Limiti soggettivi del giudicato e 1306 c.c.…appunti a margine di Cass. n. 2462/2024

Di Margherita Pagnotta -

1.La Corte di cassazione con l’ordinanza n. 2462/2024 ha enunciato il seguente principio di diritto “il giudicato reso inter alios ha efficacia in favore del terzo ove questi manifesti l’intenzione di avvalersi dell’altrui accertamento a lui favorevole”, accogliendo il motivo di ricorso con il quale il ricorrente aveva denunciato la violazione dell’art. 2909 c.c. per avere la corte territoriale rigettato le due eccezioni di giudicato dallo stesso proposte nel giudizio di appello.

Si può così molto brevemente sintetizzare la vicenda: l’attore X conveniva in giudizio Y chiedendo il risarcimento dei danni conseguenti al mancato adempimento degli obblighi derivanti da una precedente sentenza di condanna che obbligava la società Z, della quale il convenuto Y era al tempo amministratore, al reintegro dell’attore nel posto di lavoro e al risarcimento del danno.

Il giudice di prime cure rigettava la domanda, facendo leva su di un precedente giudicato derivante da un giudizio di natura penale (dove l’attore si era costituito parte civile) con cui il convenuto, in relazione al fallimento della Z, era stato prosciolto dall’imputazione di bancarotta fraudolenta per distrazione per insussistenza del fatto. Contro questa decisione l’attore proponeva appello, formulando le suddette eccezioni di giudicato.

Le due eccezioni di giudicato riguardavano : il giudicato relativo all’esito favorevole dell’azione revocatoria ordinaria proposta dalla curatela del fallimento avverso la società Z ed il giudicato relativo all’accoglimento dell’azione di responsabilità proposta sempre dalla curatela del fallimento ai sensi dell’art. 146 l. fall., con relativa condanna dell’amministratore al risarcimento dei danni.

Occorre evidenziare fin da ora che l’attore/ricorrente non è mai stato parte dei procedimenti relativamente ai quali si sono formati i due giudicati civili eccepiti.

Come anticipato, la corte territoriale rigettava l’appello, ritenendo non rilevanti i giudicati eccepiti in quanto maturati successivamente a quello penale, già preso in considerazione dal giudice di prime cure.

L’attore ricorreva allora in cassazione denunciando la violazione dell’art. 2909 c.c. per avere la Corte di appello erroneamente rigettato l’eccezione di giudicato proposta in ragione della preesistenza di un giudicato penale di segno opposto, dovendosi invece applicare la regola per cui nel conflitto tra due giudicati prevale quello che si è formato per ultimo.

La Corte dichiara fondato il motivo e accoglie il ricorso, ritenendo che, per quanto riguarda il conflitto fra giudicati, questo deve risolversi applicandosi la medesima regola che si applica per la successione delle leggi nel tempo, per cui il secondo giudicato prevale sempre sul primo (enuncia, quindi, un primo principio di diritto in questo senso).

Si sofferma poi sulla effettiva possibilità per il ricorrente di formulare un’eccezione di giudicato, introducendo nel giudizio due pronunce originate da due processi dove non è stato parte.

Il nodo della questione è questo.

La Corte sul punto ritiene che l’accertamento contenuto nella sentenza relativa all’azione di responsabilità avverso l’amministratore passata in giudicato fa stato nei confronti del ricorrente (e può essere quindi eccepita in giudizio) in base al principio generale espresso dall’art. 1306 c.c., secondo cui gli effetti della pronuncia operano secundum eventum litis.

In particolare, secondo il richiamato principio, la sentenza resa inter pauciores non avrebbe mai effetto contro coloro che sono rimasti estranei al processo ma potrebbe essere opposta da costoro a chi ne è stato parte, come ha fatto il ricorrente con l’amministratore.

2.L’ordinanza, a sostegno di quanto esposto, richiama Cass. n. 18325/2019 e Cass. S. U. n 14815/2008, sulle quali è necessario soffermarsi brevemente.

