L’istruttoria stragiudiziale nel procedimento di negoziazione assistita

Di Luigi Rosario Luongo -

Sommario: 1. Premessa: L’introduzione della «istruttoria stragiudiziale» nell’ambito del procedimento di negoziazione assistita – 1.1. La finalità di consentire la fissazione dei fatti anche nel successivo giudizio introdotto tra le parti della negoziazione assistita1.2. (Segue) La parziale attuazione della legge delega – 2. Oggetto e obiettivi dell’indagine – 3. L’acquisizione di dichiarazioni da parte di un «informatore» – 3.1. L’invito a rendere le dichiarazioni – 3.2. Gli inviti e gli avvertimenti preliminari all’audizione del terzo informatore – 3.3 (Segue) L’identificazione del terzo informatore e l’invito a dichiarare se ha rapporti di parentela o di natura personale e professionale con alcuna delle parti o se ha un interesse nella causa – 3.4 (Segue) L’avvertimento circa la qualifica dei soggetti dinanzi ai quali il terzo informatore è invitato a rendere le dichiarazioni e lo scopo della loro acquisizione – 3.5. (Segue) Gli avvertimenti circa le facoltà di non rendere le dichiarazioni e di astenersi – 3.6. (Segue) L’avvertimento circa le responsabilità penali per le false dichiarazioni – 3.7. (Segue) L’avvertimento circa il dovere di riservatezza – 3.8. (Segue) L’avvertimento circa le modalità di acquisizione e di documentazione delle dichiarazioni – 4. La mancata previsione dell’obbligo per il terzo informatore di rendere la dichiarazione d’impegno o renda le proprie generalità – 5. Modo di deduzione – 5.1. (Segue): a) l’onere di specifica indicazione dei fatti, di formulazione di capitoli separati e di specifica indicazione dei terzi invitati a rendere le dichiarazioni – 5.2. (Segue): b) la rilevanza dei fatti – 6. Numero dei terzi informatori e rinuncia all’audizione – 7. Il divieto di audizione del minore di anni quattordici – 7.1. (Segue) L’apparente illegittimità costituzionale – 7.2. (Segue) La legittimazione a sollevare la questione di legittimità costituzionale e la sua possibile inammissibilità per difetto di rilevanza – 8. Il documento contenente le dichiarazioni del terzo informatore – 8.1. (Segue): a) il valore di «piena prova» di quanto «gli avvocati attestano» essere avvenuto in loro presenza – 8.2. (Segue): b) la deroga all’obbligo di riservatezza di cui all’art. 9, comma 2 d.l. n. 132/2014 – 8.3. (Segue): c) il valore probatorio delle dichiarazioni del terzo informatore – 9. L’audizione anticipata del terzo informatore – 10. Le dichiarazioni confessorie – 10.1. (Segue) L’invito a rendere le dichiarazioni – 10.2. (Segue) Modo di deduzione – 10.3. (Segue): a) l’onere di specifica indicazione dei fatti e di formulazione di capitoli separati e specifici – 10.4. (Segue): b) la rilevanza dei fatti – 11. La rinuncia all’invito ed il rifiuto di rendere dichiarazioni – 12. Il documento contenente le dichiarazioni confessorie. Le funzioni della sottoscrizione dell’avvocato – 12.1. (Segue): a) il valore di «piena prova» di quanto «l’avvocato attesta» essere avvenuto in sua presenza – 12.2. (Segue): b) l’ulteriore deroga all’obbligo di riservatezza – 12.3 (Segue): c) il valore probatorio delle dichiarazioni confessorie – 13. Considerazioni conclusive

Abstract

Il contributo prende in esame una delle principali innovazioni tra quelle introdotte, alla disciplina della negoziazione assistita di cui al d.l. 12 settembre 2014, n 132, dall’art. 9, d.lgs. n. 10 ottobre 2022, n. 149, emanato in attuazione della legge delega n. 206/2021. Ovvero, la previsione di un’istruttoria stragiudiziale, i cui risultati possono essere prodotti in giudizio qualora la negoziazione assistita si sia chiusa senza accordo. L’innovazione si ispira alla versione primigenia della discovery prevista nel sistema processuale statunitense.

Oggetto dell’indagine sono, in particolare, gli istituti dell’acquisizione delle dichiarazioni di terzi «informatori» e dell’acquisizione di dichiarazioni «confessorie» della controparte nell’ambito del procedimento di negoziazione assistita. Viene esaminato, inoltre, per gli elementi in comune, l’istituto dell’audizione anticipata del terzo informatore, anch’esso disciplinato dal d.l. n. 132/2014 (art. 4-bis, comma 7).

L’obiettivo è quello di illustrare la disciplina posta dal d.l. n. 132/2014 in relazione agli istituti de quibus, nonché il valore probatorio dei documenti contenenti le dichiarazioni dei terzi e le dichiarazioni confessorie e del loro contenuto.

Al fine, le scarne previsioni contenute nel d.l. n. 132/2014 sono confrontate sia con le prescrizioni dettate dalla legge delega n. 206/2021, sia con la disciplina di legge in tema di prova testimoniale, di confessione stragiudiziale e di assunzione di testimoni a futura memoria (quest’ultima letta alla luce dell’interpretazione giurisprudenziale e dell’elaborazione dottrinale).

L’indagine permetterà di rilevare alcune criticità nel disegno dell’istruttoria stragiudiziale tratteggiato dal d.l. n. 132/2014, specie riguardo alla garanzia del diritto di difesa e del contraddittorio. Per rimediare alle rilevate criticità, nel contributo si propongono soluzioni interpretative e, talvolta, accorgimenti pratici, adoperabili in concreto dalle parti e dai loro avvocati.

1.Premessa. L’introduzione della «istruttoria stragiudiziale» nell’ambito del procedimento di negoziazione assistita

Il 10 ottobre 2022 il Governo ha emanato il d.lgs. n. 149/2022[1], in attuazione della legge delega 26 novembre 2021, n. 206[2], il cui art. 1, comma 1, aveva prescritto il «riassetto formale e sostanziale del processo civile», perseguendo «obiettivi di semplificazione, speditezza e razionalizzazione» di quest’ultimo.

Il d.lgs. n. 149/2022, intervenendo sul rapporto tra giurisdizione ordinaria e forme di giustizia alternativa e complementare ha introdotto, tra l’altro, alcune disposizioni tese a «valorizzare» e «rafforzare» l’istituto della negoziazione assistita[3].

Le innovazioni in tema di negoziazione assistita sono contenute nell’art. 9 del d.lgs. n. 149/2022, il quale ha apportato «Modifiche al decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162»[4].

Ai sensi dell’art. 35, comma 1[5], esse hanno avuto effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023, salva la specifica disciplina del patrocinio a spese dello Stato, che ha trovato applicazione a decorrere dal 30 giugno 2023, ai sensi dell’art. 41, comma 4[6].

Tra le innovazioni de quibus, suscita particolare interesse[7] la possibilità di dare luogo ad una «istruttoria stragiudiziale»[8].

L’istruttoria stragiudiziale nell’ambito del procedimento di negoziazione si ispira alla pre-trial discovery del processo civile statunitense[9]. Più in dettaglio, alla versione primigenia della discovery[10], la quale era rimessa alla gestione dei soli avvocati, senza la previsione di poteri di controllo e di programmazione in capo del giudice[11].

Essa può realizzarsi attraverso il ricorso a due strumenti: a) l’«acquisizione di dichiarazioni» di un terzo «informatore»[12] (art. 4-bis, d.l. n. 132/2014); b) la richiesta alla controparte di rendere «dichiarazioni confessorie» per iscritto su fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli alla parte nel cui interesse sono richieste (art. 4-ter, d.l. n. 132/2014).

Accanto a tali strumenti, ed in particolare all’interno della disciplina dettata per l’acquisizione di dichiarazioni di un terzo informatore, il d.l. n. 132/2014 prevede la possibilità di chiedere al giudice di ordinare la sua audizione anticipata. L’audizione anticipata del terzo informatore non rientra nell’attività di istruttoria stragiudiziale in senso proprio, giacché non si svolge nell’ambito del procedimento di negoziazione assistita. Essa, tuttavia, presuppone lo svolgimento del procedimento de quo.

La possibilità di ricorrere ad uno degli strumenti dell’istruttoria stragiudiziale deve essere stabilita dalle parti nella convenzione di negoziazione assistita, ai sensi dell’art. 2-bis, comma 1, lett. a) e b), d.l. n. 132/2014[13].

Il 24 febbraio 2023 il Consiglio Nazionale Forense ha approvato tre modelli per la conclusione delle convenzioni di negoziazione assistita: 1) un modello standard; 2) un modello per le controversie in materia lavoro; 3) un modello per le controversie in materia di famiglia[14].

I modelli predisposti dal CNF per la conclusione delle convenzioni di negoziazione assistita prevedono clausole aggiuntive per l’eventuale attività di istruzione stragiudiziale.

1.1. La finalità di consentire la fissazione dei fatti anche nel successivo giudizio introdotto tra le parti della negoziazione assistita

Il fine primario dell’introduzione della possibilità di dar luogo ad un’istruttoria stragiudiziale è di mettere le parti in condizione di acquisire tutti gli elementi che possano condurre alla composizione della lite[15]. Ma non è ad essa estranea – spiega la Relazione illustrativa al d.lgs. n. 149/2002[16] – l’ulteriore finalità di «fissazione dei fatti anche ai fini dell’eventuale futuro giudizio introdotto in caso di insuccesso della negoziazione assistita».

Perseguendo la finalità da ultimo indicata si è inteso realizzare «una forma di giustizia complementare realizzata attraverso il costruttivo apporto degli avvocati»[17].

La dottrina è concorde sulla rilevanza della possibilità di utilizzare i risultati dell’istruttoria stragiudiziale nel successivo eventuale giudizio[18]. Tuttavia, pur riconoscendo che la «“delocalizzazione” dell’istruttoria»[19] può consentire di abbreviare la fase di trattazione[20], e comunque conseguire un risparmio di tempo in sede contenziosa[21], denuncia come essa comporti la riduzione delle garanzie difensive e del contraddittorio ed il sostanziale abbandono dei principi di oralità e immediatezza[22]. Ed inoltre, che la mancanza di un controllo giudiziale diminuisce le chances di utilizzo dell’istituto[23] e può condurre a forme di abuse of discovery[24]; fenomeno che nel sistema statunitense si è tentato di arginare attraverso progressive riforme del sistema originario della discovery[25].

1.2. (Segue) La parziale attuazione della legge delega

La possibilità di utilizzare i risultati dell’istruttoria stragiudiziale nell’eventuale futuro giudizio instaurato tra le parti della negoziazione assistita era stata dettata dalla legge delega n. 206/2021.

In particolare, l’art. 1, comma 4, lett. t) n. 3, della legge delega aveva prescritto di prevedere «l’utilizzabilità delle prove raccolte nell’ambito dell’attività di istruzione stragiudiziale nel successivo giudizio avente ad oggetto l’accertamento degli stessi fatti e iniziato, riassunto o proseguito dopo l’insuccesso della procedura di negoziazione assistita».

Confrontando le indicazioni contenute nella legge n. 206/2021 e le previsioni attuative adottate con il d.lgs. n. 149/2022, si nota una maggiore ampiezza delle prime.

Invero, il Legislatore delegato ha attuato la prescrizione sopra richiamata distinguendo tra le dichiarazioni del terzo informatore e le dichiarazioni confessorie. In particolare, ha previsto:

-con riguardo alle dichiarazioni del terzo informatore, che il documento contenente le dichiarazioni «può essere prodotto nel giudizio tra le parti della convenzione di negoziazione assistita» (art. 4-bis, comma 6, secondo periodo, d.l. n. 132/2014);

-con riguardo alle dichiarazioni confessorie della controparte, che il documento contenente queste ultime «può essere prodotto nel giudizio iniziato dalle parti della convenzione di negoziazione assistita» (art. 4-ter, comma 2, d.l. n. 132/2014).

La maggiore ampiezza delle prescrizioni contenute nella legge delega rispetto alle previsioni attuative sembra essere confermata dalla Relazione illustrativa al d.lgs. n. 149/2022[26], dove – come già evidenziato[27] – si legge che la previsione dell’istruttoria giudiziale consente la «fissazione dei fatti anche ai fini dell’eventuale futuro giudizio introdotto in caso di insuccesso della negoziazione assistita»[28].

Un’interpretazione letterale delle previsioni attuative indurrebbe ad escludere la possibilità di fare utilizzo sia delle dichiarazioni del terzo che delle dichiarazioni confessorie della controparte nel giudizio proseguito o riassunto in seguito all’insuccesso della procedura di negoziazione assistita.

Si pensa all’ipotesi in cui, a giudizio già iniziato, si dia avvio alla negoziazione assistita – se del caso «delegata» dal giudice, come previsto dai Protocolli adottati presso alcuni Tribunali[29] – e, conclusasi la negoziazione senza l’accordo, il giudizio debba essere proseguito o riassunto poiché interrotto, oppure debba essere riassunto quando ne sia stata disposta la sospensione oppure il giudice abbia dichiarato la propria incompetenza.

L’attuazione parziale delle prescrizioni contenute nella legge delega non potrebbe condurre ad una declaratoria di illegittimità costituzionale, se si tiene presente che la Consulta ritiene che l’esercizio incompleto della delega non importi violazione degli artt. 76 e 77 Cost., salvo che ciò non determini uno stravolgimento della legge di delega[30], potendo comunque determinare una responsabilità politica del Governo nei confronti del Parlamento[31].

Resta tuttavia la possibilità per i giudici, alla luce delle prescrizioni contenute nella legge delega, di compiere un’interpretazione integrativa[32] delle previsioni de quibus (artt. 4-bis, comma 6, secondo periodo e 4-ter, comma 2), consentendo l’utilizzo delle dichiarazioni del terzo e delle dichiarazioni confessorie nel giudizio – non soltanto iniziato, ma altresì – proseguito o riassunto in seguito all’insuccesso della procedura di negoziazione assistita.

2.Oggetto e obiettivi dell’indagine

Premesso quanto precede, nelle pagine che seguono sarà analizzata la disciplina in tema di istruttoria stragiudiziale contenuta nel rinnovato d.l. n. 132/2014.

Più in dettaglio, saranno esaminati gli istituti dell’acquisizione di dichiarazioni di terzi «informatori» e dell’acquisizione di dichiarazioni «confessorie» della controparte nell’ambito del procedimento di negoziazione assistita. Nell’esaminare l’istituto dell’acquisizione di dichiarazioni di terzi informatori, sarà altresì considerata la previsione della possibilità di audizione anticipata davanti al giudice, anch’essa disciplinata dal d.l. n. 132/2014.

Le scarne previsioni contenute nel d.l. n. 132/2014 saranno confrontate sia con le prescrizioni dettate dalla legge delega n. 206/2021, sia con la disciplina di legge in tema di prova testimoniale, di confessione stragiudiziale e di assunzione di testimoni a futura memoria, letta alla luce dell’interpretazione giurisprudenziale e dell’elaborazione dottrinale.

La preannunciata analisi si prefigge l’obiettivo di illustrare la disciplina posta dal d.l. n. 132/2014 in relazione agli istituti de quibus, nonché il valore probatorio dei documenti contenenti le dichiarazioni dei terzi e le dichiarazioni confessorie e del loro contenuto.

Al fine, le scarne previsioni contenute nel d.l. n. 132/2014 saranno confrontate sia con le prescrizioni dettate dalla legge delega n. 206/2021, sia con la disciplina di legge in tema di prova testimoniale, di confessione stragiudiziale e di assunzione di testimoni a futura memoria (quest’ultima letta alla luce dell’interpretazione giurisprudenziale e dell’elaborazione dottrinale).

3.L’acquisizione di dichiarazioni da parte di un terzo «informatore»

L’acquisizione di dichiarazioni da parte di un terzo «informatore» nell’ambito della procedura di negoziazione assistita è disciplinata dall’art. 4-bis d.l. n. 132/2014, introdotto dall’art. 9, comma 1, lett. g) del d.lgs. n. 149/2022.

La disciplina dettata dall’art. 4-bis va integrata con le disposizioni di cui all’art. 2-bis, comma 3, d.l. n. 132/2014.

Mentre quest’ultima norma dispone che le dichiarazioni del terzo non possono essere acquisite con modalità telematiche né con collegamenti audiovisivi da remoto, l’art. 4-bis, comma 1 stabilisce che le dichiarazioni vanno acquisite alla presenza degli avvocati che assistono le parti, presso lo studio professionale dell’avvocato che ha formulato l’invito o presso il Consiglio dell’ordine degli avvocati. Nel silenzio dell’art. 4-bis, comma 1, si può ritenere che le dichiarazioni possono essere raccolte presso il Consiglio dell’ordine circondariale del luogo ove è stata stipulata la convenzione di negoziazione, oppure presso il Consiglio al quale è iscritto uno degli avvocati[33].

La scelta di non consentire l’acquisizione in modalità telematica delle dichiarazioni dei terzi è ritenuta opportuna da chi, in dottrina, osserva come essa sia finalizzata ad agevolare la verifica della correttezza della verbalizzazione, oltre a risultare coerente con il nuovo art. 127-bis c.p.c.[34]

3.1. L’invito a rendere le dichiarazioni

L’art. 4-bis, comma 1, d.l. n. 132/2014 prevede che «ciascun avvocato può invitare un terzo a rendere dichiarazioni su fatti specificamente individuati e rilevanti in relazione all’oggetto della controversia».

Rinviando ad altro momento l’interpretazione della previsione con riferimento ai fatti «specificamente individuati»[35] e «rilevanti»[36], qui conta evidenziare che per l’invito al terzo informatore non sarà necessario procedere alla notificazione, risultando sufficiente l’impiego di qualunque altro mezzo, quali una comunicazione a mezzo posta elettronica certificata o ordinaria[37].

Della modalità in concreto adoperata per l’invito dovrà essere dato atto nel verbale[38], ma non anche nel documento contenente le dichiarazioni del terzo (sul quale v. infra § 8). L’indicazione delle modalità dell’invito consente di verificare la conoscenza del medesimo da parte del terzo informatore. La verifica assume rilievo in funzione dell’eventuale richiesta di audizione anticipata del terzo informatore, la quale potrebbe essere denegata dal giudice per il fatto che il terzo informatore non abbia ricevuto comunicazione dell’invito (sull’audizione anticipata v. infra § 9).

Nel silenzio della legge, si deve ritenere che l’invito deve contenere l’indicazione dei fatti sui quali il terzo è chiamato a rendere dichiarazioni. Ed inoltre, che l’atto debba essere comunicato alla controparte. Ciò, al fine di assicurare il rispetto del diritto di difesa, del principio della parità delle armi e del contraddittorio nella formazione della prova, nonché di consentire alla controparte di articolare la prova contraria.

3.2. Gli inviti e gli avvertimenti preliminari all’audizione del terzo informatore

Quando il terzo informatore risponda all’invito presentandosi, allo stesso, previa identificazione, devono essere rivolti un ulteriore invito e numerosi «avvertimenti»[39].

Più precisamente, egli è invitato a dichiarare se ha rapporti di parentela o di natura personale e professionale con alcuna delle parti o se ha un interesse nella causa, ed è altresì preliminarmente avvisato (art. 4-bis, comma 2):

a) della qualifica dei soggetti dinanzi ai quali rende le dichiarazioni e dello scopo della loro acquisizione;

b) della facoltà di non rendere dichiarazioni;

c) della facoltà di astenersi ai sensi dell’articolo 249 c.p.c.;

d) delle responsabilità penali conseguenti alle false dichiarazioni;

e) del dovere di mantenere riservate le domande che gli sono rivolte e le risposte date;

f) delle modalità di acquisizione e documentazione delle dichiarazioni.

