.c.)[24]. Viene quindi prospettata dalla Cassazione la sussistenza di un potere di controllo da parte del cancelliere la cui latitudine operativa ed efficacia preclusiva, rispetto ad ulteriori verifiche per mano dell’u.g., sono quanto mai dubbie.

Invero, non è affatto chiaro in forza di quale virtù transitiva la sentenza in epigrafe pervenga a fondare una supposta valenza preclusiva al potere di verifica dell’u.g., per la circostanza che il documento azionato è stato controllato e “spedito” dal cancelliere: conclusione cui la Corte approda semplicemente osservando che, «proprio perché la legge non prevede espressamente alcun controllo dell’ufficiale giudiziario sulla “perfezione formale” dell’atto giudiziario, né sono individuate sanzioni analoghe a quelle stabilite per il cancelliere in relazione alla spedizione in forma esecutiva, l’avvenuto rilascio della formula esecutiva non può essere rimesso in discussione dal predetto ausiliario, al quale non compete alcun riesame dell’attività della cancelleria».

Detto in altri termini: a prescindere dal documento azionato, se sullo stesso il cancelliere o il notaio hanno apposto la formula esecutiva, l’ufficiale giudiziario, in qualità di subalterno, è tenuto ad eseguire senza nulla proferire, proprio perché con la spedizione è avvenuto un implicito riconoscimento di un t.e. («accertamento» lo definisce la Corte, nonostante il termine non sia affatto pertinente, considerato che neppure il cancelliere è munito di poteri giurisdizionali, tanto quanto l’u.g.).

Ammesso e non concesso che esista una sorta di subordinazione funzionale in questo contesto, tale per cui l’u.g., una volta apposta la formula esecutiva da parte del cancelliere o del notaio, non può più verificare la presenza dei requisiti formali del titolo azionato esecutivamente, tale supposta preclusione interna non potrebbe giammai spingersi sino ad impedire all’u.g. di rifiutare un pignoramento per oggettiva impossibilità di effettuare una ricognizione del comando da eseguire, come avvenuto nella vicenda che ha fatto da sfondo alla decisione in rassegna. Del resto, se manca effettivamente un titolo esecutivo per inintellegibilità nel contenuto della condanna, il “comandiamo” contenuto nell’obsoleta formula esecutiva non è certamente in grado sopperire a questa carenza: onde l’u.g. non è nelle condizioni di potere procedere a un pignoramento, non essendovi, a monte, un comando contenuto del titolo che ne orienti la portata, dirigendo così l’attività esecutiva[25].

L’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 510, c. 1, c.p.c. è titolo esecutivo per le somme non soddisfatte? La risposta non può che essere negativa se si considera l’orientamento giurisprudenziale in punto di “accertamenti” compiuti dal g.e. in sede di assegnazione[26]: orientamento che la pronuncia in esame neppure prende in considerazione. Ed allora, pur quando vi sia stato un previo rilascio della formula esecutiva da parte del cancelliere, è del tutto legittimo il rifiuto dell’u.g. ad eseguire il pignoramento richiesto, non essendogli del resto precluso, nonostante la spedizione esecutiva del documento, il riscontro sul se effettivamente possa ritenersi “munito di titolo esecutivo”[27] onde procedere a pignoramento[28].

Del resto, nel caso da cui prende le mosse la decisione in epigrafe, l’u.g. – al quale era stato richiesto di compiere un pignoramento mobiliare esibendosi l’ordinanza del g.e. emessa ai sensi dell’art. 510, c. 1, c.p.c. e il precetto – aveva preso atto della mancata consegna del t.e. originario nonostante fosse stato richiamato nel precetto (nello specifico il t.e. era integrato da un assegno bancario): niente di più e di diverso aveva, dunque, compiuto rispetto al potere riconosciutogli dalla stessa Corte di Cassazione, ossia di provvedere a una semplice lettura delle risultanze estrinseche del titolo pure richiamato nell’atto di precetto, ma non all’uopo esibito.