Cass. n. 18325/2019 enuncia il seguente principio di diritto: “In tema di assicurazione obbligatoria sulla responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, il giudicato di condanna del danneggiante non può essere opposto dal danneggiato che agisca nei confronti dell’assicuratore perché devono essere garantiti il diritto di difesa del terzo ed i principi del giusto processo e del contraddittorio. Pertanto, detto giudicato può avere nel successivo giudizio esclusivamente efficacia di prova documentale”.

In questa sentenza la Corte affronta il tema della cosiddetta “efficacia riflessa del giudicato” nei rapporti caratterizzati da un vincolo di pregiudizialità – dipendenza, analizzando il problema relativo all’opponibilità del giudicato favorevole al danneggiato, e conseguito nei confronti del solo danneggiante, all’assicuratore in ambito di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore.

Per efficacia riflessa del giudicato si intende che il giudicato, oltre che ad avere una sua efficacia diretta nei confronti delle parti, dei loro eredi e aventi causa (ex 2909 c.c.), sarebbe dotato anche di un’ulteriore forza espansiva, nel senso che la sentenza come affermazione oggettiva di verità produrrebbe conseguenze giuridiche anche nei confronti di soggetti rimasti estranei al processo in cui è stata emessa, qualora questi siano titolari di un diritto dipendente dalla situazione definita in quel processo o comunque di un diritto subordinato a tale situazione.

Ripercorrendo gli orientamenti relativi alla configurabilità o meno di un’efficacia riflessa del giudicato in generale e nel rapporto trilaterale tra danneggiato, danneggiante e assicurazione, (il problema non si porrebbe, invece, nell’ipotesi di azione diretta del danneggiato contro l’assicurazione perché in questo caso è previsto ex lege il litisconsorzio necessario con il danneggiante), la Corte arriva ad escludere la suddetta ipotesi ritenendo in primo luogo che, nell’assicurazione obbligatoria, il rapporto tra assicuratore e responsabile civile è ascrivibile ad una forma di solidarietà atipica, con obbligazione a carattere unisoggettivo.

Tale inquadramento comporterebbe, di conseguenza, l’applicabilità dell’art. 1306 c.c., per cui il giudicato sfavorevole intervenuto tra danneggiato e danneggiante non potrebbe essere fatto valere contro il terzo assicuratore che non ha preso parte al processo ma quest’ultimo potrebbe, invece, far valere contro il danneggiato l’eventuale giudicato a sé favorevole ottenuto dal danneggiante contro il danneggiato.

In secondo luogo, il riconoscimento di un’efficacia riflessa del giudicato nel rapporto tra assicuratore e danneggiante comporterebbe un esito privo di ragionevolezza, in quanto determinerebbe un trattamento non uniforme dell’assicuratore che, nel caso di assicurazione obbligatoria non risentirebbe, quale debitore solidale, del giudicato sfavorevole reso nei confronti del danneggiante ove si tratti dell’azione promossa nei suoi confronti dal danneggiato, mentre nel caso di azione di rivalsa promossa dal danneggiante, quel giudicato sfavorevole potrebbe essergli opposto, assumendo che la regola di cui all’art. 1306 c.c. riguardi esclusivamente il rapporto fra il ceditore e uno dei debitori in solido e non anche quello fra danneggiante e assicuratore in sede di regresso.

L’irragionevolezza di tale conclusione è ancor più evidente, secondo la Corte, se si ricorda che la disciplina dell’assicurazione obbligatoria è improntata, mediante l’istituto dell’azione diretta, ad una tutela rafforzata del danneggiato al quale, nella descritta ipotesi, non sarebbe consentito ciò che, invece, è concesso al danneggiante e cioè di opporre il giudicato all’assicuratore.

Peraltro, evidenzia la Corte, contro la tesi dell’opponibilità del giudicato al terzo titolare del rapporto dipendente militano anche argomentazioni di ordine processuale e costituzionale.

Dal punto di vista processuale, la stessa esistenza di una norma come l’art. 106 c.p.c. e di un istituto come il litisconsorzio processuale, finalizzati all’estensione degli effetti dl giudicato al terzo titolare del rapporto dipendente, non sarebbe coerente con un sistema che consente tale espansione anche senza la partecipazione del terzo al processo.