 

3.3. (Segue) L’identificazione del terzo informatore e l’invito a dichiarare se ha rapporti di parentela o di natura personale e professionale con alcuna delle parti o se ha un interesse nella causa

L’identificazione del terzo informatore e l’invito a dichiarare se ha rapporti di parentela o di natura personale e professionale con alcuna delle parti o se ha un interesse nella causa rimandano all’art. 252, comma 1, c.p.c.[40].

La condotta dell’informatore che rifiuti di rendere le proprie generalità non è sanzionata. Il combinato disposto dei commi 2 e 3 dell’art. 366 c.p.[41] – che punisce il testimone, il quale rifiuti di rendere le proprie generalità «all’Autorità giudiziaria» o ad «ogni altra persona chiamata ad esercitare una funzione giudiziaria» dinanzi alla quale è chiamato a deporre –, non sembra infatti poter trovare applicazione nel contesto della negoziazione assistita.

Non può escludersi, invece, la punibilità del terzo informare che dichiari false generalità, ai sensi dell’art. 495, comma 1, c.p.[42]. Invero, l’avvocato al quale sono rese le generalità riveste la qualifica di «pubblico ufficiale» nell’esercizio delle sue funzioni, in ragione dell’attestazione svolta, nel documento contenente le dichiarazioni del terzo, ai sensi dell’art. 4-bis comma 6 (sul punto v. infra § 8.1). Di contro, non sembra possa trovare applicazione l’art. 496 c.p., il quale sanziona le dichiarazioni mendaci fatte a «persona incaricata di un pubblico servizio»[43]. Pare, infatti, difficile ricondurre alla nozione di pubblico servizio[44] l’attività svolta dagli avvocati nel procedimento di negoziazione assistita, salvo ritenere che essa sia espletata nell’interesse della collettività[45].

L’attribuzione agli avvocati della valutazione circa l’interesse del terzo informatore nella causa potrebbe essere motivo di contrasto tale da pregiudicare il bonario componimento della lite[46].

Quando il terzo sia stato ascoltato nell’ambito del procedimento di negoziazione assistita nonostante l’esistenza di un suo interesse nella causa, il giudice potrà non tenere conto delle sue dichiarazioni.

Qualora, invece, il terzo informatore non sia ascoltato in ragione di tale contrasto, il giudice potrà disporne l’escussione in giudizio. Ciò, in forza dell’art 4-bis, comma 6, ultimo periodo, d.l. n. 132/2014, il quale prevede che «il giudice può sempre disporre che l’informatore sia escusso come testimone». Per ammettere l’escussione ex novo del testimone, il giudice dovrà aver previamente risolto il probabile incidente sorto (anche) nel giudizio circa la sua legittimazione a deporre. Sul contrasto tra le parti circa la legittimazione a deporre, il giudice deciderà con ordinanza ex art. 205 c.p.c.[47].

3.4. (Segue) L’avvertimento circa la qualifica dei soggetti dinanzi ai quali il terzo informatore è invitato a rendere le dichiarazioni e lo scopo della loro acquisizione

L’oggetto dell’avvertimento innanzi elencato sub a)[48] è duplice: dichiarare al terzo la «qualifica» dei soggetti davanti ai quali quest’ultimo rende le dichiarazioni ed illustrargli lo «scopo» dell’acquisizione delle dichiarazioni.

La «qualifica» dei soggetti davanti ai quali il terzo è chiamato a rendere dichiarazioni è, con ogni evidenza, quella di avvocato.

Lo «scopo» dell’acquisizione delle dichiarazioni può essere ricavato dalle già ricordate[49] finalità dell’istruttoria giudiziale.

In questa prospettiva, gli avvocati dovranno chiarire al terzo lo scopo attuale e quello potenziale dell’acquisizione delle sue dichiarazioni.

Lo scopo attuale è quello di consentire la fissazione dei fatti in vista di una possibile composizione amichevole della controversia tra le parti, nell’ambito del procedimento di negoziazione assistita.

Lo scopo potenziale è quello di consentire la fissazione dei fatti in vista del giudizio instaurato (o riassunto o proseguito[50]) in caso di insuccesso della negoziazione assistita.

Se si condivide la prospettiva appena indicata, il terzo andrà inoltre avvisato della possibilità che il giudice ne disponga l’escussione come testimone, alla luce del comma 6, ultimo periodo dell’art. 4-bis.

3.5. (Segue) Gli avvertimenti circa le facoltà di non rendere le dichiarazioni e di astenersi

La somiglianza di oggetto tra gli avvertimenti sub b) e c)[51] – ossia della facoltà di non rendere dichiarazioni e della facoltà di astenersi ai sensi dell’articolo 249 c.p.c. – ne suggerisce la trattazione congiunta.

L’art. 1, comma 4, lett. t) n. 1) della legge delega n. 206/2021 aveva prescritto di prevedere, nell’ambito della disciplina dell’attività di istruzione stragiudiziale, «la possibilità per i terzi di non rendere le dichiarazioni».

L’art. 4-bis, comma 2, in attuazione della prescrizione appena ricordata, ha previsto, rispettivamente alle lettere b) e c), di avvertire il terzo della facoltà di non rendere dichiarazioni e della facoltà di astenersi ai sensi dell’articolo 249 c.p.c.[52].

Per quanto attiene alla previsione della possibilità di astensione, oggetto dell’avvertimento di cui all’art. 4-bis, comma 2, lett. c), essa non sembra censurabile di illegittimità costituzionale per eccesso di delega. Invero, la scelta del Legislatore delegato di prevedere, accanto alla facoltà di non rendere dichiarazioni, anche la facoltà di astensione, pare porsi in linea con la ratio della delega[53] e non contrastare con l’indirizzo generale dalla stessa desumibile[54].

Sebbene l’art. 4-bis, comma 2, lett. c) faccia richiamo alla facoltà di astensione di cui all’art. 249 c.p.c., la previsione dell’avvertimento non trova riscontro nella disciplina del codice di procedura. Nel processo civile, il giudice non ha l’obbligo di avvertire il testimone dell’esistenza della facoltà di astenersi e della possibilità di beneficiarne[55].

A parte questa incongruenza tra le due previsioni, il richiamo all’art. 249 c.p.c. deve ritenersi integrale. Ciò agevola non poco l’individuazione dei limiti, dei tempi e delle modalità per l’esercizio della facoltà di astensione nell’ambito del procedimento di negoziazione assistita.

Con riguardo ai limiti, si deve ritenere che anche nella procedura di negoziazione assistita tale facoltà sia circoscritta ai soggetti e alle ipotesi previsti dagli artt. 200, 201 e 202 c.p.p.

Con riguardo ai tempi, la facoltà di astensione deve essere esercitata all’atto dell’ammonimento ex art. 251 c.p.c. – ove quest’ultimo sia dovuto o comunque possibile[56] – e comunque non oltre l’inizio dell’esame testimoniale o la formulazione delle domande relative ai fatti sui quali può essere esercitata la facoltà di astensione[57].

Quanto, infine, alle forme, si deve ritenere che la volontà del terzo di astenersi debba risultare da apposita dichiarazione, nella quale si dovrà altresì dare conto dei motivi dell’astensione. La soluzione è consentita, innanzitutto, dal richiamo espresso all’art. 249 c.p.c. Invero, sebbene la norma non lo preveda espressamente, la dottrina sostiene che l’esercizio della facoltà di astensione deve risultare da apposita dichiarazione[58]. La soluzione, inoltre, è consentita dall’applicazione analogica dell’art. 257-bis, c.p.c. il quale dispone che «quando il testimone si avvale della facoltà di astensione di cui all’articolo 249, ha l’obbligo di compilare il modello di testimonianza, indicando le complete generalità e i motivi di astensione». L’analogia è legittimata dall’elemento di fatto[59] che anche le dichiarazioni del terzo nel procedimento di negoziazione assistita vanno trasfuse in un documento producibile in giudizio.

Per l’indicazione dei motivi dell’astensione non sarà necessario compilare un modello ad hoc, potendo l’apposita dichiarazione risultare dal documento contenente le dichiarazioni del terzo informatore (sul quale v. infra, § 8).

Diversamente dal processo civile, nel procedimento di negoziazione assistita non vi è spazio per l’indagine circa la ricorrenza dei presupposti per l’astensione, né può darsi luogo all’incidente sollevato sulla relativa dichiarazione, che nel processo civile va risolta dal giudice con ordinanza ex art. 205[60].

Per quanto attiene all’art. 4-bis, comma 2, lett. b), la previsione della facoltà di non rendere dichiarazioni ed il relativo avvertimento non trovano corrispondenza nel codice di procedura civile.

Al contrario, l’art. 256 c.p.c. stabilisce che il giudice, nel caso di rifiuto di deporre, debba denunciare il teste al pubblico ministero, salvo che ricorra un giustificato motivo; giustificato motivo che la giurisprudenza e la dottrina hanno ravvisato in ipotesi peculiari[61].

Ciò comporta che per l’individuazione dei limiti, tempi e modalità per l’esercizio della facoltà di non rendere dichiarazioni non si possa rinviare alla disciplina del codice di rito.

Quanto ai limiti, la genericità della previsione della facoltà di non rendere dichiarazioni induce ad escludere che per l’esercizio di quest’ultima debba ricorrere un giustificato motivo.

Quanto ai tempi e alle modalità di esercizio della facoltà in discorso, ragioni di coerenza sistematica inducono a concludere che valgano qui le stesse regole già viste per l’esercizio della facoltà di astensione. Pertanto, anche la facoltà di non rendere dichiarazioni dovrà essere esercitata all’atto dell’ammonimento ex art. 251 c.p.c. – ove lo si ammetta – e comunque non oltre l’inizio dell’esame testimoniale; essa, inoltre, dovrà risultare da apposita dichiarazione.

Pare appena il caso di notare che la previsione della possibilità di non rendere dichiarazioni, certamente applicabile a qualsivoglia terzo informatore, rende di fatto inutile la previsione della facoltà di astensione ai sensi dell’art. 249 c.p.c., che invece – si è poc’anzi ricordato – subisce limitazione soggettive ed oggettive, essendo circoscritta ai soggetti e alle ipotesi previsti dagli artt. 200, 201 e 202 c.p.p.

Se il rifiuto del terzo di rendere dichiarazioni è perfettamente lecito e dunque non sanzionabile, esso è nondimeno capace di produrre conseguenze. Come si vedrà infra § 9, quando il terzo rifiuti di rendere dichiarazioni – o non si presenti a renderle – e il procedimento di negoziazione assistita si sia chiuso senza l’accordo, la parte che ritiene necessaria la sua deposizione può chiedere che ne sia ordinata l’audizione davanti al giudice, ai sensi dell’art. 4-bis, comma 7.

3.6. (Segue) L’avvertimento circa le responsabilità penali per le false dichiarazioni

L’avvertimento sub d), che ha per oggetto le responsabilità penali conseguenti alle false dichiarazioni, si pone in stretta correlazione con gli avvertimenti sub b) e c). Assieme a questi ultimi, esso è funzionale all’applicazione del comma 3 dell’art. 371-ter c.p., introdotto dall’art. 5 del d.lgs. n. 149/2022.

Il comma 3 dell’art. 371-ter ha previsto il reato di «false dichiarazioni al difensore»[62] rese dal terzo informatore che non si sia avvalso della facoltà di astensione o della facoltà di non rendere dichiarazioni nel procedimento di negoziazione assistita[63].

L’iniziativa per l’accertamento penale della falsità delle dichiarazioni – certamente rimessa al difensore – può riconoscersi anche al giudice del processo iniziato (proseguito o riassunto) a seguito dell’insuccesso della negoziazione assistita.

Invero, quando il documento contenente le dichiarazioni del terzo sia prodotto in giudizio, il giudice, nel valutare le dichiarazioni, può avere il fondato sospetto che le stesse siano false.

In tal caso, sembra possa trovare applicazione l’art. 256 c.p.c., il quale dispone, per quanto qui interessa, che il giudice denunci il testimone al pubblico ministero quando abbia il fondato sospetto che non abbia detto la verità o sia stato reticente[64].

Sebbene la dottrina metta in correlazione l’obbligo di denuncia di cui all’art. 256 c.p.c. con il reato di cui all’art. 372 c.p., commesso da colui il quale deponga come testimone «innanzi all’Autorità giudiziaria»[65], si può ritenere che siffatto obbligo di denuncia sussista anche quando le dichiarazioni false siano state rese nel procedimento di negoziazione assistita e successivamente acquisite in giudizio.

Soluzione similare, del resto, è stata proposta con riguardo ai rapporti tra testimonianza scritta ex art. 257-bis c.p.c. e l’art. 372 c.p.[66], affermandosi che l’obbligo di denuncia sussiste anche in capo al giudice che, esaminate le dichiarazioni rese dal terzo escusso dagli avvocati, ritenga che le stesse siano false[67].

L’obbligo di denuncia non sussisterebbe, invece, nell’ipotesi in cui il terzo sia stato reticente, giacché essa non è prevista dall’art. 371-ter c.p.

Per completezza espositiva, è opportuno dar conto del fatto che l’art. 5 del d.lgs. n. 149/2022 ha aggiunto un ulteriore comma all’art. 371-ter c.p.

Il comma 4 dell’art. 371-ter c.p. disciplina i rapporti tra il processo penale nel quale debba essere accertata la falsità delle dichiarazioni e le sedi (procedimento di negoziazione o processo civile) nelle quali tali dichiarazioni sono state acquisite o comunque utilizzate.

In particolare, la norma prescrive la sospensione del processo penale in tre differenti ipotesi: a) fino alla conclusione, con accordo, della procedura di negoziazione assistita nel corso della quale sono state acquisite le dichiarazioni; b) fino a quando venga pronunciata la sentenza di primo grado del giudizio instaurato a seguito dell’insuccesso del procedimento di negoziazione assistita nel quale sia stato prodotto il documento contenente le dichiarazioni del terzo; c) fino all’estinzione del giudizio di primo grado[68].

La ratio della sospensione del processo penale è duplice[69]. Per un verso, la sospensione consente al terzo di ritrattare, prima che le sue dichiarazioni siano utilizzate, così da impedire che il reato si perfezioni. Per altro verso, essa consente di attendere che la procedura di negoziazione o il processo nei quali siano state rese o utilizzate le dichiarazioni false, si concludano prima di avviare il procedimento penale finalizzato ad accertarne la falsità.

3.7. (Segue) L’avvertimento circa il dovere di riservatezza

L’avvertimento sub e) – ovvero, l’avvertimento che il terzo deve mantenere riservate le domande che gli sono rivolte e le risposte date – sottende l’imposizione anche al terzo informatore di un dovere di riservatezza, che per le parti e per gli avvocati era già espressamente stabilito dal comma 2 dell’art. 9 d.l. n. 132/2014.

Più in dettaglio, il comma 2 dell’art. 9 obbliga le parti e gli avvocati a tenere riservate «le informazioni ricevute» nell’ambito del procedimento di negoziazione assistita e vieta loro l’utilizzazione delle «dichiarazioni rese» e delle «informazioni acquisite» nel corso del giudizio avente in tutto o in parte il medesimo oggetto[70].

A ben vedere, il dovere del terzo di tenere riservate le risposte date nel corso dell’audizione svoltasi nell’ambito del procedimento di negoziazione assistita non è destinato ad operare in ogni caso.

Invero, nel giudizio instaurato (riassunto o proseguito) in seguito all’insuccesso della negoziazione assistita, il giudice potrebbe disporre che il terzo informatore sia escusso come testimone, giusta la facoltà riconosciutagli dall’art.  4-bis, comma 6, ultimo periodo, d.l. n. 132/2014. In questa sede, il dovere di riservatezza risulterà ex se violato quando il terzo, interrogato dal giudice, renda le medesime risposte già fornite nell’ambito del procedimento di negoziazione assistita.

Per questo aspetto, la norma da ultimo richiamata impone deroga anche al divieto di astensione posto dal comma 3 dell’art. 9, nella parte in cui dispone che «coloro i quali partecipano al procedimento di negoziazione assistita» (dunque, anche il terzo informatore) non possono essere tenuti a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese.

3.8. (Segue) L’avvertimento circa le modalità di acquisizione e di documentazione delle dichiarazioni

L’oggetto dell’avvertimento sub f) è, in apparenza, duplice, come si è visto per l’avvertimento sub a)[71].

Gli avvocati, infatti, devono avvertire il terzo circa le modalità di «acquisizione» delle dichiarazioni e le modalità di «documentazione» delle stesse.

Tuttavia, occorre tenere presente che, prima di ricevere tale avvertimento, il terzo è stato già reso edotto, con l’invito a rendere le dichiarazioni[72], dei fatti specificamente individuati e rilevanti sui quali dovrà essere inteso e del luogo in cui si svolgerà l’audizione (lo studio professionale dell’avvocato invitante o il Consiglio dell’ordine degli avvocati), giusta il disposto dell’art. 4, comma 1, d.l. n. 132/2014.

Pertanto, al fine di evitare una duplicazione di informazioni, si deve ritenere che il Legislatore, laddove discorre di «modalità di acquisizione e documentazione», si sia in concreto riferito alla sola attività di documentazione.

In questa prospettiva, si può fare rimando all’art. 4-bis, commi 4 e 5, d.l. n. 132/2014.

Il comma 4 prescrive che le domande rivolte all’informatore e le dichiarazioni rese dallo stesso siano verbalizzate in un documento, redatto dagli avvocati, contenente l’indicazione del luogo e della data in cui sono acquisite, le generalità dell’informatore e degli avvocati e l’attestazione che al terzo sono stati rivolti gli avvertimenti di cui al comma 2.

Il comma 5 prescrive che il documento di cui al comma 4 debba essere sottoscritto dall’informatore e dagli avvocati, e che ai sottoscrittori ne venga consegnato un originale.

4.La mancata previsione dell’obbligo per il terzo informatore di rendere la dichiarazione d’impegno

Si è già ricordato[73] che l’art. 4-bis, comma 2, lett. d), d.l. n. 132/2014 impone di avvertire il terzo informatore circa le responsabilità penali conseguenti alle false dichiarazioni.

Non è, tuttavia, previsto che il terzo informatore debba recitare la formula d’impegno prescritta dall’art. 251 c.p.c., nel testo risultante dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 149 del 5 maggio 1995[74], che l’ha sostituita alla previsione dell’obbligo di prestare giuramento[75].

La mancata previsione dell’obbligo di rendere la dichiarazione d’impegno sembra frutto di una scelta consapevole del Legislatore, dovuta al fatto che il terzo non è chiamato a rendere dichiarazioni all’autorità giudiziaria. Invero, l’obbligo di rendere la dichiarazione d’impegno è espressamente previsto dalla legge solo in quest’ultima ipotesi, sia che le dichiarazioni siano rese in presenza (secondo quanto prescrive l’art. 251 c.p.c.) sia che esse siano rese per iscritto (secondo quanto prescrive l’art. 103-bis disp. att. c.p.c.[76]).

Laddove si ritenesse che anche il terzo informatore nell’ambito del procedimento di negoziazione assistita debba recitare la formula d’impegno, occorre tenere presente che il mero rifiuto di recitare la formula: (i) non riceverebbe, di per sé, sanzione penale; (ii) non inciderebbe sulla validità delle dichiarazioni rese dal terzo.

Alla conclusione sub (i) si perviene osservando che non potrebbe trovare applicazione l’art. 366 c.p., il quale sanziona il testimone che rifiuti di prestare giuramento quando sia «chiamato dinanzi all’autorità giudiziaria» per essere inteso. Ciò in quanto nel procedimento di negoziazione assistita le dichiarazioni del terzo sono rese «in presenza degli avvocati che assistono le parti» (art. 4-bis, comma 1, d.l. n. 132/2014).