È dunque legittimo il rifiuto di pignoramento da parte dell’u.g. in difetto di titolo esecutivo, spedito o non spedito che sia? Questo solo è il focus della questione che la Corte ha completamente perso di vista, forse abbagliata da un obiettivo diverso che era quello di rivendicare la subalternità dell’u.g. alle prerogative del cancelliere in parte qua, ma così indotta a impiegare le sue migliori energie in un ragionamento che si è risolto, per certi aspetti, in una mera fatica di Sisifo.

5. Rilievi conclusivi. – Che l’ufficiale giudiziario non sia dotato di poteri giurisdizionali al pari del g.e. è affermazione che nessuno mette in discussione[29]. Egli non decide in ordine a diritti e doveri delle parti, né compie attività di giudizio appannaggio del solo magistrato. Tuttavia ciò non significa che l’ufficiale non possa porre in essere indagini relative all’esercizio delle sue funzioni, dovendosi semmai la discussione dirigere sul versante della portata della verifica consentita a quest’organo.

L’u.g. non espleta un controllo «al fine di decidere delle controversie fra le parti … bensì al solo scopo di determinarsi, oppur no, al compimento dell’atto richiestogli»[30]. Del resto, lo stesso Luiso osservava come una forma di cognizione da parte dell’u.g. è «ineliminabile» nel nostro sistema processuale (nell’enunciare che «non è certo sostenibile che egli debba dar seguito ad ogni e qualunque richiesta di esecuzione»)[31]. Il voler ricondurre il ruolo dell’u.g. a mero esecutore “ad occhi chiusi” di ordini impartiti è prospettiva che si scontra con la più elementare osservazione per cui l’ordinamento attribuisce a quest’organo importanti funzioni: sì che, come è stato efficacemente rilevato[32], «nel processo esecutivo, è assai più che un ausiliario del giudice», ancorché «figura ambigua» per dirla come Picardi[33].

L’approdo della Suprema Corte pare poi porsi in posizione diametralmente opposta rispetto al nuovo modo di concepire l’esecuzione forzata manifestato non solo da parte della giurisprudenza (pure di legittimità), ma anche dello stesso legislatore: che vede sempre più nel processo esecutivo un luogo di incontro di differenti professionalità chiamate a collaborare sinergicamente nel comune obiettivo primario di promuovere una celere ed efficiente vendita del bene pignorato a seguito di procedura giusta ed equa. In questo contesto, custode ed esperto stimatore alla vendita sono chiamati ad operare insieme anche per verificare, tramite i moduli di controllo, la presenza di un titolo esecutivo ancora valido ed efficace quale presupposto indefettibile per poter procedere alla vendita coattiva del bene staggito, dovendo all’uopo procedere a segnalarne il difetto al g.e.: nella piena consapevolezza che, una volta venduto il bene, di norma si arriva a un punto di non ritorno per il debitore, fatta eccezione per eventuali richieste risarcitorie.

Se ciò avviene nel corso della procedura, anche nella fase preliminare che segna l’imminente esercizio dell’azione esecutiva deve potersi esplicare un controllo da parte degli organi richiesti, seppur ben circoscritto al riscontro di un documento formalmente riconducibile alla categoria del titolo esecutivo. Certo, anteriormente al 1 marzo 2023, nell’ipotesi di titoli esecutivi giudiziali e di atto pubblico, dovendosi procedere allo loro spedizione ex art. 475 c.p.c., un controllo era previamente effettuato anche dal cancelliere o dal notaio nel momento del rilascio al richiedente (creditore o successore) della copia esecutiva, ma la rilevanza del suddetto controllo è relegata alla verifica della c.d. esecutività in astratto. È se è vero che, come più volte statuito dalla Cassazione, l’assenza della formula esecutiva non inficia la natura di t.e. del documento azionato esecutivamente e rientrante nell’elenco di cui all’art. 474 c.p.c., non può che essere parimenti vero che la sua indebita apposizione non è in grado di consentire che un documento possa munirsi della virtù di essere t.e.