Dal punto di vista costituzionale, la teoria del giudicato riflesso colliderebbe poi con principi quali il diritto di difesa del terzo (art. 24 Cost.), del contraddittorio e del giusto processo (art. 111 Cost.).

Conclude la Corte che in generale, anche con riferimento ai rapporti caratterizzati da pregiudizialità – dipendenza, deve escludersi che il giudicato possa operare contro il terzo estraneo al processo; ammette, tuttavia, che dall’art. 1306 c.c. possa desumersi un principio generale per cui gli effetti del giudicato favorevole al terzo possano da questo essere opposti al soggetto che è stato parte del processo pregiudicante, operando, quindi, gli effetti del giudicato secudum eventum litis.

Al di fuori di questa ipotesi, il giudicato può avere solo efficacia di prova quale fatto storico risultante da un documento.

3.Con Cass. S. U. n 14815/2008, le Sezioni unite hanno enunciato il seguente principio di diritto : “Il ricorso contro l’accertamento tributario emesso per la rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società ed associazioni di cui all’ art. 5 d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 che sia proposto da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente questa e tutti i soci (salvo che questi prospettino questioni personali), i quali devono essere parte nello stesso processo in qualità di litisconsorti necessari, e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi.”

Le Sezioni unite sono intervenute per risolvere il contrasto tra due differenti orientamenti: l’uno che prevedeva la necessaria partecipazione di tutti i soci al giudizio relativo alla determinazione del reddito della società di persone; l’altro che prospettava la necessaria sospensione del processo relativo ai soci ex art. 295 c.p.c., in attesa della formazione del giudicato sull’accertamento del reddito societario.

Il problema  dei rapporti tra i ricorsi proposti dalle società di persone per impugnare un avviso di accertamento ILOR e quelli proposti dai soci per contestare il conseguente accertamento IRPEF, nasce dal fatto che i fatti in contestazione sono sostanzialmente gli stessi (non si può accertare il reddito dei soci senza aver accertato il reddito sociale, e l’accertamento del reddito sociale condiziona l’accertamento del reddito dei soci) e, quindi, tra i due giudizi sussiste un vincolo di consequenzialità necessaria o, comunque, di pregiudizialità/continenza; tuttavia, la giurisprudenza ha sempre escluso che il giudicato sulla questione pregiudiziale (il giudicato relativo al reddito della società) possa avere efficacia vincolante nella causa introdotta dal ricorso dei soci se questi non abbiano partecipato al giudizio della società (con conseguente impossibilità di ricorrere all’art. 295 c.p.c. per i soci che non hanno preso parte al processo).

La questione è stata risolta configurando un’ipotesi di litisconsorzio necessario ed originario tra società e soci, la cui violazione comporta la nullità del processo e della sentenza.

Di conseguenza vige sul giudice un obbligo di integrazione del contraddittorio ex art. 14 del D. Lgs. n. 546/1992 (norma affine all’art. 102 c.p.c.) e gli eventuali ricorsi proposti separatamente andranno riuniti dinnanzi allo stesso giudice.

In questa sede la Corte evidenzia che il giudicato non può essere opposto a chi non ha partecipato al processo ma “il terzo, se una norma lo prevede (come l’art. 1306 c.c.), può beneficiare del giudicato inter alios”.

In particolare, la Corte ritiene che, secondo questo principio, il giudicato di annullamento dell’avviso di accertamento notificato alla società può fare stato nel processo riguardante i soci, in ragione del carattere oggettivamente pregiudiziale, in quanto la mancata partecipazione degli stessi al giudizio relativo alla società non gli sarebbe stata in alcun modo pregiudizievole perché l’annullamento dell’avviso di accertamento giova ai soci.

In questo caso, dice la Corte, si verifica “una sorta di pregiudizialità secundum eventum litis” che produce effetti positivi e negativi per coloro che hanno preso parte al processo ed effetti soltanto positivi nei confronti dei litisconsorti rimasti estranei al giudizio.