L’irrilevanza ex se della mancata prestazione è, del resto, confermata dall’indirizzo giurisprudenziale secondo cui il delitto di falsa testimonianza è integrato anche laddove siano mancati gli adempimenti preliminari stabiliti dall’art. 251 c.p.c.[77].

La conclusione sub (ii) è suggerita dall’indirizzo della Corte di cassazione che esclude la nullità della prova testimoniale, nel caso in cui il teste non abbia prestato giuramento, argomentando che quest’ultimo non costituisce requisito indispensabile affinché l’atto raggiunga il suo scopo[78].

 5. Modo di deduzione

L’art. 4-bis, comma 1, d.l. n. 132/2014 – si è innanzi anticipato[79] – prescrive che le dichiarazioni del terzo informatore devono vertere «su fatti specificamente individuati e rilevanti in relazione all’oggetto della controversia».

La prescrizione rimanda all’art. 244 c.p.c., dove è richiesta l’«indicazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti, formulati in articoli separati».

Le due norme sostanzialmente coincidono per la parte in cui è richiesta la specifica indicazione dei fatti sui quali il terzo è chiamato a rendere le dichiarazioni.

A differenza di quanto previsto dall’art. 244 c.p.c., l’art. 4-bis d.l. n. 132/2014: a) non richiede espressamente la formulazione di capitoli separati di prova, né la specifica indicazione delle persone da interrogare; b) esige che i fatti siano rilevanti in relazione all’oggetto della controversia.

5.1. (Segue): a) l’onere di specifica indicazione dei fatti, di formulazione di capitoli separati e di specifica indicazione dei terzi invitati a rendere le dichiarazioni

Si è appena ricordato che l’art. 4-bis, comma 1, d.l. n. 132/2014, similmente all’art. 244 c.p.c., prescrive che l’invito al terzo informatore contenga la specifica indicazione dei fatti.

Nel processo civile, la prescrizione persegue il duplice scopo di consentire al giudice, di valutare la concludenza della prova e, alla controparte, di preparare un’adeguata difesa[80], formulando i capitoli di prova contraria e indicando i propri testimoni[81].

Si è inoltre evidenziato che l’art. 4-bis, comma 1, d.l. n. 132/2014, a differenza dell’art. 244 c.p.c., non prescrive la formulazione di capitoli separati di prova, né la specifica indicazione dei terzi invitati a rendere le dichiarazioni.

La lacuna non può essere considerata il frutto di una scelta consapevole da parte del Legislatore, se si pone mente alla rilevanza che la Corte di cassazione attribuisce al rispetto di tali prescrizioni, nel contesto del processo civile.

Invero, per quanto attiene alla formulazione di capitoli separati, mentre parte della dottrina ne sostiene l’irrilevanza – giacché la specificazione dei fatti sarebbe di per sé sufficiente ad assicurare le finalità, sopra indicate, del giudizio di concludenza e della possibilità di contestazione e controdeduzione[82] – la Cassazione afferma invece che l’esigenza di indicazione specifica è soddisfatta allorquando il fatto da provare sia dedotto in un capitolo specifico e determinato e sia collocato univocamente nel tempo e nello spazio[83].

Per quanto attiene alla specifica indicazione delle persone da interrogare, la Suprema Corte ha espresso più di un indirizzo, distinguendo tra processo a cognizione ordinaria e processo del lavoro.

Con riguardo al processo a cognizione ordinaria, nel vigore del testo dell’art. 244 c.p.c. antecedente alle modifiche apportate con la legge n. 353 del 26.11.1990[84], la Cassazione aveva affermato l’inammissibilità della prova testimoniale laddove fosse mancata l’indicazione dei testi, salvo il potere discrezionale del giudice di assegnare alla parte un termine perentorio per integrare la formulazione difettosa[85]. Nel vigore del nuovo testo dell’art. 244 c.p.c. la Suprema Corte ha affermato, almeno in un caso[86], che la non identificabilità delle persone chiamate a deporre comporta l’inammissibilità della prova. Quanto all’ipotesi di imperfetta o incompleta designazione degli elementi identificativi del testimone (quali il nome, il cognome o la residenza), la Suprema Corte sostiene che essa è idonea ad arrecare un vulnus alla difesa e al contraddittorio quando provochi in concreto la citazione e l’assunzione come teste di un soggetto realmente diverso da quello previamente indicato, così da spiazzare l’aspettativa della controparte[87].

Con riguardo al processo del lavoro si registrano due indirizzi, uno più risalente ed uno più recente. Secondo un precedente indirizzo, l’omessa indicazione, nell’atto introduttivo, delle generalità delle persone da interrogare, concreta una mera irregolarità, che abilita il giudice all’esercizio del potere-dovere di cui all’art. 421 c.p.c., con l’assegnazione di un termine perentorio affinché la parte vi ponga rimedio[88]. Più di recente, la Cassazione ha affermato che l’omessa indicazione comporta la decadenza dalla relativa istanza istruttoria, con la conseguenza che il giudice non può fissare un termine, ai sensi dell’art. 421 c.p.c., per sanare la carente formulazione[89].

Dagli indirizzi sopra richiamati emerge che, nel processo civile, anche la formulazione di capitoli separati e la specifica indicazione dei testi – come la specifica indicazione dei fatti – sono imposte dall’esigenza di consentire il giudizio di concludenza della prova e di garantire il diritto di difesa e al contraddittorio nell’assunzione della stessa. Siffatte esigenze sono presidiate, in quel contesto, dal giudice.

Si deve ritenere che il rispetto di tali esigenze sia necessario anche nell’ambito della negoziazione assistita, in ragione della già ricordata[90] possibilità di utilizzare i risultati dell’istruttoria stragiudiziale nel giudizio instaurato (riassunto o proseguito) in seguito all’insuccesso del procedimento di negoziazione.

Pertanto, è ragionevole affermare che, nonostante il silenzio serbato sul punto dal Legislatore, anche l’invito ai terzi informatori, nell’ambito del procedimento di negoziazione assistita, debba contenere: a) la specifica indicazione dei fatti; b) la loro formulazione per capitoli separati, del resto prevista dal modello “standard” di convenzione di negoziazione assistita predisposto dal CNF[91]; c) la specifica indicazione dei terzi invitati.

Affermata l’esigenza che l’invito ai terzi informatori rispetti i requisiti appena ricordati, vanno valutate le conseguenze derivanti dal mancato assolvimento del corrispondente onere.

Le conseguenze affermate dalla Suprema Corte con riguardo al processo civile non possono essere replicate nel procedimento di negoziazione assistita, dal momento che, in questo contesto, non vi è un controllo giudiziale e per il compimento degli atti del procedimento non sono stabilite decadenze. In questa sede, il rispetto del diritto di difesa e al contraddittorio dipende esclusivamente dalla condotta delle parti.

Alla luce della considerazione che precede, nelle ipotesi in cui l’invito al terzo informatore non contenga la specifica indicazione dei fatti, formulati per capitoli separati, oppure la specifica indicazione dei terzi invitati, la controparte (rectius: il suo avvocato) potrà far valere il rispetto del diritto di difesa e al contraddittorio adottando una delle seguenti condotte: a) non presentarsi nel giorno e nel luogo previsti per l’audizione del terzo informatore; b) presentarsi, ma non sottoscrivere il documento in cui sono raccolte le dichiarazioni del terzo.

La condotta sub a) impedirà di raccogliere le dichiarazioni del terzo, giacché l’art. 4-bis, comma 1 d.l. n. 132/2014 prescrive che esse siano rese «in presenza degli avvocati che assistono le altre parti».

La condotta sub b) comporterà che il documento contenente le dichiarazioni del terzo: non potrà essere prodotto in giudizio e, se prodotto, non potrà essere preso in considerazione dal giudice; non potrà acquisire valore di piena prova di quanto oggetto dell’attestazione (giacché quest’ultima sarebbe svolta da uno soltanto degli avvocati). La conclusione che precede si ricava dal combinato disposto dei commi 5 e 6 dell’art. 4-bis, da cui emerge che il documento contenente le dichiarazioni dei terzi, per poter essere prodotto in giudizio, essere valutato dal giudice ai sensi dell’art. 116, comma 1, c.p.c. e valere come piena prova, debba essere sottoscritto, oltre che dal terzo informatore, anche «dagli avvocati» (sul punto v. infra § 8). Essa va confrontata con gli indirizzi forniti dalla Corte di cassazione in tema di ammissibilità ed efficacia probatoria delle dichiarazioni scritte di terzi estranei ai fatti di causa, che non siano stati acquisiti nel contraddittorio tra le parti. Invero, ad un indirizzo che nega la legittimità di tali dichiarazioni si contrappone un diverso indirizzo, che riconosce ad esse l’efficacia probatoria di cui all’art. 116, comma 2 c.p.c.[92].

5.2. (Segue): b) la rilevanza dei fatti

Si è innanzi anticipato[93] che l’art. 4-bis d.l. n. 132/2014 esige che i fatti sui quali il terzo informatore è invitato a rendere dichiarazioni siano rilevanti in relazione all’oggetto della controversia.

Per questo verso, la disposizione de qua fissa un requisito che la giurisprudenza ritiene tacitamente prescritto anche dall’art. 244 c.p.c.[94].

è interessante evidenziare come non sia stata qui replicata l’impropria[95] scelta del codice di rito di legare il criterio della rilevanza alla prova[96].

Parte della dottrina osserva che i fatti rilevanti debbano essere controversi o non del tutto chiari[97], in accordo con l’impostazione tradizionale, secondo la quale è rilevante la prova che appaia, sulla base di un’«anticipazione ipotetica del giudizio sulla prova in relazione al fatto»[98], utile all’accertamento dei fatti. In apparente divergenza rispetto a tale impostazione, tuttavia, soggiunge che la necessaria rilevanza dei fatti escluderebbe la possibilità di audizione dei terzi su fatti secondari[99].

Altra dottrina ritiene possibile che i terzi informatori rendano dichiarazioni de relato, data la mancanza di un limite espresso[100].

Poiché la valutazione di rilevanza spetta alle parti, può sorgere contrasto tra queste ultime, laddove la parte che formula l’invito ritenga rilevanti fatti che tali non sono per l’altra, o viceversa[101].

Laddove il terzo venga ascoltato sopra circostanze di fatto sulla cui rilevanza le parti non concordano, e la negoziazione assistita si chiuda senza accordo, in giudizio potrà aversi la seguente alternativa. Il giudice potrebbe disporre la rinnovazione dell’esame del teste – facoltà che l’art. 4-bis, comma 6, ultimo periodo, gli riconosce in ogni caso[102] – escutendo il terzo soltanto sulle circostanze di fatto giudicate rilevanti. Laddove il giudice non disponga la rinnovazione, valuterà secondo il suo prudente apprezzamento – come previsto dall’art. 4-bis, comma 6, secondo periodo (sul punto v. infra § 8.3) – le dichiarazioni del terzo, trasfuse nel documento prodotto in giudizio. Laddove il terzo abbia reso dichiarazioni de relato, il giudice dovrà valutare queste ultime tenendo conto degli indirizzi forniti dalla Cassazione, che, distinguendo le deposizioni dei testi de relato ex parte actoris dalle deposizioni dei testi de relato[103], non sempre ha accordato ad esse un uguale valore probatorio[104].

 

6.Numero dei terzi informatori e rinuncia all’audizione

Si è innanzi evidenziato[105] che l’art. 4-bis, comma 1, d.l. n. 132/2014, a differenza dell’art. 244 c.p.c., non prescrive la specifica indicazione dei terzi invitati a rendere le dichiarazioni.

La lacuna normativa ha suggerito, in quella sede, di affrontare il tema delle conseguenze della mancata, imperfetta o incompleta indicazione dei terzi informatori invitati a rendere dichiarazioni.

A questo punto, conviene affrontare un ulteriore tema, che la lacuna in discorso sottopone all’interprete. Si fa riferimento al numero dei terzi informatori che le parti possono invitare a rendere dichiarazioni.

Parte della dottrina, proprio in ragione del segnalato vuoto normativo, prefigura che potrebbe ritenersi non sussistere un limite al numero dei terzi[106].

Seguendo questa impostazione, il possibile sovraccarico istruttorio non potrà essere rimediato mediante il richiamo all’art. 245, comma 1, c.p.c., il quale consente al giudice, quando ammette la prova, di ridurre le liste dei testimoni sovrabbondanti[107].

Può invece trovare applicazione il comma 2 dell’art. 245 c.p.c., il quale consente alla parte di rinunciare all’audizione di testimoni dalla stessa indicati. L’applicazione della norma nell’ambito della negoziazione assistita impone taluni adattamenti, in relazione: a) ai testi cui è possibile rinunciare; b) alle modalità di manifestazione della rinuncia; c) alla efficacia della rinuncia.

Quanto ai testi, mentre nel processo la rinuncia riguarda quelli già ammessi[108], nel procedimento di negoziazione assistita essa si riferirà ai testi indicati, data l’assenza di una preventiva fase di ammissione.

Quanto alle modalità di manifestazione, si può ritenere che, come nel processo civile[109], la rinuncia all’audizione del terzo possa essere tacita, purché risultante da un comportamento che riveli inequivocabilmente tale volontà. Tale volontà, che nel processo può essere rilevata dalla richiesta di fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni[110], nel procedimento di negoziazione assistita può risultare dalla mancata audizione del terzo informatore, sebbene invitato e comparso.

Quanto, infine, all’efficacia della rinuncia, per quest’ultima sarà necessaria e sufficiente l’adesione della controparte. Invero, nel procedimento di negoziazione assistita non trova applicazione il principio di acquisizione probatoria[111], il quale giustifica, nel processo civile, il consenso del giudice alla rinuncia.

L’eventuale opposizione alla rinuncia deve essere formulata dalla controparte con dichiarazione esplicita, come accade nel processo. Tuttavia, mentre qui l’opposizione va esplicitata nella stessa udienza in cui la rinuncia è stata effettuata[112], oppure nella prima udienza successiva alla notifica[113], nel procedimento di negoziazione assistita essa potrà essere manifestata prima che il terzo informatore, invitato e comparso, venga ascoltato. L’opposizione alla rinuncia imporrà l’audizione del terzo informatore, laddove nel processo civile il giudice potrebbe comunque decidere di non escutere il teste.

7.Il divieto di audizione del minore di anni quattordici

L’art. 4-bis, comma 3, d.l. n. 132/2014 dispone che non può rendere dichiarazioni chi non ha compiuto il quattordicesimo anno di età e chi si trova nella condizione di incapacità a testimoniare prevista dall’art. 246 c.p.c.

Il divieto di audizione del minore di anni quattordici non trova corrispondenza nel sistema della giustizia civile.

In questo contesto, l’art. 248 c.p.c. limitava la possibilità di audizione dei testi minori di anni quattordici ai soli casi in cui la stessa fosse resa necessaria da particolari circostanze, prima che la Corte costituzionale, con sentenza dell’11 giugno 1975, n. 139[114], ne dichiarasse l’illegittimità in riferimento all’art. 3 Cost. Alla Corte non è apparsa razionale la distinzione operata dal Legislatore, ai fini dell’ammissione della prova testimoniale dei minori degli anni quattordici, tra processo civile e processo penale, dove l’art. 348 del codice di procedura penale al tempo in vigore riconosceva la capacità a testimoniare di qualsiasi persona, salva la verifica di attendibilità da parte del giudice. In seguito all’intervento della Consulta, nel processo civile è ammessa l’audizione dei minori di anni quattordici; audizione che, secondo la dottrina prevalente, se non può essere equiparata alla testimonianza, concorre tuttavia al chiarimento dei fatti di causa[115].

Nonostante il divieto posto dall’art. 4-bis, comma 3, d.l. n. 132/2014, non può escludersi che una parte inviti comunque l’infraquattordicenne a rendere dichiarazioni nell’ambito del procedimento di negoziazione assistita.

In questa ipotesi, possono aversi due scenari. Nel primo, non avrà luogo l’audizione del minore, in ragione dell’opposizione della controparte. Nel secondo, avrà luogo l’audizione, nonostante l’opposizione o in sua mancanza.

Nel primo caso, la parte che vi abbia interesse potrà chiedere l’audizione del minore nel giudizio introdotto dalle parti a seguito dell’insuccesso della negoziazione assistita.

Occorre tuttavia tenere presente che il giudice potrebbe ritenere superfluo lo svolgimento di ulteriore attività istruttoria, limitandosi a valutare le dichiarazioni acquisite nel procedimento di negoziazione assistita secondo il proprio prudente apprezzamento, ai sensi dell’art. 116, comma 1, c.p.c., così come stabilito dall’art. 4-bis, comma 6, d.lgs. 149/2022 (sul punto v. infra § 8.3).

Per incrementare le chances di audizione del minore, può essere opportuno che la parte stimoli il giudice ad esercitare il potere consentito dall’art. 257, comma 1 c.p.c., laddove alcuno degli informatori ascoltati nel procedimento di negoziazione abbia fatto riferimento allo stesso.

Nel secondo caso, si deve escludere che il minore, prima di essere ascoltato, debba essere avvertito delle conseguenze penali delle false dichiarazioni e recitare la formula d’impegno, in quanto soggetto non imputabile[116].

Il raggiungimento dell’accordo comporterà la sanatoria della nullità delle dichiarazioni rese dal minore in violazione del divieto di audizione posto dal comma 3 dell’art. 4-bis[117].

Laddove, invece, il procedimento di negoziazione non si concluda con l’accordo, nel successivo giudizio il giudice non potrà tenere conto delle dichiarazioni del minore. Ciò in quanto esso è chiamato a valutare le dichiarazioni dei terzi sulla base delle regole poste dal codice civile e dal codice di procedura civile, dovendo ritenere inammissibile la prova illecita nella negoziazione[118], senza che tale vizio possa essere sanato con la rinnovazione[119]. Resta ferma la possibilità che, nella sua sede, il giudice ne disponga l’audizione.

7.1.(Segue) L’apparente illegittimità costituzionale

Oltre a non essere previsto nel sistema della giustizia civile, il divieto de quo non era neppure indicato dalla legge delega n. 206/2021, la quale, all’art. 1, comma 4, lett. t) n. 1), si era limitata a prescrivere la già ricordata[120] «possibilità per i terzi di non rendere dichiarazioni».

L’art. 4-bis, comma 3, d.l. n. 132/2014, nella parte in cui ha posto un divieto non prescritto dalla legge n. 206/2021, non sembra immune da censure di legittimità costituzionale.

È noto, infatti, che la delega legislativa non esclude ogni discrezionalità del Legislatore delegato nell’esercizio del potere affidatogli[121], essendo consentito a quest’ultimo di individuare e tracciare i necessari contenuti attuativi[122], valutando le specifiche situazioni da disciplinare[123]. Tuttavia, la scelta assunta dal Legislatore delegato nell’ambito della sua discrezionalità non si sottrae al sindacato di legittimità costituzionale, essendo la Consulta chiamata a compiere un controllo di ragionevolezza sulla scelta discrezionale, condotto alla luce del generale principio di ragionevolezza e proporzionalità desumibile dall’art. 3 Cost[124].

In questa prospettiva, il controllo di ragionevolezza sulla scelta di vietare l’audizione dei minori infraquattordicenni nel procedimento di negoziazione assistita, potrebbe condurre ad un giudizio di illegittimità costituzionale per contrasto con l’art. 3 Cost.