Senza soffermarci sulle plurime ragioni che hanno giustificato l’abolizione della spedizione in forma esecutiva ad opera del d. lgs. n. 149/2022, giova piuttosto evidenziare, prima ancora che sul valore di questo controllo che ha luogo ai sensi dell’art. 475 c.p.c., che oggigiorno l’ufficiale giudiziario è l’unico ed ultimo baluardo rispetto alla verifica circa la sussistenza formale del presupposto indefettibile per potere agire esecutivamente, ora che la formula esecutiva non è più necessaria e nessun organo che si assume “sovraordinato” all’u.g. può farsene carico: a suggello di un’evoluzione che si è posta in termini non innovativi, ma meramente confermativi-accompagnatori della svalutazione dell’atto di “spedizione” in forma esecutiva, e dunque di prerogative dell’ufficiale giudiziario sussistenti anche in precedenza.

[1] Nella pronuncia in esame è riportata per esteso anche la motivazione scritta che ha accompagnato il diniego dell’u.g. a procedere a pignoramento. In essa si evidenzia che il provvedimento del g.e. ex art. 510 c.p.c., azionato esecutivamente nel caso in esame, «non è titolo esecutivo idoneo all’uopo, in quanto non è sussumibile nella categoria dei provvedimenti giurisdizionali ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva, ai sensi e per gli effetti dell’art. 474 c.p.c.», precisandosi che, «di conseguenza, non è dovuta la formula esecutiva erroneamente apposta dal Cancelliere» e osservandosi altresì che, «comunque, l’erronea apposizione di formula esecutiva non comporta l’attribuzione di efficacia esecutiva, essendo l’efficacia esecutiva attribuibile al provvedimento giurisdizionale soltanto ed esclusivamente “ope legis”».

[2] Per la negazione della possibilità di sindacare con l’opposizione agli atti esecutivi il rifiuto dell’u.g. di eseguire il pignoramento, cfr.: Cass. 30 settembre 2015, n. 19573; Cass. 20 dicembre 2012, n. 23625, in Corr. giur., 2013, pp. 1121 ss., con nota di A. Carrato, Quali sono i poteri che spettano all’ufficiale giudiziario quando procede a pignoramento mobiliare?; Cass. 20 gennaio 2011, n. 1335; Cass. 21 marzo 2008, n. 7674; Cass. 12 marzo 1992, n. 3030, in Giur. it., 1992, I, 1, pp. 1680 ss., con nota di M. Atzori, Il rimedio al rifiuto di atti di esecuzione forzata da parte dell’ufficiale giudiziario. In esse si precisa che il diniego opposto dall’u.g. può essere sottoposto al controllo del g.e. ai sensi dell’art. 60 c.p.c. o nelle forme desumibili dalla disciplina del procedimento esecutivo azionato, mentre l’opposizione agli atti esecutivi resta eventualmente azionabile solo avverso il provvedimento del giudice conclusivo di tale procedimento.

[3] Così invece A. Sperti, Il potere officioso dell’ufficiale giudiziario di controllo preventivo dell’esistenza del titolo esecutivo e la conseguente legittimità del suo rifiuto di pignoramento per inesistenza del titolo esecutivo, in Rass. esec. forz., 2023, p. 219. Si ricorda che, in dottrina, l’opinione secondo cui spettano all’ufficiale giudiziario, oltre che funzioni attinenti all’amministrazione della giustizia, anche prerogative rispecchianti «più propriamente la sua funzione giurisdizionale» (tra le quali vengono ricomprese le attività di notificazione degli atti giudiziari e le attività compiute come organo dell’esecuzione), era stata manifestata, tra gli altri, pure da E.T. Liebman, Diritto processuale civile, Padova, 1954, p. 50.

[4] In relazione alle quali si rinvia a V. A. Sperti, I poteri officiosi dell’ufficiale giudiziario nell’esecuzione forzata ordinaria, in Riv. esec. forz., 2017, pp. 159 ss., segnatamente sub nota 34.