Si evidenza che le suddette Sezioni unite del 2008 per giungere alla conclusione della sussistenza del litisconsorzio necessario, hanno tenuto presente quanto era stato precedente detto da Cass. 1052/2007, secondo cui “Ricorre una ipotesi di litisconsorzio necessario, nel processo tributario, ogni volta che, per effetto della norma tributaria o per l’azione esercitata dall’amministrazione finanziaria, l’atto impositivo debba essere o sia unitario, coinvolgendo nella unicità della fattispecie costituiva dell’obbligazione tributaria una pluralità di soggetti, e il ricorso proposto da uno o più degli obbligati abbia ad oggetto non la singola posizione debitoria del solo ricorrente, ma la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato”.

4.Occorre a questo punto cercare di tirare un filo rosso per capire in che modo e con quali limiti si possa effettivamente parlare di efficacia del giudicato nei confronti dei terzi estranei al processo secundum eventum litis.

Il richiamo alla giurisprudenza riportata da Cass. n. 2462/2024 a sostegno del principio di diritto non appare convincente.

Le richiamate Cass. n. 18325/2019 e Cass. S.U. n. 14815/2008, ipotizzando una possibile efficacia espansiva del giudicato per i soli effetti favorevoli, pongono l’attenzione sul tipo di legame che deve sussistere fra la questione oggetto del giudicato e quella oggetto del processo dove il terzo potrebbe volerlo dedurre in suo favore.

Si tratta, in particolare, di rapporti caratterizzati da un vincolo di consequenzialità necessaria o comunque di pregiudizialità – dipendenza, che presuppongono il necessario esame dell’una questione pregiudicante per risolvere l’altra e, di conseguenza, le posizioni dei singoli soggetti che sono stati parte del processo e del terzo che vuole giovarsi degli effetti favorevoli devono risultare inscindibilmente connesse.

Questo tipo di legame è riscontrabile nelle ipotesi, sopra esaminate, di assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile nel rapporto tra danneggiante danneggiato e assicuratore, dove addirittura nel caso di azione diretta del danneggiato nei confronti dell’assicurazione si impone il litisconsorzio necessario con il danneggiante; o, ancora, nel caso di giudizio di impugnazione di un avviso di accertamento ILOR da parte di una società di persone ed il giudizio di impugnazione proposto dai relativi soci per contestatore il conseguente accertamento IRPEF dove, infatti, le Sezioni unite hanno ritenuto di imporre il litisconsorzio necessario tra la società e i soci vista l’identità sostanziale delle questioni da affrontare ed il valore strettamente pregiudicante della sentenza resa nei confronti della società.

Peraltro, di efficacia espansiva degli effetti favorevoli del giudicato secondo una applicazione generale dell’art. 1306 c.c. avevano già parlato anche Cass. n. 12260/2009 e Cass. n. 8779/1994 (giurisprudenza, tuttavia, non richiamata dalla sentenza in commento).

In entrambi i casi la Corte aveva ritenuto l’applicabilità, in ipotesi di rapporti caratterizzati da inscindibilità, del principio identico principio di diritto secondo cui: “In tema di limiti soggettivi del giudicato, il disposto degli art. 1306 e 1310 c.c. – i quali prevedono con riferimento alle obbligazioni solidali, e quindi ad un rapporto con pluralità di parti, ma scindibile, che i condebitori i quali non abbiano partecipato al giudizio tra il creditore ed altro condebitore possano opporre al primo la sentenza favorevole al secondo (ove non basata su ragioni personali) – costituiscono espressione di un più generale principio, operante a fortiori con riguardo a rapporti caratterizzati da inscindibilità, secondo cui alla parte non impugnante si estendono gli effetti derivanti dall’accoglimento dell’impugnazione proposta da altre parti contro una sentenza sfavorevole emessa nei confronti di entrambi.”

Anche in questa ipotesi si tratta di una espansione dell’efficacia del giudicato “giustificata” da una univocità del rapporto e dalla necessità di consentire anche a coloro che, pur avendo partecipato al giudizio di primo grado, non hanno partecipato al giudizio di impugnazione, di giovarsi degli effetti favorevoli derivanti della sentenza.

Tutto questo si giustifica alla luce dell’inscindibilità del rapporto sul piano sostanziale, secondo la stessa ratio che si cela dietro le norme che disciplinano il simultaneus processus e il litisconsorzio in primo grado e nei giudizi di impugnazione.