Invero, come già fatto con la sentenza n. 139/1975 innanzi ricordata[125], la Consulta potrebbe non ritenere razionale la distinzione operata dal Legislatore delegato tra procedimento di negoziazione assistita (in quel caso, processo penale) e processo civile.

Inoltre, proprio alla sentenza n. 139/1975 potrebbe essere riconosciuto il valore – se non di giudicato[126], quantomeno – di precedente[127], avendo la Corte nell’occasione trattato questione (non identica, bensì) analoga. In questa prospettiva, un’eventuale pronuncia di incostituzionalità della previsione contenuta nell’art. 4-bis, comma 3, d.lgs. n. 132/2014 potrebbe essere motivata anche adducendo la necessità di dare continuità al principio ivi affermato[128]. Invero, la dottrina costituzionalistica ha rilevato un «dovere»[129] di «coerenza» e «continuità» nella giurisprudenza del Giudice delle leggi, che si traduce nel «principio della continuità giurisprudenziale criticamene vagliata»[130], o comunque nell’«attenzione» della Consulta per la coerenza e continuità nella propria giurisprudenza[131].

7.2. (Segue) La legittimazione a sollevare la questione di legittimità costituzionale e la sua possibile inammissibilità per difetto di rilevanza

Se si condivide l’opinione che l’art. 4-bis, comma 3, d.lgs. n. 132/2014 si esponga a dubbi di legittimità costituzionale, è opportuno chiedersi: a) chi sia legittimato a sollevare la questione di legittimità; b) se la stessa possa essere ritenuta ammissibile da parte del soggetto legittimato a sollevarla.

Per quanto attiene alla legittimazione, va tenuto presente che la questione di legittimità costituzionale in via incidentale – alla luce della lettura combinata dell’art. 1, l. cost. 9 febbraio 1948, n. 1[132], dell’art. 23, l. 11 marzo 1953, n. 87[133] e dell’art. 1 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale[134] – può essere sollevata da un «giudice» o da un’«autorità giurisdizionale» nel corso di un «giudizio»[135]. Deve, inoltre, tenersi conto del fatto che, quando la Corte ha riconosciuto la legittimazione ad attivare il giudizio incidentale di costituzionalità ad organi non appartenenti al potere giudiziario[136] (quali gli arbitri[137], il Commissario per gli usi civici[138], il Consiglio Nazionale Forense[139] ed altri), essa lo ha fatto adoperando l’argomento dell’esercizio della funzione giurisdizionale da parte di tali organi[140] e quello della natura giurisdizionale del procedimento[141].

Alla luce della disciplina di legge e regolamentare, e della giurisprudenza costituzionale, si deve escludere che gli avvocati, nell’ambito del procedimento di negoziazione assistita, siano legittimati a sollevare questione di legittimità in via incidentale. La legittimazione spetterebbe, invece, al giudice del giudizio instaurato (riassunto o proseguito) in seguito all’insuccesso della negoziazione assistita.

Per quanto attiene all’ammissibilità della questione, viene in rilievo l’art. 23, comma 2, l. 11 marzo 1953, n. 87.

La norma indica nella rilevanza (che ricorre quando «il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale») e nella non manifesta infondatezza i requisiti di ammissibilità delle questioni incidentali di legittimità costituzionale[142].

Sebbene i due requisiti siano posti in relazione di alternatività – in quanto legati dalla congiunzione disgiuntiva “o” – il giudice a quo deve motivare in relazione ad entrambi[143], dopo avere tentato un’interpretazione conforme a Costituzione della normativa denunciata[144].

Va subito esclusa la possibilità di un’interpretazione conforme a Costituzione, stante «l’univoco tenore letterale»[145] della disposizione de qua, che espressamente vieta l’audizione dell’infraquattordicenne. Pertanto, la valutazione di ammissibilità della questione va condotta sulla base dei criteri della non manifesta infondatezza e della rilevanza[146].

Quanto al criterio della non manifesta infondatezza, esso consente di escludere l’ammissibilità della questione quando non vi sia dubbio circa la legittimità costituzionale della disciplina legislativa; così che, se un dubbio sussiste, la questione deve essere sollevata[147]. Si sono già esposte[148] le ragioni per le quali è ragionevole dubitare della legittimità costituzionale del comma 3 dell’art. 4-bis d.l. n. 132/2014, nella parte in cui stabilisce il divieto di audizione dei minori di anni quattordici nell’ambito del procedimento di negoziazione assistita.

Quanto al criterio della rilevanza, esso consiste in una valutazione di pregiudizialità della risoluzione della questione di legittimità costituzionale rispetto alla definizione del giudizio («il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale»). La pregiudizialità sembra intesa dalla prevalente giurisprudenza costituzionale non già in termini di «pregiudizialità eventuale» – ovvero, quale «mera applicabilità della legge impugnata nel giudizio principale» – bensì in termini di «pregiudizialità necessaria», ossia quale concreta «influenza della decisione della Corte sulle sorti del giudizio a quo»[149]. Nella prospettiva della pregiudizialità necessaria, il giudice a quo deve offrire «una qualche dimostrazione della “necessità” di applicare la norma di legge censurata al fine di decidere la causa alle sue cure»[150].

Laddove il giudice a quo dovesse intendere il criterio della rilevanza in termini di pregiudizialità necessaria, non potrà ritenere imprescindibile, per la definizione del giudizio, la risoluzione della questione di legittimità costituzionale. Ciò in quanto, come sopra ricordato[151], l’audizione del minore assolve ad una mera funzione di (contribuzione al) chiarimento dei fatti di causa.

 8.Il documento contenente le dichiarazioni del terzo informatore

Le domande rivolte al terzo informatore e le dichiarazioni dallo stesso rese sono verbalizzate in un documento, redatto dagli avvocati, che deve altresì contenere l’indicazione del luogo e della data in cui sono state acquisite le dichiarazioni, le generalità dell’informatore e degli avvocati e l’attestazione che sono stati rivolti gli avvertimenti di cui all’art. 4-bis, comma 2 d.l. n. 132/2014[152].

Ai sensi dell’art. 4-bis, comma 5, d.l. n. 132/2014, il documento deve essere sottoscritto, previa lettura integrale, dall’informatore e dagli avvocati. A ciascuno dei sottoscrittori è consegnato un originale[153].

L’art. 4-bis, comma 6, d.l. n. 132/2014 stabilisce che il documento contenente le dichiarazioni del terzo informatore, «sottoscritto ai sensi del comma 5»: a) fa «piena prova di quanto gli avvocati attestano essere avvenuto in loro presenza»; b) può essere prodotto nel giudizio tra le parti della convenzione di negoziazione assistita; c) è valutato ai sensi dell’articolo 116, primo comma, c.p.c. dal giudice, il quale può sempre disporre che l’informatore sia escusso come testimone.

L’interpretazione letterale del comma 6 induce a ritenere che la sottoscrizione del documento, sia da parte del terzo sia da parte degli avvocati, integri condizione necessaria perché lo stesso produca gli effetti e consenta le attività indicate sub a), b) e c).

8.1. (Segue): a) il valore di «piena prova» di quanto «gli avvocati attestano» essere avvenuto in loro presenza

La previsione innanzi indicata sub a)[154], secondo cui il documento contenente le dichiarazioni del terzo informatore fa «piena prova di quanto gli avvocati attestano essere avvenuto in loro presenza», rievoca quella dettata dall’art. 2700 c.c. in tema di efficacia dell’atto pubblico[155].

Il richiamo, tuttavia, è soltanto parziale, giacché l’art. 2700 c.c., più ampiamente, dispone che l’atto pubblico fa piena prova della «provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato», delle «dichiarazioni delle parti» e degli «altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti».

Il mancato riferimento, in particolare, alle «dichiarazioni» rese dagli informatori potrebbe indurre a ritenere che il documento di cui all’art. 4-bis, comma 6, d.l. n. 132/2014 non faccia «piena prova» né del fatto che le dichiarazioni sono state rese, né del loro contenuto, né delle domande rivolte al terzo.

In questa prospettiva, l’efficacia di piena prova sarebbe circoscritta alle circostanze di fatto verificatesi nella fase preliminare all’escussione; ovvero, agli inviti e agli avvertimenti indicati al comma 2.

Una simile interpretazione potrebbe trovare avallo nel comma 4 dell’art. 4-bis, laddove prevede che il documento contenente le dichiarazioni del terzo debba contenere, tra l’altro, «l’attestazione che sono stati rivolti gli avvertimenti di cui al comma 2».

Sembra tuttavia possibile un’interpretazione meno restrittiva del dato normativo, secondo la quale l’oggetto dell’attestazione degli avvocati comprenderebbe – oltre agli inviti e agli avvertimenti –anche le dichiarazioni rese dal terzo e le domande allo stesso rivolte.

Tale diversa esegesi può trovare conforto nell’art. 4-ter, d.l. n. 132/2014, che detta la disciplina delle dichiarazioni confessorie nell’ambito del procedimento di negoziazione assistita. In particolare, l’art. 4-ter, comma 2 – con formulazione del tutto simile a quella dell’art. 4-bis, comma 6 – stabilisce che il documento contenente le dichiarazioni confessorie fa piena prova di quanto «l’avvocato attesta essere avvenuto in sua presenza» (sul punto v. infra § 8.1). Poiché, però, per l’acquisizione delle dichiarazioni confessorie non sono prescritti gli inviti e gli avvertimenti invece stabiliti per l’audizione dei testimoni, l’attestazione non avrebbe qui alcuna utilità, laddove non avesse ad oggetto proprio le dichiarazioni confessorie e i fatti sui quali la parte è stata invitata a renderle.

Ragioni di coerenza sistematica inducono, pertanto, a ritenere che, come l’attestazione prescritta dall’art. 4-ter, comma 2 riguarda le dichiarazioni confessorie e i fatti sui quali la parte è stata invitata a renderle, così anche l’attestazione prescritta dall’art. 4-bis, comma 4 debba riguardare – oltre agli inviti e agli avvertimenti preliminari, altresì – le dichiarazioni del terzo e le domande allo stesso rivolte.

Così, anche rispetto a tali dichiarazioni e domande, il documento de quo fa piena prova, ai sensi dell’art. 4-bis, comma 6, d.l. n. 132/2014, come già sostenuto in dottrina[156].

Se si ritenga condivisibile l’interpretazione qui proposta, occorre individuare: 1) l’estensione dell’efficacia di piena prova; 2) gli strumenti adoperabili per confutare le circostanze di fatto coperte da tale efficacia.

Quanto alla questione sub 1), si deve ritenere che l’efficacia probatoria sia limitata al contenuto c.d. estrinseco delle dichiarazioni del terzo, in accordo con l’indirizzo espresso dalla Corte di cassazione in tema di efficacia probatoria dell’atto pubblico. Secondo la Suprema Corte, l’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, relativamente ai suoi elementi estrinseci – ovvero, relativamente alla sola attività materiale, immediatamente e direttamente richiesta, percepita e constatata dal pubblico ufficiale nell’esercizio delle funzioni[157] – e non già al contenuto intrinseco[158] – ovvero, l’intrinseca veridicità delle dichiarazioni o la loro rispondenza all’effettiva intenzione delle parti[159] – che può non essere veritiero[160]. Con la conseguenza che, per contrastare la veridicità e l’esattezza delle dichiarazioni delle parti, non occorre proporre querela di falso, essendo sufficiente qualunque mezzo di prova consentito dalla legge[161].

Quanto alla questione sub 2), si può sostenere che per confutare le circostanze di fatto coperte dall’efficacia probatoria del documento de quo – ovvero, che l’informatore abbia effettivamente reso, in tutto o in parte, le dichiarazioni trasfuse nel documento, e che gli siano state rivolte effettivamente le domande ivi riportate[162] – non sia necessario adoperare lo strumento della querela di falso.

Al fine, è sufficiente che l’avvocato non apponga anche la propria attestazione al documento, giacché il valore di piena prova discende dall’attestazione degli avvocati (e non già di un avvocato). In questo modo, nel giudizio introdotto (riassunto o proseguito) in seguito all’insuccesso della negoziazione assistita, la disputa circa l’effettivo contenuto estrinseco del documento contenente le domande rivolte all’informatore e le dichiarazioni da quest’ultimo potrebbe essere risolta ricorrendo agli ordinari mezzi di prova.

Per contestare, invece, il contenuto intrinseco del documento – ovvero, per dimostrare la non corrispondenza al vero del suo contenuto ideologico – si deve ritenere ammesso ogni mezzo di prova[163].

8.2. (Segue): b) la deroga all’obbligo di riservatezza di cui all’art. 9, comma 2 d.l. n. 132/2014

La previsione indicata sub b)[164], secondo cui il documento contenente le dichiarazioni del terzo informatore può essere prodotto nel giudizio tra le parti della convenzione di negoziazione assistita, impone deroga all’obbligo di riservatezza[165] stabilito al comma 2 dell’art. 9 d.l. n. 132/2014, nella parte in cui fa divieto, alle parti e agli avvocati, di utilizzare le «dichiarazioni rese» nel corso del procedimento di negoziazione assistita.

In proposito, nella Relazione illustrativa si spiega che il superamento dell’obbligo di riservatezza è consentito dall’accordo tra le parti, contenuto nella convenzione di negoziazione, circa la possibilità di acquisire le dichiarazioni di terzi informatori o le dichiarazioni confessorie di una parte (su quest’ultimo tema v. infra § 10). La deroga è soltanto parziale, dovendo rimanere «riservate tutte le altre dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel corso del procedimento»[166].

La dottrina segnala che la previsione dell’utilizzabilità delle dichiarazioni dei terzi nel successivo giudizio rischia di pregiudicare il raggiungimento di un accordo, giacché le parti potrebbero non sentirsi libere di manifestare gli interessi effettivi sottesi alle rispettive pretese[167].

8.3. (Segue): c) il valore probatorio delle dichiarazioni del terzo informatore

La previsione sub c)[168] – secondo cui il documento contenente le dichiarazioni è valutato ai sensi dell’articolo 116, primo comma, c.p.c. dal giudice, il quale può sempre disporre che l’informatore sia escusso come testimone – consente al giudice di valutare secondo il proprio prudente apprezzamento le dichiarazioni rese dal terzo[169].

Laddove le dichiarazioni non siano ritenute sufficientemente attendibili, il giudice non ne terrà conto ai fini della decisione. In alternativa, facendo esercizio del potere riconosciuto dall’art. 4-bis, comma 6, ultimo periodo («il giudice può sempre disporre che l’informatore sia escusso come testimone»), si potrà disporre la rinnovazione dell’escussione[170].

QualoraLaddove, invece, la prova sia illecita o sia stata raccolta illecitamente, essa sarà inammissibile, né il giudice potrà disporne la rinnovazione[171].

9.L’audizione anticipata del terzo informatore

In attuazione dell’art. 1, comma 4, lett. t), n. 1 della legge n. 206/2021[172], l’art. 9, comma 1, lett. g) del d.lgs. n. 149/2022 ha previsto, all’art. 4-bis, comma 7, del d.l. n. 132/2014, la possibilità di chiedere al giudice di ordinare l’audizione anticipata del terzo informatore.

La previsione de qua introduce una nuova forma di istruzione preventiva non cautelare, che si aggiunge alla consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite di cui all’art. 696-bis c.p.c.[173].

Si è già evidenziato[174] che l’audizione anticipata del terzo informatore non rientra nell’attività di «istruttoria stragiudiziale» in senso proprio, giacché non si svolge nell’ambito del procedimento di negoziazione assistita. Essa, tuttavia, presuppone lo svolgimento del procedimento de quo.

Invero, presupposti per l’audizione anticipata sono: a) che il terzo informatore, invitato a rendere dichiarazioni nel procedimento di negoziazione assistita, non si sia presentato oppure, presentatosi, si sia rifiutato di renderle; b) che la negoziazione si sia conclusa senza accordo; c) che la parte, la quale abbia formulato l’invito, ritenga necessaria la deposizione del terzo informatore.

Per quanto riguarda il presupposto sub a) si è già osservato[175] che, se il terzo informatore non ha ricevuto comunicazione dell’invito, il giudice potrebbe negare l’audizione anticipata.

Il presupposto sub b) non pone problemi di esegesi.

Quanto al presupposto sub c), la necessità della deposizione del terzo, prospettata dalla parte che ne domandi l’audizione anticipata, dovrà essere valutata dal giudice, il quale potrebbe escluderla.

Ai sensi dell’art. 4-bis, comma 7, ultimo periodo, all’audizione anticipata «si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 693, 694, 695, 697, 698 e 699 del codice di procedura civile».

Per un verso, il richiamo alla disciplina dei procedimenti di istruzione preventiva non è integrale; per altro verso, le norme espressamente richiamate trovano applicazione «in quanto compatibili».

Sotto il primo profilo, non si applicano all’audizione anticipata del terzo informatore gli artt. 692, 696 e 696-bis c.p.c.

Il mancato richiamo all’art. 692 c.p.c. si comprende se si tiene presente che l’audizione anticipata del terzo informatore non presuppone il periculum del fondato timore che i testimoni stiano per mancare, né alcuna sorta di urgenza[176]. Nonostante il mancato richiamo all’art. 692 c.p.c., il giudice dovrà in ogni caso valutare – come si è poco innanzi evidenziato – la «necessità» della deposizione.

Gli artt. 696 e 696-bis c.p.c. non si applicano in quanto l’istruttoria stragiudiziale nell’ambito della negoziazione assistita – si è già detto[177]  – è limitata alla possibilità di acquisire dichiarazioni di terzi informatori e dichiarazioni confessorie della controparte. Essa non comprende anche la possibilità di verificare lo stato di luoghi o la qualità o la condizione di cose.

Sotto il secondo profilo, la previsione della clausola di compatibilità comporta una parziale applicazione della disciplina codicistica.

Trova applicazione l’art. 693, comma 1, c.p.c., così che l’istanza per l’audizione anticipata del terzo informatore va proposta con ricorso ante causam al giudice che sarebbe competente per la causa di merito.

In ragione della natura non cautelare dell’istituto de quo, non può invece applicarsi l’art. 693, comma 3, c.p.c., nella parte in cui prescrive che nel ricorso ante causam siano indicati i motivi dell’urgenza.

Conseguentemente, la valutazione di ammissibilità non riguarderà l’urgenza dell’assunzione probatoria, bensì l’ammissibilità e la rilevanza della prova[178].

Il ricorso per l’audizione anticipata dovrà contenere soltanto l’indicazione dei fatti sui quali deve essere interrogato il terzo informatore, nonché l’esposizione sommaria delle domande o eccezioni alle quali la prova è preordinata[179].

Per la medesima ragione, non sembra possibile la deroga alla competenza ante causam, prevista dall’art. 693, comma 2, c.p.c., né la pronuncia con decreto (del presidente del tribunale o del giudice di pace) dei provvedimenti di cui agli artt. 694 e 695 c.p.c., prevista dall’art. 697 c.p.c. Ciò in quanto il presupposto dell’«eccezionale urgenza», cui è subordinata l’applicazione dell’art. 693, comma 2 e dell’art. 697 c.p.c., «integra una particolare e più accentuata connotazione del requisito dell’urgenza»[180].

Ricevono, invece, integrale applicazione gli artt. 694 e 695, 698, 699 c.p.c.

Letto il ricorso, il presidente del tribunale o il giudice di pace fissa con decreto l’udienza di comparizione, ordinando la notificazione di quest’ultimo entro un termine perentorio (art. 694 c.p.c.). All’udienza – assunte, quando occorre, sommarie informazioni – il presidente del tribunale o il giudice di pace provvede con ordinanza non impugnabile e, se ammette l’audizione del terzo informatore, fissa l’udienza per l’esame e designa il giudice che deve procedervi (art. 695 c.p.c.).