[5] Cfr. ex multis: G. Chiovenda, Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1906, p. 185; Id., Istituzioni di diritto processuale civile, II, Napoli, 1934, pp. 68, 70 ss., per l’affermazione che l’u.g. è il terzo organo giurisdizionale componente il tribunale, ravvisando il fondamento della sua autonomia funzionale nel principio di derivazione francese per cui l’u.g. procede agli atti del suo ministero «senza permissione dell’autorità giudiziaria»; F. Carnelutti, Istituzioni del nuovo processo civile italiano, I, Roma, 1942, pp. 113 ss.; S. Satta, Commentario al codice di procedura civile, I, Milano, 1959, p. 216; U. Rocco, Trattato di diritto processuale civile, IV, Torino, 1966, p. 172; P. Calamadrei, Opere giuridiche, IV, Istituzioni di diritto processuale civile, in Collana la memoria del diritto, Roma, 2019, pp. 260-261, ad avviso del quale, pur non facendo parte dell’ordine giudiziario, gli ufficiali giudiziari «hanno nel processo importanti funzioni direttamente demandate dalla legge, che danno ad essi il carattere di organi giudiziari autonomi»; T. Segrè, L’ufficiale giudiziario organo giurisdizionale e amministrativo, in Riv. dir. proc., 1972, pp. 301 ss., il quale peraltro ravvisa nel pignoramento un provvedimento giurisdizionale; Id., Del cancelliere e dell’ufficiale giudiziario, in Commentario del codice di procedura civile, diretto da E. Allorio, libro I, Tomo I, Torino, 1973, pp. 671 ss.; C. Perris, voce Ufficiale giudiziario, in Noviss. Dig. it., XII, pt. II, 1940, p. 618. Sull’autonomia dell’u.g. v. anche N. Jaeger, Il rifiuto del pignoramento. Contributo allo studio della posizione e dei poteri dell’usciere come esecutore giudiziario, in Studi Urbinati, 1983, p. 30 ss.; Id., Diritto processuale civile, Torino, 1943, pp. 184 ss.; V. Andrioli, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 1959, pp. 148 ss.

[6] Così O. Melita, Chi è mai l’ufficiale giudiziario?, in Giustiziainsieme.it.

[7] In merito alle quali v. A. Tedoldi, voce Ufficiale giudiziario, in Digesto IV (disc. priv. – sez. civ.), XIX, Torino 1999, pp. 482 ss.; R. Vanni, voce Ufficiale giudiziario, in Enc. giur. Treccani, XXXII, Roma, 1988, pp. 2 ss.; D. Buoncristiani, voce Ufficiale giudiziario, in Enc. dir., XLV, Milano, 1992, pp. 530 ss.

[8] Cfr. M. Fornaciari, Esecuzione forzata e attività valutativa – introduzione sistematica, Torino, 2009, p. 5, sub nota 3.

[9] Per una disamina delle varie figure di enforcement agents e dei compiti ad essi assegnati si rinvia a W.A. Kennet, Enforcement of judgments in Europe, Oxford, 2000, Ch. 3, pp. 75 ss.

[10] Controllo che, a mente della disposizione richiamata, non risulta condizionato nel suo esercizio dal previo rilascio della formula esecutiva.

[11] Del resto, è la stessa relazione illustrativa alla riforma in esame a chiarire che «è stata soppressa la necessità di autorizzazione da parte del presidente del tribunale, in quanto tale attività implica lo svolgimento di meri controlli formali, non diversi da quelli che l’ufficiale giudiziario già svolge prima di procedere al pignoramento» (v. art. 3 comma 36).

[12] Tale conclusione non risulta affatto razionale: perché mai il controllo preventivo del t.e. da parte dell’u.g. sarebbe previsto solo laddove il creditore volesse ottenere una disclosure forzosa del patrimonio del debitore, mentre sarebbe escluso laddove volesse “più semplicemente” agire in executivis? In una ideale scala di valori, sembra doversi concludere che l’interesse del debitore alla riservatezza circa la composizione del proprio patrimonio è bene più prezioso dell’interesse a non subire una aggressione esecutiva (al punto da esser stato ritenuto sacrificabile solamente in tempi recenti, ad oltre 70 anni dall’entrata in vigore del c.p.c.).

[13] Peraltro, per corroborare i propri assunti, la Cassazione richiama un precedente (Cass. 20 dicembre 2012, n. 23625), nella quale si afferma che «l’attività svolta dall’ufficiale giudiziario in sede di pignoramento è meramente esecutiva». Il rinvio non è affatto pertinente, posto che in detta sede la Corte si è pronunciata in merito a ben altra questione, ossia all’assenza di potere discrezionale in capo all’u.g. di valutare quali beni pignorare e quali no, procedendo a un controllo sui titoli di appartenenza dei beni mobili da staggire: potere questo pacificamente negato (in virtù della presunzione relativa di appartenenza di tutti i beni rinvenuti nella case o nell’azienda del debitore al debitore stesso, ai sensi dell’art. 513 c.p.c., giusta anche la previsione di cui agli artt. 619 e 621 c.p.c.) e che nulla ha a che vedere con quello di verifica d’ufficio dell’esistenza di un titolo per procedere con il pignoramento.