Da questa ricostruzione, si evince, dunque, che l’estensione degli effetti favorevoli del giudicato ex 1306 c.c. sembrerebbe potersi realizzare, per ragioni di opportunità, solo verso quei soggetti terzi che avrebbero dovuto essere parte del processo e che, invece, non lo sono stati. Le Sezioni unite del 2008 fanno proprio riferimento al caso del socio litisconsorte pretermesso, ritenendo che questo possa giovarsi degli effetti del giudicato favorevole originato nel processo dove doveva essere chiamato a partecipare in quanto “l’accertamento non subisce i limiti soggettivi del giudicato nei confronti di soggetti i quali, per quanto non abbiano partecipato al contraddittorio, siano totalmente vittoriosi” (o, come si è detto, virtualmente vittoriosi, cfr. Cass. n. 24071/2019).

In generale, l’esigenza sottesa a questa “espansione” per i soli effetti positivi del giudicato sembrerebbe essere quella di dare un senso a quei giudicati che si sono formati a contraddittorio non integro quando tale vizio non ha in alcun modo leso i pretermessi che anzi, essendo vittoriosi, hanno interesse a giovarsi degli effetti di quel provvedimento.

Altrimenti l’alternativa sarebbe la consueta strada della radicale inefficacia della sentenza e alle parti non rimarrebbe che iniziare un nuovo giudizio a contraddittorio integro.

Questa soluzione, tuttavia, per le particolari ipotesi descritte dove il pretermesso non subisce alcuna lesione dalla mancata partecipazione al giudizio (anzi!), sembra poco in linea con l’esigenza di rispettare principi come la ragionevole durata del processo.

5.Per quanto riguarda la sentenza in commento, non sembra riscontrabile una situazione di questo tipo. Si tratta, infatti, di un creditore che vanta un autonomo credito risarcitorio avverso l’amministratore della società Z, per avere la stessa eluso gli obblighi derivanti da una sentenza del giudice del lavoro che ordinava il reintegro dell’attore nel posto di lavoro e il relativo risarcimento del danno; per far valere tale credito l’attore vuole giovarsi dei due giudicati ottenuti dalla curatela fallimentare all’esito positivo dell’azione revocatoria ordinaria e dell’azione di responsabilità verso l’amministratore.

Rispetto ai rapporti dedotti rispettivamente nei giudizi promossi dalla curatela ed in quello promosso dall’attore, non si evince alcuna inscindibilità sul piano sostanziale tale da determinare una consequenzialità necessaria ovvero pregiudizialità – dipendenza sul piano dell’accertamento processuale. Non sembra pertanto esserci spazio per il riconoscimento di una efficacia dei suddetti giudicati anche nei confronti del creditore secondo la previsione e la logica  dell’art. 1306 c.c.

La tesi della Corte abbatte i limiti soggettivi del giudicato che, in questo modo, verrebbero totalmente meno, lasciando spazio ad una vera e propria efficacia ultra partes della sentenza e, ancor prima, ad un superamento dei limiti oggettivi. Non vi è, infatti, evidentemente, alcuna sostanziale identità tra l’oggetto dell’accertamento (cioè della fattispecie accertata) con la fattispecie del diritto del terzo. Il giudicato inter alios espande la sua efficacia in termini di effetti positivi solo se vi è quel particolare legame dei rapporti sul piano sostanziale che non si rinviene nel caso di specie.

I giudicati relativi ai procedimenti svolti dalla curatela potevano allora essere introdotti nel processo a sostegno della domanda del creditore ma solo come prove attestanti un determinato fatto storico, con possibilità dell’amministratore di far valere le proprie ragioni.

Si rischia, altrimenti, di estendere indebitamente al concetto di giudicato (seppur in bonam partem) tutti i casi in cui, per varie ragioni,  i rapporti sono in qualche modo connessi o comunque hanno semplicemente a che fare l’uno con l’altro, che non è però ciò che le Sezioni unite del 2008 intendevano quando hanno parlato di pregiudizialità secundum eventum litis, trattandosi lì sempre di litisconsorti pretermessi o titolari di diritti dipendenti da quelli accertati nel rapporto pregiudicante.