Il provvedimento di rigetto dell’istanza per l’assunzione preventiva è reclamabile, come sostenuto da una parte della dottrina[181] e definitivamente stabilito da Corte cost., 16 maggio 2008, n. 144[182].

Nell’assumere le dichiarazioni del terzo informatore, il giudice potrà esercitare i poteri previsti per la fase istruttoria (art. 698, comma 1, c.p.c.)[183]. L’assunzione preventiva delle dichiarazioni non pregiudica le questioni relative alla loro ammissibilità e rilevanza, né impedisce la rinnovazione dell’esame del terzo nel giudizio di merito (art. 698, comma 2, c.p.c.). Il processo verbale contenente le dichiarazioni non potrà essere prodotto né richiamato nel successivo giudizio di merito, prima che la prova sia dichiarata ammissibile in quella sede (art. 698, comma 3, c.p.c.).

L’istanza di istruzione preventiva può essere proposta anche in corso di causa – ma prima dell’istruzione probatoria[184] – e durante l’interruzione e la sospensione del giudizio. In tal caso, il giudice provvede con ordinanza (art. 699 c.p.c.).

10.Le dichiarazioni confessorie

Nelle pagine che precedono si è più volte richiamato l’art. 4-ter d.l. n. 132/2014, il quale reca la disciplina delle «dichiarazioni confessorie» nell’ambito del procedimento di negoziazione assistita.

Il comma 1, primo periodo, della norma de qua stabilisce che «quando la convenzione di negoziazione assistita lo prevede, ciascun avvocato può invitare la controparte a rendere per iscritto dichiarazioni su fatti, specificamente individuati e rilevanti in relazione all’oggetto della controversia, ad essa sfavorevoli e favorevoli alla parte nel cui interesse sono richieste»[185].

L’art. 4-ter d.l. n. 34 introduce una forma tipica di confessione[186] stragiudiziale, provocata dall’invito a rendere le dichiarazioni. Pertanto, per essa devono ricorrere i requisiti soggettivi dell’animus e della capacità del confitente, nonché il requisito oggettivo della disponibilità del diritto[187]; ed inoltre, il requisito negativo della irrevocabilità e la caratteristica dell’inscindibilità[188].

10.1. (Segue) L’invito a rendere le dichiarazioni

L’invito della controparte a rendere dichiarazioni confessorie, all’interno del procedimento di negoziazione assistita, corrisponde all’interrogatorio formale nell’ambito del processo civile, il quale – come noto – è il mezzo istruttorio diretto a provocare la confessione[189].

Come si è visto per l’invito al terzo informatore[190], anche l’invito alla controparte, nel silenzio della legge, dovrà contenere l’indicazione dei fatti sui quali quest’ultima è chiamata a rendere dichiarazioni, al fine di assicurare il rispetto del diritto di difesa nonché del principio della parità delle armi e del contraddittorio nella formazione della prova.

Anche per l’acquisizione delle dichiarazioni confessorie, l’iniziativa spetta a «ciascun avvocato» (art. 4-ter, comma 1).

La parte destinataria dell’invito, per il tramite del proprio avvocato, potrebbe a sua svolta invitare l’altra a rendere dichiarazioni confessorie su fatti diversi, ma non anche sopra i medesimi fatti, giacché in tal caso il confronto sarebbe assimilabile ad un giuramento[191].

10.2. (Segue) Modo di deduzione

L’art. 4-ter, comma 1, primo periodo, d.l. n. 132/2014 – si è innanzi anticipato[192] – prescrive che le dichiarazioni della controparte devono vertere «su fatti specificamente individuati e rilevanti in relazione all’oggetto della controversia, ad essa sfavorevoli e favorevoli alla parte nel cui interesse sono richieste».

Come per l’invito al terzo informatore, anche per l’invito alla controparte la disciplina dettata dal d.lgs. n. 132/2014 non corrisponde esattamente a quella contenuta nel codice di rito.

L’art. 230 c.p.c., infatti, dispone che l’interrogatorio formale deve essere dedotto «per articoli separati e specifici».

10.3. (Segue): a) l’onere di specifica indicazione dei fatti e di formulazione di capitoli separati e specifici

Sebbene l’art. 230 c.p.c. non imponga espressamente la specifica indicazione dei fatti, nella giurisprudenza di merito, almeno in un caso, si è affermato che anche per la deduzione dell’interrogatorio formale – come per la prova testimoniale – l’indicazione dei fatti deve essere specifica, pena l’inammissibilità della prova[193].

La deduzione dell’interrogatorio formale per articoli separati e specifici è, invece, espressamente richiesta dall’art. 230 c.p.c. Essa è funzionale, secondo autorevole dottrina, a consentire al giudice di compiere il giudizio di ammissibilità e rilevanza del mezzo di prova[194]. In linea con tale impostazione, la Corte di cassazione afferma che l’interrogatorio formale è inammissibile quando non sia possibile, per la genericità ed indeterminatezza del testo, individuare i capitoli di prova[195].

Più in generale, la Suprema Corte afferma che la valutazione del giudice in ordine all’ammissibilità e alla rilevanza dell’interrogatorio formale va effettuata sulla base del contenuto dei capitoli in rapporto ai termini della controversia[196].

Nell’ambito della negoziazione assistita, anche per le dichiarazioni confessorie – come si è visto per le dichiarazioni di terzi informatori[197] – il rispetto dell’onere di specificità in relazione ai fatti e ai capitoli sembra imposto dall’esigenza di consentire il giudizio di concludenza della prova e di garantire il diritto di difesa e al contraddittorio nell’assunzione della stessa.

Differenti, tuttavia, sono le possibilità di esercizio della vigilanza ad opera delle parti (rectius: dei loro avvocati), circa il rispetto degli oneri de quibus.

Trattando le dichiarazioni del terzo informatore, si è osservato che l’avvocato può far valere il rispetto del diritto di difesa e al contraddittorio adottando una delle seguenti condotte: a) non presentarsi nel giorno e nel luogo previsti per l’audizione del terzo informatore; b) presentarsi, ma non sottoscrivere il documento in cui sono raccolte le dichiarazioni del terzo.

Con riguardo alle dichiarazioni confessorie, l’adozione delle condotte de quibus non si rivelerebbe altrettanto efficace.

Invero, l’assenza dell’avvocato dovrebbe, in tesi, impedire l’acquisizione delle dichiarazioni confessorie, dacché queste ultime dovrebbero essere rese in presenza dell’avvocato che assiste la parte confitente, a mente dell’art. 4-ter, comma 1, secondo periodo, d.l. n. 132/2014 (sul punto v. infra § 10.4). Tuttavia, laddove le dichiarazioni fossero comunque acquisite – sebbene l’ipotesi appaia peregrina – e prodotte in giudizio dalla controparte, il giudice dovrebbe riconoscere loro l’efficacia di cui all’art. 2735, comma 1, c.p.c., trattandosi di confessione fatta alla parte (sul valore probatorio del documento contenente le dichiarazioni confessorie v. infra § 12.3).

A conclusione non differente si perverrebbe nella diversa ipotesi in cui l’avvocato, presente al momento delle dichiarazioni, non sottoscrivesse il documento contenente queste ultime.

Come si vedrà infra § 12, la sottoscrizione del documento da parte dell’avvocato vale ai soli fini della certificazione dell’autografia del confitente e dell’attestazione delle circostanze avvenute in sua presenza. Ciò comporta che la mancata sottoscrizione dell’avvocato potrà, al più, comportare la necessità di aprire un giudizio di verificazione, laddove la sottoscrizione apposta dal confitente fosse disconosciuta. Accertata l’autografia della sottoscrizione, il giudice dovrebbe anche in tal caso valutare le dichiarazioni della parte ai sensi dell’art. 2735, comma 1, c.p.c.

A voler contrastare, ad ogni effetto, l’iniziativa di controparte, una soluzione efficace sarebbe che la parte stessa non si presentasse a rendere le dichiarazioni. Laddove, invece, la stessa rendesse le dichiarazioni ma non sottoscrivesse il verbale contenente le medesime, l’altra parte potrebbe chiedere in giudizio di provare per testimoni (laddove ve ne siano) la confessione stragiudiziale, fermi i limiti di cui all’art. 2735, comma 2, c.p.c.

10.4. (Segue): b) la rilevanza dei fatti

Il requisito della rilevanza dei fatti, che non trova corrispondenza nell’art. 230 c.p.c., sembra potersi spiegare con la necessità che oggetto della confessione sia un fatto costitutivo, modificativo o estintivo a «rilevanza giuridica bifronte»[198], ovvero sfavorevole alla parte che confessa e, allo stesso tempo, favorevole alla controparte.

Anche nel contesto delle dichiarazioni confessorie, come in quello delle dichiarazioni di terzi informatori[199], potrebbe sorgere contrasto tra le parti in ordine alla valutazione del requisito della rilevanza.

11.La rinuncia all’invito ed il rifiuto di rendere dichiarazioni

Nel contesto del processo civile, la giurisprudenza ammette la rinuncia, da parte del deferente, all’interrogatorio formale, allorquando sia presumibile che, dalle eventuali risposte del deferito, il giudice non possa trarre elementi di prova[200]. La rinuncia all’interrogatorio non richiede l’assenso della controparte, può essere tacita e può intervenire anche durante l’espletamento del mezzo istruttorio[201].

Non sovvengono ragioni per escludere che anche nel procedimento di negoziazione assistita – pur nel silenzio dell’art. 4-ter, d.l. n. 132/2014 – sia possibile la rinuncia all’invito a rendere dichiarazioni confessorie. Anche in questo contesto, essa non richiederà il consenso della controparte, potrà essere manifestata tacitamente e sarà possibile anche durante lo svolgimento della prova.

Diversamente dalla rinuncia del deferente, il rifiuto della parte invitata a rendere le dichiarazioni è espressamente contemplato e disciplinato dall’art. 4-ter, d.l. n. 132/2014.

Più in dettaglio, l’art. 4-ter, comma 3, d.l. n. 132/2014 dispone che il rifiuto di rendere dichiarazioni «è» (i.e.: deve essere) valutato dal giudice ai fini delle spese di giudizio, anche ai sensi dell’art. 96, commi 1, 2 e 3, c.p.c.

Dal raffronto con la corrispondente disciplina dettata in tema di interrogatorio formale dall’art. 232 c.p.c., la previsione de qua si distingue per due aspetti.

Da un lato, essa non contempla l’ipotesi di mancata comparizione. Tuttavia, il caso può ritenersi equiparato a quello del rifiuto di rendere dichiarazioni, risultando irragionevole un diverso trattamento, data l’equivalenza di effetti delle due pur differenti condotte.

Dall’altro, la norma fa discendere dal rifiuto non già la possibilità di ritenere ammessi i fatti sui quali la parte è invitata a rendere dichiarazioni, bensì quella di valutare tale condotta ai fini delle spese di lite.

Per quest’ultimo aspetto, la previsione de qua rievoca quanto stabilisce l’art. 4, comma 1, d.l. n. 132/2014 in relazione all’ipotesi di mancata risposta all’invito (o di rifiuto dell’invito) a stipulare la convenzione di negoziazione assistita[202].

Anche rispetto a quest’ultima previsione, l’art. 4-ter, comma 3, d.l. n. 132/2014 presenta due differenze.

La prima è che la parte invitata a rendere le dichiarazioni confessorie non deve essere avvertita del fatto che il rifiuto ingiustificato può essere valutato dal giudice ai fini delle spese di giudizio. Il silenzio serbato dal Legislatore sul punto non sembra essere frutto di una dimenticanza.

La seconda è che il giudice può regolare le spese del giudizio in ragione del rifiuto di rendere le dichiarazioni confessorie soltanto laddove quest’ultimo sia «ingiustificato». Sotto questo profilo, l’art. 4-ter, comma 3 riecheggia l’art. 232, comma 1, c.p.c., il quale subordina la possibilità di ritenere ammessi i fatti all’assenza di un «giustificato motivo». La consonanza con l’art. 232, comma 1, c.p.c. consente di richiamare le ipotesi che possono giustificare il rifiuto di rendere le dichiarazioni confessorie. Si fa riferimento alla malattia grave della parte invitata o di un suo prossimo congiunto e alla mancanza di mezzi di trasporto[203], ma anche alla grande distanza tra la residenza dell’invitato e la sede di assunzione delle dichiarazioni[204].

12.Il documento contenente le dichiarazioni confessorie. Le funzioni della sottoscrizione dell’avvocato

L’art. 4-ter, al comma 1, secondo periodo, dispone che la «dichiarazione» (rectius: il documento contenente la dichiarazione) resa dalla parte confitente debba essere sottoscritta da quest’ultima e dall’avvocato che la assiste. La sottoscrizione dell’avvocato è apposta «anche ai fini» della certificazione dell’autografia del confitente.

L’art. 4-ter, comma 2, stabilisce che il documento contenente la dichiarazione confessoria: a) fa «piena prova» di quanto l’avvocato, che assiste la parte confitente, «attesta essere avvenuto in sua presenza»; b) può essere prodotto nel giudizio iniziato dalle parti della convenzione di negoziazione assistita; c) ha «l’efficacia ed è soggetto ai limiti» previsti dall’articolo 2735 del codice civile».

Dal combinato disposto delle previsioni appena richiamate deriva che la sottoscrizione del documento contenente le dichiarazioni confessorie, da parte dell’avvocato che assiste la parte confitente, assolve a due funzioni: 1) certificare l’autografia della sottoscrizione del confitente; 2) integrare e perfezionare l’attestazione di quanto avvenuto in sua presenza.

Per quanto attiene alla funzione sub 1), si deve ritenere che la certificazione dell’autografia possa essere contestata soltanto mediante la proposizione di querela di falso, giacché concerne un’attestazione resa dal difensore nell’espletamento della funzione sostanzialmente pubblicistica demandatagli dalla legge, in accordo con l’indirizzo costante della Corte di cassazione in tema di certificazione dell’autografia della parte nella procura alle liti[205].

Per quanto attiene alla funzione sub 2), si rimanda a quanto sarà esposto infra, § 12.1.

 

12.1. (Segue): a) il valore di «piena prova» di quanto «l’avvocato attesta» essere avvenuto in sua presenza

Si è appena sopra ricordato[206] che l’art. 4-ter, comma 2 stabilisce che il documento contenente la dichiarazione confessoria fa «piena prova» di quanto l’avvocato che assiste la parte confitente «attesta essere avvenuto in sua presenza».

La previsione replica quella dettata dall’art. 4-bis, comma 6 con riguardo al documento contenente le dichiarazioni di terzi informatori, salve talune peculiarità, di cui è opportuno dare conto.

In dettaglio, poiché nel caso delle dichiarazioni confessorie non sono prescritti gli inviti e gli avvertimenti preliminari invece stabiliti dall’art. 4-bis, comma 2, per l’audizione di terzi informatori, l’attestazione ha qui ad oggetto soltanto i fatti sui quali la parte è stata invitata a rendere le dichiarazioni confessorie e le dichiarazioni stesse.

Pertanto, il documento contenente le dichiarazioni confessorie fa «piena prova» di queste ultime, limitatamente al loro contenuto c.d. estrinseco[207].

Inoltre, a differenza dell’art. 4-bis, comma 6, il quale stabilisce che il documento contenente le dichiarazioni dei terzi informatori debba essere corredato dall’attestazione degli «avvocati», per il documento contenente le dichiarazioni confessorie l’art. 4-ter, comma 2 dispone che l’attestazione sia svolta soltanto dall’«avvocato» che assiste la parte confitente.

La differente formulazione delle due previsioni pare essere il frutto di una scelta consapevole del Legislatore, dettata da un’esigenza pratica. Le dichiarazioni confessorie – a differenza di quelle rese dai terzi informatori – possono essere acquisite con modalità telematica, sicché il luogo in cui si trova la parte confitente potrebbe essere diverso da quello in cui si trovano la parte che ha formulato l’invito e il suo avvocato.

Tuttavia, è preferibile che l’attestazione sia anche qui svolta da tutti gli avvocati. Ciò, per almeno un duplice ordine di ragioni.

Innanzitutto, per ragioni di coerenza sistematica.

Inoltre, e soprattutto, per ragioni attinenti alla garanzia del diritto di difesa e al contraddittorio. Non può escludersi, infatti, che l’avvocato della parte confitente non verbalizzi fedelmente il tenore delle medesime. In questa ipotesi, laddove l’attestazione fosse rimessa soltanto a quest’ultimo, il valore di piena prova del documento contenente le dichiarazioni sfuggirebbe al controllo dell’altra parte, la quale sarebbe costretta a proporre querela di falso per far accertare la falsità ideologica. All’opposto, laddove si ritenga che l’attestazione debba essere svolta anche dall’avvocato della parte che ha formulato l’invito, nell’ipotesi delineata quest’ultimo potrebbe limitarsi a non apporre la propria attestazione al documento contenente le dichiarazioni confessorie. In tal modo – come si è visto per le dichiarazioni dei terzi informatori[208] – nel giudizio introdotto a seguito dell’insuccesso della negoziazione assistita, il contrasto circa l’effettivo contenuto estrinseco del documento contenente le dichiarazioni confessorie potrebbe essere risolto ricorrendo agli ordinari mezzi di prova.

12.2. (Segue): b) l’ulteriore deroga all’obbligo di riservatezza

Con riguardo alla possibilità, prevista dall’art. 4-ter, comma 2, di produrre in giudizio il documento contenente le dichiarazioni confessorie, non vi sono particolarità rispetto alla corrispondente disciplina dettata per l’acquisizione delle dichiarazioni di terzi informatori dall’art. 4-bis, comma 6.

Anche per il deposito del documento de quo[209], la deroga all’obbligo di riservatezza stabilito dall’art. 9, comma 2, d.l. n. 132/2014 è possibile in virtù del previo accordo tra le parti – contenuto nella convenzione di negoziazione – circa la possibilità di acquisire le dichiarazioni confessorie; ed è soltanto parziale, dovendo rimanere «riservate tutte le altre dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel corso del procedimento».

12.3. (Segue): c) il valore probatorio delle dichiarazioni confessorie

Quanto al valore probatorio delle dichiarazioni confessorie, come anticipato[210], l’art. 4-ter, comma 2 fa espresso richiamo all’«efficacia» e ai «limiti» previsti dall’art. 2735 c.c.

Per quanto attiene all’efficacia, poiché le dichiarazioni confessorie, nell’ambito del procedimento di negoziazione assistita, vengono rese a seguito di invito dell’avvocato della controparte ed in presenza del primo o di entrambi, trova certamente applicazione l’art. 2735, comma 1, primo periodo, secondo il quale la dichiarazione confessoria resa alla parte o al suo avvocato ha la stessa efficacia probatoria di quella giudiziale[211]. Non può, peraltro, escludersi che nel procedimento di negoziazione assistita siano acquisite dichiarazioni confessorie rese a terzi, oppure contenute in un testamento. In questi casi, le dichiarazioni confessorie saranno oggetto di libero apprezzamento da parte del giudice, ai sensi dell’art. 2735, comma 1, secondo periodo, c.c.