Del pari non del tutto coerente è il richiamo a Cass. 5 giugno 2007, n. 13069. Oltre ad essere relativa a fattispecie diversa da quella che fa da sfondo al caso di specie (creditore pignorante che agiva in forza di un decreto ingiuntivo, cui era stata apposta la formula esecutiva, e debitore che si opponeva sul rilievo della «indebita apposizione della formula», per non essere stata soddisfatta la condizione apposta all’attribuzione dell’efficacia esecutiva al decreto, ossia la prestazione della cauzione ex art. 648 c.p.c.), in essa, en passant, si afferma che «alcun controllo è consentito compiere all’ufficiale giudiziario che non sia quello della semplice lettura delle risultanze estrinseche del titolo esecutivo, non essendo egli adatto a compiere indagini più delicate». Ebbene, come correttamente evidenziato, «la frase, usata dalla Corte per esprimere la non essenzialità della formula esecutiva di cancelleria, al fine della sussistenza o meno del titolo esecutivo, non solo non è incompatibile ma addirittura fotografa il potere-dovere dell’ufficiale giudiziario di controllo officioso preventivo della sussistenza o meno del titolo esecutivo in senso formale» (v. espressamente C. Delle Donne, Sul rifiuto del pignoramento per difetto di titolo esecutivo (ragionando intorno a Cass. n. 14478/2024), in Judicium.it).

[14] Specie con riguardo all’ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c. e alla sua idoneità a valere come titolo esecutivo nei confronti del terzo debitor debitoris. Sul punto v. R. Tiscini, Considerazioni intorno a natura, effetti e regime dell’ordinanza di assegnazione del credito ex art. 553 c.p.c., in Judicium.it.

[15]  Cfr. B. Capponi, Diritto dell’esecuzione civile, Torino, 2023, p. 61.

[16] Cfr. altresì artt. 606 e 608 c.p.c., in relazione rispettivamente all’esecuzione per consegna e per rilascio.

[17] Che all’u.g. spettino poteri di verifica, per stabilire se può procedere a pignoramento, è opinione condivisa anche da G. Verde, voce Pignoramento mobiliare diretto e immobiliare, in Enc. dir., XXXIII, Milano, 1983, pp. 829 ss.

[18] In Germania la possibilità che l’u.g. rifiuti di eseguire un pignoramento è disciplinata al § 766 ZPO, rubricato «Erinnerung gegen Art und Weise der Zwangsvollstreckung». In esso il secondo comma recita appunto che «dem Vollstreckungsgericht steht auch die Entscheidung zu, wenn ein Gerichtsvollzieher sich weigert, einen Vollstreckungsauftrag zu übernehmen oder eine Vollstreckungshandlung dem Auftrag gemäß auszuführen, oder wenn wegen der von dem Gerichtsvollzieher in Ansatz gebrachten Kosten Erinnerungen erhoben werden». In arg., nell’ottica di questo particolare oggetto della opposizione agli atti esecutivi promossa per “vincere” il rifiuto dell’ufficiale giudiziario, v. G. Tarzia, L’oggetto del processo di espropriazione, Milano, 1961, pp. 154 ss.

[19] Tuttavia, per verificare se il creditore ne è munito, di necessità occorre controllare se il t.e. sussiste.

[20] V. Cass. 12 marzo 1992, n. 3030, cit., pure richiamata nella decisione annotata, nella quale si legge che, non essendo il pignoramento un atto eseguito d’ufficio, «spetta al creditore, che ha intimato il precetto, di farne richiesta, consegnando all’ufficiale giudiziario il titolo esecutivo ed il precetto: art. 480 e 513 cod. proc. civ., sicché la mancanza di questi atti legittima il rifiuto dell’ufficiale giudiziario di procedere a pignoramento», con ciò precisandosi che «altre ipotesi di rifiuto dell’ufficiale giudiziario possono essere individuate in relazione alle operazioni di verifica che l’ufficiale giudiziario può compiere all’atto del compimento delle operazioni di pignoramento. Evidentemente si tratta di verifiche strettamente formali, in quanto all’ufficiale giudiziario non è consentito di adottare alcuna decisione in ordine al potere del creditore o all’obbligo del debitore, perché la misura del primo e del secondo è rispettivamente determinata dal titolo esecutivo e dalla possibilità di proporre opposizioni». Pertanto non si esclude affatto un potere di controllo in capo all’u.g., seppur strettamente circoscritto alla verifica della sussistenza formale di un titolo.

[21] V. Cass. 12 febbraio 2019, n. 3967, in Rass. esec. forz., 2019, pp. 385 ss., con note di S. Rusciano, F. Auletta, M. Farina, B. Capponi, A più voci sui principi di diritto pronunciati d’ufficio in tema di spedizione in forma esecutiva e interesse all’opposizione, nonché in Judicium.it, con note di B. Capponi, Principi di diritto pronunciati d’ufficio su spedizione in forma esecutiva e interesse all’opposizione, di F. Auletta, Sulla dubbia “opportunità” e i limiti certi della pronuncia d’ufficio ai sensi dell’art. 363, 3° comma, c.p.c. (“ovvero quali siano le conseguenze della mancata apposizione della formula esecutiva sul titolo notificato al debitore”), di M. Farina, Contraddittorio negato e dottrina giudiziaria in una recente pronuncia “nomofilattica” della Suprema Corte in materia di spedizione in forma esecutiva. Ivi la Corte, invocando i principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire, ha statuito che «il debitore che intenda opporre, ai sensi dell’art. 617 c.p.c., la mancanza sul titolo della formula prevista dall’art. 475 c.p.c., deve contestualmente indicare quale effettivo pregiudizio dei suoi diritti di difesa sia derivato da tale omissione», non potendosi limitare a dedurre l’irregolarità formale in sé considerata: con il corollario che, in mancanza di indicazione del concreto pregiudizio che essa abbia cagionato ai diritti tutelati dal regolare svolgimento del processo esecutivo, l’opposizione è inammissibile per carenza di interesse. Conf. Cass. 18 novembre 2019, n. 29804.

Alla progressiva svalutazione giurisprudenziale dell’utilità della formula esecutiva aveva contribuito altresì Cass. 11 dicembre 2020, n. 28303, in Rass. esec. forz., 2021, pp. 421 ss., con nota di B. Capponi, Ma a cosa serve la spedizione in forma esecutiva?, ove si legge che, in caso di successione nel titolo esecutivo ex latere creditoris verificatasi prima dell’instaurazione del processo esecutivo, il titolo può essere azionato coattivamente dal successore senza che sia indispensabile una nuova spedizione in forma esecutiva in suo favore, in quanto la copia esecutiva può essere rilasciata, indifferentemente, a favore della parte a cui beneficio è stato pronunciato il provvedimento oppure dei suoi successori, purché sia fatta indicazione in calce della persona alla quale è stata spedita (art. 475, comma 2, c.p.c.) e non siano spedite in forma esecutiva più copie del medesimo titolo in favore di ogni titolare del credito.

[22] Peraltro si legge altresì al punto 17 della motivazione che «altra funzione della spedizione in forma esecutiva è quella di individuare la parte che ha diritto ad utilizzare il titolo, alla quale soltanto può esserne dato il possesso» (v. però sul punto la nota subito sopra).

[23] V. M. Pilloni, La formula esecutiva, le nuove modalità telematiche di rilascio e la prospettiva di sua soppressione, in Le nuove leggi civ. comm., 2021, pp. 1494 ss.

[24] Un conto è, invero, il controllo sull’esistenza di un formale titolo esecutivo che ha luogo all’atto di spedizione ai sensi dell’art. 475 c.p.c., per il quale non è prevista espressamente sanzione in caso di indebita apposizione della formula esecutiva; altro conto è, però, il controllo che non siano state munite della formula esecutiva due copie anziché una sola, per il quale invece è prevista una sanzione in caso di violazione. In arg. v. R. Vaccarella, Titolo esecutivo, precetto, opposizioni, in Giurisprudenza sistematica di diritto processuale civile, diretta da A. Proto Pisani, Torino, 1983, pp. 145-146; A.M. Soldi, Manuale dell’esecuzione forzata, Milano, 2022, p. 229-230.