Nell’ipotesi – più frequente[212] – in cui la parte invitata renda dichiarazioni complesse – ovvero, affermi anche fatti sfavorevoli alla controparte – sembra poter trovare applicazione l’art. 2734 c.c. Ciò, in ragione del carattere dell’inscindibilità che, si è già detto[213], riguarda anche le dichiarazioni confessorie rese nell’ambito del procedimento di negoziazione assistita. In tale ipotesi, il valore probatorio della complessiva dichiarazione dipenderà dall’eventualità che la controparte contesti, oppure no, la verità dei fatti o delle circostanze dichiarate che siano a sé sfavorevoli. Nel documento contenente le dichiarazioni complesse bisognerà dare atto dell’eventuale contestazione. Ciò consentirà al giudice, nel giudizio introdotto (proseguito o riassunto) a seguito dell’insuccesso della negoziazione assistita: di attribuire valore confessorio alle dichiarazioni complesse, laddove non risulti la contestazione della controparte; oppure, di valutare le dichiarazioni secondo il proprio prudente apprezzamento, in presenza di contestazione.

Per quanto attiene ai limiti, trova applicazione l’art. 2735, comma 2, c.c., dove si dispone che la confessione stragiudiziale non può provarsi per testimoni, se verte su un oggetto per il quale la prova testimoniale non è ammessa dalla legge.

Un’ipotesi di applicazione della disposizione de qua è il caso – innanzi ipotizzato[214] – in cui la parte confitente non sottoscriva il documento contenente le dichiarazioni confessorie.

13.Considerazioni conclusive

L’indagine sin qui condotta ha permesso di rilevare alcune criticità nel disegno dell’istruttoria stragiudiziale tratteggiato dal d.l. n. 132/2014. Allo scopo di porvi rimedio, si sono proposte soluzioni interpretative e, talvolta, accorgimenti pratici, adoperabili in concreto dalle parti e dai loro avvocati.

Dal confronto con le prescrizioni dettate dalla legge delega è emersa, in un caso, un’attuazione parziale di quest’ultima, che non sembra tuttavia censurabile di illegittimità costituzionale. Si fa riferimento alla mancata previsione, negli artt. 4-bis, comma 6, secondo periodo e 4-ter, comma 2 d.l. n. 132/2014, della possibilità di adoperare i risultati dell’istruttoria stragiudiziale nel processo non soltanto iniziato, ma altresì riassunto o proseguito dopo l’insuccesso della negoziazione assistita. La lacuna normativa – si è detto – potrebbe essere colmata per il tramite di un’interpretazione integrativa delle norme de quibus, alla luce della prescrizione contenuta nell’art. 1, comma 4, lett. t) n. 3, della legge delega[215].

In un altro caso, si è notata la possibile irragionevolezza della scelta discrezionale del Legislatore delegato, che potrebbe tuttavia non essere sottoposta al vaglio della Consulta per difetto di rilevanza. Si fa riferimento al divieto di audizione dei minori infraquattordicenni, stabilito dall’art. 4-bis, comma 3, d.l. n. 132/2014. Il divieto – si è osservato – potrebbe essere aggirato, laddove una parte inviti comunque l’infraquattordicenne a rendere dichiarazioni e l’altra parte non si opponga, potendo le nullità delle dichiarazioni essere sanate dal successivo raggiungimento dell’accordo di negoziazione[216].

Dal confronto con la disciplina di legge in tema di prova testimoniale, di confessione stragiudiziale e di assunzione di testimoni a futura memoria è emerso, più d’una volta, un vuoto di garanzie quanto al rispetto del diritto di difesa e al contraddittorio. Vuoto dovuto alla mancanza, nel contesto del procedimento di negoziazione assistita, del controllo giudiziale nella fase dell’ammissione e dell’assunzione dei mezzi di prova.

Più in dettaglio, nell’ambito della disciplina dell’acquisizione di dichiarazioni di terzi informatori, l’assenza di garanzie è stata rilevata allorquando non sia rispettato l’onere di specifica indicazione dei fatti, di formulazione di capitoli separati e di specifica indicazione dei terzi invitati a rendere le dichiarazioni. In quella sede, si è suggerito che l’avvocato non si presenti nel giorno e nel luogo previsti per l’audizione del terzo informatore; oppure, che non sottoscriva il documento in cui sono raccolte le dichiarazioni del terzo. Nel primo caso, l’assenza dell’avvocato impedirà di raccogliere le dichiarazioni del terzo. Nel secondo, la mancata sottoscrizione comporterà che il documento contenente le dichiarazioni del terzo non potrà essere prodotto in giudizio e, se prodotto, non potrà essere preso in considerazione dal giudice; ed inoltre, che non potrà acquisire valore di piena prova di quanto oggetto dell’attestazione (giacché quest’ultima sarebbe svolta da uno soltanto degli avvocati). La soluzione – si è avvisato – va confrontata con gli indirizzi forniti dalla Corte di cassazione in tema di ammissibilità ed efficacia probatoria delle dichiarazioni scritte di terzi estranei ai fatti di causa, che non siano state acquisite nel contraddittorio tra le parti[217].

Nell’ambito della disciplina dell’acquisizione delle dichiarazioni confessorie della controparte, si è avuto modo di evidenziare come, per il rispetto dell’onere di specifica indicazione dei fatti e di formulazione di capitoli separati e specifici, l’adozione delle condotte appena indicate non si rivelerebbe altrettanto efficace. Una soluzione efficace è sembrata che la parte stessa non si presenti a rendere le dichiarazioni[218].

Ancora nell’ambito della disciplina delle dichiarazioni confessorie, si è notato che la scelta di attribuire, al solo avvocato che assiste la parte confitente, il potere di attestare quanto «avvenuto in sua presenza», comporta che il valore di piena prova del documento contenente le dichiarazioni sfugga al controllo dell’altra parte, la quale sarebbe costretta a proporre querela di falso per far accertare la falsità ideologica. In quella sede, si è proposto di interpretare la previsione nel senso che l’attestazione debba essere svolta anche dall’avvocato della parte che ha formulato l’invito. In tal modo, quest’ultimo potrebbe limitarsi a non apporre la propria attestazione al documento contenente le dichiarazioni confessorie, così che – come si è visto per le dichiarazioni dei terzi informatori – nel giudizio introdotto a seguito dell’insuccesso della negoziazione assistita, il contrasto circa l’effettivo contenuto estrinseco del documento contenente le dichiarazioni confessorie potrebbe essere risolto ricorrendo agli ordinari mezzi di prova[219].

Al di là delle evidenziate problematiche in tema di garanzia del diritto di difesa e del contraddittorio, la mancanza del controllo giudiziale, nella fase dell’ammissione e dell’assunzione dei mezzi di prova,

potrebbe comportare un appesantimento dell’istruttoria stragiudiziale. Un esempio è l’impossibilità di ridurre le liste di terzi informatori sovrabbondanti[220].

Più in generale, detta mancanza potrebbe pregiudicare il raggiungimento dell’accordo, tutte le volte che tra le parti sorga un contrasto la cui soluzione, nel processo civile, è demandata al giudice. Si fa riferimento alla valutazione circa la rilevanza dei fatti oggetto dell’invito al terzo[221], o alla controparte[222], a rendere dichiarazioni.

Alla luce di quanto precede, si è osservato che la delocalizzazione dell’istruttoria, pur consentendo di abbreviare la fase di trattazione, comporta la riduzione delle garanzie difensive e del contraddittorio[223].

A fronte di siffatta riduzione delle garanzie, si può auspicare – come ha già fatto attenta dottrina[224] – che il Legislatore tenga in futuro conto dell’evoluzione della discovery in ambito statunitense – sebbene le basi culturali dei rispettivi sistemi processuali siano diverse[225] –, dove sono stati progressivamente innestati sul modello originario, che ne rimetteva la gestione ai soli avvocati, poteri di controllo e di programmazione in capo al giudice[226]. Ma con attenta riflessione idonea ad evitare il rischio di “snaturare” l’istituto oggetto di questo studio e la sua stessa ratio volta a deflazionare i ruoli del giudice togato.

 

 

 

 

 

 

[1] «Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata», in G.U. n. 243 del 17 ottobre 2022.

[2] «Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata», in G.U. n. 292 del 9 dicembre 2021.

[3] Cfr. Ministero della Giustizia, Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149: «Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata», in G.U. n. 245 del 19 ottobre 2022, Supplemento straordinario n. 5, p. 6.

[4] Per un’introduzione all’allora nuovo istituto, v. J. Polinari, in C. Punzi, Il processo civile. Sistema e problematiche. Le riforme del quinquennio 2010-2014, Torino, 2015, p. 437 ss.

[5] L’art. 35, comma 1, d.lgs. n. 149/2022 ha stabilito che «Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti».

[6] Cfr. A. M. Tedoldi, Le ADR nella riforma della giustizia civile, in questionegiustizia.it, p. 19.  L’art. 41, comma 4, d.lgs. 149/2022 ha stabilito che «Le disposizioni di cui all’articolo 9, comma 1, lettere e) e l), si applicano a decorrere dal 30 giugno 2023». L’art. 9, comma 1, lett. e) ha disposto l’abrogazione del comma 6 dell’art. 3, d.l. n. 132/2014, il quale dispone[va] che, quando il procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda, all’avvocato non è dovuto compenso dalla parte che si trova nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato. L’art. 9, comma 1, lett. l) ha introdotto la Sezione II nel Capo II del d.lgs. 149/2022, raggruppandovi le «Disposizioni sul patrocinio a spese dello Stato della negoziazione assistita». La lettera dell’art. 41, comma 4 è il frutto delle modifiche introdotte dall’art. 1, comma 380, lett. c), punto 3) della legge 29 dicembre 2022, n. 197. Nella versione originaria, l’art. 41, comma 4 stabiliva che «Le disposizioni di cui all’articolo 9 si applicano a decorrere dal 30 giugno 2023», disciplinando in questi termini l’entrata in vigore di tutte le innovazioni apportate dal d.lgs. 149/2022. Sul problema dell’interpretazione delle disposizioni regolatrici della disciplina transitoria del d.lgs. n. 149/2022 in tema di negoziazione assistita, v. F. Campione, Il d.lgs. 149/2022, la Legge di bilancio 2023 e il regime transitorio delle modifiche in tema di mediazione e negoziazione assistita: una brevissima riflessione, in judicium.it.

[7] La possibilità di introdurre nel procedimento di negoziazione assistita un’attività istruttoria è giudicata la novità più «intrigante» da G. Miccolis, Le nuove norme in tema di mediazione e negoziazione assistita, in Riv. dir. proc., 2023, 3, p. 1085, ed il punto in cui la riforma assume «vera portata innovativa», da A. Dondi-V. Ansanelli, Istruzione stragiudiziale e discovery nei recenti “Interventi per l’efficienza del processo civile”, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2019, 2, p. 760.

[8] In questi termini v. Ministero della Giustizia, Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, cit., p. 7.

[9] Cfr. B. Ficcarelli, Istruzione stragiudiziale nella negoziazione assistita da avvocati. Nuova sfida culturale per il legislatore italiano e metodi complementari di risoluzione delle controversie, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2023, 2, p. 529; A. M. Tedoldi, Le ADR nella riforma della giustizia civile, in Questione Giustizia, 2021, 3, p. 149 s.

[10] Per discovery – spiega B. Ficcarelli, op. cit., p. 508, «si intende la fase antecedente al dibattimento, nella quale le parti sono tenute a fornire l’una all’altra tutte le informazioni e le relative prove in loro possesso e a loro disposizione relative alla controversia».

[11] Cfr. A. Dondi-V. Ansanelli, op. cit., p. 760 s.

[12] La scelta terminologica sarebbe «pudica», giacché la disciplina delle dichiarazioni dell’informatore e delle sue conseguenze, anche in punto di sanzioni, sono le stesse previste per il testimone, a giudizio di A. M. Tedoldi, Le ADR nella riforma della giustizia civile, in questionegiustizia.it, cit., p. 21.

[13] In questo senso v. anche E. Dalmotto, La negoziazione assistita nell’ultima riforma della giustizia civile, in Giur. it., 2023, 3, p. 744.

[14] I modelli di convenzione di negoziazione assistita sono reperibili al link https://www.consiglionazionaleforense.it/web/cnf/negoziazione-assistita.

[15] In questi termini v. B. Ficcarelli, op. cit., p. 523.

[16] Cfr. Ministero della Giustizia, Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, cit., p. 7.

[17] Cfr. Ministero della Giustizia, op. loc. ult. cit.

[18] La possibilità di utilizzare i risultati dell’istruttoria stragiudiziale nel successivo eventuale giudizio è giudicata «del tutto non trascurabile» da A. Dondi-V. Ansanelli, op cit., p. 760 e «di assoluto rilievo» da B. Ficcarelli, op. cit., p. 529.

[19] In questi termini v. S. Boccagna, La negoziazione assistita e le controversie di lavoro: verso il tramonto della norma inderogabile?, in Diritti Lavori Mercati, 2022, I, p. 81.

[20] Per questa notazione v. M.A. Zumpano, ADR e riforma del processo civile, in Questione Giustizia, 2021, 3, p. 137.

[21] In questi termini v. E. Dalmotto, op. cit., p. 745.

[22] In questo senso v. M. A. Zumpano, op. cit., p. 137; S. Boccagna, op. cit., 81 s.

[23] Di questo avviso sono A. M. Tedoldi, Le ADR nella riforma della giustizia civile, in Questione Giustizia, cit., p. 150, il quale discorre di «wishful thinking francamente utopistico» e, se non ci s’inganna, P. Nappi, La legge delega di riforma degli strumenti complementari. Note a prima lettura, in Giusto proc. civ., 2022, 1, p. 25 ss.

[24] Così A. Dondi-V. Ansanelli, op cit., p. 760 s.

[25] Cfr. B. Ficcarelli, op. cit., p. 513 s., spec. nt. 23, anche per un inventario di ipotesi di abuse of discovery.

[26] È noto che, per interpretare la volontà del Legislatore delegato nei giudizi di legittimità costituzionale, la Consulta prende anche in considerazione il contenuto della Relazione illustrativa, cfr. ad es. Corte cost., 18.06.2003, n. 212, in Foro it., 2004, I, c. 1708; Id., 24.09.2015, n. 194, ivi, 2016, I, c. 1574.

[27] Supra § 1.1.

[28] Cfr. Ministero della Giustizia, Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, cit., p. 7.

[29] Il Tribunale di Biella ha sottoscritto una convenzione con l’Associazione degli Avvocati negoziatori Enne.Zero, con la quale è stato previsto che i giudici che intendano disporre la negoziazione delegata possano selezionare un negoziatore tra i nominativi presenti nella lista messa a disposizione dall’Associazione. Il progetto è stato previamente sottoposto al parere del CSM, il quale non ha ritenuto che lo stesso necessitasse di formale autorizzazione. In proposito v. S. Occhipinti, Negoziazione delegata, la sperimentazione parte dal Tribunale di Biella, al link https://www.altalex.com/documents/news/2023/02/16/negoziazione-delegata-sperimentazione-parte-tribunale-biella#p4.

[30] Cfr., tra le altre, Corte cost., 12.04.2005, n. 149, in Giur. costit., 2005, 1215; Id., 01.07.2005, n. 257, in Foro it., Rep., 2006, voce Circolazione stradale, n. 250; Id., 29.11.2013, n. 283, in Arch. circ. ass. e resp., 2014, 5.

[31] In questo senso v. Corte cost., 12.01.1977, n. 8; Id., 06.03.1975, n. 41 entrambe in ForoPlus (da qui in poi nelle note, la giurisprudenza è citata come rinvenibile soltanto in ForoPlus quando la massima ufficiale è riferita a diverso capo di sentenza rispetto alla questione trattata nel testo).

[32] In tema v. E. Betti, Interpretazione della legge e degli atti giuridici (Teoria generale e dogmatica), IIª ed. a cura di G. Crifò, Milano, 1971, spec. p. 129 ss. Per una recente, accurata rilettura dell’opera di Betti v. P. Perlingieri, «Principi generali» e «interpretazione integrativa» nelle pagine di Emilio Betti, in Rass. dir. civ., 2019, 1, p. 105 ss.

[33] La soluzione indicata nel testo si può ricavare da altre disposizioni dettate dal d.l. n. 132/2014. In particolare, dall’art. 11, comma 1, dove è stabilito che gli avvocati devono trasmettere l’accordo di negoziazione «al Consiglio dell’ordine circondariale del luogo ove l’accordo è raggiunto, ovvero al Consiglio dell’ordine presso cui è iscritto uno degli avvocati»; ed inoltre, dall’art. 6 – relativo alla negoziazione assistita familiare – il quale prevede che l’accordo debba essere trasmesso «al Consiglio dell’ordine presso cui è iscritto uno degli avvocati».

[34] Per questa prospettiva v. E. Dalmotto, op. cit., p. 744.

[35] V. infra, § 5.1.

[36] V. infra, § 5.2.

[37] Per questa prospettiva v. già G. Basilico, Note sull’ “attività di istruzione stragiudiziale” secondo la Riforma del processo civile, in giustiziacivile.com, p. 5.

[38] Cfr. G. Basilico, op. loc. ult. cit.

[39] Cfr. art. 4-bis, comma 4, d.l. n. 132/2014.

[40] L’art. 252, comma 1, c.p.c. dispone che «Il giudice istruttore richiede al testimone il nome, il cognome, il luogo e la data di nascita l’età e la professione, lo invita a dichiarare se ha rapporti di parentela, affinità, affiliazione o dipendenza con alcuna delle parti, oppure interesse nelle causa».

[41] Secondo l’art. 366 c.p., «Chiunque, nominato dall’Autorità giudiziaria perito, interprete, ovvero custode di cose sottoposte a sequestro dal giudice penale, ottiene con mezzi fraudolenti l’esenzione dall’obbligo di comparire o di prestare il suo ufficio, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da 30 euro a 516 euro. Le stesse pene si applicano a chi, chiamato dinanzi all’Autorità giudiziaria per adempiere ad alcuna delle predette funzioni, rifiuta di dare le proprie generalità, ovvero di prestare il giuramento richiesto, ovvero di assumere o di adempiere le funzioni medesime. Le disposizioni precedenti si applicano alla persona chiamata a deporre come testimonio dinanzi all’Autorità giudiziaria e ad ogni altra persona chiamata ad esercitare una funzione giudiziaria. Se il colpevole è un perito o un interprete, la condanna importa l’interdizione dalla professione o dall’arte».

[42] L’art. 495, comma 1, c.p. stabilisce che «Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni».

[43] Secondo l’art. 496 c.p., «Chiunque, fuori dei casi indicati negli articoli precedenti, interrogato sulla identità, sullo stato o su altre qualità della propria o dell’altrui persona, fa mendaci dichiarazioni a un pubblico ufficiale, o a persona incaricata di un pubblico servizio, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, è punito con la reclusione da uno a cinque anni».

[44] La nozione di pubblico servizio è fornita dall’art. 358, comma 2, c.p., dove si chiarisce che «per pubblico servizio deve intendersi un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di questa ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale».

[45] La Corte di cassazione, in una pronuncia non troppo risalente, ha affermato che «la nozione di pubblico servizio abbraccia quelle attività pubbliche che – pur essendo prive di potestà di imperio e di certificazione documentale – sono finalizzate all’espletamento di un servizio che, anche se non essenziale all’ente pubblico, risulta assunto nell’interesse della collettività», così Cass., sez. pen., sez. VI, 02.12.2003, n. 2548, in Foro it., Rep., 2004, voce Pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio, n. 3.

[46] In questo senso v. R. Siciliano, Le innovazioni alla convenzione di negoziazione assistita in materia di separazione e divorzio, in R. Tiscini (a cura di), La riforma Cartabia del processo civile, Commento al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, Pisa, 2023, p. 1362.

[47] Cfr. C. Mandrioli, Diritto processuale civile, II, XXª ed., Torino, 2009, p. 287.

[48] Cfr. supra, § 3.2.

[49] Supra, § 1.1.

[50] Cfr. supra, § 1.2.

[51] Cfr. supra, § 3.2.