[25] Come osservato da Sperti, l’errore del cancelliere nell’apposizione della formula esecutiva su provvedimento non costituente t.e. è suscettivo di rimedio ex post per il tramite dell’opposizione all’esecuzione attivata dal debitore, ma anche ex ante, d’ufficio, per il tramite del rifiuto opposto dall’u.g., «in conformità al principio generale sistematico dell’ammissibilità della doppia valutazione consecutiva sulla medesima questione: la prima endo-esecutiva officiosa e la seconda eventuale cognitiva, con la variante della doppia valutazione endo-esecutiva: la prima, effettuata dall’ufficiale giudiziario, e la seconda effettuata dal giudice dell’esecuzione, in sede di controllo endo-esecutivo dell’operato dell’ufficiale giudiziario». V. A. Sperti, I poteri officiosi dell’ufficiale giudiziario nell’esecuzione forzata ordinaria, cit., pp. 177 ss., ss., ivi anche per l’illustrazione delle ragioni di matrice storico-giuridica, sistematico-giuridica e giurisprudenziale alla base della non vincolatività ex se della formula esecutiva “spedita” dal cancelliere.

[26] Cfr. Cass. 5 ottobre 2018, n. 24571, in Corr. giur., 2019, pp. 253 ss., con nota di S. Boccagna, Le spese dell’espropriazione forzata secondo la Suprema Corte tra (presunti) abusi del creditore e (denegata) effettività della tutela giurisdizionale; in senso analogo Cass. 30 dicembre 2011, n. 30457, con la quale si è statuito che il potere che il g.e può esercitare ai sensi dell’art. 95 c.p.c., è quello, previsto dall’art. 510 c.p.c., di determinare l’importo di quanto spetta ai creditori per capitale, interessi e spese, compiendo un’operazione di mera liquidazione delle varie voci che costituiscono il diritto del creditore, non già in vista dell’emanazione di una statuizione di condanna, bensì in vista della successiva distribuzione ed assegnazione, interamente o parzialmente satisfattiva secondo la consistenza della massa attiva ricavata dall’espropriazione; Cass. 29 maggio 2003, n. 8634; Cass. 5 marzo 2003, n. 3282, nella quale si legge che il g.e., quando provvede alla assegnazione del ricavato al creditore procedente ed ai creditori intervenuti, determinando la parte a ciascuno spettante per capitale, interessi e spese, effettua accertamenti funzionali alla soddisfazione coattiva dei diritti fatti valere nel processo esecutivo e, conseguentemente, il provvedimento di liquidazione delle spese dell’esecuzione implica un accertamento meramente strumentale alla distribuzione del ricavato, privo di forza di giudicato al di fuori del processo in cui è stato svolto (in essa, al punto 5.2.3, si afferma altresì che «emerge allora una perfetta corrispondenza tra ambito dei poteri del giudice dell’esecuzione e regola sul carico delle spese del processo di espropriazione, se questa è interpretata nel senso per cui le spese sopportate dai creditori intervenuti sono a carico del debitore che ha sopportato l’espropriazione, ma solo in quanto riescono a trovare soddisfazione sul ricavato. Per contro, se a questa regola si prestasse il significato di consentire ai creditori intervenuti il diritto di vedersele rimborsate per intero ed alla liquidazione di tali spese fatta dal giudice dell’esecuzione in sede di distribuzione del ricavato il valore di un accertamento destinato a fare stato fuori del processo esecutivo, riuscirebbe difficile intendere perché al giudice dell’esecuzione, nel processo di espropriazione forzata, non sia stato attribuito il potere di condannare o di ingiungere al debitore di pagare ai creditori intervenuti l’ammontare delle spese che non abbiano potuto trovare soddisfazione sul ricavato»). In senso conforme in merito alla natura degli “accertamenti” compiuti dal g.e. v. Cass. 25 giugno 2003, n. 10129; Cass. 18 marzo 2003, n. 3985.

[27] Si tratta di soluzione assolutamente condivisibile, se si considera che la prospettiva della responsabilità civile dell’u.g. di cui all’art. 60, n. 1, c.p.c., per non aver compiuto un atto legalmente richiesto, rinviene la propria esimente nel ricorrere di un giusto motivo di diniego: fermo restando che la giurisprudenza riconosce alla parte alla quale è opposto il rifiuto la possibilità di censurarlo, rivolgendosi al giudice dal quale l’u.g. dipende, affinché ordini a quest’ultimo di compiere l’atto richiesto entro un determinato termine.

[28] Sul rifiuto dell’u.g. di eseguire il pignoramento, quando manca il titolo esecutivo, v. G. Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, II, cit., p. 72-73; P. Castoro, Il processo esecutivo nel suo aspetto pratico, Milano, 2006, pp. 332 ss., ad avviso del quale in mancanza del t.e. e del precetto l’u.g., in quanto organo giurisdizionale con autonoma sfera di iniziativa e di responsabilità, può e deve astenersi dall’esercitare il compito richiestogli, a prescindere da qualsiasi iniziativa privata del debitore (chiarendo che «altrimenti, a parte la facoltà di quest’ultimo di proporre opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi, secondo le circostanze, egli rischia di assumere la responsabilità prevista nell’art. 2043 c.c.»); B. Capponi, Diritto dell’esecuzione civile, cit., p. 61; R. Oriani, L’opposizione agli atti esecutivi, Napoli, 1987, pp. 128 ss.; A. Saletti, Processo esecutivo e prescrizione. Contributo alla teoria della domanda esecutiva, Torino, 1988, pp. 82 ss.; G. Martinetto, Il pignoramento in generale, in L’espropriazione forzata, a cura di M. Bove, B. Capponi, G. Martinetto, B. Sassani, Torino, 1988, 58 ss.; A.M. Soldi, Manuale dell’esecuzione forzata, cit., p. 958 ss., che lo ammette non solo laddove il creditore non esibisca e consegni l’originale del t.e., ma anche quando l’u.g. rilevi il difetto di legittimazione attiva del preteso creditore, il difetto di legittimazione passiva del preteso debitore «ovvero nei casi in cui riscontri che il documento in forza del quale il creditore richieda il pignoramento non ha natura di titolo esecutivo ai sensi dell’art. 474 c.p.c.», con ciò chiarendo che l’u.g. è tenuto a verificare l’esistenza e la regolarità del t.e. Sul punto v. altresì S. Satta, Esecuzione forzata, Torino, 1952, p. 83. In arg., con ampia indicazione di esempi che concretamente legittimano il rifiuto, A.A. Romano, Espropriazione forzata e contestazione del credito, Napoli, 2008, pp. 23 ss., spec. pp. 25 ss., nonché A. Tedoldi, Esecuzione forzata, Pisa, 2020, p. 98, il quale afferma che spetta all’u.g. il compito di verificare la sussistenza dei presupposti dell’azione esecutiva, cioè la giurisdizione e la competenza, l’esistenza, la validità e l’idoneità estrinseca del titolo esecutivo come atto-documento, la legittimazione attiva e passiva in base al titolo, la previa notificazione del titolo e del precetto.

[29] Nondimeno l’u.g. è l’artefice del pignoramento che concreta a tutti gli effetti un atto giuridico modificativo della sfera giuridica del debitore. V. C. Mandrioli-A. Carratta, Diritto processuale civile, IV, Torino, 2024, p. 75. Cfr. N. Jaeger, Il rifiuto del pignoramento, cit., p. 6.

[30] Così espressamente N. Jaeger, Il rifiuto del pignoramento, cit., p. 18

[31] Così espressamente F.P. Luiso, L’esecuzione «ultra partes», Milano, 1984, pp. 91 ss.

[32] V. C. Mandrioli-A. Carratta, Diritto processuale civile, IV, cit., p. 25.

[33] Considerazione sviluppata dall’autore in relazione anche al difficile inquadramento dello status dell’u.g. (cfr. N. Picardi, L’ufficiale giudiziario: una figura ambigua, in Giust. civ., 1993, II, pp. 537 ss.).