[52] L’art. 249 c.p.c. dispone che «Si applicano all’audizione dei testimoni le disposizioni degli articoli 200, 201 e 202 del codice di procedura penale relative alla facoltà di astensione dei testimoni».

[53] L’attività del Legislatore delegato deve inserirsi in modo coerente nel complessivo quadro normativo, rispettando la ratio della legge delega, cfr. Corte cost., 26.05.2018, n. 127, in Foro it., 2017, I, c. 3587; Id., 23.03.2016, n. 59, ivi, 2016, I, c. 1526; Id., 25.11.2016, n. 250, ivi, 2017, I, c. 0059. La ratio della delega si compone delle ragioni e delle finalità che hanno ispirato il Legislatore delegante, cfr. Corte cost., 21.01.1999, n. 7, in Foro it., 2000, I, c. 1780; Id., 21.12.1995, n. 531, ivi, 1996, I, c. 3816; Id., 13.05.1993, n. 237, ivi, 1993, I, c. 3198.

[54] Secondo l’indirizzo costante della Consulta, il controllo della conformità della norma delegata rispetto alla norma delegante richiede tra l’altro di verificare se, nel silenzio del Legislatore delegante su di uno specifico tema, le scelte del Legislatore delegato non siano in contrasto con gli indirizzi generali della legge delega, cfr. Corte cost., 06.10.2014, n. 229, in Foro it., 2015, I, c. 3006; Id., 06.12.2012, n. 272, ivi, 2013, I, c. 1091.

[55] Cfr. Cass., sez. lav., 13.03.1996, n. 2058, in Foro it., Rep., 1996, voce Prova testimoniale, n. 35.

[56] In proposito v. infra, § 4.

[57] In questo senso, con riguardo alla facoltà di astensione del teste nel processo civile, v. V. Andrioli, voce Prova testimoniale (diritto processuale civile), in Novissimo Digesto Italiano, XIV, Torino, 1967, p. 352; P. Della Vedova, Art. 249, in L. P. Comoglio-C. Consolo-B. Sassani-R. Vaccarella (diretto da), Commentario del codice di procedura civile, III, 1, Torino, 2012, p. 1048.

[58] In questo senso v. S. Satta, Commentario al codice di procedura civile, II, 1, Milano, 1959/1960, p. 271; L. Laudisa, voce Prova testimoniale. 1) Diritto processuale civile, EGT, XXV, Roma, 1991, p. 7.

[59] Sulla necessità che, per poter ricorrere al procedimento per analogia – oltre a mancare una norma di legge atta a regolare direttamente il caso sul quale il giudice sia chiamato a decidere – il giudice debba accertare l’esistenza «di un rapporto di somiglianza tra alcuni elementi (giuridici o di fatto) della vicenda regolata ed alcuni elementi di quella non regolata», v. Cass., sez. un., 06.12.2021, n. 38596, in ForoPlus.

[60] Cfr. V. Andrioli, op. cit., p. 352; S. Satta, op. cit., p. 271.

[61] Per riferimenti v. M. Montanari, Art. 256, in C. Consolo (diretto da), Codice di procedura civile, Milano, 2013, p. 2593.

[62] Così recita la rubrica dell’art. 391-ter c.p.

[63] In dettaglio, l’art. 391-ter c.p. dispone che «Nelle ipotesi previste dall’articolo 4 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 10 novembre 2014, n. 162, chiunque, non essendosi avvalso della facoltà di cui al comma 2, lettere b) e c), del medesimo articolo, rende dichiarazioni false è punito con la pena prevista dal primo comma».

[64] Più precisamente, l’art. 256 c.p.c. dispone che «Se il testimone, presentandosi, rifiuta di giurare o di deporre senza giustificato motivo, o se vi è fondato sospetto che egli non abbia detto la verità o sia stato reticente, il giudice istruttore lo denuncia al pubblico ministero, al quale trasmette copia del processo verbale».

[65] Cfr. V. Andrioli, op. cit., p. 353.

[66] Cfr. E. Fabiani, Note sulla nuova figura della testimonianza (c.d. scritta) introdotta dalla legge n. 69 del 2009, in judicium.it, p. 16.

[67] In questo senso v. P. Comoglio, in P. Comoglio-P. Della Vedova-A. Lombardi-P. Moscatelli, La nuova prova testimoniale: testimonianza scritta, decadenza dalla prova testimoniale, accompagnamento coattivo del teste, Roma, 2009, p. 239 ss.

[68] Cfr. Ministero della Giustizia, Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, cit., p. 117.

[69] Cfr. Ministero della Giustizia, op. loc. ult. cit.

[70] In questo senso v. V. Baroncini, Art. 9, in M. Montanari-V. Baroncini, Negoziazione assistita, Bologna, 2018, p. 286 s.

[71] Cfr. supra, § 3.4.

[72] Cfr. supra, § 3.1.

[73] Cfr. § 3.6.

[74] In Foro it., 1995, I, c. 2042, con nota di F. Donati.

[75] Con la sentenza n. 149/1995 la Corte costituzionale, al fine di assicurare che nel processo civile fosse assicurata tutela equivalente a quella garantita nel processo penale quanto al «valore costituzionale della libertà di coscienza nei preliminari della testimonianza nei due distinti procedimenti»,  ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del secondo comma dell’art. 251 c.p.c.: «a) nella parte in cui prevede che il giudice istruttore “ammonisce il testimone sull’importanza religiosa, se credente, e morale del giuramento e sulle”, anziché stabilire che il giudice istruttore “avverte il testimone dell’obbligo di dire la verità e delle”; b) nella parte in cui prevede che il giudice istruttore “legge la formula: “Consapevole della responsabilità che con il giuramento assumete davanti a Dio, se credente, e agli uomini, giurate di dire la verità, null’altro che la verità”, anziché stabilire che il giudice istruttore “lo invita a rendere la seguente dichiarazione: “Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza”; c) nella parte in cui prevede: “Quindi il testimone, in piedi, presta il giuramento pronunciando le parole: “lo giuro”».

[76] L’art. 103-bis disp. att. c.p.c. prevede che il modulo sul quale è resa la testimonianza scritta ex art. 257-bis c.p.c. deve contenere «l’ammonimento del testimone ai sensi dell’articolo 251 del codice e la formula di giuramento di cui al medesimo articolo».

[77] In questo senso v. Cass. pen., sez. I, 09.10.2002, n. 1740, in Cass. pen. 2005, 4, p. 1254.

[78] In questi termini v. Cass., sez. II, 12.10.2001, n. 12430, in Foro it., Rep., 2001, voce Prova testimoniale, n. 6; Id., sez. I, 11.10.1999, n. 11386, ivi, 1999, voce cit., n. 36.

[79] Supra, § 3.1.

[80] In questi termini v. Cass., sez. III, 22.04.2009, n. 9547, in Foro it., Rep., 2009, voce Prova testimoniale, n. 15; Id., sez. III, 24.02.1987, n. 1938, ivi, 1987, voce cit., n. 14.

[81] Cfr. Cass., sez. I, 31.01.2007, n. 2201, in Foro it., Rep., 2007, voce Prova testimoniale, n. 12.

[82] Per questa prospettiva v. M. Montanari, Art. 244, in C. Consolo (diretto da), Codice di procedura civile, cit., p. 2536.

[83] Cfr. Cass. n. 9547/2009, cit.; Id., sez. VI, 12.10.2011, n. 20997, in Foro it., Rep., 2011, voce Prova testimoniale, n. 9.

[84] La legge n. 353/1990 ha abrogato i commi 2 e 3 dell’art. 244 c.p.c., i quali prevedevano, rispettivamente, che «La parte contro la quale la prova è proposta, anche quando si oppone all’ammissione, deve indicare a sua volta nella prima risposta le persone che intende fare interrogare e deve dedurre per articoli separati i fatti sui quali debbono essere interrogate», e che «Il giudice istruttore, secondo le circostanze, può assegnare un termine perentorio alle parti per formulare o integrare tali indicazioni».

[85] In questo senso v., ex multis, Cass., sez. II, 27.03.2007, n. 7508, in Foro it., Rep., 2007, voce Prova testimoniale, n. 14; Id., Cass., sez. II, 01.03.1995, n. 2337, ivi, 1995, voce cit., n. 22; Id., sez. III, 05.07.2004, n. 12292, ivi, 2004, voce cit., n. 8.

[86] Il riferimento è a Cass., sez. III, 08.02.2019, n. 3708, in Foro it., Rep., 2019, voce Prova testimoniale, n. 8.

[87] In questo senso v. Cass., sez. II, 20.11.2013, n. 26058, in Foro it., Rep., 2013, voce Prova testimoniale, n. 20.

[88] Per questa prospettiva, v. Cass., sez. lav., 28.07.2010, n. 17649, in Foro it., Rep., 2010, voce Lavoro e previdenza (controversie in materia di), n. 82.

[89] In questo senso v. Cass., sez. III, 18.04.2016, n. 7631, in Guida al dir., 2016, 33, p. 44; Id., sez. III, 14.03.2014, n. 5950, in Foro it., Rep., 2014, voce Lavoro e previdenza (controversie in materia di), n. 119.

[90] Cfr. supra, § 1.1.

[91] Il modello predisposto dal CNF prevede la possibilità di invitare terzi a rendere dichiarazioni «su fatti specificatamente individuati e rilevanti in relazione all’oggetto della controversia, previamente capitolati».

[92] Per riferimenti v. G. Stella, Le prove atipiche nel processo civile, in giustiziainsieme.it.

[93] Cfr. § 5.

[94] Per l’affermazione che le circostanze di fatto oggetto della prova testimoniale debbano essere rilevanti sul piano probatorio v., ad esempio, Cass., sez. III, 21.09.2015, n. 18481, in Foro it., Rep., 2015, voce Prova testimoniale, n. 38; Id., sez. lav., 12.08.2011, n. 17272, ivi, 2011, voce Lavoro e previdenza (controversie in materia di), n. 99.

[95] In questo senso v. G. Verde, Diritto processuale civile. 2. Processo di cognizione, Vª ed., Torino, 2017, p. 74 s.

[96] Sul criterio della rilevanza della prova v. soprattutto M. Taruffo, Studi sulla rilevanza della prova, Padova, 1970; Id., La prova dei fatti giuridici. Nozioni generali, in A. Cicu-F. Messineo (diretto da), Trattato di diritto civile e commerciale, III, t. 2, sez. 1, Milano, 1992, p. 337 ss.

[97] Cfr. G. Basilico, op. cit., p. 2.

[98] Così, M. Taruffo, Studi sulla rilevanza della prova, cit., p. 339.

[99] In questo senso v., ancora, G. Basilico, op. cit., p. 2. Al contrario, per M. Taruffo, op. ult. cit., p. 338 ss., deve ritenersi rilevante anche la prova che verta su di un fatto secondario, dal quale sia possibile «logicamente derivarsi conseguenze probatorie in ordine al fatto principale».

[100] Per questa prospettiva v. R. Siciliano, op. cit., p. 1360.

[101] Cfr. R. Siciliano, op. loc. ut. cit.

[102] L’art. 4-bis, comma 6, ultimo periodo, dispone che «Il giudice può sempre disporre che l’informatore sia escusso come testimone».

[103] Mentre i testimoni de relato ex parte actoris depongono su fatti e circostanze di cui sono stati informati dal soggetto che ha proposto il giudizio, i testimoni de relato depongono su circostanze che hanno appreso da persone estranee al giudizio, così Cass., sez. I, 15.01.2015, n. 569, in Foro it., Rep., 2015, voce Prova testimoniale, n. 4.

[104] La Cassazione attribuisce alle deposizioni dei testi de relato una rilevanza attenuata, la quale può tuttavia assumere rilievo ai fini del convincimento del giudice in concorso con altri elementi oggettivi e concordanti che ne suffragano la credibilità, così Cass., sez. lav., 19.01.2017, n. 1320, in ForoPlus; Id., sez. II, 31.07.2013, n. 18352, in Foro it., 2013, voce Prova testimoniale, n. 30. Quanto alle deposizioni dei testi de relato ex parte actoris, si registrano due indirizzi. Secondo un primo indirizzo, la deposizione dei testimoni ha un rilievo sostanzialmente nullo, cfr. Cass. n. 1320/2017, cit.; Id., n. 569/2015, cit. Secondo un diverso indirizzo, la testimonianza può assurgere a valido elemento di prova quando sia suffragata da ulteriori risultanze probatorie che concorrano a confermarne la credibilità, così Cass. n. 18352/2013, cit.; Id., sez. I, 08.02.2006, n. 2815, in Foro it., Rep., 2016, voce cit., 2006, n. 26.

[105] Cfr. supra, § 5.1.

[106] In questo senso v. R. Siciliano, op. cit., p. 1360.

[107] Cfr. V. Andrioli, op. cit., p. 358.

[108] Cfr. V. Andrioli, op. loc. ult. cit.; conf. M. Montanari, Art. 245, in C. Consolo (diretto da), Codice di procedura civile, cit., p. 2543.

[109] Cfr. Cass., sez. lav., 24.01.1981, n. 550, in Foro it., Rep., 1981, voce Procedimento civile, n. 199.

[110]  Cfr. Cass., sez. III, 06.09.2007, n. 18688, in Foro it., Rep., 2007, voce Prova civile in genere, n. 25.

[111] Per il principio di acquisizione probatoria, le risultanze istruttorie concorrono tutte alla formazione del libero convincimento del giudice (cfr. Cass., sez. III, 13.04.2023, n. 9863, in Foro it., Rep., 2023, voce Prova civile in genere; Id., sez. I, 21.03.2003, n. 4126, in Foro it., 2003, I, c. 1402, con nota di M. Fabiani su diverso capo), potendo giovare o nuocere all’una o all’altra parte, indipendentemente da chi le abbia dedotte (cfr. Cass., sez. III, 29.07.2022, n. 23782, in ForoPlus; Id., sez. lav., 25.09.2013, n. 21909, in Foro it., Rep., 2013, voce cit., n. 29; Id., sez. VI, 14.09.2012, n. 15480, ivi, 2012, voce cit., n. 23); In dottrina v. L. P. Comoglio, Le prove civili, IIª ed., Torino, 2004, p. 208 s.

[112] In questo senso v. Cass., 06.08.1951, n. 2389, in ForoPlus.

[113] Per questa prospettiva v. V. Andrioli, op. loc. ult. cit.

[114] In ForoPlus.

[115] In questo senso v. M. Taruffo, voce Prova testimoniale (diritto processuale civile), in Enc. dir., XXXVII, Milano, 1988, p. 740; L. Montesano-G. Arieta, Trattato di diritto processuale civile, I, 2, Padova, 2011, p. 1314; A. Dondi, Prova testimoniale nel processo civile, Digesto disc. priv., sez. civ., XVI, Torino, 1997, p. 50. Contra, L. Dittrich, I limiti soggettivi della prova testimoniale, Milano, 2000, p. 124 e p. 228 ss.

[116] La non imputabilità del minore di anni quattordici induce la dottrina prevalente ad escludere, nell’ambito del processo civile, che egli debba recitare la previa dichiarazione d’impegno, cfr. L. P. Comoglio, Le prove civili, cit., p. 625; L. Montesano-G. Arieta, op. loc. ult. cit. Contra, L. Dittrich, op. cit., p. 124 e p. 228.

[117] In questo senso v. R. Siciliano, op. cit., p. 1362.

[118] In questo senso v. G. Basilico, op. cit., p. 5; R. Metafora, Riforma processo civile: le novità in materia di negoziazione assistita, in ilprocessocivile.it, p. 7.

[119] Cfr., ancora, G. Basilico, op. lot. ult. cit.

[120] Supra, § 3.5.

[121] Cfr. Corte cost., 19.12.2008, n. 426, in Giust. pen., 2009, I, 33; Id., 22.03.1971, n. 56, in ForoPlus. La discrezionalità del Legislatore delegato può essere più o meno ampia in relazione al grado di specificità dei criteri fissati nella legge delega, cfr., ex plurimis, Corte cost., 06.12.2012, n. 272, in Foro it., 2013, I, c. 1091; Id., 05.06.2003, n. 199, ivi, 2003, I, c. 2232. Quanto più i principi ed i criteri direttivi impartiti dal Legislatore delegante sono analitici e dettagliati tanto più ridotti risultano i margini di discrezionalità lasciati al Legislatore delegato, cfr. Corte cost., 27.04.2000, n. 126, in Foro it., 2001, I, c. 3431; Id., 12.06.1991, n. 259, in ForoPlus.

[122] Così, Corte cost., 10.02.1993, n. 44, in ForoPlus.

[123] In questo senso v. Corte cost., 24.07.1995, n. 362, in Foro it., Rep., 1995, voce Legge, decreto e regolamento, n. 92; Id., 19.01.1988, n. 21; Id, 13.05.1987, n. 156, entrambe in ForoPlus.

[124] Si confronti Corte cost., 23.03.2016, n. 59, in Foro it., 2016, I, c. 1526. Cfr. altresì R. Nevola-D. Diaco (a cura di), La delega della funzione legislativa nella giurisprudenza costituzionale, in https://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/stu_309.pdf, p. 17

[125] Cfr. supra, § 7.

[126] Sul tema del giudicato costituzionale v. F. Dal Canto, voce Giudicato costituzionale, in Enc. dir., Agg. V, 2001, p. 429 ss.; A. Lollo, Il giudicato costituzionale nella giurisprudenza della Corte. I giudizi sulle leggi in via incidentale, in Rivista AIC, 2011, 2, pp. 1 e 22.

[127] Sul tema del precedente nella giurisprudenza costituzionale v. G. Treves (a cura di), La dottrina del precedente nella giurisprudenza della Corte costituzionale, Torino, 1971; A. Pizzorusso, Effetto di giudicato ed effetto di precedente delle sentenze della Corte costituzionale, in Giur. cost., 1966, 1976 ss.; A. Anzon, Il valore del precedente nel giudizio sulle leggi, Roma, 1985; M. Pedrazza Gorlero (a cura di), Il precedente nella giurisprudenza della Corte costituzionale, Padova, 2008. Sulla differenza tra giudicato costituzionale e precedente v. F. Dal Canto, op. cit., p. 440.

[128] Invero, la Corte costituzionale è solita richiamare i propri precedenti quando pronuncia su questioni analoghe, cfr. M. Croce, Precedente giudiziale e giurisprudenza costituzionale, in Contratto e impresa, 2006, 4/5, p. 1156. Nei suoi precedenti, la Corte «rinviene i principi giurisprudenziali applicabili a un intero gruppo di casi», così V. Cartabia, La motivazione per relationem nelle decisioni della Corte costituzionale, in A. Ruggieri (a cura di), La motivazione delle decisioni della Corte costituzionale, Torino, 1994, p. 274 s.

[129] Così F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, Torino, 2002, p. 25.

[130] Così G. Zagrebelsky, La giustizia costituzionale, Bologna, 1988, p. 60; conf. M. Croce, op. cit., pp. 1151 e 1160.

[131] Così, R. Calvano, Lo stare decisis nella più recente giurisprudenza costituzionale, in Giur. cost., I, 1996, p. 1300.

[132] L’art. 1, l. cost. 9 febbraio 1948, n. 1 («Norme sui giudizi di legittimità costituzionale e sulle garanzie d’indipendenza della Corte costituzionale») dispone che «La questione di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge della Repubblica, rilevata d’ufficio o sollevata da una delle parti nel corso di un giudizio e non ritenuta dal giudice manifestamente infondata, è rimessa alla Corte costituzionale per la sua decisione».

[133] L’art. 23, l. 11 marzo 1953, n. 87 («Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale») stabilisce che «Nel corso di un giudizio dinanzi ad una autorità giurisdizionale una delle parti o il Pubblico Ministero possono sollevare questione di legittimità costituzionale mediante apposita istanza, indicando:

  1. a) le disposizioni della legge o dell’atto avente forza di legge dello Stato o di una Regione, viziate da illegittimità costituzionale;
  2. b) le disposizioni della Costituzione o delle leggi costituzionali, che si assumono violate.

L’autorità giurisdizionale, qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale o non ritenga che la questione sollevata sia manifestamente infondata, emette ordinanza con la quale, riferiti i termini ed i motivi della istanza con cui fu sollevata la questione, dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso.

La questione di legittimità costituzionale può essere sollevata, di ufficio, dall’autorità giurisdizionale davanti alla quale verte il giudizio con ordinanza contenente le indicazioni previste alle lettere a) e b) del primo comma e le disposizioni di cui al comma precedente.

L’autorità giurisdizionale ordina che a cura della Cancelleria l’ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sia notificata, quando non se ne sia data lettura nel pubblico dibattimento, alle parti in causa ed al Pubblico Ministero quando il suo intervento sia obbligatorio, nonché al Presidente del Consiglio dei ministri od al Presidente della Giunta regionale a seconda che sia in questione una legge o un atto avente forza di legge dello Stato o di una Regione. L’ordinanza viene comunicata dal cancelliere anche ai Presidenti delle due Camere del Parlamento o al Presidente del Consiglio regionale interessato».

[134] L’art. 22, comma 2, l. 11 marzo 1953, n. 87 consente alla Corte di introdurre «norme integrative» del procedimento nel suo regolamento. L’art. 1 delle Norme integrative stabilisce che «L’ordinanza, con cui il giudice davanti al quale pende la causa solleva la questione di legittimità costituzionale, è trasmessa, con modalità telematica, alla Corte costituzionale, insieme con gli atti e con la prova delle eseguite notificazioni e comunicazioni prescritte nell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87».

[135] Cfr. R. Nevola (a cura di), La legittimazione ad attivare il giudizio incidentale di costituzionalità: giudice a quo e processo principale nella giurisprudenza della Corte, settembre 2016, in https://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/STU_299_Giudice_processo_quo.pdf, p. 12.

[136] Cfr. R. Nevola (a cura di), op. cit., p. 153.

[137] La legittimazione del collegio arbitrale, nell’ipotesi di arbitrato rituale, a sollevare questione incidentale di costituzionalità è stata esplicitamente affermata da Corte cost., 28.11.2001, n. 376, in Foro it., 2002, I, c. 1648, con osservazione di R. Romboli; in Giur. it. 2002, p. 689, con nota di G. Canale; in Giust. civ. 2001, I, 12, p. 2883, con nota di R. Vaccarella; in Riv. dir. proc., 2002, 2, p. 351, con nota di E. F. Ricci; in Riv. arbitrato, 2001, 4, p. 657, con nota di A. Briguglio; in Corr. giur., 2002, p. 1009, con nota di M. Fornaciari.

[138] Cfr. Corte cost., 30.12.1961, n. 78; Id., 21.11.1997, n. 345, entrambe in ForoPlus. Cfr. amplius R. Nevola, op. cit., p. 157, nt. 12.

[139] Cfr. Corte cost., 06.07.1970, n. 114, in ForoPlus.

[140] Cfr. Corte cost. n. 78/1961, cit.; Id. n. 114/1970, cit.

[141] Cfr. Corte cost. n. 345/1997, cit.

[142] Cfr. R. Nevola-D Diaco-M. Boni (a cura di), Il requisito della rilevanza della questione incidentale di legittimità costituzionale. Selezione ragionata di giurisprudenza costituzionale, in https://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/STU_301_La_rilevanza.pdf, p. 11.

[143] In questo senso v. Corte cost., 18.06.2015, n. 114, in Foro it., 2015, I, c. 2606; Id., 01.06.2000, n. 173, in ForoPlus. In dottrina, v. G. Buonomo, L’ordinanza di rimessione e la parte: il Golem e la marionetta, in consultaonline, 2021, 1, p. 117.

[144] Il tentativo di interpretazione conforme deve precedere la valutazione della non manifesta infondatezza e della rilevanza della questione di legittimità costituzione, così F. Modugno, Inammissibilità della quaestio legitimitatis per omessa interpretazione costituzionalmente conforme e bilanciamento in concreto di diverse esigenze costituzionali, in Giur. cost., 2009, p. 2405; conf. A. Bonomi, Il dovere del giudice di ricercare l’interpretazione conforme a Costituzione della   disposizione impugnata vanifica i requisiti della rilevanza e della non manifesta infondatezza?, in  osservatorioaic.it, p. 5 s. Sul tema dell’interpretazione conforme, v. G. Pitruzzella, L’interpretazione conforme e i limiti alla discrezionalità del giudice nell’interpretazione della legge, in federalismi.it, 2021, 3, p. 161 ss.; A. Longo, Spunti di riflessione sul problema teorico dell’interpretazione conforme, in consultaonline, 2012, p. 1 ss.; I. Ciolli, Brevi note in tema d’interpretazione conforme a Costituzione, in Rivista AIC, 2012, 1, p. 1 ss.

[145] Secondo la Corte costituzionale, «laddove l’univoco tenore letterale della disposizione precluda un’interpretazione conforme, s’impone il sindacato di legittimità costituzionale». Così Corte cost., 14.12.2017, n. 268, in Foro it., 2018, I, c. 0742.

[146] Sui criteri della non manifesta infondatezza e della rilevanza, v. P. Calamandrei, Sulla nozione di «manifesta infondatezza», in Riv. dir. proc., Padova, 1956, p. 164 ss, spec. p. 167 ss.; F. Pizzetti-G. Zagrebelsky, “Non manifesta infondatezza” e “rilevanza” nella instaurazione incidentale del giudizio sulle leggi, Milano, 1972, p. 89 M. Luciani, Le funzioni sistemiche della Corte costituzionale, oggi, e l’interpretazione “conforme a”, in federalismi.it, spec. pag. 9; A. Pugiotto, La metamorfosi delle sentenze interpretative di rigetto, in Corr. giur., 2004, 8, p. 988;  O. Chessa, Non manifesta infondatezza versus interpretazione adeguatrice, in forumcostituzionale.it.

[147] Così O. Chessa, op. cit., p. 4.

[148] Cfr. supra, § 7.1.

[149] Cfr. C. Consolo, Giudizio incidentale di costituzionalità delle leggi e suoi presupposti: in particolare, la “rilevanza” delle questioni di legittimità, in https://www.giustizia-tributaria.it/allegati/Relazione_CONSOLO_-_Giudizio_incidentale_di_costituzionalita_delle_leggi_e_suoi_presupposti_in_particolare_la_YrilevanzaY_delle_questioni_di_legittimita.pdf.  Per ampi richiami alla giurisprudenza costituzionale in tema, v. R. Nevola-D Diaco-M. Boni, op. cit., p. 13 ss.

[150] Così, C. Consolo, op. cit.

[151] Supra, § 7.

[152] Cfr. art. 4-bis, comma 4.

[153] Cfr. art. 4-bis, comma 5.

[154] Cfr. § 8.

[155] L’art. 2700 c.c. dispone che «L’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti».

[156] Nel senso che il documento de quo farebbe piena prova sia delle domande rivolte all’informatore che delle dichiarazioni rese da quest’ultimo v. anche B. Ficcarelli, op. cit., p. 524, nonché – se non ci s’inganna – A. M. Tedoldi, Le ADR nella riforma della giustizia civile, in questionegiustizia.it, cit. p. 21.

[157] In questi termini v. Cass., sez. II, 30.01.2019, n. 2702, in ForoPlus.

[158] Nel senso che la valenza probatoria privilegiata non copre il contenuto c.d. intrinseco dell’atto pubblico, v. Cass., sez. V, 03.11.2017, n. 26140, in ForoPlus.

[159] Così, Cass., sez. II, 29.09.2020, n. 20520, in ForoPlus; Id., sez. I, 09.05.2013, n. 11012, in Foro it., Rep., 2013, voce Prova documentale, n. 8.

[160] In questo senso v. Cass., sez. VI, 25.07.2019, n. 20214, in Foro it., Rep., 2019, voce Prova documentale, n. 6.

[161] Cfr. Cass., sez. II, 18.11.2019, n. 29871, in ForoPlus; Id., sez. II, 29.09.2017, n. 22903, in Foro it., Rep., 2017, voce Prova documentale, n. 4; Id., n. 20214/2019, cit.

[162] è appena il caso di notare che l’art. 1, comma 4, lett. t), n. 4 della legge delega n. 206/2021 aveva prescritto di prevedere che eventuali abusi nell’acquisizione delle dichiarazioni (di terzi o della controparte) costituissero «per l’avvocato grave illecito disciplinare, indipendentemente dalla responsabilità prevista da altre norme». La prescrizione, opportuna (di questo avviso è anche B. Ficcarelli, op. cit., p. 529 s.) non è stata tuttavia recepita dal Legislatore delegato, in ossequio all’autonomia dell’ordine professionale forense (così A. M. Tedoldi, Le ADR nella riforma della giustizia civile, in Questione Giustizia, cit., p. 22).

[163] Cfr. R. Siciliano, op. cit., p. 1362, nt. 8.

[164] Cfr. § 8.

[165] In questi termini v. V. Baroncini, Art. 9, in M. Montanari-V. Baroncini, Negoziazione assistita, cit., p. 285 ss.

[166] Così, Ministero della Giustizia, Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, cit., p. 136.

[167] In questo senso v. S. Boccagna, op. cit., p. 81.

[168] Supra § 8.

[169] In questo senso v. anche E. Dalmotto, op. cit., p. 745; R. Siciliano, op. cit., p. 1362, nt. 8.

[170] Cfr. R. Metafora, op. cit., p. 7; G. Basilico, op. cit., p. 5; B. Ficcarelli, op. cit., p. 525.

[171] In questo senso v. G. Basilico, op. cit., p. 5; R. Metafora, op. cit., p. 7; B. Ficcarelli, op. cit., p. 525.

[172] L’art. 1, comma 4, lett. t) n. 1 aveva prescritto di prevedere, nell’ambito della disciplina dell’attività di istruzione stragiudiziale, «garanzie per le parti e i terzi, anche per ciò che concerne le modalità di verbalizzazione delle dichiarazioni, compresa la possibilità per i terzi di non rendere le dichiarazioni, prevedendo in tal caso misure volte ad anticipare l’intervento del giudice al fine della loro acquisizione».

[173] Per la natura non cautelare dello strumento di cui all’art. 696-bis c.p.c. v., in dottrina, A. A. Romano, Art. 692, in L. P. Comoglio, C. Consolo, B. Sassani, R. Vaccarella (diretto da), Commentario del codice di procedura civile, cit., p. 394 s.

[174] Supra § 1.

[175] Supra, § 3.1.

[176] Così, R. Metafora, op. cit., p. 6. Cfr. altresì G. Basilico, op. cit., p. 4.

[177] Supra § 1.

[178] Con riguardo ai presupposti che devono ricorrere perché il giudice ammetta l’audizione dei testi a futura memoria si registrano opinioni divergenti. Nel senso che per l’ammissibilità dell’istanza di audizione il giudice debba valutare esclusivamente l’urgenza dell’assunzione della prova, v. S. Satta, op. cit., p. 260. Per l’opinione, invece, che il giudice debba valutare, oltre alla sussistenza del periculum tipizzato dall’art. 693 c.p.c., altresì quella del fumus boni iuris, consistente nell’ammissibilità del mezzo di prova, v. V. Andrioli, Commento al codice di procedura civile, IV, Napoli, 1964, p. 236; in senso parzialmente difforme v. C. Calvosa, voce Istruzione preventiva, in Noviss. dig. it., IX, Torino, 1965, p. 324, secondo cui il giudice deve valutare, oltre al periculum e al fumus, altresì la probabilità che l’azione sia ritenuta ammissibile e che l’eccezione sia ritenuta ammissibile e proponibile. Secondo A. A. Romano, Art. 692, cit., p. 398 s., la valutazione del giudice non deve limitarsi all’ammissibilità e alla rilevanza del mezzo di prova, ma deve altresì appuntarsi sulla sua utilità rispetto alla definizione del futuro giudizio sul diritto sostanziale; tale valutazione atterrebbe sia al periculum in mora che al fumus boni iuris. Esclude che il giudice debba valutare la rilevanza o l’indispensabilità della prova G. Balena, voce Istruzione. II) Procedimento di istruzione preventiva, in Enc. giur., XVIII, Roma, 1990, p. 6.

[179] Sul contenuto del ricorso per istruzione preventiva v. amplius A. A. Romano, Art. 693, in L. P. Comoglio, C. Consolo, B. Sassani, R. Vaccarella (diretto da), Commentario del codice di procedura civile, cit., p. 416 s.

[180] In questi termini si veda Cass., sez. III, 17.09.1996, n. 8309, in Foro it., Rep., voce Istruzione preventiva, n. 8.

[181] Per la ricostruzione delle opposte argomentazioni, in merito alla impugnabilità oppure no dell’ordinanza di rigetto dell’istanza di istruzione preventiva, sia consentito rinviare a A. A. Romano, Art. 695, in L. P. Comoglio, C. Consolo, B. Sassani, R. Vaccarella (diretto da), Commentario del codice di procedura civile, cit., p. 426 s.

[182] In Foro it., 2009, I, c. 2634; in Riv. it. dir. lav., 2008, 4, p. 782, con nota di F. Corsini; in Giust. civ., 2009, 2, p. 299, con nota di R. Giordano; ivi, 2009, 11, p. 2357, con nota di R. Granata.

[183] Nel senso che, a dispetto del richiamo agli artt. 191 ss. c.p.c. – che attengono propriamente alla consulenza tecnica – l’art. 693, comma 1, c.p.c. consente al giudice di fare utilizzo, nell’assunzione della prova (anche testimoniale), dei normali poteri previsti nella fase istruttoria, v. N. Picardi, Art. 698, in Codice di procedura civile, VIIª ed. a cura di R. Vaccarella, Milano, 2021, p. 4315. Cfr. altresì A. A. Romano, Art. 698, in L. P. Comoglio, C. Consolo, B. Sassani, R. Vaccarella (diretto da), Commentario del codice di procedura civile, cit., p. 465 s.

[184] Cfr. A. A. Romano, Art. 699, in L. P. Comoglio, C. Consolo, B. Sassani, R. Vaccarella (diretto da), Commentario del codice di procedura civile, cit., p. 472.

[185] Per A. M. Tedoldi, Le ADR nella riforma della giustizia civile, in questionegiustizia.it, cit., p. 22, la previsione evocherebbe le «antiche interpellationes tra litiganti che, nel processo romano-canonico si sfidavano a dichiarare “an verum sit” un determinato fatto, al fine di provocare la confessione della controparte».

[186] Sul tema della confessione, con riguardo al processo civile, v. soprattutto V. Andrioli, voce Confessione (diritto processuale civile), in Noviss. dig. it., IV, Torino, 1959, p. 10 ss; C. Furno, voce Confessione (Dir. proc. civ.), in Enc. dir., VIII, Milano, 1961, p. 870 ss.; L. P. Comoglio, voce Confessione. II) Diritto processuale civile, in Enc. giur., VIII, Roma, 1988, p. 1 ss.

[187] Sui requisiti soggetti ed oggettivi della confessione stragiudiziale sia consentito rinviare a A. Frassinetti, La confessione stragiudiziale, Trieste, 2017, p. 79 ss.

[188] Sul requisito dell’irrevocabilità e sulla caratteristica dell’inscindibilità, v. ancora A. Frassinetti, op. cit., p. 92 ss.

[189] Cfr. R. Vaccarella, voce Interrogatorio delle parti, in Enc. dir., XXII, Milano, 1972, p. 357.

[190] Cfr. supra, § 3.1.

[191] Per questa prospettiva v. G. Basilico, op. cit., p. 2.

[192] Supra, § 10.

[193] In questo senso v. Trib. Padova, sez. II, 06.12.2005, in banca dati Dejure.

[194] Cfr. R. Vaccarella, op. cit., p. 370.

[195] Cfr. Cass., sez. II, 07.06.2011, n. 12292, in Foro it., Rep., 2011, voce Prova civile in genere, n. 24.

[196] Cfr. Cass., sez. II, 25.01.2007, n. 1629, in Foro it., Rep., 2007, voce Interrogatorio in materia civile, n. 1; Id., sez. III, 12.10.1998, n. 10077, ivi, 1998, voce cit., n. 4; Id., sez. II, 23.03.1995, n. 3380, ivi, 1995, voce cit., n. 2

[197] Cfr. supra, § 5.1.

[198] In questi termini v. A. Frassinetti, op. cit., p. 89.

[199] Cfr. supra, § 5.2.

[200] Per una simile notazione v. già R. Vaccarella, op. cit., p. 370, il quale dichiara di disapprovare la soluzione giurisprudenziale.

[201] In questi termini v. Cass., sez. II, 07.02.2018, n. 2956, in Giusto proc. civ., 2019, 2, p. 511, con nota di G. Reali.

[202] L’art. 4, comma 1 dispone che «L’invito a stipulare la convenzione deve indicare l’oggetto della controversia e contenere l’avvertimento che la mancata risposta all’invito entro trenta giorni dalla ricezione o il suo rifiuto può essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli articoli 96, primo, secondo e terzo comma, e 642, primo comma, del codice di procedura civile».

[203] In questo senso v. V. Andrioli, Commento al codice di procedura civile, II, Napoli, 1960, p. 176.

[204] Cfr. S. Giana, Art. 232, in L. P. Comoglio, C. Consolo, B Sassani, R. Vaccarella (diretto da), Commentario del codice di procedura civile, cit., p. 971, nt. 9.

[205] Cfr. Cass., sez. III, 14.10.2021, n. 28004, in Foro it., Rep., 2021, voce Procedimento civile, n. 110; Id., sez. un., 28.11.2005, n. 25032, ivi, 2005, voce cit., n. 123.

[206] Supra, § 12.

[207] Cfr. supra, § 8.1.

[208] Cfr. supra, § 8.1.

[209] Cfr. supra § 8.2.

[210] Cfr. § 12.

[211] è appena il caso di notare che, laddove il documento contenente le dichiarazioni confessorie sia munito dell’attestazione dell’avvocato, non si porrà il problema di provare che le dichiarazioni confessorie siano state effettivamente rese. Il regime dell’efficacia delle dichiarazioni confessorie posto dall’art. 2735, comma 1, c.c., presuppone infatti che sia in limine pienamente provata l’esistenza delle dichiarazioni. Sul punto v. C. Furno, op. cit., p. 911 s.

[212] Per questa notazione v. già C. Furno, op. cit., p. 906.

[213] Supra, § 10.

[214] Cfr. § 10.3.

[215] Cfr. supra, § 1.2.

[216] Cfr. supra, § 7.

[217] Cfr. supra, § 5.1.

[218] Cfr. supra, § 10.3.

[219] Cfr. supra, § 12.1.

[220] Cfr. supra, § 6.

[221] Cfr. supra, § 5.2.

[222] Cfr. supra, § 10.4.

[223] In questo senso v. M. A. Zumpano, op. cit., p. 137; S. Boccagna, op. cit., 81 s.

[224] Cfr. A. Dondi-V. Ansanelli, op cit., p. 760 s.

[225] Le basi culturali del sistema processuale statunitense sono rappresentate da un sistema di tipo accusatorio e dalla concezione per cui, per una corretta decisione, occorra «il massimo accesso ai fatti», così B. Ficcarelli, op. cit., p. 510 s.

[226] Per questa notazione v. altresì B. Ficcarelli, op. cit., p. 513 s.